La Casa delle Anime Dannate di Michael Laimo

Disponibile La Casa delle Anime Dannate, romanzo horror dell’acclamato autore americano Michael Laimo.
Johnny, unico superstite di un massacro che anni prima ha decimato la sua famiglia, fa ritorno nella sua vecchia casa a Wellfield, dove troverà ad attenderlo un antico Male.
Dal libro, uscito negli USA nel 2007 con il titolo Dead Souls e ora per la prima volta tradotto e pubblicato in italiano, è stato tratto l’omonimo fiilm di Colin Theys del 2012, con Jesse James, Magda Apanowicz, Bill Moseley, Geraldine Hughes.

Descrizione

Quando una lettera inaspettata informa il giovane Johnny Petrie di essere diventato proprietario della casa e delle terre dei Conroy, di cui risulta essere l’ultimo discendente, la sua normalità viene spezzata. Alla ricerca delle proprie radici, Johnny parte per la sperduta cittadina di Wellfield, nel Maine, ma sarà l’inizio della sua discesa nell’incubo. L’eredità che lo aspetta, infatti, non è costituita soltanto dalla casa e dai terreni, ma anche – e soprattutto – dalla maledizione che vi grava sopra. E che sta aspettando proprio lui, l’ultimo dei Conroy.

Estratto

Chiuse gli occhi e accolse l’agonia che gli trafiggeva il cervello e il cranio, le ferite da arma da taglio sul braccio, sulla spalla e sul busto.
Negli occhi ben serrati, ardevano lampi spettrali di luce bianca e tremolante, che rivelavano una sagoma scura: la figura del dio Osiride.

L’autore

Michael Laimo ha scritto sette romanzi tra cui Atmosphere e Deep in the Darkness, entrambi candidati al Bram Stoker Award. Ha inoltre pubblicato più di cento racconti sulle pagine di diversi magazine del settore.
Dai suoi romanzi Dead Souls e Deep in the Darkness sono stati tratti due film disponibili negli USA su Amazon Prime Video.
In Italia ha già pubblicato il racconto breve Cinque Minuti di Video, per la raccolta biautore illustrata Mutazioni, e il romanzo Sleepwalker, editi da Nero Press Edizioni.
La Casa delle Anime Dannate è la prima traduzione italiana di Dead Souls, uno dei volumi più apprezzati dell’autore.

La Casa delle Anime Dannate
Autore: Michael Laimo
Editore: Nero Press Edizioni
Collana: Insonnia
Isbn: 978-88-85497-56-6
Prezzo: 15 €
Formato: 15×21
Pagine: 366
Confezione: Brossura con alette




L’ultimo giro in città

Joe lavorava da
poco più di sei mesi per una società di recupero crediti e in breve tempo era
diventato il migliore. Convinceva gli insolventi a saldare il debito con tatto,
decisione, cordialità e sottolineando quanto fosse necessario evitare guai più
seri: il tribunale giudiziario, eccetera. Poiché non si vantava mai dei suoi
successi, era ammirato dai colleghi. Uno in particolare non si stancava di
elogiarlo. Dashiell, il veterano del gruppo, lo additava agli altri come un
esempio da seguire. Lo fece anche quel venerdì pomeriggio, quando dopo essere
passato in ufficio per il rendiconto settimanale, incontrò Dashiell e altri
colleghi fuori dal bar dove erano soliti ritrovarsi per fare quattro
chiacchiere. “Ecco, guardate il nostro Joe. Mai una parola fuori posto, e mai
che sia tornato da un insolvente senza l’assegno in mano.”

Aldo, il meno
sollecito a sottolineare le qualità di Joe, fece notare che forse si trattava
anche di fortuna. Joe annuì con un mezzo sorriso. Non si sarebbe mai sognato di
smentirlo, ci pensò Hammett a farlo. L’altro insistette: “Vorrei vedere Joe
alle prese con l’insolvente da cui sono passato ieri. È la terza volta e non
c’è verso di convincerlo”. In breve Aldo sostenne che nemmeno Joe sarebbe
riuscito a convincere mister Brown. Joe prese la pratica. “Va bene, proverò a
fare un giro in città.” Tra loro scherzando avevano preso l’abitudine di
definire in questo modo la visita a un insolvente.

Non chiese con
che tipo d’uomo avrebbe avuto a che fare. In quei mesi ne aveva trovati di ogni
genere, compresi quelli prepotenti se non minacciosi. Hammett esagerava quando
sosteneva che fosse sempre riuscito a risolvere la pratica. Ma nel complesso
non poteva lamentarsi.

Tornò a casa
scoprendo che Sara non c’era. Negli ultimi tempi finiva sempre tardi,
continuava a fare gli straordinari per guadagnare di più. Tutto perché un
giorno Joe era uscito con una frase infelice dopo che Sara aveva detto che
forse era arrivato il momento di mettere al mondo un bambino.

“Non credo che ci
si possa permettere un figlio,” era stata la sua risposta.

Sara aveva
creduto che la ritenesse responsabile della loro precaria situazione economica
e lui non era più riuscito a convincerla del contrario. Finiva sempre così. Sul
lavoro aveva dimostrato d’essere capace di persuadere le persone, ma quando
entrava in gioco il coinvolgimento emotivo Joe falliva miseramente. Quella sera
a cena ad esempio cercò un altro modo per far capire a Sara che addossava a se
stesso ogni colpa, se di colpa si poteva parlare.

“Andrò da un
insolvente che non vuol sentir ragione. Secondo il collega che mi ha passato la
pratica, è un osso duro.”  

Sara annuì.
“Domani è sabato.”

“Uno straordinario
ogni tanto tocca anche a me. Tu ne fai già abbastanza.”

Sara si voltò
dall’altra parte, senza guardare nulla di preciso. “Il sabato e la
domenica sono gli unici giorni in cui possiamo stare insieme,” disse.

“Non ci
metterò molto. Andrò via presto e tornerò presto.”

Il giorno
seguente infatti Joe si alzò di buon’ora, prese la pratica e controllò
l’indirizzo. Non era lontano.

In venti minuti
di automobile raggiunse la palazzina signorile nei pressi dello stadio. Suonò
il citofono e si presentò.

“Salga. Secondo
piano.”

“Sono contento
che non sia venuto il suo collega,” lo accolse 
Brown introducendolo nell’appartamento. Gli offrì un caffé e spiegò che
fino a quel momento si era rifiutato di pagare soprattutto per l’atteggiamento
di Aldo. “Si è comportato in modo sgradevole. Insistente e sgradevole. Tipico
di chi è soddisfatto di se stesso, del mondo che lo circonda e di come vanno le
cose.”

Joe rimase
perplesso dinanzi alle parole di Brown. Ma quando l’uomo aggiunse che aveva
sempre saldato i debiti del figlio e che uno dei motivi per cui finora non
aveva ancora pagato era stato proprio il modo di fare di Aldo, Joe capì che
Brown aveva finalmente intenzione di firmare i documenti e procedere al saldo.
Quando stava per andarsene, Joe non poté fare a meno di ripensare a una frase
che gli era rimasta particolarmente impressa. Brown aveva detto che il suo
collega era uno dei motivi. Quindi ce ne era stato un’altro? Brown lo fissò per
qualche istante, accigliato, come se lo stesse studiando. Infine la sua espressione
si rilassò.

“Il fatto che mi
abbia posto questa domanda dimostra che forse potrei …”

Improvvisamente
si voltò, guardandosi intorno, e stette in silenzio: sembrava in ascolto. Poi
riprese a parlare, ma era come se parlasse a se stesso. “No, non è il momento.
Mi scusi, ma devo salutarla”.

Il lunedì, quando
si incontrarono in ufficio, Aldo non fece una piega nel sentire che Joe era
riuscito laddove lui aveva fallito. Si limitò a dire che Brown si era sempre
trincerato dietro la morte della moglie, dietro al fatto che il figlio non si
era fatto vedere nemmeno al funerale e che quindi non voleva aver più niente a
che fare con tutto ciò che lo riguardava.

Joe si strinse
nella spalle. “Non mi ha parlato della moglie.”

“Non faceva che
ripeterlo. Secondo me era una scusa. Si era messo in testa di non pagare e
basta.”

Joe non diede
peso alle parole del collega. Tuttavia col trascorrere delle ore una domanda
cominciò a farsi largo nei suoi pensieri: perché Brown non gli aveva parlato
della moglie? Mentre la domanda si faceva sempre più pressante, non poté fare a
meno di chiedersi per quale motivo ne fosse così ossessionato.

Lo era al punto
che un giorno deviò dal percorso che lo stava conducendo da un insolvente, per
raggiungere l’abitazione di Brown e appostarsi a una decina di metri di
distanza. Tornò altre volte e l’ultima decise di suonare il citofono, con la
scusa che i documenti erano andati smarriti. Non rispose nessuno e quando salì
e suonò il campanello, un signore con il cane che stava rientrando in quel
momento e che abitava nell’appartamento accanto gli spiegò che Brown era
partito una settimana prima senza dire nulla.

“Di solito mi
avvertiva.” Poi chiese a Joe chi fosse e lui lì per lì si inventò che era un
amico del figlio, mandato a chiedere notizie del padre.

“Non ha il
coraggio di venire personalmente,” commentò il vicino scuotendo la testa. “Quel
ragazzo è … Bah, in fin dei conti non mi riguarda.”
“Davvero non le ha detto dove andava?”
L’uomo non parve sorprendersi per quella domanda. Doveva conoscere abbastanza
bene il figlio di Brown e il suo modo di comportarsi. Ma forse pensò che,
dopotutto, era pur sempre il figlio. Rispose che non lo sapeva ma che qualche
mese prima Brown gli aveva detto di aver comprato una casa in montagna per
portarci la moglie, casa nella quale poi probabilmente non erano mai riusciti a
soggiornare.  

“Non sa in quale
posto esattamente? Il mio amico è davvero triste e dispiaciuto,” aggiunse.
“Vorrebbe riappacificarsi col padre una volta per tutte.”

“Non ricordo.
Chiedo a mia moglie, che ha una memoria migliore della mia.” Tornò dopo qualche
istante con il nome della località, ma lo rivelò a Joe solo dopo essersi
assicurato che le intenzioni del figlio di Brown erano buone, e che non voleva
soltanto chiedere soldi come al solito.

Una volta a casa,
Joe disse a Sara che meritavano una vacanza e che aveva pensato di trascorrere
il fine settimana in montagna, in una località che gli aveva consigliato un
collega. Si trattava di un borgo situato a più di mille metri, con un solo
albergo che in quel periodo dell’anno non era preso d’assalto dai turisti:
riuscirono perciò senza fatica a trovare una stanza. Il sabato mattina lo
trascorsero passeggiando a lungo, vedendo molte case, e Joe si chiese quale
potesse essere quella di Brown. Poi, mentre la moglie faceva acquisti
nell’unica drogheria del paese, Joe si avvicinò a un terzetto di anziani che
stavano conversando vicino a una fontana, e chiese se potevano dargli
un’informazione. Sapevano se qualcuno si era trasferito nei paraggi negli
ultimi mesi?

I tre si
guardarono, e parvero poco propensi a rispondere a una domanda così vaga. Joe
dovette spiegare che lavorava per una società di recupero crediti e che stava
cercando un certo Brown, che sembrava avesse acquistato una casa da quelle
parti. Mentre parlava teneva d’occhio la drogheria: non voleva essere sorpreso
da Sara, e doverle spiegare la vera ragione che l’aveva spinto a fare quella
vacanza.

Finalmente uno
dei tre si decise a dirgli che una casa in effetti era stata venduta, ma era
fuori dal paese, più su, e lui non aveva mai visto chi era venuto ad abitarla.
Joe si fece spiegare come arrivarci.

La domenica
mattina Sara si svegliò con un forte mal di testa.  È l’altitudine, disse, mi fa sempre questo
scherzo. Decise perciò di rimanere in camera per un paio d’ore. Joe scese a
chiedere se avevano un analgesico e glielo portò, poi uscì, prese l’automobile
e andò in cerca della casa di Brown.

A un certo punto
dovette lasciare l’automobile e proseguire a piedi. L’istinto lo guidò in uno
sentiero tra gli alberi, stretto e umido. Giunse davanti a un’abitazione
alquanto isolata che un cancello e un giardino non molto curato separavano
ulteriormente dal resto del mondo. Joe si fermò a guardare, cercando di
scorgere un segno di vita ma l’unica finestra visibile aveva gli scuri chiusi.
A un certo punto sentì un rumore di foglie e una voce giungere alle sue spalle.
“Chi è lei? Cosa vuole?”

Si voltò e vide
Brown fermo a pochi passi da lui, appoggiato a un lungo bastone. Preso alla
sprovvista, Joe rimase per qualche istante senza parole.

“Sono … Si
ricorda. Sono venuto a casa sua per le rate del televisore.”

Brown prese gli
occhiali. “Certo. Il signor …”
“Joe Gores.”

“Gores. Ricordo.
Come mai si trova da queste parti?”

“Io e mia moglie
ci siamo presi due giorni di vacanza.”

Brown annuì e
aprì il cancello. “Vuole entrare?”

“Solo qualche
minuto. Mia moglie mi aspetta. Oggi non si sente tanto bene.”

Brown preparò il
caffè e mentre lo sorseggiava, quasi a bruciapelo, gli chiese: “Perché è venuto?”

Joe, imbarazzato,
non sapeva cosa rispondere. D’altronde, quella domanda se l’era posta anche
lui. Aggiungendovi il fatto che aveva trovato con molta facilità l’abitazione,
sembrava che i suoi passi fossero stati guidati.

Poi, quasi come
se  desse a se stesso una spiegazione,
disse: “Quando il mio collega ha detto che lei gli aveva parlato più volte
della morte di sua moglie, non ho potuto fare a meno di chiedermi perché a me
non ne aveva parlato. Le sembrerà assurdo, ma questa domanda ha cominciato ad
assillarmi.”

“Quando è morta
Leonora, ero distrutto. In quel periodo il suo collega venne a a casa mia, come
dicevo, mostrando ben poca sensibilità, e cercai solo di liberarmene. Poi ho
cominciato a sognare Leonora, e sentivo la sua voce che mi diceva presto ci
rivedremo. Pensavo di essere sul punto di impazzire, infine ho capito che
sarebbe tornata. Per questo a lei non ne ho parlato. Ormai avevo capito che mia
moglie non era morta.”
Joe rimase paralizzato nell’udire quelle parole. Fissò Brown senza notare alcun
segno d’alterazione.

“Perché
quell’espressione? Lei non sembra il genere di persona che crede solo a ciò che
vede, e che ciò che vede sia il migliore dei mondi possibili.”

“Mi sta dicendo
che sua moglie è morta e poi è risorta.”

Brown scrollò la testa.
“Non esattamente. Risorta? Non è l’espressione giusta. In realtà è morta solo
la sua parte terrestre.”

Dal cassetto di
una scrivania prese due foto. “Le fece Leonora, circa un anno fa. Secondo lei
cosa sono queste luci?”

Si guardarono per
alcuni istanti. “Non saprei.”

“La stessa
risposta la diedi a Leonora quando me le mostrò. Eppure, disse lei, dentro di
te sai bene cosa sono.”

Joe distolse lo
sguardo e si alzò. “Ora devo andare,” mormorò, senza riuscire a nascondere
l’agitazione.  

Brown sollevò la
mano, e Joe restò in piedi, indeciso, ma non si mosse.

“Leonora mi
spiegò che era entrata in contatto con una forma di vita proveniente da un
pianeta molto distante dalla Terra. Naturalmente ero scettico, come lei in
questo momento. Mi raccontò dei sogni che faceva, sempre più ripetitivi: ogni
volta che chiudeva gli occhi vedeva uomini e donne che si sollevavano da terra,
come se saltassero ma al rallentatore, e ascendevano lentamente verso il
cielo.” Sospirò, poi riprese, sorridendo. “La sua morte non è stata una vera
morte. Rapida, indolore. È ascesa davvero al cielo, ma non nel senso che
intendiamo comunemente. La forma aliena con cui comunicava le ha donato una
nuova vita, priva di desideri inutili, di una volontà fuorviante e di affanni
che nulla hanno a che vedere con l’essenza umana. E aveva ragione: in fondo ho
sempre saputo cosa fossero quelle luci.”

Joe si avvicinò
alla porta, Brown lo seguì. “Leonora ha raggiunto l’esistenza a cui molte
persone anelano e viene a trovarmi ogni giorno. Presto, molto presto mi unirò a
lei.”

Trascorse quasi
un mese dalla visita a Brown, e in tutto quel tempo Joe non smise di pensare a
ciò che gli aveva detto. L’affievolirsi del ricordo tuttavia lo stava
convincendo che si era trattato soltanto delle farneticazioni di una mente
devastata dal dolore.

Un sabato però, lui e Sara stavano passeggiando per la città dopo aver fatto colazione. La moglie poco prima si era quasi commossa nel rispondere a un bambino che la salutava dal passeggino, poi gli raccontò lo strano sogno che aveva fatto quella notte: vedeva delle persone staccarsi dal suolo e volare lentamente verso l’alto, dritte, come se una gigantesca mano invisibile le afferrasse per la testa e le tirasse su, portandole via con sé.




Proserpine di Augustine

È uscito per I DISCHI DEL MINOLLO “Proserpine“, il nuovo album di Augustine, a tre anni dal precedente “Grief and Desire”, anticipato dal lancio dei due singoli, “Pagan” a gennaio ed “Anemones” il 9 aprile, accompagnati dai rispettivi video diretti da Francesco Biccheri.

Come il titolo suggerisce, la cantautrice veste simbolicamente i panni della dea latina dell’oltretomba. L’intero album ruota intorno a questa figura mitologica e – racconta Augustine – «nasce da un’idea di inesorabilità, di reclusione, di auto-esilio; di vita vissuta osservando il mondo da dietro una finestra». Si tratta di un viaggio introspettivo, un simbolico precipitare nell’Ade, una morte psicologica con le sue piccole rinascite.
Le nuove sonorità, dense e cupe –musicalmente molto più vicine al Dark Folk, che al Dream Pop del discoprecedente – ricalcano i contenuti tematici e riflettono il lavoro svolto in studio, una novità per la cantautrice, finora legata all’auto-produzione a all’home recording. L’album è infatti prodotto da Fabio Ripanucci, in collaborazione con Daniele Rotella, presso La Cura Dischi di Perugia. 
La narrazione musicale segue lo svolgimento del mito, avvalendosi di alcune simbologie cruciali, come il melograno.La figura della dea è posta nella sua dualità di dea degli inferi e dea legata alla primavera e alle messi: morte e rinascita, due temi chiave dell’intero album.
Lo spunto autobiografico intimamente sofferto viene trasceso fino a toccare realtà occulte, più profonde ed insondabili.
Gli arrangiamenti si aprono alla presenza di alcuni strumenti analogici dal suono fortemente caratterizzante (quali Moog e Rhodes), mentre le chitarre – quasi sempre acustiche – si fanno più taglienti. Le batterie elettroniche cedono il posto, in alcuni pezzi, alla batteria acustica.
Le caratteristiche stratificazioni armoniche vocali sono sempre presenti, anche se meno eteree e sognanti, mentre la vocalità stessa è portata verso derive più viscerali.
I testi raggiungono un carattere di forte intimismo, pur prediligendo forme chiare e semplici e strutture ritmiche scandite da rime, dall’andamento ossessivo e cantilenante, «da ninna-nanna».
Ne risultano atmosfereoscure, lisergicheed oniriche, talvolta aperte ad un fugace sprazzo di luce.
 L’immagine-guida di questo lavoro è costituita dal quadro di Dante Gabriel Rossetti Proserpina, che ritrae la dea nell’atto di guardare verso una fessura improvvisamente apertasi dalle porte del palazzo dell’Ade.
La foto di copertina – opera di Francesco Capponi,realizzata con un autentico banco ottico Vittoriano – è una sorta di tableau vivant del quadro emarca una temporalità “altra”, quella solenne distanza che caratterizza l’album.

Sara Baggini è una cantautrice, produttrice e poli-strumentista. Compositrice fin dalla prima adolescenza, si trasferisce da Sondrio a Perugia all’età di 19 anni, per frequentare l’Accademia di Belle Arti, dove si laurea in Pittura presso il corso del prof. Sauro Cardinali. L’arte visiva, espressa nell’attenzione per l’immagine, ricoprirà sempre un ruolo molto importante anche nella carriera musicale dell’artista.
Dopo l’esordio nel 2010 con One Thin Line –e parallelamente ad alcune collaborazioni per formazioni elettroniche quali Alas Laikae Other Us – sceglie lo pseudonimo di Augustine, tratto dal nome dell’isterica, protagonista del saggio di Georges Didi-Huberman L’invenzione dell’isteria,poiché la paradossale condizione dell’isteria è assunta dall’autrice come paradigma del fare artistico, specialmente in quanto legato ad una complessa e problematica sensibilità femminile.
Nel 2018 pubblica Grief and Desire, una sorta di romanzo autobiografico musicale, ben accolto dalla critica malgrado il carattere fortemente indipendente.
Nel 2019 il video di Augustine, diretto da Francesco Biccheri, vince il II premio come “miglior videoclip italiano autoprodotto” al VIC – Videoclip Italia Contest.
Nel 2021 pubblica il suo nuovo album, Proseprine, dando inizio ad una nuova collaborazione con l’etichetta I Dischi del Minollo.
L’immaginario delle sue canzoni è alimentato dalla letteratura (per esempio Virginia Woolf e Sylvia Plath) e dalla pittura (i Preraffaelliti e Dante Gabriel Rossetti), così come dalla musica.
La maggior parte delle influenze musicali provengono dalla scena britannica Post-punk, Dream Pop e Dark Wave degli anni ’80 (Cocteau Twins, Dead Can Dance, This Mortal Coil, Siuoxsie And The Banshees), ma anche da cantautrici ed artiste da lei amate (Kate Bush, Sinead O’Connor, Annie Lennox, PJ Harvey, Agnes Obel, Anna Calvi, St. Vincent, Bjork, Enya, Julianna Barwick, Meredith Monk).
Temi ricorrenti delle canzoni sono: malattia, ipocondria, perdita, lutto, assenza, distanza, amore nascente e abbandono, colpa, biasimo, estasi e caduta.
L’onirico ed il delirio – al confine con la consapevolezza – sono percepiti come i soli linguaggi possibili per generare un più profondo senso.
L’artista si pone come oggetto e soggetto allo stesso tempo e – come l’isterica – nell’immagine di sé trova la propria identità: distorta, frammentata, eppure l’unica.




Il signore delle furie danzanti di Luigi De Pascalis

Come si viveva a Roma verso la fine del IV secolo d.C., nel caos sociale e politico determinato dalla decadenza dell’Impero Romano e dall’affermazione del Cristianesimo, quando gli antichi dèi perdevano rapidamente importanza e gli imperatori, sempre più deboli e ininfluenti, finivano spesso per morte violenta? Il degrado sociale colpiva soprattutto le fasce basse della popolazione, che vivevano in un contesto di miseria incipiente e violenza sempre più accentuate, ed è proprio in questo scenario che Luigi De Pascalis colloca il romanzo Il signore delle furie danzanti, edito nuovamente da…

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Incubo infernale di George Bowers

Incubo infernale (The hearse) di George Bowers (Usa/1980)
Durata: 99′ – Genere: Orrore, thriller

Dopo essere traslocata nella casa della zia una maestra scopre il terrificante passato della parente…

Thriller realista diretto da un direttore del montaggio che si rifà a un certo thriller di tipo hitchcockiano senza dimenticare il gotico degli anni ’50; alla fine piu che accettabile soprattutto nelle atmosfere e considerato il budget è ben recitato malgrado ingenuità e soluzioni facili facili come porte che si chiudono da sole e la protagonista che resta imbambolata invece di cercare una via di fuga. Nel cart Trish Van Devere e Joseph Cotten.

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