Apri gli occhi di Nicola Lombardi

Il trillo si fece largo, a poco a poco, fra le nebbie informi e pastose del sogno, come una grossolana punta di trapano contro un muro che resiste ai primi cauti assalti, ma che poi, inevitabilmente, si sfalda in un vortice polveroso. Le palpebre di Vanni si sollevarono di scatto, lasciando che le pupille si colmassero di quel buio gremito di puntolini colorati di cui la stanza sembrava pullulare. Colpi ritmici e concitati riverberavano attraverso il materasso per risalire a rimbombargli nelle orecchie, come se il suo cuore fosse cucito all’interno del cuscino. Cosa lo aveva svegliato?

Tutte
le illazioni che gli erano fiorite nella testa durarono il tempo
intercorso fra l’affievolirsi di uno squillo e l’esplodere del
successivo. Nel silenzio che stagnava nella casa, quel suono
metallico, perentorio, aveva il potere di  penetrare fino in fondo
all’anima, affogandola in una paura senza nome. Il telefono? A
quell’ora? Ma del resto, che ore erano? A Vanni pareva di essersi
appena coricato, ma sapeva che la percezione del trascorrere del
tempo notturno l’aveva sempre ingannato.

Altri
squilli, insistenti. Voltò il capo verso la moglie, distesa al suo
fianco sotto due strati di coperte, quasi potesse vederla in
quell’insondabile oscurità. Meglio alzarsi, prima che Lucia si
svegliasse. Poveretta, non stava molto bene. Doveva essersi presa una
brutta influenza. Le aveva misurato la temperatura, prima di mettersi
a letto. Trentotto e quattro. Non eccessiva, per una persona di
robusta costituzione. Ma abbastanza debilitante per una donna che
sfiorava l’ottantina. Vanni era stato tentato di chiamare la
guardia medica, però Lucia stessa gli aveva detto di lasciar stare:
ci avrebbero pensato il mattino dopo, se già una buona tisana e una
notte di sonno non avessero provveduto a rimetterla in sesto.

Ma
quel telefono, maledizione!… Non accennava a placarsi. Doveva
essere qualcosa di veramente urgente.

Se
avessero avuto figli, allora avrebbe pensato senz’altro a qualche
preoccupante emergenza da parte loro; ma non avendone, proprio non
gli riuscì di immaginare chi potesse chiamarlo quando ancora non si
vedeva un solo pallido accenno di luce filtrare tra le fessure delle
tapparelle.

Di
malavoglia, facendo appello a tutte le forze che il suo corpo ossuto
poteva racimolare dopo quel brusco risveglio, Vanni spinse le gambe
fuori dalle coperte, infilò i piedi nelle pantofole – che metteva
sempre nello stesso punto, così da ritrovarle subito con geometrica
precisione, anche senza vederle – e si consegnò all’aria fredda
che gli gelò il velo di sudore fra pelle e pigiama.

Il
percorso fino alla porta era un tragitto sicuro. Otto passi (tre a
destra, ancora tre a destra, e due a sinistra). Quindi allungò la
mano, e la maniglia ripose fedele alla sua stretta. Aprì, scivolò
nel corridoio, e subito si richiuse la porta alle spalle, prima che
un nuovo trillo si infilasse nel pertugio per volare addosso a Lucia
e strapparla al sonno.

Ora
il suono era decisamente più forte, e Vanni lo sentì rimbalzare
dentro il cranio, da un lato all’altro, come una pallina di gomma.
Sbuffando, avanzò di cinque passi facendo strisciare i polpastrelli
della mano destra lungo la parete (non troppo in alto, per evitare di
colpire un quadretto posizionato esattamente a metà del percorso).
Una volta raggiunto    il salottino, lasciò che le dita
trovassero l’interruttore, schermandosi con l’altra mano gli
occhi per proteggersi dal giallore elettrico che gli piovve addosso
dal lampadario. Subito sprofondò nella sua poltrona. Accanto al
tavolino rotondo. Quello sul quale il grosso telefono grigio lo stava
chiamando. Gli squilli lo rintronavano, doveva interromperli
all’istante. Sollevò ansante la cornetta e se la portò
all’orecchio.

«Sì,
pronto…?» rantolò.

All’altro
capo udì dapprima solo un fruscio ronzante. Attese qualche istante,
poi riprovò: «Pronto? Chi è?»

Allora,
in mezzo al brusio crepitante generato da un disturbo sulla linea, si
fece strada una voce. Confusa, all’inizio. Quasi impercettibile.
L’uomo aggrottò la fronte, stringendo più forte la cornetta come
se la pressione delle dita potesse migliorare la qualità della
comunicazione.

«Vanni…
caro…
»
udì. «Sono
io…
»

Il
cuore mancò un battito. «Pronto?» disse ancora, sentendosi
inevitabilmente stupido. «Chi parla?» Una parte del suo cervello –
quella che solitamente non gli piaceva ascoltare, perché aveva quasi
sempre ragione – aveva riconosciuto quella voce. Però non era
possibile. Nella maniera più assoluta, non
era possibile
.
Per cui, rimase aggrappato con tenacia al proprio lato più
razionale, nonostante lo sentisse particolarmente fragile, a
quell’ora della notte.

Ma
il soffio freddo della paura articolò due semplici parole che la
cornetta scoccò a trafiggergli il cervello. «Sono
Lucia
».

A
quel punto Vanni si ingobbì sulla poltrona, afflosciandosi come un
sacco di sabbia gettato in un angolo. «Cosa… come…?»

Tra
le scariche elettrostatiche, la voce di donna all’altro capo
continuò a infierire, seppure con infinita dolcezza. «Sono
Lucia, amore. E sono morta. Mi dispiace. Davvero tanto, mi dispiace.
Ma ti volevo parlare un’ultima volta. Ti volevo avvisare…
»

Vanni
aprì e richiuse le labbra più volte, sentendosi immerso in un’aria
sempre più densa. Un calore innaturale aveva costretto ogni poro
della sua pelle a secernere goccioline che all’istante si
rappresero in una patina ghiacciata. La poltrona oscillava, e
ruotava. E la cornetta che gli si era incollata addosso, fra mano e
orecchio, aspettava che la sua lingua formulasse una frase, qualcosa
di pertinente, qualcosa di ragionevole. Ma la sua mente aveva smesso
di collaborare.

«Non…
non puoi… essere tu…» balbettò. «Tu sei… di là, a letto…»

La
voce (la voce di
Lucia
,
inconfondibilmente) non ebbe esitazioni: «
c’è solo il mio corpo, ma tu non ti devi fidare. Quel corpo è
morto. Io non sono più là dentro…
»

E
a quel punto accadde qualcosa che gli strappò un gemito e gli
contrasse le dita artigliate a un bracciolo della poltrona.

Un
rumore, dal corridoio. Un cigolio ben noto. La porta della camera da
letto… Si era aperta. Qualcuno stava camminando.

In
fondo, avrebbe dovuto sentirsi sollevato. Sua moglie si era
svegliata, alla fine. Non avendolo trovato al suo fianco, si era
alzata. Forse lo aveva sentito parlare, e adesso stava venendo a
controllare. Tutto normale…

Invece,
un terrore senza nome gli avvizzì l’anima.

«Non
fidarti, ti dico!
»
incalzò la voce di Lucia dalla cornetta. «Quella
che sta arrivando non sono io! Non devi guardarla! Chiudi gli occhi!
Non sono io!…
»

Vanni
provò una fitta al torace. Tutto il suo corpo pareva intorpidito.

«Chiudi
gli occhi!
»

I
passi in corridoio, lenti e strascicati, erano giunti quasi
all’altezza della porta del salotto. Presto avrebbe visto… Chi?

«Chiudi
gli occhi!
»

Un
fruscio di ciabatte, un respiro roco.

E
a quel punto l’uomo cedette alla valanga delle emozioni. Serrò gli
occhi, più forte che poté, stringendo i denti. Rimase così,
immobile, la cornetta premuta contro l’orecchio, il cuore
impazzito, un tremito diffuso a fior di pelle… finché un fruscio
segnalò l’apparizione della donna (Lucia,
doveva
essere lei!
)
sulla soglia del salotto.

Vanni
continuò a tenere le palpebre abbassate, solo vagamente consapevole
di apparire patetico agli occhi della moglie. Ma l’eco delle parole
iniettate in lui dalla voce al telefono non voleva saperne di
liberarlo, e la suggestione di quelle ultime tre parole lo teneva
prigioniero.

Passi
lenti – i passi di un corpo stanco, grosso, appesantito dagli anni –
gli si avvicinarono, e con essi anche quel respiro affaticato e
ruvido che credeva di riconoscere. Si aspettò che la moglie gli
domandasse cosa diavolo stesse mai facendo, lì, a quell’ora,
attaccato al telefono, gli occhi chiusi. Era forse sonnambulo? O era
uscito di senno?

Invece,
a poco meno di un metro da lui, la voce di Lucia gli fece rattrappire
la cute.

«Apri
gli occhi».

La
donna al telefono non esitò: «Non
farlo, ti prego! Non sono io! Io sono
morta!»

«Apri
gli occhi!» ripeté perentoria la donna che si trovava davanti a
lui, e che doveva essersi ingobbita per farsi più vicina. Avvertì
con una punta di ripugnanza l’odore del suo alito, acre di
medicinali.

«Non
guardala, non sono io!
»

Troppa
tensione. Non avrebbe potuto reggerla oltre. Doveva decidersi. L’urlo
che già da un po’ gli urgeva in gola prese corpo e forza,
gonfiandosi in lui come un grosso serpente fatto d’aria e paura.

«Apri
gli occhi!»

E
allora a Vanni sembrò di esplodere, di infrangersi contro una cometa
nera. Aprì la bocca. Uno strillo silenzioso gli graffiò le pareti
interne della gola, e mentre un sibilo dentro la sua testa saliva ad
altezze vertiginose non poté più trattenersi. Spalancò gli occhi,
e…

Tutta
la cacofonia interiore che lo aveva martoriato fino a quel momento si
dissolse all’istante, e attorno a lui fu di nuovo buio, e silenzio.

Rimase
in ascolto, i sensi elettrizzati pronti a captare il minimo stimolo,
il minimo suggerimento. E non gli volle molto per rendersi conto di
essere disteso nel proprio letto. D’istinto sporse un braccio sulla
destra, incontrando subito il corpo di sua moglie. Sospirò, e
sorrise. Un sogno. Non era stato che un orribile sogno. E che altro
mai avrebbe potuto essere?

Mentre
il cuore andava rallentando la sua corsa fece strisciare una mano
fuori dalle coperte e la portò tastoni al volto di Lucia, che
riposava su un fianco, rivolta verso di lui. Le accarezzò
amorevolmente una guancia, e lei mugolò. Forse l’aveva svegliata.
Poco male, non avrebbe faticato a riprendere sonno. Era bello
sentirla ancora lì, accanto a lui. Anche la donna, lentamente,
allungò una mano, raggiungendo con delicatezza il viso del marito.

Vanni
continuò a sorridere, nel buio, gli occhi aperti sull’oscurità. E
per non guastare quell’attimo di infinita tenerezza scacciò da sé
l’idea, davvero molto fastidiosa, che la guancia di Lucia adesso
fosse troppo fredda. E lo erano anche le sue dita, ruvide, secche,
che adesso gli scorrevano gelate lungo la gota sinistra…

Con
un fruscio di lenzuola e camicia da notte, Lucia gli si portò più
vicina, nella più totale oscurità. Produsse un rumoretto
risucchiante nel separare le labbra e muovere la lingua inaridita;
quindi sussurrò tre semplici parole: «Apri
gli occhi…
»

E il cuore dell’uomo rotolò nell’abisso.

Apri gli occhi di Nicola Lombardi