Disco violentissimo e al tempo stesso atmosferico, questo “The Reasons”. Meghistos non solo è il nome di questa one man band italiana, ma è anche lo pseudonimo dietro il quale si cela il tuttofare di questo progetto, che si è occupato di tutto o quasi, servendosi solo dell’ausilio di Andy “Bull” Panigada dei Bulldozer per la composizione e incisione di qualche brano. I pezzi corrono brutali e oscuri grazie a un bel mix tra death metal old school e qualche reminiscenza atmosferica donata dalle tastiere, che chiamano in causa i già citati Bulldozer di “Neurodeliri”, ma anche i leggendari Nocturnuso i Pestilence di “Testimony Of The Ancient”.
Il growl/scream di Meghistos è agghiacciante e si rivela come valore aggiunto per un disco di cotanta brutalità. La cosa interessante, però, è che Meghistos non è solo violenza e velocità, ma anche una intelligente realtà che a volte si butta nel dark più nichilista e nel doom con rallentamenti piazzati dove serve e che quasi sempre si rivelano vincenti nello scopo di non far troppo abituare l’ascoltatore a una formula ben precisa.
Con questi elementi, uniti a una tecnica invidiabile su ogni strumento suonato da Meghistos, “The Reasons” si rivela come una delle più belle uscite di metal estremo di fine 2023 in suolo italico. Un prodotto che trasuda passione, odio e competenza da parte di un ragazzo che ha messo tutto se stesso in questo album, e si sente. Da avere assolutamente!
BAND: MEGHISTOS ALBUM: “The Reasons” ANNO: 2023
Stasera verrà presentato L’impero Restaurato di Sandro Battisti
Oggi giovedì 29 febbraio, alle 21.00, verrà presentato su FaceBook la riedizione cartacea di L’Impero restaurato, Premio Urania 2014, nuovamente edito dai tipi della Nuova Carne. Sarà presente anche Stefano Spataro. L’incontro avverrà sulla piattaforma StreamYard collegata alla pagina Facebook dei novocarnisti.
Sandro
Battisti
è uno dei più importanti scrittori della fantascienza italiana. Tra
i primi blogger attivi in Italia, è stato uno dei fondatori del
movimento letterario del connetivismo, nato
sulla rivista Next.
Nel 2015 ha vinto il premio Urania con L’impero restaurato. Altri suoi romanzi sono PtaxGhu6, in collaborazione con Marco Milani, L’ologramma sommariano, Terra di Sommaria, e Olonomico. Ha anche pubblicato due raccolte di racconti: I dispacci imperiali e Nel paradigma olografico.
Lo specchio brillante. Le donne del solarpunk globale
Custodi
e guaritrici, le donne sanno come prendersi cura di qualsiasi cosa,
usando saggezza, moderazione e morbidezza per risolvere difficoltà e
complicazioni mediante approcci pratici e competenze trasversali,
come il dialogo, la pazienza e l’ascolto. A differenza del
cyberpunk, dove la narrazione vede al centro l’uomo, la
competizione e l’individualismo, il solarpunk ribalta la visione
classica dell’eroe e anti-eroe maschile raccontando storie in cui
la soluzione proviene dalle donne, dalla loro partecipazione alle
decisioni importanti, dalla loro resilienza sotto stress e minacce,
dal loro ingegno troppo spesso sottovalutato, e dalla loro abilità a
collaborare e ad attivarsi per uno scopo più grande, per un bene più
alto.
Questi
nove racconti di genere solarpunk provengono da sette paesi e quattro
continenti per rappresentare come, a differenza della tradizionale
visione patriarcale e occidentale di un solo futuro globalizzato per
tutti, gli scenari femminili passano dalla decolonizzazione
dell’immaginario, dalla decentralizzazione dei processi, dalla
decrescita dei consumi indotti e dalla decarbonizzazione della vita
quotidiana.
Indice
Introduzione di
Eileen Herbert-Goodall
La
rete di Indra di
Vandana Singh (India)
Il
fantasma di casa Dzablui di
Cheryl Ntumy (Ghana)
Oltre
il bazaar di
Lavanya Lakshminarayan (India)
Marea
verde di
Cristina Jurado (Spagna)
La
felce dorata di
Lucie Lukačovičová (Repubblica Ceca)
Gli
spaghetti dell’anima di
Ana Sun (Malaysia)
Al
di là della giustizia di
Ruspa Dey (India)
Isola
verde di
Shauna O’Meara (Australia)
Pony
e Mucca di
Alda Teodorani (Italia)
Illustrazione
di copertina di Ebe Paciocco.
Lo
specchio brillante – Le donne del solarpunk globale
Autori
vari
Editore:
Future Fiction
Prezzo 17 euro
Night of the Tommyknockers di Michael Su
Night of the Tommyknockers di Michael Su (Usa/2022) Durata: 86′ Genere: Western , Orrore
Nel 1870 un gruppo di minatori libera pericolosi Tommyknockers che minacciano una cittadina del Nevada…
Diretto dal regista di “Bridge of Doomed” un piu che interessante horror/western che conferma la curiosa ma efficace attrazione tra due generi decisamente all’antica; Su ad ogni modo gira come se si trattasse di un bmovie classico sfruttando il budget limitato con estrema intelligenza e usando effetti speciali notevoli. Una delizia per i fan dei cosiddetti crossover. Nel cast Richard Grieco e Tom Sizemore. Girato in California. NB: I Tommyknockers del titolo non riguardano le creature dell’omomino romanzo di Stephen King ma fanno riferimento a creature cannibali della tradizione popolare western.
Il trillo si fece largo, a poco a poco, fra le nebbie informi e pastose del sogno, come una grossolana punta di trapano contro un muro che resiste ai primi cauti assalti, ma che poi, inevitabilmente, si sfalda in un vortice polveroso. Le palpebre di Vanni si sollevarono di scatto, lasciando che le pupille si colmassero di quel buio gremito di puntolini colorati di cui la stanza sembrava pullulare. Colpi ritmici e concitati riverberavano attraverso il materasso per risalire a rimbombargli nelle orecchie, come se il suo cuore fosse cucito all’interno del cuscino. Cosa lo aveva svegliato?
Tutte
le illazioni che gli erano fiorite nella testa durarono il tempo
intercorso fra l’affievolirsi di uno squillo e l’esplodere del
successivo. Nel silenzio che stagnava nella casa, quel suono
metallico, perentorio, aveva il potere di penetrare fino in fondo
all’anima, affogandola in una paura senza nome. Il telefono? A
quell’ora? Ma del resto, che ore erano? A Vanni pareva di essersi
appena coricato, ma sapeva che la percezione del trascorrere del
tempo notturno l’aveva sempre ingannato.
Altri
squilli, insistenti. Voltò il capo verso la moglie, distesa al suo
fianco sotto due strati di coperte, quasi potesse vederla in
quell’insondabile oscurità. Meglio alzarsi, prima che Lucia si
svegliasse. Poveretta, non stava molto bene. Doveva essersi presa una
brutta influenza. Le aveva misurato la temperatura, prima di mettersi
a letto. Trentotto e quattro. Non eccessiva, per una persona di
robusta costituzione. Ma abbastanza debilitante per una donna che
sfiorava l’ottantina. Vanni era stato tentato di chiamare la
guardia medica, però Lucia stessa gli aveva detto di lasciar stare:
ci avrebbero pensato il mattino dopo, se già una buona tisana e una
notte di sonno non avessero provveduto a rimetterla in sesto.
Ma
quel telefono, maledizione!… Non accennava a placarsi. Doveva
essere qualcosa di veramente urgente.
Se
avessero avuto figli, allora avrebbe pensato senz’altro a qualche
preoccupante emergenza da parte loro; ma non avendone, proprio non
gli riuscì di immaginare chi potesse chiamarlo quando ancora non si
vedeva un solo pallido accenno di luce filtrare tra le fessure delle
tapparelle.
Di
malavoglia, facendo appello a tutte le forze che il suo corpo ossuto
poteva racimolare dopo quel brusco risveglio, Vanni spinse le gambe
fuori dalle coperte, infilò i piedi nelle pantofole – che metteva
sempre nello stesso punto, così da ritrovarle subito con geometrica
precisione, anche senza vederle – e si consegnò all’aria fredda
che gli gelò il velo di sudore fra pelle e pigiama.
Il
percorso fino alla porta era un tragitto sicuro. Otto passi (tre a
destra, ancora tre a destra, e due a sinistra). Quindi allungò la
mano, e la maniglia ripose fedele alla sua stretta. Aprì, scivolò
nel corridoio, e subito si richiuse la porta alle spalle, prima che
un nuovo trillo si infilasse nel pertugio per volare addosso a Lucia
e strapparla al sonno.
Ora
il suono era decisamente più forte, e Vanni lo sentì rimbalzare
dentro il cranio, da un lato all’altro, come una pallina di gomma.
Sbuffando, avanzò di cinque passi facendo strisciare i polpastrelli
della mano destra lungo la parete (non troppo in alto, per evitare di
colpire un quadretto posizionato esattamente a metà del percorso).
Una volta raggiunto il salottino, lasciò che le dita
trovassero l’interruttore, schermandosi con l’altra mano gli
occhi per proteggersi dal giallore elettrico che gli piovve addosso
dal lampadario. Subito sprofondò nella sua poltrona. Accanto al
tavolino rotondo. Quello sul quale il grosso telefono grigio lo stava
chiamando. Gli squilli lo rintronavano, doveva interromperli
all’istante. Sollevò ansante la cornetta e se la portò
all’orecchio.
«Sì,
pronto…?» rantolò.
All’altro
capo udì dapprima solo un fruscio ronzante. Attese qualche istante,
poi riprovò: «Pronto? Chi è?»
Allora,
in mezzo al brusio crepitante generato da un disturbo sulla linea, si
fece strada una voce. Confusa, all’inizio. Quasi impercettibile.
L’uomo aggrottò la fronte, stringendo più forte la cornetta come
se la pressione delle dita potesse migliorare la qualità della
comunicazione.
«Vanni…
caro…»
udì. «Sono
io…»
Il
cuore mancò un battito. «Pronto?» disse ancora, sentendosi
inevitabilmente stupido. «Chi parla?» Una parte del suo cervello –
quella che solitamente non gli piaceva ascoltare, perché aveva quasi
sempre ragione – aveva riconosciuto quella voce. Però non era
possibile. Nella maniera più assoluta, non
era possibile.
Per cui, rimase aggrappato con tenacia al proprio lato più
razionale, nonostante lo sentisse particolarmente fragile, a
quell’ora della notte.
Ma
il soffio freddo della paura articolò due semplici parole che la
cornetta scoccò a trafiggergli il cervello. «Sono
Lucia».
A
quel punto Vanni si ingobbì sulla poltrona, afflosciandosi come un
sacco di sabbia gettato in un angolo. «Cosa… come…?»
Tra
le scariche elettrostatiche, la voce di donna all’altro capo
continuò a infierire, seppure con infinita dolcezza. «Sono
Lucia, amore. E sono morta. Mi dispiace. Davvero tanto, mi dispiace.
Ma ti volevo parlare un’ultima volta. Ti volevo avvisare…»
Vanni
aprì e richiuse le labbra più volte, sentendosi immerso in un’aria
sempre più densa. Un calore innaturale aveva costretto ogni poro
della sua pelle a secernere goccioline che all’istante si
rappresero in una patina ghiacciata. La poltrona oscillava, e
ruotava. E la cornetta che gli si era incollata addosso, fra mano e
orecchio, aspettava che la sua lingua formulasse una frase, qualcosa
di pertinente, qualcosa di ragionevole. Ma la sua mente aveva smesso
di collaborare.
«Non…
non puoi… essere tu…» balbettò. «Tu sei… di là, a letto…»
La
voce (la voce di
Lucia,
inconfondibilmente) non ebbe esitazioni: «Là
c’è solo il mio corpo, ma tu non ti devi fidare. Quel corpo è
morto. Io non sono più là dentro…»
E
a quel punto accadde qualcosa che gli strappò un gemito e gli
contrasse le dita artigliate a un bracciolo della poltrona.
Un
rumore, dal corridoio. Un cigolio ben noto. La porta della camera da
letto… Si era aperta. Qualcuno stava camminando.
In
fondo, avrebbe dovuto sentirsi sollevato. Sua moglie si era
svegliata, alla fine. Non avendolo trovato al suo fianco, si era
alzata. Forse lo aveva sentito parlare, e adesso stava venendo a
controllare. Tutto normale…
Invece,
un terrore senza nome gli avvizzì l’anima.
«Non
fidarti, ti dico!»
incalzò la voce di Lucia dalla cornetta. «Quella
che sta arrivando non sono io! Non devi guardarla! Chiudi gli occhi!
Non sono io!…»
Vanni
provò una fitta al torace. Tutto il suo corpo pareva intorpidito.
«Chiudi
gli occhi!»
I
passi in corridoio, lenti e strascicati, erano giunti quasi
all’altezza della porta del salotto. Presto avrebbe visto… Chi?
«Chiudi
gli occhi!»
Un
fruscio di ciabatte, un respiro roco.
E
a quel punto l’uomo cedette alla valanga delle emozioni. Serrò gli
occhi, più forte che poté, stringendo i denti. Rimase così,
immobile, la cornetta premuta contro l’orecchio, il cuore
impazzito, un tremito diffuso a fior di pelle… finché un fruscio
segnalò l’apparizione della donna (Lucia, doveva
essere lei!)
sulla soglia del salotto.
Vanni
continuò a tenere le palpebre abbassate, solo vagamente consapevole
di apparire patetico agli occhi della moglie. Ma l’eco delle parole
iniettate in lui dalla voce al telefono non voleva saperne di
liberarlo, e la suggestione di quelle ultime tre parole lo teneva
prigioniero.
Passi
lenti – i passi di un corpo stanco, grosso, appesantito dagli anni –
gli si avvicinarono, e con essi anche quel respiro affaticato e
ruvido che credeva di riconoscere. Si aspettò che la moglie gli
domandasse cosa diavolo stesse mai facendo, lì, a quell’ora,
attaccato al telefono, gli occhi chiusi. Era forse sonnambulo? O era
uscito di senno?
Invece,
a poco meno di un metro da lui, la voce di Lucia gli fece rattrappire
la cute.
«Apri
gli occhi».
La
donna al telefono non esitò: «Non
farlo, ti prego! Non sono io! Io sono morta!»
«Apri
gli occhi!» ripeté perentoria la donna che si trovava davanti a
lui, e che doveva essersi ingobbita per farsi più vicina. Avvertì
con una punta di ripugnanza l’odore del suo alito, acre di
medicinali.
«Non
guardala, non sono io!»
Troppa
tensione. Non avrebbe potuto reggerla oltre. Doveva decidersi. L’urlo
che già da un po’ gli urgeva in gola prese corpo e forza,
gonfiandosi in lui come un grosso serpente fatto d’aria e paura.
«Apri
gli occhi!»
E
allora a Vanni sembrò di esplodere, di infrangersi contro una cometa
nera. Aprì la bocca. Uno strillo silenzioso gli graffiò le pareti
interne della gola, e mentre un sibilo dentro la sua testa saliva ad
altezze vertiginose non poté più trattenersi. Spalancò gli occhi,
e…
Tutta
la cacofonia interiore che lo aveva martoriato fino a quel momento si
dissolse all’istante, e attorno a lui fu di nuovo buio, e silenzio.
Rimase
in ascolto, i sensi elettrizzati pronti a captare il minimo stimolo,
il minimo suggerimento. E non gli volle molto per rendersi conto di
essere disteso nel proprio letto. D’istinto sporse un braccio sulla
destra, incontrando subito il corpo di sua moglie. Sospirò, e
sorrise. Un sogno. Non era stato che un orribile sogno. E che altro
mai avrebbe potuto essere?
Mentre
il cuore andava rallentando la sua corsa fece strisciare una mano
fuori dalle coperte e la portò tastoni al volto di Lucia, che
riposava su un fianco, rivolta verso di lui. Le accarezzò
amorevolmente una guancia, e lei mugolò. Forse l’aveva svegliata.
Poco male, non avrebbe faticato a riprendere sonno. Era bello
sentirla ancora lì, accanto a lui. Anche la donna, lentamente,
allungò una mano, raggiungendo con delicatezza il viso del marito.
Vanni
continuò a sorridere, nel buio, gli occhi aperti sull’oscurità. E
per non guastare quell’attimo di infinita tenerezza scacciò da sé
l’idea, davvero molto fastidiosa, che la guancia di Lucia adesso
fosse troppo fredda. E lo erano anche le sue dita, ruvide, secche,
che adesso gli scorrevano gelate lungo la gota sinistra…
Con
un fruscio di lenzuola e camicia da notte, Lucia gli si portò più
vicina, nella più totale oscurità. Produsse un rumoretto
risucchiante nel separare le labbra e muovere la lingua inaridita;
quindi sussurrò tre semplici parole: «Apri
gli occhi…»