A Different Man al cinema
Oggi esce nei cinema A Different Man, il nuovo film di Aaron Schimberg.
Sinossi
Edward, aspirante attore, si sottopone a un intervento medico radicale per trasformare drasticamente il suo aspetto. Ma il suo nuovo volto da sogno si trasforma rapidamente in un incubo, perché perde il ruolo che era nato per interpretare e diventa ossessionato dal desiderio di recuperare ciò che è stato perso.
Un thriller fuori dal comune
A Different Man di Aaron Schimberg, provocatorio e audace, racconta la storia di un uomo che si sottopone a una trasformazione radicale. Un thriller cupo e divertente che esplora il complesso rapporto tra chi siamo e come ci vede il mondo.
Il film segue le vicissitudini di Edward, un solitario newyorkese a cui viene offerta l’eccezionale opportunità di cambiare radicalmente l’aspetto del suo volto e quindi di rinascere a nuova vita. Tuttavia, questa svolta avrà conseguenze del tutto impreviste e anche se all’apparenza la sua esistenza viene completamente rivoluzionata, in realtà non sembra essere cambiato niente. Certo, fisicamente è diventato A Different Man, un uomo diverso, ha cambiato pelle per ricominciare da capo lasciandosi alle spalle una vita che non gli appartiene più, ma uno scherzo del destino gli impedisce di essere chi voleva diventare e viene travolto da una nuova realtà che diventerà presto un vero e proprio incubo.
Caratterizzato da un umorismo cupo e da una tensione paranoica degna di un grande noir, il film rivela una potente visione da parte del regista newyorkese Schimberg che non ha praticamente precedenti. Schimberg entra a pieno titolo nel novero dei cineasti americani che fondono con maestria la suspense comica con la ricchezza di idee tematiche e la voglia di raccontare storie che guardano il mondo da angolazioni diverse e inattese.
Per quanto destinato a diventare un classico, A Different Man di Schimberg sfida i limiti della narrazione come solo un film di oggi può fare. Ambientato in un mondo appena sopra le righe, in cui una procedura medica fittizia e inquietante permette di rimodellare la testa di un uomo, il film crea un’atmosfera intensa che rimanda a una miriade di riferimenti e storie di persone distrutte dall’immagine riflessa nello specchio: personalità perdute, maschere, imposture, doppioni ingarbugliati. La storia è intrisa della vertiginosa illogicità di un brutto sogno. Ma oltre ai brividi, sotto la superficie si cela un’esplorazione della bellezza, dell’attrazione, del successo, dell’apparenza e del concetto sfuggente di chi siamo veramente.
Quanto è malleabile il sé? Quanto è inseparabile dalle apparenze e dalle percezioni? Cosa deve cambiare davvero in una persona per modificare il suo destino? E cosa succede quando vediamo qualcun altro prendere il nostro posto nel ruolo che pensavamo sarebbe spettato a noi? Un turbinio di interrogativi alimenta il crescente senso di smarrimento che il film coltiva con cura, mentre l’invidia, il rimpianto, la gelosia e la frustrazione alterano il destino di Edward tanto quanto il cambiamento radicale del suo aspetto.
Schimberg scava nel profondo con svolte narrative precise e sferzanti, sovvertendo le aspettative in modo subdolo e offrendo dialoghi carichi di emozione. Il regista non nasconde il suo amore per i film di genere, una passione che si percepisce nei dialoghi comici e scoppiettanti e in uno stile cinematografico che esalta il noir e il buio della notte. Le pareti del suo ufficio sono tappezzate di poster degli innumerevoli horror della RKO di Val Lewton, di una bellezza inquietante. Ma per Schimberg, optare per un film di genere è semplicemente il modo più adatto per invitare il pubblico a intraprendere un viaggio incantato e a incontrare personaggi mai visti prima sullo schermo, per riflettere su chi siamo come esseri umani, come veniamo percepiti dall’esterno e cosa desideriamo al di fuori della nostra realtà.
Fin dall’inizio della sua fortunata carriera, Schimberg si dedica a esplorare le zone d’ombra, spesso controverse, del volto e delle sue sfaccettature, soffermandosi su ciò che implica per una persona essere bella (o bestia presunta) e su come lo sguardo della macchina da presa, spesso espressione di desiderio, riesca a superare questi preconcetti. Non a caso, il suo film precedente, Chained for Life, è stato definito “un film fondamentale sulla rappresentazione di quei gruppi che Hollywood preferisce tenere a distanza”.
Con A Different Man Schimberg utilizza questi temi non solo per costruire la suspense, ma anche per affrontare il nodo della natura precaria dell’identità, per stimolare una difficile conversazione sulla rappresentazione vera e fasulla e per ridere della nostra perenne ossessione a inseguire qualcosa che non abbiamo (e che magari un tempo avevamo).
“Non è un argomento facile da affrontare in una conversazione e lo è ancora meno in un film, che è soggetto dal punto di vista commerciale ai più elevati standard di bellezza”, ammette lo sceneggiatore e regista.
Per Schimberg il tema è profondamente personale. Lui stesso ha sofferto di labbro leporino (labiopalatoschisi) bilaterale ormai corretto, un’esperienza che ha lasciato il segno sul suo modo di vedere il mondo. “Tra le deturpazioni facciali, la mia è una delle più comuni, eppure ho visto solo rappresentazioni negative o offensive di persone come me. Mi sono sempre chiesto: come posso rappresentare una persona come me in modo positivo o almeno realistico e in linea con la mia esperienza?”.
Inizialmente, quando si è seduto a scrivere A Different Man, Schimberg pensava a una rivisitazione de Il dottor Jekyll di Rouben Mamoulian, il grande classico horror “Pre-Code” del 1931, incuriosito dal senso di liberazione che si prova quando ci si perde in un personaggio. “Pensavo a una storia in cui un uomo sfigurato guarisce per qualche ora ogni notte e si gode la vita come una persona normale”, racconta il regista. “Anche se quest’idea si è rivelata poco fattibile, il concetto di fondo mi è rimasto comunque in testa”.
Poi Schimberg è rimasto affascinato, per quanto improbabile possa sembrare, dalla commedia drammatica Wonder del 2017, interpretata da Julia Roberts e Jacob Tremblay, che racconta la storia di un ragazzino che si trova a fare i conti, sui banchi di scuola, con le malformazioni cranio-facciali della sindrome di Treacher Collins. Non essendo uno che si ferma alle apparenze, Schimberg ha iniziato a chiedersi se non ci fosse una storia più profonda nascosta dietro al famoso best-seller per ragazzi di R. J. Palacio che ha ispirato il film.
“Narra la leggenda che l’ispirazione le sia venuta un giorno mentre era in gelateria insieme a suo figlio”, racconta Schimberg, riferendo l’aneddoto spesso raccontato dall’autrice Palacio. “Videro un bambino dall’aspetto strano, suo figlio si spaventò e lei si rese conto di non avere la più pallida idea di come gestire la situazione, un’esperienza che la portò a dubitare delle sue capacità di essere genitore e perfino dei suoi valori morali. Così decise di scrivere il libro per dire alla gente che quando vedi qualcuno dall’aspetto sfigurato, magari ha una personalità assolutamente fantastica.”
Spinto dalla sua innata curiosità, Schimberg sentiva il bisogno di saperne di più e di scoprire cosa provava quel ragazzino sfigurato nella gelateria, che è diventato così una musa suo malgrado.
“Pensavo a come si sarebbe sentito quel bambino se fosse andato al cinema e si fosse ritrovato a guardare il trailer di un film in cui c’è un bambino che gli assomiglia, interpretato da un bambino che in realtà non gli assomiglia per niente”, spiega Schimberg. “Vede insomma la sua vita come se la immagina quella mamma che è rimasta turbata dal suo aspetto. È stato allora che ho iniziato a pensare a un film su un uomo che sospetta che la sua vita sia lo spunto di un fenomeno in stile Wonder. È praticamente sicuro che la storia sia basata su di lui, ma nessuno gli crede”.
Quando Schimberg ha tirato le fila di queste idee disparate sono nati Edward, l’attore newyorkese la cui faccia cambia completamente grazie a un farmaco sperimentale, e il suo alter-ego Guy, attore molto fotogenico e stella nascente del palcoscenico rimasto a lungo nell’ombra ma finalmente sul punto di farcela. Per quanto sia efficace la sua radicale trasformazione esteriore, Guy continua a sentire la necessità di sostituire il suo nuovo volto bello e carismatico con una maschera che simula il suo aspetto precedente, oscillando tra due identità, incapace di convivere con sé stesso o meglio con i suoi due sé. Come se non bastasse, il destino ha in serbo uno scherzo crudele: la sua nuova vita comincia ad andare a rotoli, mentre l’attore sfigurato che lo interpreta in uno spettacolo teatrale ottiene un successo straordinario.
Schimberg racconta che, mentre scriveva la sceneggiatura, un altro episodio che lo ha portato a riflettere ancora di più sulle conseguenze indesiderate per chi si prefigge di cambiare radicalmente la propria vita. Ricorda infatti di aver incontrato una vecchia conoscenza che gli sembrava completamente diversa da come se la ricordava. Questa donna gli ha spiegato che aveva deciso di dare una svolta alla sua vita adottando una personalità completamente diversa e liberandosi una volta per tutte della timidezza, che un tempo la rendeva adorabile, per adottare uno stile più aggressivo. Gli ha detto che non voleva più essere considerata una persona arrendevole, perché la cosa rappresentava un ostacolo sul piano personale e professionale.
Schimberg è rimasto sbalordito pensando che quella donna aveva deciso di rinunciare ad alcuni aspetti di sé che invece secondo lui la rendevano attraente. “Mi sono chiesto cosa ci stesse guadagnando e cosa ci stesse perdendo”, riflette Schimberg. “E poi, lei chi era in realtà? Era entrambe le versioni? Nessuna delle due? E poi mi sono chiesto se io sarei riuscito a cambiare così radicalmente la mia personalità”.
Tutti gli elementi inquietanti di A Different Man hanno cominciato così a prendere forma. L’esistenza ansiosa e complicata di Edward prima della trasformazione. Il suo appartamento angusto e squallido, con una perdita dal soffitto che continua inesorabilmente a ingrandirsi. Una misteriosa e seducente vicina di casa che improvvisamente si interessa a lui in modo civettuolo, diventando la sua unica amica e dando una svolta alla sua vita. Un miracolo della medicina moderna che gioca con le sue fantasie di reinvenzione di sé, che comporterà però conseguenze impreviste. E l’occasione per Guy, appena nato, di brillare nel ruolo di protagonista della sua vita, un ruolo che crede di essere l’unico al mondo in grado di capire davvero.
Poi arriva il sorprendente terzo personaggio del film, l’uomo che spinge la storia in una dimensione ancora più complessa e stratificata, in un’irresistibile stanza degli specchi dove l’uno si riflette nell’altro: Oswald, un altro attore affetto dalla stessa patologia ma così straordinariamente sicuro di sé, talentuoso e autentico da rubare rapidamente e inequivocabilmente la scena a Edward. Quando Oswald assume il ruolo di Edward, diventando una star amatissima, Guy finisce in una spirale distruttiva che avrà su di lui un effetto devastante.
“In un certo senso, Edward viene privato della sua identità due volte”, spiega Schimberg a proposito del colpo di scena che dà la svolta al film. “E allo stesso tempo, diventa una sorta di impostore che si confronta con qualcosa di vero e autentico. C’è una sorta di passaggio del testimone, dagli attori che recitano fingendo la disabilità ad attori disabili che recitano il ruolo che vogliono recitare”.
Il cinema si è sempre prestato a sondare l’abisso tra l’apparenza e l’identità interiore, tra la finzione e la lacerante verità, e A Different Man appartiene a una piccola ma vitale tradizione di film sulla totale ricostruzione del viso. L’elenco comprende film intramontabili come il classico horror Occhi senza volto di Georges Franju, la parabola sul trapianto di faccia di Hiroshira Teshigahara, lo straziante thriller fantascientifico degli anni ‘60 Operazione diabolica di John Frankenheimer, il thriller d’azione degli anni ‘80 Face/Off – Due facce di un assassino di John Woo e La pelle che abito di Pedro Almodóvar, favola di un chirurgo che fa esperimenti su un prigioniero nel suo scantinato.
Ma per quanto strizzi l’occhio ai suoi predecessori, A Different Man prende una direzione nuova e audace, analizzando le radici del pregiudizio legato all’aspetto del volto a mano a mano che il pubblico segue la storia di Edward.
L’ambizione senza compromessi, la sceneggiatura decisa e i grandi rischi strutturali e tematici del film hanno immediatamente attirato l’attenzione di Christine Vachon della Killer Films, la leggendaria produttrice il cui lavoro pionieristico è cominciato con un primo lungometraggio, Poison di Todd Haynes del 1991, pietra miliare del cinema queer. Quando la Killer Films ha deciso di collaborare con Vanessa McDonnell, produttrice e partner di lunga data di Schimberg, il progetto ha cominciato rapidamente a prendere forma. Ora la questione era trovare tre attori audaci e coraggiosi, uno dei quali difficilmente riconoscibile.
Indossare la maschera: Il casting
Uno dei primi sostenitori della sceneggiatura di Schimberg è stato l’attore Sebastian Stan, noto ai fan dell’Universo Marvel come il Soldato d’Inverno ma straordinariamente avventuroso nella scelta dei ruoli, che lo hanno visto spaziare da Jeff Gillooly, l’ex marito criminale e poco sveglio in Tonya, al batterista dei Mötley Crüe Tommy Lee in Pam & Tommy e al chirurgo cannibale in Fresh. Fin dall’inizio Stan si è tuffato anima e corpo in A Different Man partecipando sia come produttore che come attore nei due ruoli principali del film, strettamente legati ma ognuno con le sue diverse ansie esistenziali. Edward è squisitamente timido ed emotivamente riservato, mentre Guy, bello e di successo, nasconde dietro al fascino apparente una grande insicurezza e diventa sempre più alienato.
Per Stan recitare nei due ruoli ha comportato una serie di difficoltà. Per prima cosa, durante le riprese ha dovuto indossare protesi facciali ingombranti in una torrida estate newyorkese. Inoltre, ha dovuto scavare nella psiche fragile e complessa di un uomo la cui smania di cambiare vita lo porta a scivolare in una spirale inattesa di crisi e autodistruzione. Stan si è buttato a capofitto nel ruolo. “Sebastian ha capito che questo il film era perfetto per lui appena ha letto la sceneggiatura”, racconta Schimberg. “Non ha mai avuto alcun dubbio al riguardo.”
Stan parla della sceneggiatura di A Different Man come di qualcosa di diverso, qualcosa in cui non si era mai imbattuto, e sottolinea quanto sia raro che gli vengano sottoposti progetti di questo tipo. “Nessuno mi manda mai niente del genere”, dice. “Negli ultimi cinque anni o giù di lì, mi sono davvero orientato verso cose che mi sembrano sfidanti, che contengono un elemento di trasformazione. E non parlo solo di trasformazione fisica: a livello emotivo questo film rappresentava un territorio inesplorato per me. Come attore, ovviamente, è sempre preferibile perdersi nello specchio”.
Se si chiede a Schimberg, però, c’è qualcosa di ancora più profondo e psicologicamente affascinante nell’attrazione di Stan per il ruolo di Edward/Guy. “Sentivo che Sebastian avrebbe saputo esprimere una parte tormentata di sé che altri ruoli non gli hanno permesso di mostrare”, dice il regista, che è rimasto molto colpito dal totale coinvolgimento dell’attore. “Sebastian viene giudicato per il suo aspetto. Lo capisci quando cammini per strada con lui. La gente lo vede e proietta su di lui certe cose. E, naturalmente, molte persone ritengono che questa sia una cosa positiva, qualcosa a cui ambire. Ma essere famosi, essere belli in modo classico, può anche essere limitante”.
Con un consiglio insolito ma illuminante, Schimberg ha detto a Stan di considerare la sua fama come una via per esplorare l’oggettificazione sociale che Edward vive sulla sua pelle quotidianamente. Ricorda Stan: “Aaron mi ha detto: ‘Dovresti concentrarti su come ci si sente a essere una celebrità’. Non avrei mai pensato di affrontare la questione da questo punto di vista, ma lui mi ha detto: ‘Tu sai cosa vuol dire sentirsi costantemente sotto gli occhi di tutti’”.
Per comprendere meglio l’esperienza di Edward, Stan si è consultato con uno specialista di neurofibromatosi dell’Università di New York e ha assorbito le testimonianze personali di coloro che convivono con le deformità facciali. Il contributo più prezioso per rappresentare Guy, dice Stan, è arrivato da una conversazione con Elna Baker, la scrittrice e podcaster di This American Life, che pesava 265 chili al college e poi ne ha persi 110 in una clinica. Gestire il lato positivo del suo nuovo aspetto è stato più complicato di quanto avesse immaginato.
“Elna mi ha raccontato in modo molto onesto ciò che le è accaduto quando si è ritrovata a vivere nel mondo con l’aspetto di una persona come le altre”, dice Stan. “La sua identità è andata perduta, anche se all’inizio le sembrava di aver guadagnato qualcosa di enorme, una libertà che forse non era mai esistita. Ma questa situazione si è trasformata rapidamente in qualcosa di monotono. C’è stato un vero e proprio picco emotivo, come sulle montagne russe e come accade a Edward quando diventa Guy, e poi c’è stato un crollo”.
L’unico personaggio di A Different Man che conosce sia Edward che Guy – anche se non ne è consapevole – è Ingrid. La incontriamo per la prima volta come la nuova vicina di casa di Edward, una persona sorprendentemente avvicinabile e allegra che porta nella sua vita una gioia inattesa e quasi fastidiosa quando si confida con lui e condivide le sue speranze di diventare una drammaturga. Anni più tardi, dopo aver scritto un’opera teatrale ispirata al modo in cui vedeva Edward, Ingrid diventa la regista di Guy e si sente attratta dall’attore belloccio che sembra comprendere, in modo misterioso e intuitivo, il dolore di un personaggio basato sul suo amico di un tempo improvvisamente scomparso.
Schimberg e Stan avevano entrambi visto di recente l’interpretazione della norvegese Renate Reinsve in La persona peggiore del mondo e, per pura coincidenza, avevano entrambi pensato di scritturarla. Schimberg si chiedeva se valesse la pena provarci, visto che l’attrice era molto richiesta, ma Sebastian non ha avuto esitazioni: “Vale sempre la pena provarci, se è quello che vuoi”. Così le hanno inviato il copione e, pochi giorni dopo, lei ha detto di sì. “Mi ha talmente colpito la sua interpretazione in quel film”, ricorda Stan. “Ho pensato che avremmo dovuto chiamarla. E lei ha accettato”.
“La sceneggiatura mi è piaciuta da subito”, racconta Reinsve a proposito di quello che sarebbe diventato il suo primo film in inglese. “Non conoscevo affatto Aaron, ma mi piaceva il fatto che attingesse all’umorismo nero in maniera insolitamente tenera. E poi, quando ho visto Chained for Life, ho pensato: questo modo di fare cinema è proprio diverso. Mi piace partecipare a progetti che affrontano questioni interessanti”.
Schimberg ritiene che il ruolo di Ingrid sia quello più difficile del film ed è molto felice di aver trovato un’attrice all’altezza della situazione. “Credo che Renate abbia molto apprezzato il fatto di essere l’unica custode dei segreti di Ingrid”, dice il regista. “Un momento è seducente, poi è sarcastica, poi è sprezzante, poi è insicura. Entra nell’appartamento di lui e finisce per restare molto più del dovuto. La volta successiva, se ne va bruscamente. Come può la stessa persona essere tutte queste cose? Renate è riuscita a trovare la quadra. È anche una grande attrice comica e non ha si tira mai indietro”.
“Vedo Ingrid come una persona che cerca di trovare la sua strada nella vita”, racconta Reinsve, “ma come una vera norvegese, si vergogna e non crede veramente in sé stessa”.
È un tratto tipico dei norvegesi? “Oh, sì”, conferma. “In America ti dicono per tutta la vita che puoi essere quello che vuoi. In Norvegia, invece, ti dicono per tutta la vita che non sei meglio di nessun altro e che sei solo un elemento di un gruppo – il che, per certi versi, è positivo ma è anche limitante. Forse è venuta in America per trovare la fiducia necessaria per fare qualcosa. E poi, quando si trova davanti alla macchina da scrivere, riesce a cogliere un barlume della vita di Edward, che fa suo”.
Reinsve ha colto appieno la vorace smania di legami e la curiosità impulsiva di Ingrid, aspetti di cui ha dato prova in maniera eccellente in La persona peggiore del mondo.
“Ingrid è molto insicura e credo che ritrovi la stessa insicurezza in Edward, con cui si sente al sicuro”, dice Reinsve. “Credo che sia innamorata di Edward, ma non riuscirà mai ad ammetterlo a sé stessa, a causa dell’idea preconcetta della persona di cui pensa che dovrebbe innamorarsi. È questo che alimenta ciò che scrive su Edward. E quando incontra Guy, non capisce perché la sua interpretazione la colpisce così tanto, ma noi, il pubblico, sappiamo benissimo quale è il motivo. Accade tutto in maniera inconscia tra loro”.
La storia d’amore a tratti ironica tra Edward/Guy e Ingrid si trasforma in una sorta di “La bella e la bestia” al rovescio e allo stesso tempo si addentra nella difficile realtà odierna dell’identità performativa e della confusione sessuale. Ma a mettersi di traverso è la creazione più radicale di Schimberg: Oswald, l’attore che assomiglia a Edward ma che ha una tale disinvoltura da rubare la scena a tutti.
Schimberg ha scritto la parte di Oswald pensando alla star di Chained for Life, Adam Pearson. Arguto, di origine britannica e affetto da neurofibromatosi, Pearson si è fatto notare da Schimberg grazie allo straordinario debutto a fianco di Scarlett Johansson nel film fantascientifico Under the Skin di Jonathan Glazer.
“Avevo sentito che le sue scene erano improvvisate, quindi non sapevo che tipo di attore fosse davvero Adam”, ricorda il regista. “Ma quando l’ho incontrato, ho scoperto subito che è molto estroverso. Si trova a suo agio ad essere al centro dell’attenzione, è incredibilmente affascinante, molto acuto, una specie di uomo del Rinascimento. E ho anche scoperto che era in grado di fare cose più complesse rispetto a Chained for Life. Così mi è venuta voglia di scrivere un ruolo che mettesse in evidenza tutto il suo repertorio, una sorta di omaggio al suo talento”.
Pearson, presentatore della BBC e attivista per la disabilità, dice di essere entrato nel mondo della recitazione quasi per scherzo, presentando la sua candidatura per il film di Glazer: “È andata tremendamente bene o tremendamente male, dipende a chi lo chiedi”, dice ridendo.
La collaborazione con Schimberg ha dato vita a un ruolo di cui è particolarmente orgoglioso. “Questo personaggio è il più simile a come sono io lontano dalle luci del bellissimo carrozzone da circo che è l’arte”. Pearson dice di Oswald: “Aaron sa come scrivere per me e sa come sono nella vita reale. È sempre un bene ampliare la propria gamma di personaggi – come attore disabile, si corre il rischio di finire a recitare sempre la stessa parte. È stata una vera gioia partecipare a questo progetto e ritrovare tutta l’allegra brigata”.
L’attore è curioso di vedere quali spunti di conversazione susciterà A Different Man. “L’identità è un argomento così profondo e ricco con cui giocare, dal punto di vista narrativo”, dice. “Chi siamo dal di fuori? E chi siamo invece dentro? E cosa succede quando questi due mondi non procedono di pari passo? Non sono un grande fan del cinema che guida il pubblico per mano. Penso che gli spettatori siano molto più intelligenti di quanto si creda e questa cosa Aaron la sfrutta al meglio”.
Schimberg descrive il suo legame con Pearson in termini particolarmente teneri e lo descrive come una persona che lo ha colpito nel profondo. “Adam ha cambiato il mio modo di vedere il mio volto sfigurato, perché io ho sempre vissuto nel timore del giudizio degli altri”, dice il regista. “Ho sempre provato un senso di vergogna. Adam invece assume il controllo di come vuole essere percepito. E questo mi ha cambiato. Senza di lui letteralmente non esisterebbe A Different Man. Se Adam non avesse voluto farlo con me, non avrei mai neanche provato a realizzarlo”.
Dice Renate Reinsve di Pearson: “Adam è davvero divertente, è molto intelligente e comunica una grande energia. Quando entra in una stanza è lui a calamitare l’attenzione, ma è anche una persona profondamente umile. Ci siamo divertiti tantissimo insieme”.
Il rapporto carico di tensione tra Guy e Oswald, una miscela instabile fatta di vicendevole riconoscimento, di risentimento e di dubbi sulle scelte del passato, ha generato un’atmosfera elettrica sul set ed è stato la chiave di volta per arrivare all’effetto che Schimberg si proponeva di creare.
“Alla fine del film, hai la sensazione che Sebastian Stan sia geloso di Adam Pearson. Lo capisci. Lo senti”, dice Schimberg. “Ed è qualcosa che non credo si sia mai visto prima”.
Solo a New York: Trucco, riprese, musica e una scena di sesso indimenticabile
Teso come una corda, senza un fotogramma fuori posto, A Different Man evoca la sensazione inquietante e vertiginosa di un incubo assurdo che diventa sempre più angosciante. Schimberg ha cercato di creare un’atmosfera senza fronzoli, leggermente straniante ma avvolgente in ogni elemento della produzione, dalla colonna sonora ricca e ossessionante del compositore Umberto Smerilli alla fotografia in Super 16 millimetri del direttore della fotografia Wyatt Garfield. Il film è stato girato in 22 giorni nel luglio del 2022 e le riprese si sono svolte esclusivamente nell’East Village, l’Upper West Side e alcune zone di Brooklyn, riuscendo a tirar fuori la bellezza più ruvida e noir di New York anche grazie alla scenografa Anna Kathleen.
Fin dall’inizio Schimberg sapeva che avrebbe girato su pellicola, come ha fatto nei suoi film precedenti. “Ti costringe a essere pieno di risorse”, dice il regista. “Ci sono registi che usano magnificamente il digitale, ma io passerei al digitale solo se avessi una ragione estetica per farlo. Il mio istinto naturale mi porta sempre a usare la pellicola. Ne capisco la meccanica e so come utilizzarla”.
Un elemento nuovo per Schimberg era l’uso importante, creativo e sfaccettato delle protesi, sia per creare il personaggio di Edward che nell’ambito dell’opera teatrale che Ingrid ha scritto su di lui. Schimberg era determinato a far sì che il trucco di Stan fosse allo stesso tempo ricco di dettagli realistici dando però al pubblico qualche indizio, per quanto sottile. Il volto di Edward doveva non solo essere convincente ma anche rivelare, in un processo lento e terrificante, le fattezze di Guy che erano nascoste sotto la superficie. E poi, quando l’Oswald di Pearson arriva in scena, anche il suo volto doveva essere un richiamo a Edward.
“Edward doveva assomigliare ad Adam in modo tale che quando lui e il pubblico vedono Adam, è chiaro a tutti che è un richiamo a sé stesso”, dice il regista. “Questo aiuta a creare l’idea che Edward sia un impostore. Si sente messo da parte da qualcuno di più reale”.
È stato un azzardo affidare al trucco gran parte dell’energia tematica del film, ma non c’era altra scelta. Ripensando ai rischi che questo poteva comportare, Schimberg ride: “Non ho mai pensato troppo a fondo a come avremmo realizzato il trucco e la produzione del film è andata così in fretta che avrebbe potuto essere un vero disastro, il progetto avrebbe potuto naufragare. Ma a fare la differenza è stato Sebastian che ha pensato di coinvolgere Mike”.
Stan ha fatto subito il nome dell’artista che ha poi realizzato i complessi design delle maschere a tempo di record: Mike Marino, due volte candidato all’Oscar® e responsabile delle magie del trucco in The Batman, Il principe cerca figlio e The Irishman.
Marino è rimasto affascinato dall’audacia del progetto. “Mi è piaciuta molto la sceneggiatura”, afferma, e poi cita The Elephant Man di David Lynch, film famoso per i grandi effetti del trucco, dicendo che è stato il primo film che ha visto. “Avevo tipo quattro anni o giù di lì”, racconta. “Quel film mi ha colpito così tanto da bambino che solo molti anni dopo ho capito che si trattava di trucco basato su una persona reale. Quando sono cresciuto, mi sono reso conto di quanto fosse bella quella persona. L’empatia per il personaggio inizia dal momento in cui lo vedi. E ho provato la stessa cosa per la storia di Sebastian e Aaron”.
Dopo aver parlato con Stan, Marino ha accettato di partecipare al progetto. E spiega: “Per me il punto di partenza doveva essere l’intensità emotiva. Nel momento in cui vedi questa persona, devi essere completamente assorbito dal suo punto di vista. E loro erano molto aperti alle idee che avevo su come avrebbe dovuto e potuto essere”.
“Mike ci ha fatto davvero un favore, lanciandosi in questo progetto”, racconta Stan, “perché in quel periodo stava girando anche La fantastica signora Maisel. C’erano spesso giorni in cui dovevo andare a casa sua alle cinque o alle sei del mattino e lui mi truccava per primo, per poi andare sull’altro set. E poi passavano ancora tre, quattro ore prima di iniziare a girare”.
Per quanto si cercasse di velocizzare, l’applicazione del trucco di Stan richiedeva diverse ore, per cui non era possibile rimuoverlo durante un’intensa giornata di riprese di 16 ore, ognuna delle quali era caratterizzata da molteplici set. Per cercare di rendere ancora più autentica la sua performance, Stan ha iniziato a girare per le strade di New York completamente truccato per sondare le reazioni degli sconosciuti. “È stato molto importante per me vivere l’esperienza di uscire per strada e sentire l’energia che si muoveva intorno a me”, dice Stan. “Mi ha aperto gli occhi in molti modi”.
L’attore è andato alla sua caffetteria abituale, dove non è stato riconosciuto e la maggior parte dei clienti ha evitato il contatto visivo. “L’unica persona che mi si è avvicinata è stata una bambina”, ricorda l’attore. “C’era una bambina che giocava con sua madre e aveva, non so, forse sei anni. Si è avvicinata e mi ha detto: “Ma cosa ti è successo?”. Poi anche la madre è venuta da me e mi ha detto: ‘Mi dispiace tanto’”.
Marino ha capito bene perché Stan voleva uscire dal set ed entrare nel mondo reale, oltre che per testare l’efficacia del make-up e delle protesi: “Gli attori sono così abituati a essere adorati che molti di loro, in base alla mia esperienza, vogliono camuffarsi con il trucco”, dice Marino. “Anche Ryan Gosling ha sempre voluto avere il naso rotto o qualcosa del genere. Mi chiamava e mi diceva: ‘Possiamo fare questo? Proviamo anche quello’. Vogliono alterare il loro aspetto, ma non solo per nascondere la bellezza, penso sia più questione di capire come ci si sente a essere normali, perché essere una star non è la normalità”.
Stan ha fatto tesoro delle diverse emozioni che ha provato andando in giro per New York nei panni di Edward, che si sono riversate in ogni aspetto della sua performance. “Sentivo l’enorme responsabilità di capire il più possibile della sua situazione. Mi creava molta ansia l’idea di fare qualcosa che fosse così distante da me”.
Nonostante ciò, e nonostante il ritmo serrato del film, ad accompagnare la produzione c’era un grande spirito cameratesco. “Eravamo tutti molto in sintonia e ci siamo divertiti molto sul set”, racconta Reinsve.
Questo sentimento di fiducia reciproca portava tutti a dare il meglio di sé. Ciò è particolarmente vero per una delle scene più calde del film, quando Guy e Ingrid fanno sesso ma lui indossa una maschera da Edward, su insistente richiesta di lei. È un momento di grande potenza che è allo stesso tempo intriso di humor nero e carico di tensione, perché la storia si fa sempre più ingarbugliata e scivola verso una spirale di confusione emotiva riguardo all’identità e alla paura.
Di quella scena Reinsve racconta: “Provo una sorta di amore e odio per la frase di Ingrid: ‘Mettiti la maschera. È una mia creazione”. È così…”. L’attrice si interrompe e ride. “Penso che in quel momento lei si trovi esattamente in bilico tra il desiderio di giustificare quello che sta facendo con lo spettacolo teatrale e quello di tornare a qualcosa di reale, di vero. Ma visto come è arrivata a trovarsi in questa situazione, non può essere sincera. Quindi si sente persa”.
Stan ricorda la scena di sesso come psicologicamente impegnativa, anche se ammette che dovrebbe sempre essere così. “Le scene di sesso sono sempre molto difficili perché si vuole arrivare a un’intimità autentica senza esagerare ma senza troppe esitazioni”, spiega. “E questa scena di sesso ha 50.000 strati, capisci? Ti fa uscire di testa se ci pensi: ‘Mi chiedi di indossare una maschera. Ma allora cos’è che vuoi veramente?”. La maschera permette a entrambi di rilassarsi per un momento prima che tutte le altre idiosincrasie si insinuino nelle loro teste”.
Persino l’autore della scena non ha colto appieno l’intensità del momento finché non l’ha visto durante le riprese con Stan e Reinsve. “Durante quella scena il set era chiuso, ma io ero sdraiato sul pavimento sotto il letto e guardavo il monitor. Quando Sebastian è sceso dal letto, mi è passato sopra. Era tutto come nel copione, ma è stato solo mentre ero lì per terra a guardare la scena che ho iniziato a pensare: ‘Certo che questa scena è pazzesca. Che diavolo sta succedendo davvero?”. Schimberg ci ha riflettuto: “Magari Ingrid sta pensando a Oswald, che ha appena visto per la prima volta, o magari sta pensando a Edward, che le manca, o magari sta pensando di fare l’amore con il personaggio della sua commedia, non è affatto chiaro a cosa sta pensando. Neanche io sono riuscito a capirlo”.
Quando gli si chiede di dare una spiegazione, Schimberg rivela l’obiettivo che si cela dietro la regia ipnotica che fa restare vivi i personaggi e le idee di A Different Man ben oltre la fine del film. “Quando si ha a che fare con questo tipo di argomenti, bisogna escogitare la strategia giusta per cogliere il pubblico di sorpresa”, dice. “È così che si sollevano domande e si stimolano conversazioni più profonde su ciò che si è appena vissuto. Ed è quello che mi piace fare con i miei film”.

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