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Torno a casa a bordo della mia auto e sono ancora una volta i ricordi a tenermi compagnia. Devo fuggire da quel vecchio casolare…
Voci che si rincorrono nei sotterranei. Alberi che stendono braccia di rami nella notte scura. Vento che fischia, mi dico. Rumori della notte che avanza. Casolari sperduti nella nebbia tra campi di grano e campagna sterminata. Ricordo tutto con angoscia…
Leggo sul giornale di oggi che vendono a buon prezzo un casolare in periferia, lontano dal mare, una casa da ristrutturare.
Ci sarà da spendere parecchio denaro per farne una villa… penso
Era il sogno di mio padre. A lui sarebbe piaciuta una casa in campagna.
“Voglio morire dove sono stato bambino” diceva.
Era nato nelle colline del Chianti. Costretto a vivere sul mare, a Porto Fabbrica, per mandare avanti un cantiere navale che aveva messo su a prezzo di fatica e rinunce. Lo ricordo come un uomo solo, triste e pensieroso, invecchiato nel ricordo della mamma. La mamma vestita di stoffa sottile è passata come un soffio di vento nella mia vita. Un tumore se la portò via che io e mia sorella eravamo appena bambine.
“Dobbiamo accettare il destino” diceva mio padre.
Io non capivo neppure cosa fosse il destino. Giocavo con Marina, credevo ancora alle fiabe e la mamma se ne andava per sempre.
“Un giorno ce ne andremo via di qui” proseguiva mio padre.
Lui odiava Porto Fabbrica e la vita di città, lo stress, le abitudini. Poi intorno c’erano solo cose che gli ricordavano la mamma ed era questa la cosa più difficile da accettare.
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