In Cathedra Succubi di Carlo Salvoni

[…] Non pretendo di aver ragione, so che ci sono momenti per le chiacchiere e momenti per il silenzio, insegnanti che tollerano un certo brusio e altri che esigono il silenzio assoluto. Allo stesso modo, io ho i miei limiti e le mie imprescindibili necessità, o meglio, le avevo: parlare, intervenire, concludere un discorso iniziato. Si chiama dal preside un alunno che chiacchiera troppo? […]

In Cathedra Succubi di Carlo Salvoni edito da Horti Di Giano è una raccolta di dieci racconti che rielaborano, in chiave cruda e inquietante, le dinamiche intricate e talvolta paradossali del sistema scolastico italiano.
Attraverso un filtro disturbante, orrorifico e privo di ogni rassicurazione, l’autore mette in luce le incongruenze, le procedure labirintiche e le formalità spesso inspiegabili che pervadono il mondo dell’istruzione. Questi aspetti delineano un volto oscuro della scuola, suggerendo una realtà sommersa e inquietante.
Non è una lettura adatta ad un pubblico ampio e generalista, alcune storie trasmettono un vero e proprio senso di angoscia, specialmente se – come me – non avete un bel ricordo del periodo tra i banchi.
Invece per chi vive quotidianamente queste dinamiche (tipo Professori, Personale ATA ecc), possono rivelare un’ironia grottesca e spietata.
Nel cuore di In Cathedra Succubi, il lettore si trova di fronte a una delle più inquietanti metamorfosi della vita scolastica, un viaggio lirico dentro un vortice disturbante.
La bellezza di questo libro sta nella sua capacità di giocare con l’allegoria, trasformando la realtà oggettiva in una distorsione orrorifica che non ha bisogno di demoni, perché i suoi mostri possono essere reali. Sono le istituzioni che soffocano, i ruoli che consumano, le parole che scavano nella mente di chi le riceve. E, sopra ogni cosa, è il terrore più grande: accorgersi di essere il male di qualcun altro.
Lo stile di Salvoni distingue per la capacità di intrecciare elementi del quotidiano con sfumature surreali e inquietanti, creando atmosfere che sfidano la percezione della realtà. La sua prosa è caratterizzata da una meticolosa attenzione ai dettagli e da una profondità narrativa che invita il lettore a riflettere sulle sfumature più oscure dell’esistenza umana.
Se siete alla ricerca di qualcosa di diverso, fuori da un certo canone dell’orrore e del bizzarro e che vi lasci qualcosa dentro, questo libro fa per voi.

L’AUTORE:
Carlo Salvoni, nato nell’80, vive in provincia di Brescia con la moglie e le tre figlie, è insegnante di Lettere presso una Scuola Secondaria di Primo Grado.
Dopo aver militato in un gruppo di Death metal melodico (Tragodia), ha riversato sulla scrittura le sue velleità artistiche.
Dopo anni a scrivere romanzi con uomini e animali, rivolti ad adulti e ragazzi (tra gli altri, Cavalletti e cavalli – 2013, Menamato – 2016), si è dedicato alla narrativa fantastica. Del 2022 è la raccolta di storie weird Necromitologia.
Storie senza nomi (Elison), e nello stesso anno appare nelle antologie Il richiamo di Lovecraft (Esescifi), con il racconto “Il canto al di là del ghiaccio”, e Terrorea. Materia corporis Vol 1 e successivamente anche sul Vol 3(Horti di Giano), con il racconto “Il pane”. Sempre nel 2022 si è aggiudicato il Premio Hypnos con il racconto Cambiano le prospettive al mondo.
Ha all’attivo diverse pubblicazioni digitali (Delos Digital, Hypnos e Opera Narativa) e i suoi racconti appaiono su diverse antologie e riviste specializzate.

In Cathedra Succubi
Autore: Carlo Salvoni
Editore: Edizioni Horti di Giano
Pagine: 160
ISBN-13: ‎ 979-1280144690
Costo: Ebook 7,77 € – Cartaceo 15,70 €

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Disponibile il saggio Terence Fisher – Horror gotico d’autore

«Se i miei film riflettono in qualche modo la mia personale visione del mondo, lo fanno mostrando la vittoria finale del Bene sul Male, esito in cui credo fermamente. Può volerci molto tempo, ma alla fine è sempre così che vanno le cose». Con queste parole, il regista inglese Terence Fisher sintetizzava al meglio quel dualismo Spirito e Carne, Luce e Tenebre, Bene e Male, che ha costantemente attraversato la sua filmografia fin dalle prime regie. Punta di diamante dell’affiatata squadra di artisti e tecnici messa in piedi dalla piccola casa di produzione Hammer, Terence Fisher ha raggiunto la notorietà alla fine degli anni Cinquanta con le atmosfere gotiche e vittoriane di un genere horror che portò alla ribalta internazionale il cinema britannico: La maschera di Frankenstein, Dracula il vampiro, La vendetta di Frankenstein, La furia dei Baskerville, La mummia.
Considerato niente più che un semplice artigiano e mestierante, per troppo tempo Terence Fisher è stato sottovalutato dalla critica. Solo tardive e postume riabilitazioni ne hanno fatto emergere lo stile inconfondibile. Attraverso un profilo esaustivo della sua vita e della sua carriera e il racconto di quel mondo gotico fiabesco e grandguignolesco che ha finito per connotarne la poetica cinematografica (nonostante si sia destreggiato anche in altri generi), questo saggio di Mario Galeotti vuole affermare in maniera definitiva e incontrovertibile lo spessore autoriale di un regista a lungo ingiustamente emarginato.

SCHEDA TECNICA
Titolo: Terence Fisher – Horror gotico d’autore
Autore:  Mario Galeotti
Editore: Weird Book
Collana: Revolution
Genere: Saggio
Pagine: 204
Prezzo: 25,90 €
Formato: 15 x 22 cm
ISBN: 979-12-81603-25-7

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Colui che non ti aspetti

Non sorridere al bambino dai riccioli d’oro; non toccare la sua guancia di porpora: il bambino dai riccioli d’oro è colui che non ti aspetti…

Era mezzogiorno in punto.
Un mezzogiorno afoso, come novecentonovantanove altri. E il signor Ashal non era tipo da perdersi a considerare il caldo o qualsiasi altra sfumatura del tempo. Si sarebbe stupito, ma non tanto, se quel mezzogiorno fosse stato freddo; quel mezzogiorno di ferragosto: non si stupiva più tanto di nulla, da quando gli uomini s’erano messi a lanciare certi ordigni nello spazio, anche con le bombe H inserite nelle capsule dei missili.
Per questo motivo il signor Ashal uscì lietamente dal suo ufficio. S’accomodò la cartella sotto il braccio e sgambettò allegramente, senza curarsi dei suoi cinquant’anni e della sua pancia piuttosto voluminosa, sul marciapiedi, a fianco di frotte di scolari che uscivano allora dalle lezioni.
Era un tipo distratto, Wewel Ashal. E si maledisse una volta di più. Si dette una forte pacca sulla fronte e si fermò di botto.
– L’appuntamento, mormorò, l’appuntamento: queste non sono cose da dimenticare…
E si avviò, con passo deciso, al Museo della Scienza.
Il vasto piazzale che dava all’ingresso del Museo, a quell’ora, era deserto. E il grande portone era chiuso. Ma lui non se ne curò. Proseguì del suo passo deciso e penetrò nel grande portale di noce, come se non vi fosse. Non si stupì minimamente di questo suo potere, il distratto Wewel Ashal; e quando il portone chiuso fu alle sue spalle, rimase immobile a osservare il limite del lunghissimo corridoio che gli si presentava.
Era curioso, quel dinosauro tuttossa che pareva sorridergli. E anche il ghigno di quell’uomo-scimmia imbalsamato, che lasciava intravedere esasperanti venature costrette dal tempo e dalla mano paziente dello scienziato.
Respirò due volte, e poi si compiacque dell’eco sinistro dei suoi passi, sul pavimento.
Camminò deciso verso il fondo e si trovò proprio al cospetto di un gigantesco Samurai scheletrito, raccolto con le forti ossa nella corazza, col teschio che gli sorrideva dall’elmo arrugginito. Qualche gioco di fili e di sostegni doveva permettere ai resti del valoroso guerriero di poter sostenere con tanta naturalezza, col braccio alzato nell’atto di colpire, la pesante, fredda scimitarra.
Lì si fermò. Consultò per un attimo l’orologio: mezzogiorno era passato da qualche minuto. « Pazienza, pensò; non sarà la fine del… ma si corresse subito, anche nel pensiero; pazienza, speriamo che non vi sia nulla di grave, per questo piccolo ritardo ».
L’altro, comunque, non aveva tardato. Ne sentiva la presenza, il buon Wewel Ashal, in quell’ambiente. Lo stesso diffuso odore di ciclamini, che s’era sparso attorno, impregnando l’aria e le cose, proprio come a casa sua, la sera prima.

***

Era rientrato stanco e aveva acceso subito il televisore, la sera prima, Wewel Ashal, mentre s’accingeva a riordinare le carte della sua borsa, sul tavolo dello studio, in casa sua. Aperse il mobile-bar e ne trasse la bottiglia di cherry, semivuota. Se ne versò un parsimonioso goccetto in un bicchiere pulitissimo e occhieggiante e prese a centellinarlo, con calma; con la solita calma, insomma.
« Il lancio della bomba H tramite la capsula di un missile THOR non è riuscito ». La voce dello speaker, alla televisione, era alquanto monotona.
« Gli scienziati hanno provveduto a disintegrare la carica esplosiva contenuta nella capsula e il missile è svanito al largo delle isole di Pasqua ».
Wewel ingoiò brontolando l’ultimo goccio e spense l’apparecchio con rabbia.
« Fate pure, fate pure: ci ammazzerete tutti, borbottò; tutti ».
« Buonasera ».
Wewel si voltò di scatto. La vocina gli era parsa timida e bianca. Non vide subito il bambino che era seduto comodamente nella sua poltrona preferita, quattro volte più grande di lui.
Era un bel bambino. Gli occhi celesti, una lunga veste candida, con un delicato fregio nell’orlagione, in stile romanico, un fregio d’oro. Aveva riccioli lunghi e curiosamente, piacevolmente disordinati. Un sorriso magnifico, magnifico.
– Chi sei? – chiese Wewel.
Il bambino continuava a sorridere.
E Wewel non s’accorse nemmeno che non gli rispondeva, rapito com’era nella contemplazione del suo bellissimo volto. Delle sue manine rosee, che giocavano leggermente con l’orlo consunto della vecchia poltrona.
– Sei un angelo?… Un angelo… Ho sempre pregato per vedere un angelo. E mi hanno mandato il più bello…
Così dicendo Wewel prese ad avvicinarsi alla bella creatura, che continuava a sorridergli.
– Non avvicinarti, gli disse severo il bambino; – è meglio che non ti avvicini.
Ma Wewel non lo ascoltava. Le mani protese, sfiorò la carnagione rosea del bambino, ma ritrasse subito, violentemente, le mani. Aveva percepito qualcosa.
E ora il bambino non gli sorrideva più. Aveva gli occhi fissi su di lui, in un cipiglio severo, e il colore della sua pelle andava sempre più macerandosi.
E Wewel inorridì. Inorridì di quelle rughe chiassose e profonde, di quelle vene macilente e di quelle piaghe che andavano lentamente imprimendosi, lentamente e inesorabilmente, sul volto del fanciullo.
– Ti avevo detto di non avvicinarti.
– Sei un angelo? – Lo chiese con minor convinzione, ora, Wewel.
Il bambino sghignazzò, volgarmente. Mentre la peluria andava coprendo le sue guance e le sue braccia.
Allora Wewel notò il pus che andava raggrumandosi e propagandosi, con violenza, su quella carne che un attimo prima era rosa.
– Un angelo?
Solo allora Wewel si accorse di quello strano intenso odore di ciclamini, che arieggiava intorno. Annusò. E respirò a pieni polmoni di quell’aria. Il bambino continuava a fissarlo, immobile, mentre le sue carni subivano quel crescente processo di macerazione.
– Sei ammalato… Sei venuto da me a farti curare, fanciullo?
Il ragazzo continuava a sghignazzare. Ora era in piedi. E pareva ancora più piccolo di prima, più minuto, con la testa enorme, macabra per quelle vene e quelle rughe disgustanti, che gli si piegava in avanti.
La sua mano si alzò, lentamente.
– Sono venuto a prenderti, maledetto uomo. Io sono la morte.

***

Il giorno dopo quella conoscenza, la mattina presto, Wewel si alzò e si recò fischiettando in ufficio.
« Strano tipo, quel ragazzo: chi l’avrebbe mai detto che la morte era così? ».
Ma non ci pensò poi tanto, Wewel, quella mattina, perché le pratiche dell’ufficio non permettevano distrazioni: tre giorni per preparare a dovere la relazione sulla distribuzione dei cementi ai cantieri del lato est della città.
E il suo dovere doveva e voleva farlo sino in fondo, anche se sarebbe morto a mezzogiorno di quella stessa giornata.
Mezzogiorno. Per quell’ora doveva trovarsi al Museo della Scienza, in fondo al primo corridoio, di fronte allo scheletro di un guerriero Samurai con la scimitarra in mano.
« Sarà chiuso, a quell’ora », aveva replicato.
« Non preoccuparti », aveva risposto il ragazzo – vecchio; « passerai per il portone chiuso. Perché sarai già virtualmente morto ».
Wewel aveva sorriso.

***

E ora si trovava lì, a osservare il ghigno del Samurai scheletrito, a domandarsi il principio di gravità che permetteva a quella grossa, abnorme scimitarra d’essere sorretta dalla mano di un morto. E ad assaporare il gustoso profumo di ciclamini, d’intorno.
– Salve.
Wewel si voltò.
– Devi scusarmi il ritardo, disse impacciato; – ma non sono abituato a queste cose.
Il ragazzo dal volto rugoso di vecchio sorrideva. Se quello poteva dirsi un sorriso.
– Ho sempre saputo – proseguì sempre più timidamente Wewel – che si morisse in un modo diverso, e che la morte fosse vestita di nero, con un cappuccio consunto sul cranio di una vecchia megera, con in mano una falce simbolica, che…
Parlava e parlava il buon Wewel. E il ragazzo vecchio sorrideva.
Non sapeva, Wewel, che dal giorno prima erano trascorsi milioni di anni.

NOTE
Racconti rari dell’orrore riscoperti da Sergio Bissoli. “Colui che non ti aspetti” di Peter C. Arnold, apparso nel 1962 in “I Racconti del Terrore 4”, collana edita da Gino Sansoni Editore, e pubblicato per la prima volta su Planet Ghost.

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I Custodi Minori: Gli eredi dei Miti di Flavio Deri

Flavio Deri ci conduce in un viaggio oscuro e ipnotico attraverso le ombre dell’universo lovecraftiano, offrendo non solo un omaggio alle opere di H.P. Lovecraft, ma soprattutto ai suoi protagonisti. I Custodi Minori: Gli eredi dei Miti è una storia che rielabora con acume e rispetto gli interrogativi lasciati in sospeso dai racconti del Solitario di Providence, proponendo una visione inedita su ciò che accade alle famiglie e ai discendenti di coloro che hanno affrontato il sovrannaturale.
Un’indagine tra passato e presente
Il detective Gregory Wylde viene ingaggiato da Walter Peaslee per indagare sulla misteriosa scomparsa di tre investigatori della Legrasse & Co. ad Arkham. Questi uomini non sono semplici investigatori: i loro cognomi rivelano una discendenza diretta dai protagonisti di alcuni dei racconti più celebri di Lovecraft. Edward Upton, George Goodenough Akeley e Arthur Legrasse portano il peso di un passato che non ha mai smesso di tormentarli, eredi di storie che non si sono mai davvero concluse. L’indagine di Wylde si sviluppa attraverso una narrazione frammentata, un mosaico di documenti che comprendono registrazioni, pagine di diario e una lettera mai spedita. Attraverso questi espedienti, il lettore ricostruisce gli ultimi giorni degli investigatori e i segreti che hanno scoperto, fino a un finale che giunge con la crudele ineluttabilità tipica del genere weird. Il colpo di scena finale, una confessione rivelata attraverso una lettera, rimescola le carte in tavola e lascia il lettore con un senso di inquietudine duraturo.
Uno degli aspetti più interessanti del racconto di Deri è il modo in cui esplora un tema raramente affrontato: il destino delle famiglie di coloro che hanno affrontato i Miti di Cthulhu. Nei racconti di Lovecraft, gli orrori cosmici non si limitano a distruggere l’individuo, ma si propagano come una maledizione lungo le generazioni. Deri riprende questo concetto e lo amplifica, creando una storia in cui il passato non è mai davvero sepolto e la conoscenza proibita si trasmette come un marchio indelebile. Il rispetto filologico per il materiale originale è evidente. L’autore non si limita a citare personaggi e luoghi, ma costruisce una storia che potrebbe benissimo essere un ideale seguito di alcune delle opere di Lovecraft. Tuttavia, aggiunge anche il suo tocco personale, ispirato al mondo dei giochi di ruolo, introducendo una dinamica investigativa più strutturata e un ritmo narrativo che alterna momenti di tensione a rivelazioni sconvolgenti. Deri dimostra una straordinaria capacità nel catturare l’essenza del weird lovecraftiano, costruendo un’atmosfera densa di mistero e minaccia latente. Arkham è più di una semplice ambientazione: è un organismo vivo, un luogo dove le ombre sembrano avere una volontà propria e il passato continua a sussurrare nelle menti di chiunque osi indagare troppo a fondo. Lo stile dell’autore è evocativo, caratterizzato da un lessico raffinato e da una struttura narrativa che alterna descrizioni dettagliate a documenti frammentati, creando un senso di scoperta continua. L’uso di registrazioni, diari e lettere non è un semplice espediente stilistico, ma un elemento essenziale che immerge il lettore nella storia, rendendolo partecipe dell’indagine di Wylde.
I Custodi Minori: Gli eredi dei Miti è un racconto che espande l’universo impazzito di Lovecraft. Con una narrazione coinvolgente, personaggi credibili e un’atmosfera inquietante, Flavio Deri dimostra una profonda comprensione del genere weird e della mitologia lovecraftiana. Consigliato a chiunque ami le storie di investigazione sovrannaturale, gli enigmi irrisolti e l’orrore cosmico, questo racconto si distingue per la sua capacità di mantenere viva l’eredità di Lovecraft senza mai cadere nella mera imitazione. Un’opera imperdibile per chi vuole esplorare nuovi angoli di un universo narrativo che non smette mai di affascinare e terrorizzare.

L’AUTORE
Flavio Deri è nato il 18/10/1988 a Pontedera (PI). È diventato membro del Culto Lovecraftiano nel 2003, quando ha acquistato il suo primo libro del Sognatore di Providence. Iscritto alla H.P. Lovecraft Historical Society e supporter dell’Horror Writers Association, ha sempre desiderato dedicarsi alla scrittura andando oltre la creazione di campagne di gioco di ruolo da tavolo o dal vivo. Durante la pandemia, ha partecipato a concorsi letterari per antologie, e nel 2022 ha pubblicato il suo primo libro intitolato Appunti di un Sussurro, sempre con ambientazione Lovecraftiana, oltre a rientrare in pubblicazioni come Terrorea – De Rerum Natura della Horti di Giano, nella collana Universo di Lovecraft della Esescifi, nell’antologia Chimerica della PAV Edizioni. Per la Colomò Edizioni compare nell’antologia Strani Aeoni nn. 2 e 3Grimorial’Amaro in Bocca e ha curato la raccolta L’Orrido VerdeL’Ombra dietro la Miskatonic è il suo racconto lungo con la Delos Digital, si possono trovare altri suoi racconti su due numeri del progetto Racconti dal Profondo. Finalista in concorsi letterari come il TOHorror FestivalTerni Horror Festival e del Premio Esecranda.
Fiero membro del Gruppo Telegram Lovecraft Italia. Appassionato del genere Horror, ha dedicato la sua libreria personale a Lovecraft, con oltre cento volumi tra racconti, saggi, biografie, graphic novel e romanzi ispirati ai Miti.
Dal 2024 collabora con Planet Ghost con recensioni di libri e fumetti.

I Custodi Minori: Gli eredi dei Miti
Autore: Flavio Deri
Editore: Delos Digital
Pagine: 30 – Formato ebook
ISBN: 9788825431766
Prezzo: 1,99 €

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Occhi blu di Michela Cescon

Occhi blu (Italia, 2021)
Regia: Michela Cescon. Musiche: Andrea Farri. Soggetto e Sceneggiatura: Michela Cescon, Marco Lodoli, Heidrun Schleef. Fotografia: Matteo Cocco. Montaggio: Sara Petracca. Genere. Thriller. Durata: 86’. Paese di Produzione: Italia, 2021. Interpreti: Valeria Golino (Valeria), Ivano De Matteo (Murena), Jean-Hugues Anglade (Il Francese), Matteo Olivetti (Marco), Teresa Romagnoli, Ambrosia Caldarelli, Ludovica Skofic. Case di Produzione: Tempesta con Rai Cinema, in coproduzione con Palomar e Tu Vas Voir, con il sostegno di Regione Lazio – Fondo Regionale per il Cinema e DG Cinema.

Michela Cescon è soprattutto una brava attrice che nelle vesti di regista prima di Occhi blu si era occupata solo di teatro. Diciamo che non è proprio la stessa cosa, perché i tempi cinematografici sono diversi, forse qualcosa resta da imparare, soprattutto il montaggio e la sceneggiatura, per rendere una storia più fluida e scorrevole. Occhi blu non è comunque un esordio negativo. Tutt’altro. Vorrei mettere in luce le cose positive di un noir psicologico, ambientato in una Roma spettrale e decadente, tra lunghi silenzi e attese sospese. La colonna sonora di Andrea Farri è notevole, con una base jazz al clarinetto, fino alla canzone romana intonata in un piccolo locale notturno dal protagonista. La storia, molto ridotta per sostenere un lungometraggio di 86 minuti, ruota attorno alle gesta di una rapinatrice motorizzata e di un giovane complice, con il commissario di polizia (De Matteo) che le dà la caccia e non riesce ad acciuffarla. Trentatre rapine in tre mesi, fino a quando il commissario non chiede aiuto a un collega più anziano che tutti chiamano Il Francese. Una piccola sottotrama, non meno importante, riguarda il poliziotto transalpino (Jean-Hugues Anglade) che sta cercando chi gli ha ucciso la figlia per vendicarsi. Tutto è raccontato per sottrazione, che va pure bene ma il troppo stroppia si dice in Toscana, al punto che sia del francese che della rapinatrice in motocicletta non sappiamo quasi niente. Pure del commissario sappiamo solo che si è innamorato di una ragazzina e che non riesce più a guardare in faccia moglie e figli, poi lo seguiamo nella caccia infruttuosa alla rapinatrice e soltanto alla fine comprendiamo che ama cantare. Credo che tutto questo mistero sia voluto dalla regista, come la faccenda degli occhi blu del titolo, che sporgono dalla visiera del casco e caratterizzano sia la rapinatrice (Golino) che il complice (Olivetti). Il problema è che non si capisce fino in fondo come il francese sia arrivato a individuare la misteriosa rapinatrice, pare che sia risalito a Valeria dal fatto che è una provetta guidatrice di moto. Altri pregi del film sono una fotografia notturna romana, grigia e plumbea (Cocco), molte riprese con il grandangolo, primi piani mai banali e scontati, riprese dal basso con particolari in soggettiva. Valeria Golino è molto brava nei panni della rapinatrice motorizzata, recita con lo sguardo e con i silenzi più che con le parole. L’impianto del film, alterna il teatrale dei dialoghi ad alcune riprese esterne davvero ben fatte, impaginando dissolvenze poetiche a originali stacchi fotografici che sostituiscono l’azione. Michela Cescon, nonostante sia alla prima prova da regista dimostra di conoscere bene la materia da un punto di vista tecnico, mentre va rivista alla prova come sceneggiatrice. La responsabilità di un montaggio troppo diluito è di Sara Petracca, ma è anche vero che una storia esile e dei personaggi appena abbozzati non potevano che spingere verso tale direzione. Cinema d’autore versione noir con citazioni del vecchio poliziesco italiano, thriller crudo e realistico, un film del quale tutto sommato consiglio la visione, prendendo il buono che è capace di offrire. Lo trovate su Rai Play.

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