Roma, Anno Domini 33 – 9 di maggio, sabato…

Le Lemurie. Feste create dai vivi per tenere lontano dalle loro case i Lemures, anime inquiete dei morti.
A mezzanotte ogni pater familias si lavava le mani tre volte in acqua di fonte e si aggirava a piedi scalzi per la casa facendo schioccare le dita e mettendo in bocca fave nere che poi gettava dietro di sé, ripetendo una formula di scongiuro. Dunque si premurava di far indossare ai suoi figli la bulla, un amuleto che li avrebbe protetti.
Ma quell’anno i Lemures non si fermarono a contare le spine di rosa sulle porte né a raccogliere le fave nere; non ci fu bulla che protesse bambino. Ovunque in tutto l’Impero, dall’Egitto alla Gallia, dall’Asia Minore alla Grecia, fino a Roma, i morti quell’anno uscirono dai loro sepolcri e camminarono ed entrarono nelle case protette. Entrarono e si cibarono.
Dei vivi.

I
Ora le lucerne erano finite nella polvere, le ghirlande di rose strappate dalle porte e dilaniate con rabbia, nel groviglio degli steli spinosi brandelli di carne putrida rimandavano al Sole bagliori carmini.
La villa sulla Cassia sembrava aver perso quel senso di immoto, di sicuro che le era proprio. Per Giulia Claudiana era sempre stata una fortezza, un rifugio, il suo regno. E da regina aveva governato in casa sua, fiera e forte, con un marito troppo spesso lontano a combattere in nome di Roma.
Era per quello che l’orrore era entrato in casa loro? Era perché Lucio non era arrivato in tempo per officiare il rito delle Lemurie? E dov’era ora che c’era tanto bisogno di lui, ora che tutto intorno era sangue, e fetore, e morte…

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