In ricordo di Tobe Hooper

In ricordo di Tobe HooperIn ricordo di Tobe Hooper.

In ricordo di Tobe Hooper, dal 1974 al 1986 ha diretto una serie di film, compresi alcuni capolavori, che ne hanno fatto uno dei maestri dell’horror.

In ricordo di Tobe Hooper, nato il 25 gennaio del 1953 ad Austin, nel Texas. Dal 1974 al 1986 Hooper ha diretto una serie di film, compresi alcuni capolavori, che ne hanno fatto uno dei maestri dell’horror.
Il primo, Non aprite quella porta (The Texas Chainsaw Massacre, 1974), uno dei grandi titoli del new horror, girato con un budget di 300 mila dollari, contribuì in maniera determinante a ridefinire le coordinate del genere. Lo stile di Hooper (Enrico Ghezzi lo definì “iperrealista”) è brutale e sanguinoso (anche se il sangue, nei suoi film migliori, è più suggerito che mostrato), di grande impatto emotivo e (nemmeno tanto) velatamente ideologico. Anthony Timpone, direttore della rivista americana Fangoria, scrisse a proposito del film: “Colpisce all’altezza dello stomaco, ed è terrorizzante e colmo di suspense. Tobe Hooper costruisce un’eccezionale atmosfera e un lancinante senso del terrore.” L’allucinante vicenda lanciò inoltre Leatherface/Faccia di cuoio, pazzo, mascherato e armato di sega elettrica, tra le icone del cinema dell’orrore. Due anni dopo Hooper replicò dirigendo Quel motel vicino alla palude (Eaten Alive/Death Trap/Brute and Savage, 1976), un altro film su un soggetto alquanto disturbante. Raccontando del folle proprietario di un motel che uccide gli avventori dandoli in pasto a un feroce coccodrillo, Hooper realizzò una sorta di versione delirante e volutamente grezza di Psycho. E situò ancora una volta l’orrore nel profondo sud degli Stati Uniti, filmando il consueto substrato sociale degradato attraverso una suspense corretta da dosi massicce e inquietanti di humour nero. Del 1979 è la mini-serie televisiva Le notti di Salem (Salem’s Lot, 1979), tratta dal romanzo omonimo di Stephen King. Ne venne realizzata anche una versione per le sale cinematografiche, notevolmente ridotta. Il risultato è comunque apprezzabile: un film denso d’atmosfera lugubre, ricco di immagini e di situazioni che testimoniano il grande talento visivo e narrativo del regista.
Dopo questa esperienza, Hooper nel 1981 tornò al sottogenere degli esordi, nobilitando quello che in America viene denominato “Teenie Kill Pic” con Il tunnel dell’orrore (The Funhouse). Nel quale due coppie di ragazzi visitano un Luna Park e finiscono nel tunnel degli orrori, senza sapere che vi si aggira un assassino deforme e mascherato. Finale (con pianto a dirotto della protagonista) memorabile, come d’altronde la frase di lancio: Pay to get in. Pray to get out! Gianni Canova lo definì “Un piccolo gioiello di raffinatezza cinefila e un punto di non ritorno nella sperimentazione degli ingredienti orrorifici tradizionali.”
L’incontro del regista con Hollywood e i grandi budget avvenne nel 1982, quando fu chiamato a dirigere Poltergeist – Demoniache presenze (Poltergeist, 1982), scritto e prodotto da Steven Spielberg. Anche se qualcuno sostiene il contrario, Hooper non snaturò affatto il suo modo di fare cinema nell’affrontare il soprannaturale come lo vedeva il regista di E.T – L’extraterrestre. I genitori di una bambina scomparsa misteriosamente ricorrono all’aiuto di una medium per ritrovarla, e scoprono che la loro nuova abitazione, edificata su un cimitero indiano, è infestata dai fantasmi. Poltergeist non è solo un fanta-horror costruito in maniera perfetta. Ma un film “nel quale tutte le regole del genere appaiono rispettate, e sono invece, proprio per questo, rivelate nella loro estrema contraddittorietà e ambiguità.” (Franco La Polla/Giorgio Cremonini)
Tra il 1985 e il 1986 Hooper girò tre pellicole prodotte dalla Cannon di Menhaem Golan e Yoram Globus. La prima fu Space Vampires (Lifeforce, 1985), nel quale una missione spaziale, giunta nei pressi della Cometa di Halley, recupera tre umanoidi conservati in bare di cristallo. Una volta sulla Terra, i tre si rivelano vampiri che succhiano l’energia vitale delle vittime. Tratto da un racconto di Colin Wilson e scritto da Don Jakoby e Dan O’Bannon, costò parecchio e incasso poco, eppure è un film da recuperare. Colorato, sensuale, quasi psichedelico. Indimenticabile inoltre la vampira interpretata da Mathilda May che si aggira nuda in cerca di prede umane. Seguirono Invaders (Invaders from Mars, 1986), remake del film diretto nel 1953 da W. C. Menzies Gli invasori spaziali e, nello stesso anno, Non aprite quella porta – Parte II (The Texas Chainsaw Massacre 2, 1986). Questa volta la vicenda è incentrata su una giovane dee-jay che, dopo aver registrato le grida di due ragazzi terrorizzati da un misterioso aggressore, aiuta lo sceriffo del luogo a scovare la famiglia di macellai cannibali. Il film piacque a pochi, ma è tutt’altro che disprezzabile. In particolare nella seconda parte Hooper ritrova l’estro corrosivo dei suoi titoli migliori e la capacità di imprimere all’horror una potenza espressiva che giunge direttamente alla corteccia cerebrale.
Dopo il 1986 Hooper faticò a esprimere il meglio della sua creatività, anche a causa di produzioni non sempre all’altezza. Riuscì però a girare un pugno di film discreti. Il vestito che uccide (I’m Dangerous Tonight, 1990), tv-movie tratto da un racconto di Cornell Woolrich, in cui una ragazza indossando un abito azteco diventa una vamp assassina. L’episodio Eye, il terzo di Body Bags – Corpi estranei (Body Bags, 1993), su un uomo a cui viene trapiantata la cornea di un serial-killer (gli altri due episodi sono firmati John Carpenter). Night Terrors (Tobe Hooper’s Night Terrors, 1993), curiosa miscela di orrore ed erotismo in cui Robert “Freddy Krueger” Englund interpreta nientemeno che la reincarnazione di De Sade. E, infine, The Mangler – La macchina infernale (The Mangler, 1994), forse l’ultimo successo del regista. Una truculenta versione del racconto di Stephen King su una stiratrice posseduta dal demonio.

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