Amicizia

Amicizia

Amicizia.

Amicizia, racconto di Lino Scalpellino.

Mike non sapeva se credere o meno al suo amico quando gli disse che aveva un nuovo compagno di giochi e che viveva all’interno di uno dei suoi mobili. Cioè, in fin dei conti, chi mai avrebbe potuto credere ad un ragazzino di 7 anni che ammetteva una simile verità ad un altro ragazzino di 7 anni. I nuovi amici esistono, ma di certo non vivono all’interno dei mobili della cucina. Li si conosce a scuola, nei doposcuola, nelle palestre, nelle piscine comunali, durante le vacanze o durante i trasferimenti dei nuovi vicini, ma non quando si apre l’anta della credenza per prendere i cereali o il barattolo dei biscotti. Eppure John sosteneva che era vero, che passavano molto tempo insieme a giocare il pomeriggio e si divertivano veramente tanto. Il suo amico conosceva moltissimi strani giochi, coinvolgenti, ambigui, divertenti. Il tempo volava insieme a lui, per questo erano diventati molto amici.
“Com’è?”, chiese Mike, fuori dalla porta d’ingresso di casa sua.
John era impaziente al suo fianco, fremeva all’idea di presentargli il nuovo compagno. Era così agitato ed eccitato che gli tremavano le mani e sembrava affannato.
“In che senso?”.
“Voglio dire. Alto? Biondo? Un bambino come noi? Com’è?”.
“Beh… non ho mai pensato a lui in questi termini”, rispose nervosamente, alzando gli occhi al cielo come se stesse pensando. “Posso dirti che è un bambino come noi, però è un po’ diverso… differente… non so spiegartelo, devi solo incontrarlo per capire”.
“Okay”, replicò titubante Mike, rabbrividendo alle parole dell’amico e chiedendosi se fosse o meno una buona idea.
Entrarono in casa, un silenzio tombale. Le luci erano spente, l’aria era immobile e non c’erano profumi. Un adulto si sarebbe chiesto dove si erano cacciati i genitori di quel bambino, ma Mike e John non erano adulti, né adolescenti, erano solo due bambini.
Avanzarono lentamente verso la cucina e con semplicità aprirono la porta. Era vuota, abbandonata. Non c’erano utensili, la luce era spenta, la polvere un po’ ovunque. Una madre non entrava lì da mesi.
“Dolore?”, chiamò John, fissando l’anta del mobile sotto al lavandino.
Un rumore strano cominciò a sentirsi, liquido, schifoso, come se un grosso grumo di melma stesse passando attraverso un buco minuscolo. Un enorme blocco di catarro vomitato da un neonato. L’anta si aprì, e una sorta di bianco mostro melmoso ne venne fuori con lentezza. Viscido, lurido, gocciolante. Aveva l’effettiva stazza di un ragazzino della loro età, ma era un essere immondo, sotterraneo, demoniaco.
“JOOOOHN…”, mugolò l’orrido mostro, mostrando due iridi bianche e stinte e una bocca larghissima e slabbrata, con dei denti aguzzi. “CHIIII… SAREEEBBBEEE… COSSSTTTTUUUUIIIII”.
“Questo è Mike, un mio amico. Volevo fartelo conoscere, così potevamo giocare insieme tutti e tre!”.
“AVEVIIIIII DETTO CHEEEEEEE IIIIIIIIIIO EEEEROOOOO TUO AMIIIIICOOOOOHHH”, ribatté ululando, gorgogliando, dimostrando sofferenza, paura, gelosia, dolore.
“Lo sei Dolore, sei mio amico! Lo è anche lui! Lo siete entrambi!”, strillò John, agitano le braccia prima verso Mike, poi verso l’essere che avanzava pericolosamente.
“VOI UMAAAAAANIIIIIII SIEEEETEEEEEE TUTTTTIIIIIIIII UGUAAAAALIIIIIIIII”, concluse con ferocia, mentre i suoi occhi si inondavano di lacrime nere. Gocce d’inchiostro che poi colavano nel bianco lattiginoso del suo corpo, mescolandosi permanentemente con lui, ingrigendolo in tutta la sua mole.
I ragazzi indietreggiarono impauriti, ma fu tutto inutile. Con un solo ed improvviso scatto in avanti, il mostro li raggiunse e con un unico morso staccò di netto la testa di entrambi.

Racconto selezionato dal Gruppo Horror GHoST, partecipa anche tu: https://www.facebook.com/groups/horrorclubghost

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