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Sughero era sempre stato magro. Da lì il soprannome. C’è chi pensava che fosse così per l’eroina, ma non era vero. Se a tredici anni non avesse iniziato a farsi, magari con l’età si sarebbe irrobustito, ma era smilzo fin da piccolo: alla nascita, nel lontano 1959, era sotto peso e aveva rischiato di non sopravvivere. E i suoi genitori gli avevano detto tante volte che sarebbe stato meglio se fosse morto allora: al ritorno da scuola con una nota sul diario, per esempio, oppure quando i suoi insegnanti si lamentavano del comportamento indisciplinato e della scarsa resa negli studi.

Sughero abbandonò la scuola dopo aver ripetuto tre volte la prima media e allora iniziarono a interessarsi a lui assistenti sociali, polizia e carabinieri. Dalle comunità passò agli istituti di pena per minori e da quelli al carcere.

Scippi con il motorino, furti nelle case, spaccio e rapine a mano armata. E la compagnia costante, o quasi, della pulzella bianca. Quando lei non c’era, rimediava con pasticche, fumo ed erba.

Ora eravamo nel 1991 e Sughero, che aveva ormai trentadue anni, se pensava al passato, vedeva la vita trascorsa come attraverso una coltre spessa di nebbia. I suoi genitori erano morti. Da quanto? Dieci anni? Dodici? Anche la sua ragazza era schiattata. Tossica pure lei, un bel giorno se ne era sparata troppa. E gli amici? Chi crepato, chi al gabbio, chi andato a fare in culo chissà dove. Ormai c’erano solo lui e la roba.

A smettere ci aveva provato. Era stato nelle comunità di recupero per farsi i domiciliari invece della galera e, una volta ripulito il sangue, per un po’, era stato anche bene. Ma poi la scimmia aveva ripreso a strepitare e lui aveva dovuto cibarla. Di faticare aveva anche faticato. I lavori – cameriere, lavapiatti, operaio – li aveva trovati e persi.

Sughero adesso stava nella minuscola stanza da letto in penombra del suo appartamento di due camere più servizi (da quanto non pagava l’affitto? Sei, sette mesi?). I capelli biondi sporchi, che in genere legava in una coda, erano sciolti sulle spalle. Il ventilatore rotto ruotava rumoroso senza riuscire ad asciugargli il sudore dal torso nudo. La luce rosso sangue del sole al tramonto penetrava attraverso le tapparelle scassate. Il nostro eroe si era appena fatto della ero comprata nel parco da un tunisino. Sughero non era razzista e, comunque, quando devi farti, non puoi certo scegliere: dove trovi, va bene. La merda di quei tunisini era proprio strana, però era buona e costava poco.

Sughero si addormentò e si risvegliò con una sensazione lancinante di vuoto nello stomaco. Quel giorno non aveva toccato cibo. E, ora che ci pensava, forse neanche quello prima. E il precedente? Da quant’era che non mangiava? Cercò in tutta casa. Niente. Solo una bottiglia mezzo vuota di latte inacidito. Lo bevve e vomitò.

Ora aveva più fame di prima.

Infilò una vecchia camicia sdrucita e uscì in strada. Chiese a chiunque passasse, donna, uomo o bambino, se avesse degli spiccioli.

Dopo un paio di ore di pietosa questua, contò le monete e, fatti due calcoli veloci, si diresse verso un negozio di gastronomia che rimaneva aperto fino a tardi. Divorò due tranci di pizza con patate e tornò a casa con un litro di rosso in cartone.

Sughero se ne stava sdraiato sul letto con indosso solo le mutande, a luce spenta e con il televisore acceso (un 15” da sfigati comprato da un ricettatore parecchi anni or sono).

Si era fatto di nuovo.

Le zoccole lo invitavano a chiamare i numeri in sovrimpressione. L’acidità gli attizzava nello stomaco fiamme d’inferno. Vino di merda. Si ricordò di qualcosa che un cornuto gli aveva dato in elemosina per scherzo. Si alzò e frugò nelle tasche dei pantaloni militari. Cercò e trovò.

Una caramella.

Una caramella alla menta.

Forse lo avrebbe fatto stare meglio. La scartò e la mise in bocca. La cullò tra lingua e palato. Lasciò che si sciogliesse lentamente. Mentre ne assaporava il gusto forte, pensava: Caramella… Caramella, chi era costui?

Si ricordò di qualcuno che si chiamava così. Un soprannome, ovviamente. Qualcuno che aveva conosciuto molto tempo prima. Quasi in un’incarnazione precedente.

Lo schermo del televisore si annebbiò. Sughero imprecò contro il televisore di merda e iniziò a dargli delle pesanti manate. Cambiò canale freneticamente. Niente. Sempre nebbia. Si accinse a staccare la spina ed era seriamente intenzionato a buttarlo di sotto quando l’immagine ricomparve.

Solo che, al posto della troia, c’era un ragazzino di dieci, undici anni, dai lunghi ricci neri e dall’aspetto effeminato. Un faccino triste e bello.

Sughero guardò e stupì. “Caramella!” esclamò. “Che ci fai in televisione?”

Lo schermo si annebbiò di nuovo. Sughero strabuzzò gli occhi. Se li strofinò. L’aria era come se fosse piena di elettricità. Sughero avvertì una presenza alle sue spalle. Si voltò.

Il ragazzo, adesso, era nella stanza. In piedi, vicino alla finestra aperta. Indossava un vestito di lana grigio antracite, un dolcevita sottile bianco e scarpe da tennis bianche immacolate. La sua figura era dipinta dai raggi lunari e dalla luce grigiastra del canale morto. Appariva pallido e malinconico come un fantasma del cazzo.

Sughero lo fissava.

“Ciao, Sughero” disse il bambino. “Come sei cambiato. Quasi non ti riconoscevo.”

“Ciao, Caramella… tu invece… sei uguale…”

“Per forza. Sono morto.”

“Già… mi ricordo…”

“Cosa ricordi, Sughero? Raccontami.”

Non era la prima volta che lo insultavano e lo prendevano in giro. Ma quella volta Caramella ebbe l’ardire di rispondere. E così per ogni finocchio, succhiacazzi, frocio e femmina che si era sorbito per tutta l’infanzia, aveva tirato fuori dalla bocca sua dolce un insulto diverso, ognuno adatto ai suoi persecutori storici, additandoli chi ritardato, chi figlio di puttana, eccetera.

Ovviamente i ragazzi, offesi e punti sul vivo, non potevano tollerare una simile ribellione. Quindi lasciarono le stecche di biliardo, si allontanarono dai juke box, abbandonarono le lattine di coca-cola e iniziarono a stringersi con visi minacciosi intorno a colui che aveva osato.

Caramella corse via dal bar e gli altri lo seguirono. Erano quattro: Bidone, Gramigna, Lunapiena e Sughero. Caramella era veloce. Più di tutti loro.

Quando arrivarono al passaggio a livello con la sbarra già abbassata, gli altri ormai disperarono di poterlo punire. Caramella attraversò da sotto e corse verso la barriera successiva. Se fosse arrivato il treno, gli altri avrebbero dovuto rinunciare. Certo, avrebbero potuto rifarsi un’altra volta con una lezione doppia. Ma non era la stessa cosa. L’onta andava lavata via subito. Però tutta ʼsta voglia di rischiare con la campana che già suonava, non è che ce l’avessero.

Quindi iniziarono a bersagliare Caramella di sassi.

Finché l’ultima pietra non lo colpì in testa e lo tramortì.

Il bambino cadde sui binari.

La campana continuava a suonare.

“Dobbiamo toglierlo di lì” disse Bidone.

Non fecero in tempo a discutere su chi avrebbe dovuto rischiare, che il treno passò e maciullò Caramella.

“Ma io non ti ho gettato nessuna pietra” disse Sughero.

“Sì, lo so” replicò il fantasma di Caramella.

“Io ti prendevo in giro perché lo facevano tutti, ma ti volevo bene. Ero amico tuo. Ti ricordi?”

“Certo che mi ricordo. Abbiamo saltato la scuola tante volte insieme. E quanti furtarelli al negozio di dolciumi? E quella bambina con cui facevamo a gara a chi riusciva a darle più baci? Com’è che si chiamava?”

“Angela, no… Rita… aspetta… Angelica, sì aveva ʼsto nome da film…”

“Si chiamava Giuliana ed è morta a quattordici anni di leucemia.”

“…io non ti ho tirato le pietre…”

“Lo so. Te l’ho detto. Noi morti sappiamo tutto.”

“Cosa vuoi da me, Caramella? Cioè, sono contento che mi sei venuto a trovare, ma quando un morto ti fa visita, in genere, è perché vuole qualcosa, no?”

“Voglio vendicarmi.”

“Dopo tutto ʼsto tempo?”

“Sono vent’anni che cerco di stabilire un contatto con un vivo. Ho provato con tanti, ma poi alla fine mi sono ricordato di te.”

“E io sono contento. Mi fa piacere che hai pensato a Sughero tuo… ma io cosa dovrei fare per aiutarti?”

“Uccidere i miei assassini.”

“Cosa? Ma io non ho mai ammazzato nessuno.”

Mentre rispondeva così, Sughero rammentò tutte le occasioni in cui aveva rischiato di diventare assassino: quante volte, nel corso di uno scippo, la donnina era caduta o, aggrappata alla borsa, si era fatta trascinare per diversi metri? E quando aveva dovuto picchiare un commesso restio a dargli l’incasso? E le storie di coltello? Per non parlare di tutta la merda che aveva spacciato: di sicuro qualcuno ci era rimasto secco.

Sughero osservò Caramella che rimaneva immobile e azzardò: “Senti… dico così per dire… e se io, con tutto il bene che ti voglio, va be’ che siamo vecchi amici di infanzia, ma se io, faccio per dire, non voglio farlo? Se mi rifiuto?”

Il fantasmino rispose con uno sguardo triste e irato, infantile e adulto, malinconico e minaccioso, mentre lentamente scompariva.

La sua forma si fece diafana, diventò sempre più trasparente finché non si dissolse del tutto.

“La Madonna!… Se ne è andato!… Bastava così poco… Che strizza che mi ha messo addosso” si tranquillizzò Sughero e si fece un’altra pera.

Si sdraiò sul letto, riprese a guardare le troie e si addormentò con il cazzo moscio in una mano e il telecomando nell’altra.

“Se io mi rifiuto?” Aveva chiesto Sughero e nei giorni seguenti ebbe la risposta. Ovunque e in ogni dove Caramella lo veniva a trovare. Silenzioso, con uno sguardo che esprimeva in parte richiesta di aiuto e in parte minaccia, un po’ sofferenza e un po’ odio. Gli appariva riflesso nello specchio scheggiato di casa sua e nelle vetrine dei negozi, nel cucchiaio che usava per sciogliere l’eroina e sulle bottiglie di vino.

Infine Sughero iniziò a vederlo anche sulle facce delle persone. Mentre contrattava l’acquisto di una dose, d’un tratto il volto di Caramella si sostituiva a quello dello spacciatore, quando Sughero comprava, o del cliente, quando vendeva.

Oppure, mentre era al culmine di una scopata, il viso del triste Casper prendeva il posto della puttana di turno.

Si immaginino le reazioni del povero Sughero a tale persecuzione. Caramella gli stava rovinando la sua pur miserrima vita sociale, oltre a farlo impazzire.

Quindi, alla fine, quel vecchio tossico si decise a diventare un assassino.

Anzi, pluriomicida.

L’ultima discussione tra Sughero e Caramella verté sulla necessità della vendetta. Era sicuro Caramella di volersi vendicare? In fondo nessuno dei ragazzi aveva avuto l’intenzione di ucciderlo. La sua morte poteva considerarsi un incidente. Sicuro che la colpa non fosse del treno? O meglio, del conducente?

Caramella rispose che aveva trascorso gli ultimi vent’anni, mentre cercava di entrare in contatto con i viventi, a discutere il problema con gli altri trapassati che sostavano indecisi tra la vita e la morte e aveva avuto l’occasione di parlarne con gente di tutte le età e formazioni: dal camorrista al professore universitario.

Chi era contrario alla vendetta non era riuscito a dissuaderlo e chi era a favore lo aveva convinto maggiormente dei suoi propositi.

Per cui vendetta doveva essere.

L’ultima domanda di Sughero fu: “Perché non li uccidi tu? Appari come hai fatto con me e spaventali a morte, chessò… fagli venire un infarto.”

Caramella rispose che non poteva rivelarsi a chiunque. Ci aveva già provato. Ma non tutti erano predisposti al contatto.

Sughero si rassegnò e iniziò a pensare. Insomma doveva trovare il modo di fare fuori tre persone e rimanere pulito. Caramella lo rassicurò che ci avrebbe pensato lui a evitargli problemi con la legge. Lo avrebbe protetto.

“Noi morti abbiamo tante risorse” sentenziò lo spettro.

Quindi Sughero modificò la sua dieta: alla solita eroina aggiunse robuste razioni di amfetamine e cocaina.

Rintracciò i vecchi amici d’infanzia e con la sua astuzia da tossico elaborò tre delitti perfetti.

Un falso incidente d’auto.

Un suicidio fasullo, tramite impiccagione.

Un accoltellamento a scopo rapina.

E così Bidone, Gramigna e Lunapiena conclusero la loro vita mortale.

Sughero si trovava adesso nel cortile del carcere. Lo avevano arrestato per triplice omicidio. Ovviamente aveva lasciato più tracce di un branco di lupi ed era stato visto da più occhi che se avesse attraversato il centro cittadino con i gioielli di famiglia al vento.

Aveva spiegato al magistrato che era stato un fantasma a chiedergli di uccidere. Quindi forse lo avrebbero mandato in un reparto psichiatrico e poi in una comunità. Dipendeva dalla perizia medica.

Che il povero Sughero fosse impazzito era comunque evidente a tutti.

Proprio in quel momento gli altri detenuti lo stavano osservando mentre parlava da solo.

“Insomma, Caramella, avevi detto che mi avresti protetto…”

“Non ho mica tutto questo potere di influenzare la vita dei mortali… È già difficile rimanere in contatto con te.”

“Ma allora mi hai preso per il culo! A me che ero amico tuo… Dopo che ti ho aiutato a vendicarti… Come hai potuto?”

“Sei sicuro di non meritartelo, Sughero?”

“Che vuoi dire?”

“Non ti ho detto che i morti sanno tutto?”

Sughero tornò indietro con la mente di vent’anni. Lui, Bidone, Gramigna e Lunapiena avevano rincorso Caramella fino al passaggio a livello e poi, quando si erano visti sfuggire la possibilità della giustizia immediata, mentre Caramella correva verso la seconda sbarra, si erano chinati per raccogliere sassi. Tutti. Anche Sughero. E l’ultima pietra, quella che aveva colpito Caramella in testa, decretandone la sorte, l’aveva gettata proprio lui.

Sughero guardò il fantasma e stettero entrambi per un po’ in silenzio.

Poi chi aveva avuto il tempo e la fortuna di diventare adulto chiese allo spettro preadolescente: “E adesso? Mi ucciderai, così potrai andartene nell’aldilà?”

“No. Non ti ammazzerò. Un po’ perché ho paura di com’è la vita da quelle parti e un po’ perché tu eri davvero l’unico che mi voleva bene. Lo so che quell’ultimo sasso l’hai buttato solo perché lo facevano tutti e non potevi rifiutarti.

“E allora?”

“E allora ho scelto di restare” disse il fantasma di Caramella. “Io rimarrò sempre con te.”

L’AUTORE

Luca Bonatesta è nato a Brindisi il 26-01-1972. Appassionato di fumetti fin dall’infanzia, si è avvicinato alla letteratura fatta di sol parole già da maggiorenne, appassionandosi a scrittori come Franz Kafka, Dino Buzzati e Michail Bulgakov. In seguito ha scoperto i classici del fantastico come Edgar Allan Poe, Howard Phlips Lovecraft, Arthur Machen, Algernon Blackwood e altri. Contemporaneamente ha conosciuto scrittori contemporanei come Stephen King e Clive Barker. Ha lavorato dodici anni in un agenzia giornalistica. Dopo un’adolescenza trascorsa nel sogno di diventare prima disegnatore di fumetti e poi sceneggiatore, ha iniziato a scrivere i primi racconti quando aveva quasi trent’anni. Ha pubblicato racconti su siti internet e pubblicazioni amatoriali come la rivista Next. Ha avuto buoni piazzamenti in alcuni concorsi letterari come il Premio Hypnos e ha pubblicato per Edizioni Hypnos la raccolta di racconti in ebook L’angelo e il vampiro. Il racconto L’angelo e il vampiro è stato inserito anche nella antologia di vari autori Strane Visioni, sempre delle Edizioni Hypnos. Attualmente gestisce, insieme a Max Ferrara, il blog Planet Ghost per il quale scrive anche recensioni.

L'ultimo assassino cover
Luca Bonatesta

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