L’appuntamento di Vincenzo Totaro

L’appuntamento (Italia, 2023)
Regia e Montaggio: Vincenzo Totaro. Soggetto e Sceneggiatura: Manuela Boccanera. Musiche: Simone Piraino. Aiuto Regia: Anna Egidio. Operatore: Luisa Totaro. Fotografo di Scena: Matteo Prencipe. Assistente: Michele Sacco. Fotografia: Pau Alatriste. Sound Edition: Richard Gremillon. Produzione: Blue Side. Produttori: Fabrizio Morgante, Elisabetta Federici. Interpreti: Antonio Del Nobile (Francesco), Manuela Boccanera (Marina), Letizia Fanizza (Lorena). Genere: Drammatico, Fantastico. Durata: 18’. Cortometraggio. Paese di Produzione: Italia, maggio 2023.

L’appuntamento è il racconto di un incontro tra ex amanti, venticinque anni dopo la fine d’una storia tra Francesco (un insegnante) e Marina (un’alunna liceale), scomparsa dal paese alla fine di una rapida indagine in merito al suicidio di Lorena (una sua compagna di scuola), pure lei innamorata del professore di lettere. Non scendo in particolari, perché il racconto comincia come storia introspettiva e ricordo d’amore, pare quasi un lungo momento onirico, quindi si sviluppa come memoria di un suicidio e successiva ricerca del responsabile di quanto accaduto. Il dialogo è un mix tra sogno e realtà, proprio per tenere sospesa l’atmosfera e il giudizio, conferma Totaro. Il regista (Totaro, anche montatore) e la sceneggiatrice (Boccanera, anche interprete femminile) introducono una presenza con la macchina fotografica, una sorta di fantasma che si sente in colpa per aver provocato la rottura tra i due amanti e insiste per farli incontrare di nuovo. Marina sogna più volte la ragazza, tanto da convincersi a tornare nella città natale. Pellicola molto teatrale con una poetica voce fuori campo, sceneggiata con dialoghi lirici e intensi, girata nel Gargano, per la precisione Foresta Umbra, nei pressi del Laghetto d’Otri e della riserva di Falascone, tra Monte Sant’Angelo e Vieste. Colonna sonora suadente tutta al pianoforte che accompagna lo scorrere dei ricordi e le suggestioni sui veleni contenuti nella foglia del tasso e sull’albero della morte, come sul luogo del primo rapporto sessuale. Bella scenografia della foresta che avvolge il sogno e i ricordi, mentre passano volpi e cantano uccellini, si snoda la trama del suicidio e del presunto amore lesbico tra le ragazze che fa scappare Marina dalla città natale. Finale suggestivo con la ragazza misteriosa che si dissolve e i due antichi amanti che si baciano. L’appuntamento fa parte di una ideale Trilogia della foresta, anche se la terza parte non è stata girata, ma nell’ultimo segmento la questione onirica sarà ancora più evidente, confida il regista. Il primo della serie è Come cadono le foglie, scritto da Antonio Del Nobile, interprete del ruolo maschile di questo cortometraggio. Il regista è convinto (giustamente) che il montaggio faccia parte della regia, quindi lo cura in prima persona, mentre la sceneggiatura è molto dialogata, valorizzata da riprese in primo piano, tra campi e controcampi. Un buon lavoro, da vedere con attenzione.

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Piove di Paolo Strippoli

Piove (Italia, 2022)
Regia: Paolo Strippoli. Soggetto e Sceneggiatura: Paolo Strippoli, Jacopo Del Giudice, Gustavo Hernandez. Fotografia: Cristiano Di Nicola. Montaggio: Marco Spoletini. Musiche: Raf Keunen. Scenografia: Nello Giorgetti. Costumi: Nicoletta Taranta. Produttori: Mattia Oddone, Joseph Rouschop, Gabriele Pacitto, Jean-Yves Roubin, Isabella Orsini. Produttori Esecutivi: Maria Alessandra Marzotto, Annick Mahnert. Case di Produzione: Propaganda Italia, Gap Busters, MEDIA, Lazio Cinema International, Wallimage, Shelter Prod, Polifemo, Ministero della Cultura (MIC). Distribuzione (Italia): Fandango.  Lingua: Italiano. Paesi di Produzione: Belgio, Italia (2022). Durata: 95’. Genere: Horror. Interpreti: Fabrizio Rongione (Thomas), Cristiana Dell’Anna (Cristina), Francesco Gheghi (Enrico), Leon de la Vallée (Gianluca), Ondina Quadri (Alice), Orso Maria Guerrini (sig. Ferrini), Elena Di Cioccio (Marta), Nicolò Galasso (Giacomo), Federigo Ceci (Leonardo), Pietro Bontempo (padre di Giacomo), Aurora Menenti (Barbara).

Piove è un film horror italiano molto originale, che si fa perdonare alcuni piccoli difetti, perché la sceneggiatura di Jacopo Del Giudice è davvero ben scritta (vince il Premio Solinas), miscela soprannaturale e realismo in dosi adeguate, tenendo lo spettatore in tensione fino all’ultima sequenza. Vediamo in breve la trama. Siamo a Roma dove due operai del comune – padre e figlio – stanno riparando un guasto all’impianto fognario, il problema è che nella capitale (quando piove) dai tombini esce una sorta di fango grigiastro che emana un vapore denso e azzurrognolo. Va da sé che non si sa da dove provenga, ma chi entra in contatto con questo vapore diventa portatore di una rabbia repressa che sfoga sulle persone più care, mettendo in luce sentimenti reconditi e paure ancestrali. La prima terribile sequenza di morte vede una resa di conti tra padre e figlio. Non vado oltre con la trama, che va assaporata in presa diretta, un puro concentrato di orrore e tensione. Film vietato in un primo tempo ai minori di anni 18, poi derubricato ai minori di anni 14, soprattutto perché presenta soltanto personaggi negativi, anche se nel finale è l’amore che trionfa, portando un soffio di speranza. Fotografia (Di Nicola) cupa e spettrale di una Roma piovosa e notturna che si alterna a gelidi pomeriggi di sole, oltre a un’intensa colorazione rosso e verde per alcuni interni che profuma di Mario Bava; montaggio sincopato di Spoletini, davvero ricco di tensione narrativa, capace di contenere in 95’ la durata della pellicola; sceneggiatura oliata alla perfezione; musiche claustrofobiche e angoscianti di Keunen, introdotte da un suggestivo brano di Sergio Endrigo che scorre sui titoli di testa; scenografia curata a dovere da Giorgetti. La regia del (per me) sconosciuto Paolo Strippoli (autore di A Classic Horror Story disponibile su Netflix) è ottima, sia come direzione di attori che come tecnica di ripresa, molte le citazioni contenute nel film, dalle soggettive alla Mario Bava e Argento, per finire con brevi inquadrature di un volto femminile che ricorda Smile e l’atmosfera inquietante dell’intera pellicola che riporta a Macchie solari di Crispino. Interpreti molto preparati, dal protagonista Fabrizio Rongione al giovane Francesco Gheghi, senza dimenticare la diligente Cristiana Dell’Anna, infine una breve apparizione di Orso Maria Guerrini ed Elena Di Cioccio nei panni di Marta. Suono in presa diretta che troppo spesso penalizza la chiarezza del dialogo. Piove è un film di genere che dimostra la vitalità del cinema italiano quando viene fatto da autori che hanno inventiva, oltre a conoscere la miglior cinematografia del passato. Il messaggio contro la violenza diffusa nelle nostre periferie è palpabile, il regista punta l’indice anche contro certi programmi televisivi pomeridiani che sono capaci soltanto di fare audience mostrando orrore e violenza. Visto su Rai 4 in Prima TV. Reperibile su Rai Play. Da vedere, se amate il cinema horror e il thriller.

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Presencias di Louis Mandoki

Presencias (Messico, 2022)
Regia: Luis Mendoki. Soggetto: Olivia Bond. Sceneggiatura: Roberto Gerardo Niño de Rivera Guerrero. Fotografia: Philip Lozano. Montaggio: Pablo Barbieri Carrera. Scenografia: Paola Garcés. Effetti Specaili: José Martinez Josh. Musiche: Camille Mandoki.  Interpreti: Alberto Ammann, Yalitza Aparicio, Gerardo Taracena, Daniel Mandoki, Fermín Martínez, Angelina Peláez, Andrea Santibañez, Marco Treviño, Leo Danse Alos, Norma Pablo.

Victor torna con sua moglie Alicia nella casa d’infanzia dove la sorella era morta annegata molti anni prima. Questo antefatto ci viene mostrato prima dei titoli di testa e subito restiamo sconvolti dalla mostruosa presenza maligna che affoga la ragazzina nel lago. Quando Victor torna sul luogo maledetto la solita orribile entità pare aggredire Alicia, che viene massacrata, mentre precipita Victor dal finestrone, che viene salvato grazie a un provvidenziale intervento medico. Victor non ricorda niente di quel che è accaduto, sa solo che deve indagare su eventi che sembrano soprannaturali, ma dalla ricostruzione finale emerge una terribile verità. Un horror messicano girato da Luis Mandoki, nativo di Città del Messico (1954), ma di origini ungheresi, che lavora sia per la cinematografia messicana sia per Hollywood. Dopo un lungo periodo di assenza – ultimo lungometraggio datato 2007 – torna al cinema con questo horror inquietante che a prima vista pare soprannaturale ma non tutto è come sembra. Vedere per credere. Le atmosfere e gli scenari riportano a Venerdì 13 ma il tema è del tutto diverso, il lago è teatro soltanto del primo omicidio, il secondo avviene in casa, mentre il terzo è prima onirico, quindi reale. Il finale a sorpresa – abbastanza deludente – dipana i dubbi dello spettatore che è portato a chiedersi: Tutto questo per questo? Il film non è certo un capolavoro, resta un dignitoso prodotto di  tensione con buoni effetti speciali (bene la presenza maligna che vivrebbe nel lago), un montaggio troppo compassato e una lunghezza eccessiva, condita da dialoghi abbastanza irritanti e da una colonna sonora fastidiosa. Fotografia cupa e inquietante. Regia esperta e puntuale, soprattutto a livello di riprese originali e di inquadrature mai scontate. Presencias è reperibile senza spese su Rai Play: https://www.raiplay.it/video/2024/11/Presencias-3fceb99c-46bd-4053-aeb6-4952. La visione è consigliata soprattutto per gli amanti del cinema horror e thriller.

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Finché morte non ci separi di Matt Bettinelli-Olpin e Tyler Gillett

Finché morte non ci separi (Usa, Canada 2019)
Regia: Matt Bettinelli-Olpin, Tyler Gillett. Soggetto e Sceneggiatura: GuyBusick e R. Christopher Murphy. Fotografia: Brett Jutkiewicz. Montaggio: Terel Gibson. Musiche: Brian Tyler. Scenografia: Andrew M. Stearn. Produttori: Bradley J. Fischer, Willem Sherak, James Vanderbilt, Tripp Vinson. Produttori Esecutivi: Daniel Bekerman, ChadVillella. Case di Produzione: Mythology Entertainment, Vinson Films. Distribuzione (Italia):Fox Searchlight Pictures. TitoloOriginale: Ready or Not. Lingua Originale: Inglese. Paese di Produzione: Stati Uniti d’America, Canada. Anno: 2019. Durata: 95’. Genere: Black comedy. Interpreti: Samara Weaving (Grace), Adam Brody (Daniel Le Domas), Mark O’ Brien (Alex Le Domas), Henry Czerny (Tony Le Domas), Andie MacDowell (Becky Le Domas), KristianBruun (Fitch Bradley), Melanie Scrofano (Emilie Le Domas-Bradley), Elyse Levesque (Charity Le Domas), Nicky Guadagni (Helene Le Domas), John Ralston (Stevens), James Vanderbilt (Le Bail, non accreditato).

Matt Bettinelli-Olpin e Tyler Gillett sono due registi californiani che lavorano quasi sempre insieme, li ricordiamo per film come La stirpe del male, Abigail e Scream (capitoli 1 e 6), specializzati in un genere che incontra gradimento solo negli Stati Uniti – l’horror comico e grottesco – visto che in Italia ci sono davvero pochi esempi, tra i migliori Tutti defunti tranne i morti di Pupi Avati. Finché morte non ci separi è ambiento alla fine degli anni Ottanta, comincia come una storia familiare, con un matrimonio poco accettato da una famiglia di stirpe nobile per sfociare in una terribile caccia alla donna, conseguenza di una tradizione di famiglia, un tremendo gioco al massacro che deve avere luogola prima notte di nozze, come una sorta di rito iniziatico. Un patto col Diavolo sta alla base di tutta la faccenda che genera un film splatter, tra schizzi di sangue e frattaglie, effetti speciali sanguinolenti, eccessi di morti esplosive e trabocchetti pensati per catturare la vittima designata. Molta suspense in un film grottesco, black-comedy allo stato puro, di produzione nordamericana e canadese ma velato da un sottile umorismo britannico che lo rende gradevole. La normalità è una concezione soggettiva, sembrano dire gli autori, perché in questa turpe famiglia di normale pare non esserci proprio niente. Sceneggiatura (GuyBusick e R. Christopher Murphy) che non dà tregua allo spettatore, certo non basata su dialoghi forbiti, ma su eventi che si susseguono rapidi, un colpo di scena dopo l’altro. Va da sé che il montaggio (Terel Gibson) sia rapido e snello e che in 95’ di pellicola si arrivi alla fine senza un briciolo di noia. Fotografia di Brett Jutkiewicz cupa e notturna, come lezione del buon horror; colonna sonora angosciante arricchita da elementi comici composta da Brian Tyler. Movimenti di macchina sincopati e convulsi, i registi usano molta macchina a mano e tante soggettive, mentre le riprese dei tentativi di uccisioni e dei macabri omicidi sono ripresi quasi sempre in primo piano. Un film che dura lo spazio di una notte convulsa e agitata con tutti i personaggi sulla scena, come fosse teatro, per una singolare caccia alla vittima da giustiziare. L’alba porta una sorpresa che non rivelo. Film rivisto grazie a Rai 4, la televisione digitale che mette in onda molto cinema horror, adesso reperibile su Rai Play. Se amate la commedia nera è il vostro film. In ogni caso ben fatto.

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Megalopolis di Francis Ford Coppola

Megalopolis (Usa, 2024)

Regia, Soggetto, Sceneggiatura: Francis Ford Coppola. Fotogtrafia: Mihai Malaimare Jr.. Montaggio: Can McLauchlin, Glen Scantlebury, Robert Schafer. Musiche: Osvaldo Golijov, Grace VanderWaal. Scenografia: Beth Mickle, Bradley Rubin. Costumi: Milena Canonero. Lingua Originale: Inglese. Paese di Produzione: Stati Uniti d’America, 2024. Durata: 138’. Genere: Fantascienza.  Produttori: Francis Ford Coppola, Michael Bederman, Fred Roos, Barry Hirsch. Case di Produzione: American Zoetrope, Lionsgate. Distribuzione (Italia): Eagle Pictures. Interpreti: Adam Driver (Cesar Catilina), Giancarlo Esposito (Franklyn Cicero), Nathalie Emmanuel (Julia Cicero), Aubrey Plaza (Wow Platinum), Shia LaBeouf (Clodio Pulcher), Jon Voight (Hamilton Crasso III), Jason Schwartzman (Jason Zanderz), Talia Shire (Constance Crasso Catilina), Grace Vander Waal (Vesta Sweetwater), Laurence Fishburne (Fundi Romaine), Kathryn Hunter (Teresa Cicero), Dustin Hoffman (Nush Berman), D. B. Sweeney (Stanley Hart), James Remar (Charles Cothope), Chloe Fineman (Clodia Pulcher), Balthazar Getty (Aram Kazanjian), Romy Mars (reporter), Haley Sims (Sunny Hope Catilina), Bailey Ives (Huey Wilkes), Sonia Ammar (Zena), Isabelle Kausman (Claudine Pulcher), Madeleine Gardella (Claudette Pulcher).

Quousque tandem, Coppola, abutere patientia nostra?, è il solo commento che viene da fare durante la visione di questa gigantesca supercazzola formato esportazione. Francis Ford Coppola resta uno dei più grandi registi di tutti i tempi, ma qui va proprio fuori dal seminato, lui che ci aveva regalato capolavori immortali come Apocalypse Now, Il padrino, L’uomo della pioggia, I ragazzi della 56esima strada, persino Dracula … A ottantacinque anni compiuti, il grande regista di Detroit perde la bussola e il rispetto dello spettatore, gira un film per se stesso – la sola cosa che voleva fare in assoluto da diversi anni -, consegna nelle nostre mani un apologo sul male che stiamo facendo al mondo in cui viviamo. Megalopolis è uno spreco di attori bravi come Adrian Driver (Catilina) e Giancarlo Esposito (Cicerone), per tacere di Nathalie Emmanuel (Julia), usati per raccontare una sorta di favola fantascientifica, ambientata in un’epoca dove un genio incompreso ha scoperto un materiale che può salvare la Terra dalla distruzione, ma viene contrastato da tutti. Coppola imbastisce un kolossal di stampo teatrale partendo da La congiura di Catilina di Gaio Sallustio Crispo, riprendendone intere parti, persino il famoso interrogativo retorico che apre l’orazione: fino a quando, Catilina, abuserai della nostra pazienza? Un film ambientato in una Nuova Roma (l’America), che cita gli eccessi di Fellini (Satyricon e il circo), il cinema peplum (Spartacus e la corsa delle bighe), Chaplin (Tempi moderni), Shakespeare (Siamo fatti della stessa sostanza dei sogni), basato sull’utopia che un mondo migliore è possibile, affermando che solo i sognatori scongiureranno il baratro. Centotrentotto minuti per centoventimilioni di dollari di budget – eccessivi entrambi  per le cose da dire – uno spreco di tempo e di risorse, tra dissolvenze a tendina e split screen d’altri tempi, fotografia cupa e musica ridondante, effetti speciali mirabolanti, scenografie sontuose. Una favola per adulti che diventa una baracconata indigesta, sceneggiata senza alcun rispetto per la logica, infarcita di dialoghi inutili, ebbri di retorica e di citazioni colte (Marc’Aurelio). Megalopolis è frutto di un quarantennale album di ritagli che Coppola compone dai tempi di Apocalypse Now, un lavoro del tutto privo di suspense e di ritmo, scritto per sostenere che se la Nuova Roma (leggi Stati Uniti d’America) cade, il mondo fa una brutta fine. Due ore e venti di luoghi comuni teatrali e apodittici che si dissolvono come una serie di stratosferiche sciocchezze una volta fuori dalla sala. Questa volta l’hai fatta grossa Francis, spero solo che non sia il tuo ultimo film…

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