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Il veliero di pietra si è arenato al centro del giardino. Robuste catene di rampicanti lo condannano a una ingloriosa morte per muffa e abbandono. Povero simulacro che mai ha solcato l’oceano! Eppure, qualche lembo di pietra libera dalla corrosione biancheggia qua e là simile a incrostazioni di sale; così non è difficile immaginare che questa grande carcassa immota sia stata un tempo regina dei mari, e soltanto la rabbia di un tifone l’abbia strappata al suo elemento naturale, scaraventandola a miglia e miglia dalla costa, come per dispetto. Il giocattolo infranto del Gigante Verde ora giace qui, senza vita, senza suono. Niente vento a destare voce di sirene tra gli alberi smozzicati e nudi; lungo le sue fiancate niente correnti in carezze liquide a cui rispondere con sospiri e gemiti di voluttà del fasciame.

Il veliero morto tace. Per sempre. Ma ha mai parlato? Ha mai cantato, insieme al vento? Ha mai respirato al ritmo della marea? Ha mai avuto vita?

*

– Sono qui, sono qui! – gridò Petra picchiando i pugni contro la porta chiusa. – Ehi! Sono qui!

Le voci l’avevano strappata da un torbido dormiveglia… non dormiva mai un vero sonno su quella branda… e da principio aveva pensato che lui stesse dando qualche festa, che avesse degli ospiti. E si era rannicchiata ancor di più su quella branda, tirandosi le lenzuola sul capo.

Poi l’avevano raggiunta i richiami, il rumore dei passi; e dal tono delle voci aveva capito: era salva.

*

Tutta la mia vita è come questo veliero di pietra. Forse, un tempo, quand’era appena stato scolpito, e le intemperie e l’edera non l’avevano ancora storpiato, poteva apparire quasi reale. Una vera nave pronta a salpare. Ma come farsi illusioni sulle vele? Non ne ha mai possedute. Ha sempre teso al cielo alberi nudi.

Così la mia vita. Senza il vento a darle voce. Non ha mai preso il largo. Si corrode, giorno per giorno immota, in un giardino di pietra.

*

– Se vuoi, posso trovarti un interprete che parli polacco.

Petra scosse la testa. – Non c’è bisogno. – Una scintilla di sorriso animò per un istante il suo pallore. – Conosco tante lingue, sa? Ho fatto gli studi per il turismo.

La donna in tailleur grigio, che stava seduta accanto al letto, piegò la testa in un cenno d’assenso, senza scomporre una sola ciocca dei capelli color miele.

– Te la senti di raccontarmi com’è andata?

Petra si guardò le mani, le unghie rose nell’angoscia di tante settimane. – Sì – rispose. – Certo. Ero appena uscita di casa, andavo al lavoro…

*

Nel mio sogno stavano tutti in fila. Silenziosi, compunti e pallidi.

Bambini. Ce n’erano forse un centinaio. La fila iniziava dal cancello del parco e arrivava fino alla nave. E si muoveva. Adagio, un passo alla volta. L’andatura di uno stupido bruco remissivo. Su per una passerella di marmo bianco.

I bambini salivano in silenzio. Sui loro volti non c’era sgomento. Ma neppure curiosità e aspettativa. Eppure sapevano che si stavano imbarcando per un viaggio meraviglioso ai confini del mondo… E sarebbe stata la loro voce, a guidarli! Al levar della luna, si sarebbe levato anche il loro canto. Note aeree e vibranti, una brezza che avrebbe gonfiato le vele.

Il capitano stava a prua, in piedi, le braccia conserte sul petto. Immagine della solidità e della calma. La sua divisa era bianca come il marmo della passerella lungo la quale salivano i bambini, e su di essa rilucevano galloni d’oro.

Aveva un volto vagamente familiare, il capitano. Pensavo fosse mio padre. Mio padre lontano da così tanto tempo, ormai, che per sostituirlo mi ero scolpito mille nebulosi simulacri con milioni di differenti espressioni, e abiti, e sguardi. Ma quest’uomo! Gli occhi limpidi e ardenti, come certe gemme in cui ancora pulsa il fuoco sotterraneo che le ha modellate; la fronte appena increspata, come un mare in bonaccia; la voce… udivo i suoi ordini fluire con la cadenza di una leggenda raccontata attorno a un fuoco… Doveva essere lui. Il padre mai conosciuto.

Ma adesso che sono cresciuto, so la verità.

Ero io. Sono io, il capitano.

*

– È stato per il mio… aspetto, si dice così?

La donna in grigio annuì. – Sì. Ma cosa vuoi dire?

Petra si sporse verso di lei, stringendo tra i pugni il crocchiante cotone di quelle lenzuola d’ospedale, gualcendolo. – I miei vestiti! I calzettoni, soprattutto. E le scarpe senza tacco…

*

Stiamo salpando. Sento il fremito della pietra sotto alle piante dei miei piedi nudi. Un capitano dalla divisa bianca e oro, e scalzo!

Cerco con lo sguardo le vele. So che ci sono! Ma non riesco a vederle. C’è troppa luce, e l’azzurro fulgido del cielo mi si riversa negli occhi come metallo fuso. Ma le vele devono esserci. Altrimenti non potremmo salpare.

Le vele che io ho creato! E le gonfia il canto di cento limpide voci.

Il lungo stridore delle catene, come il grido di un rapace che spicca il volo dalla roccia più alta.

Salpiamo!

*

– I clienti ci vanno pazzi, capisce. Anche se ho diciassette anni, a loro pare che ne ho di meno. Tredici… Dodici. Anche perché sono magra, con poche tette. Credono che sia piccola. Una bambina.

*

Mi sono sentito tirare per la manica. Era il mozzo: corpo di un bambino di dieci anni, volto di centenario.

– Capitano, venga a vedere cosa abbiamo pescato!

Lo seguo. A poppa.

– Un tesoro, capitano!

La rete avvolge la creatura in una trina d’argento, e alla prima occhiata ho pensato si trattasse di una bambola. Una stupenda bambola alla deriva, una polena scampata a un naufragio.

Ma c’è questo scintillio d’oro che l’avvolge dai fianchi in giù… Squame: delicate come il disegno rishi su un sarcofago egizio. E la pinna è ventaglio di geisha.

Respira. È viva.

I seni, appena accennati in un biancore rosato tra le onde azzurre dei capelli, fremono all’alito della vita.

Mi chino su di lei, la libero dalla rete con mani tremanti per l’impazienza, goffe per la cautela che m’impongo. È così delicata…

I suoi capelli dilagano come acqua sulla pietra grigia del ponte. Folti come le alghe degli Abissi!

Il viso ha la perfezione di un cameo scolpito nel corallo bianco. Labbra di madreperla.

Per svegliarla, le canto un’antica canzone che parla di isole lontane.

Lei schiude le palpebre, fini come ali di falena.

I suoi occhi!

Sono neri.

*

– Mi ha presa alle spalle. Ho sentito un rumore, come quello che fa una bomboletta di deodorante… Qualcosa sulla faccia. Un odore… Non ho capito più niente. Poi mi sono svegliata in quella stanza orribile…

*

Non parla. Si limita a fissarmi con quegli occhi notturni. Il suo sguardo è ali di pipistrello e pleniluni invernali.

Con la lingua, ho cercato perle tra le sue labbra. Qualcuno mi ha raccontato, tanto tempo fa, che sono lacrime degli dèi.

Ma lei è rimasta immota, come se non le importasse.

Ho accarezzato quei suoi seni di madreperla. Nessun fremito, quasi che in quell’istante anche il respiro si fosse fermato.

E lei ha continuato a guardarmi. Nessun indizio d’alba nelle sue pupille.

Se soltanto mi dicesse come strappare via quelle preziose eppure orride squame, e rivelare le sue gambe di danzatrice! L’accompagnerei in un lungo valzer su questo ponte di pietra.

Se mi dicesse…

Scenderei negli Abissi, per lei. Affronterei la strega e le porterei il filtro magico che opererebbe il miracolo.

Sirenetta, questa volta non sarai costretta a rinunciare alla tua voce, per il privilegio di danzare tra gli uomini. Sarò io a vendere per te il mio respiro, il mio sangue, il mio nome.

Soltanto per vederti danzare.

*

– Non c’erano finestre, mi sentivo soffocare. Quando ho cercato di muovermi, mi sono accorta di essere incatenata al letto. E poi ho visto tutte quelle cose intorno a me… I ferri nel muro, le corde che pendevano dal soffitto… e le fotografie! Anche ritagliate dai giornali. Fotografie di bambini.

 *

Di nuovo, mi sono sentito tirare per una manica.

Era sempre lui, il mozzo con il corpo decenne e il volto centenario.

– Non ci ha pensato, capitano? Forse lei ha già venduto la propria voce. L’ha venduta per trasformarsi in sirena!

*

– Quando si è accorto che non ero vergine, che non ero una bambina… Adesso mi ammazza, ho pensato. Sì, lo avrebbe fatto comunque, se ne sentono tante, oggi, su questi porci… Ma capisce, anche questo… Si sentirà preso in giro, mi sono detta. Mi guardava in un modo così strano…

*

È vero che hai venduto la tua voce per l’oro di queste squame? Non posso crederti così venale.

Dev’essere stato per amore del mare. Certamente.

Ma tu non rispondi, e i tuoi occhi notturni non si stancano di rovesciarmi addosso oscurità e silenzio. Il tuo silenzio! Non basta, a soffocarlo, il canto delle piccole voci che sale dalla stiva.

Alzo lo sguardo. La luna deride il mio desiderio. Sul suo biancore si disegna, nera, la nudità dell’albero maestro.

*

– Dopo qualche giorno, mi ha portato un televisore, e un lettore DVD. E mi ha costretta… per ore!… a guardare quelle scene orribili. Diceva che dovevo vederle, così l’avrei aiutato a capire dove aveva sbagliato. Pensava, mi ha detto, che l’innocenza dei bambini l’avrebbe purificato dal… peccato della sua nascita. Quando ne avesse raccolta abbastanza… Diceva che era come tuffarsi in un mare di latte, o nel vento. Il vento è puro.

*

Il vento è puro. E canta.

*

L’uomo entrò senza bussare. La sua divisa giustificava la scortesia.

La donna in grigio si volse, gli scoccò uno sguardo interrogativo.

– Ancora niente – rispose l’uomo. – Non siamo neppure riusciti a scoprire chi ha fatto la telefonata. – Guardò brevemente Petra. – Hai avuto fortuna – disse, e suonava quasi come un rimprovero.

– I vicini? – chiese la donna in grigio.

– Non sanno niente, come c’era da aspettarsi. Lo hanno descritto come il solito tipo insignificante, solitario. Nemmeno nell’ufficio dove lavorava sanno gran che di lui. Ma sembrano sinceri. No, chi ha fatto la telefonata doveva essere uno che conosceva bene quella casa, sapeva della cantina e della stanza dietro la finta parete.

– E i corpi dei bambini?

– Niente, per ora.

– Chissà dove può averli nascosti… Magari li ha bruciati.

Due paia d’occhi (castani quelli dell’uomo, grigi quelli della donna) fissarono Petra. Lei scosse la testa.

– No, io non so niente di questo, non me ne ha mai parlato. Anzi, si comportava come se lui, a quei bambini, gli avesse… fatto del bene. Li ho liberati, diceva. Ho liberato le loro… le loro voci.

*

Mia madre mi ha sempre detto di stare attento alle sirene. Fin da quand’ero bambino. Me le additava, mentre al crepuscolo nuotavano seguendo le risonanti correnti dei viali periferici, s’immergevano sotto le volte sotterranee dei metrò, si spiaggiavano attorno ai piazzali delle stazioni.

Tornavamo verso casa, rinchiusi nell’auto come in una conchiglia di metallo. Protetti. O prigionieri?

Con me era l’odore di polistirolo e plastilina dell’aula scolastica. Lei odorava del sudore di una giornata spesa a pulire le case degli altri.

E a casa nostra ci aspettava odore di chiuso e cibi freddi. Mentre là fuori… Profumo di vento tra le cime degli alberi, salmastro dei lontani oceani tra i capelli delle sirene.

Guardati da loro! Ricordalo sempre. Il loro amore è letale. È per una di loro che tuo padre s’è perduto, lontano, imprigionato nella barriera corallina delle sue labbra.

E io promettevo, obbediente e remissivo come un bravo bambino dev’essere.

Ma sognavo la voce del mare.

*

– Mi diceva delle cose così strane… Che mi amava. Era il suo destino. Aveva fatto di tutto per evitarlo, ma era scritto nel… nel suo sangue. Mi amava. E mi avrebbe portata con lui a fare un viaggio… su una barca…

La donna in grigio inarcò le sopracciglia bionde. – Una barca?

L’uomo in divisa scosse la testa. – Non ci risulta, ma potrebbe anche essere. Certo che, se ha tagliato la corda stamattina, a quest’ora sarà già in Riviera.

Petra alzò le mani, piccole mani bianche dalle unghie consumate, a implorare attenzione. – No, no. Non credo che parlasse di una barca vera. Mi diceva che non poteva navigare, perché … perché era di pietra.

*

Sognavo…

la voce…

del mare…

*

– Villa Solari! – esclamò l’uomo in divisa.

Le sopracciglia della donna in grigio guizzarono nell’aggrottarsi della fronte. – Ma è chiusa da anni.

– Non è difficile entrare nel parco, la recinzione è sfondata in parecchi punti. E quel parco è l’unico posto, in città, dove si può trovare una nave di pietra.

*

In paese dicevano che eri pazzo, Cavalier Solari. Un vecchio eccentrico come un Ulisse che non abbia saputo ritrovare la rotta per Itaca; e perciò ti eri costruito questo veliero di pietra in giardino. Potevi goderti i tuoi soldi su una vera barca, girare il mondo intero… Ma non ti muovesti mai di qua. Dicevi che la città, con i suoi veleni, ti era penetrata dentro inavvertitamente, e ormai le tue ossa erano cemento, nelle vene ti scorreva lo smog. L’unico viaggio volevi compierlo su questo simulacro. Doveva essere la tua tomba. Ma i parenti-serpenti ti hanno tradito. Alla tua morte ti hanno sbattuto nel cimitero comunale, sotto una lapide come ce ne sono tante, e si sono divisi quanto restava della tua fortuna. Della casa e del parco non sapevano che farsene. Troppo grandi, l’una e l’altro, con troppi angoli bui. Tristi. Hanno cercato di vendere la proprietà, ma nessuno l’ha voluta. Ti assomigliava troppo, con quegli angoli bui, e la tristezza.

*

Petra appoggiò la testa sul cuscino, ascoltando i passi che si allontanavano nel corridoio.

“Stai tranquilla, è tutto finito”, l’aveva rassicurata la donna bionda, con premura formale, prima di andarsene.

Tutto finito, secondo lei. La paura, la sofferenza… No, no. Di queste, Petra ne conosceva abbastanza ogni giorno, ogni notte, lungo i viali, davanti alle stazioni. Non sarebbero finite mai.

La prigionia, allora; l’angoscia di terminare i propri giorni in quella cantina, sepolta viva, inerme nelle mani di quell’uomo, tremando di terrore nell’attesa del suo ritorno… eppure desiderandolo, perché portava cibo, e il suono di una voce.

Era il solo che le avesse mai detto “Ti amo”.

*

L’amore di una sirena è sempre fatale.

Mi afferro alle sartie di rampicanti. A bordo, a bordo!

Presto saranno qui. E anche loro saliranno a bordo, percorreranno il ponte, scenderanno nella stiva. Scopriranno il mio tesoro. La voce del vento, imprigionata.

Non mi perdoneranno. Non merito perdono. L’ho letto nei suoi occhi notturni. Perciò, oggi, ho cantato per i tritoni, ho detto loro che venissero a riprendersi la loro piccola sirena. Perché lei mi ha mostrato il mio errore, nudo come l’albero maestro. Lei mi ha fatto comprendere che si può essere senza voce e regnare sul mare.

Triste lezione.

Come mi sono ingannato! Come mi illudevo! Strappare la mia vita dagli ormeggi della Realtà…

Nessun vento può creare dal nulla una vela.

Avrei dovuto cercare di ottenerla, invece, così come la mia piccola sirena ha avuto le sue squame e la sua pinna, dando in cambio qualcosa di me.

Non per amore del viaggio e della nave.

Per amore del mare.

Mi sdraio tra quanto rimane del mio sogno. Detriti di un naufragio. Brandelli d’abiti, piccole ossa verdi di muffa.

M’adagio nella dolcezza (ingannevole!) del canto.

L’AUTRICE
Gloria Barberi debutta nel mondo del Fantastico all’inizio degli anni ‘80 sulle pagine delle fanzines SF…ere e Pulp cui fanno seguito pubblicazioni su riviste e periodici sia amatoriali che professionali. Il racconto “La notte di san Valentino” è apparso in Francia nell’antologia “Cosmic erotica” successivamente edita in Italia da Fanucci. Presente anche in diverse antologie di autori vari edite da Il Cerchio (Rimini) a seguito di vittorie e piazzamenti al Premio San Marino.
È autrice di due antologie personali: Racconti Notturni edito da Primordia (MI) e Come le bambole di notte (Montedit, MI) e di alcuni romanzi: I Custodi apparso su The Dark Side n° 34; Le viscere del Diavolo (Diesel Extra); Lo specchio scarlatto (Diesel Speciale “Pastiche”).
Nel 1987 collabora alla trasmissione radiofonica “Galactica” di Radio Time di Scandicci (FI). Da qualche anno si occupa di teatro in veste di attrice/caratterista nella compagnia del Teatro Stabile San Giuseppe di Ruta di Camogli, del quale cura la pagina Facebook, ma anche di autrice. La pièce “Il palazzo della Notte” ha vinto nel 2001 il premio Città di Moncalieri ed ha partecipato in seguito alla rassegna Aquilegia blu (Torino, 2002) nell’interpretazione dell’attrice Franca Berardi.
Tra i premi conseguiti per la narrativa fantastica ci sono il Premio Italia, Lovecraft, Courmayeur e Repubblica di San Marino.
Negli anni ‘90 ha lavorato come traduttrice per la casa editrice Nord e per la rivista esoterica Primordia, oltre che per alcuni privati.
Appassionata anche di poesia, fa parte da diversi anni del gruppo di scrittura “Anna di Vienna” che prevede incontri a cadenza mensile su un argomento a tema e un reading/spettacolo a fine stagione, con lettura di poesie e prosa, siparietti teatrali, proiezioni video e musica dal vivo.
Nella primavera/estate del 2019 è uscito a puntate on line su Club Ghost il feuilleton “L’occhio sinistro di Horus” ispirato alla scoperta della tomba del faraone Tutankhamon, in seguito pubblicato dalla casa editrice Lindau di Torino con il titolo “La maledizione del faraone”.
Chi desiderasse approfondire queste notizie può cercare in rete, su Fantascienza.com e altri siti.

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