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“Se pensano di liquidarmi alla svelta hanno sbagliato i conti.”
“Voi state cercando di liquidarvi con le vostre stesse mani!” Maxwell si asciugava il sudore dalla fronte con un fazzoletto stazzonato. “Crabites è americano, non può
stare che dalla vostra parte, ma voi dovete mostrarvi
remissivo.”
“Remissivo?”
“Ho parlato con Hanna.” James Breasted aveva
quell’espressione stanca e infelice che gli era
diventata abituale negli ultimi tempi. “È disposto a
rinnovare la concessione a Lady Almina, a patto che voi
rinunciate ufficialmente a ogni pretesa sui reperti.”
“Vi ho già detto mille volte che non farò mai una cosa
del genere. Non è per gli oggetti. Io desidero che siano
messi al sicuro in un museo. Ma non posso arrendermi
incondizionatamente, ed è giusto che Lady Almina sia
risarcita almeno in parte delle spese sostenute dal
conte durante tutti questi anni.”
Maxwell indugiò a riflettere con il fazzoletto premuto
sulle labbra, come temesse di lasciarsi sfuggire qualche
dichiarazione compromettente. Poi, mentre uscivamo nel
sole della primavera cairota, disse: “Perché no?”
“Cosa?”
“Rifletteteci un attimo, prima di scaldarvi. Pensate
all’opinione pubblica, e non soltanto a quella egiziana.
Una rinuncia formale testimonierebbe in favore del
vostro disinteresse, sarebbe la prova di quanto avete
sempre dichiarato alla stampa, e vi guadagnerebbe la
simpatia di quei vostri connazionali che adesso esitano
ad appoggiarvi.”
“Io non posso prendere decisioni che vadano contro gli
interessi degli eredi di Carnarvon.”
“Ma è la sola mossa che possa permettervi di tornare
subito al lavoro” rincarò Breasted. “Howard, questa non
è una partita a scacchi, è poker: vince chi bluffa
meglio. Tra qualche tempo, quando le acque si saranno
calmate, potrete tornare all’attacco.”
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