Don’t shoot the piano player, il nuovo brano psichedelico di Solo.

Lanciato in esclusiva mondiale sul magazine inglese Prog [rivista di settore pubblicata da Louder (Classic Rock, Metal Hammer)], esce su Youtube il videoclip ufficiale di “Don’t shoot the piano player (it’s all in your head)”, nuovo brano psichedelico di SOLO.

Dopo le sperimentazioni elektronische di “Stati emozionali” (lanciato in anteprima esclusiva sul magazine internazionale It’s Psychedelic Baby e trasmesso all’interno della trasmissione Battiti su Rai Radio 3), torna SOLO con un nuovo singolo che, dagli anni ’50 del precedente lavoro, lo trasporta verso la psichedelia 60’s: “Don’t shoot the piano player (it’s all in your head)”.

«Sono sempre stato un fan della psichedelia della seconda metà degli anni ’60, principalmente anglosassone: quei suoni e quelle atmosfere fuori dagli schemi mi hanno sempre affascinato. È stato del tutto naturale, quindi, scrivere un brano ispirandomi a quelle sonorità, implementando il “fattore psichedelia” aggiungendo una spazializzazione di tipo binaurale, in modo che i suoni non passassero solo da destra a sinistra (e viceversa) ma avvolgessero totalmente l’ascoltatore».

Le fonti di ispirazione per la stesura di “Don’t shoot the piano player (it’s all in your head)” sono da ricercare tanto nei Beatles di “Revolver” quanto nei Pink Floyd di “The Piper at the Gates of Dawn”, fino ai Rolling Stones della svolta psichedelica.

«La prima band a cui ho pensato, quando ho scritto “Don’t shoot the piano player (it’s all in your head)” sono stati, di sicuro, i Rolling Stones di “Their Satanic Majesties Request”, album che adoro e che, in adolescenza, ho consumato: per me il punto più alto della loro carriera, checché ne dicano i detrattori. Man mano, ho iniziato a inserire sempre più elementi psichedelici che hanno, poi, portato il lavoro verso una direzione più vicina al marasma sonoro di “Tomorrow never knows” dei Beatles, anche se la fonte di ispirazione iniziale, per quanto riguarda questo lavoro di effettistica, sono stati i tremolo sparsi all’interno del brano “Mangiafuoco”, di Edoardo Bennato».

“Don’t shoot the piano player (it’s all in your head)” prende spunto da un immaginario surreale dove, ai suoni classici, si sovrappongono effetti sonori che destabilizzano l’ascoltatore, proiettandolo in un mondo psicotico:

«A differenza di “Tomorrow never knows”, dove i suoni utilizzati dai Beatles erano dei campioni preregistrati, modificati per l’occasione, in “Don’t shoot the piano player (it’s all in your head)” ho voluto mantenere un approccio più “live”: tutti i suoni presenti nel brano sono, infatti, registrati a partire da una chitarra. Mi sono divertito a ricreare suoni peculiari, tutti diversi fra loro, utilizzando l’EBow e tutta una serie di effetti a pedale che vanno dai synth al Whammy, dai phaser al delay (mandandolo in autoscillazione), wha wha e via dicendo, utilizzandoli in maniera non necessariamente canonica, dando vita a un marasma di deliri acustici».

Il brano è totalmente registrato da SOLO, con l’ausilio di Edoardo Di Vietri dell’Hexagonlab Recording Studio per l’inserto di pianoforte, mixing e mastering:

«Oltre a voce, chitarre e basso, anche le percussioni le ho registrate da solo, in maniera alquanto peculiare, utilizzando bicchieri (l’idea l’ho rubata da “Sing this all together” dei Rolling Stones), pentole, cucchiai, scarponi e altri oggetti che mi dessero un suono percussivo. Il pianoforte, invece, è stato inserito da Edoardo Di Vietri, con cui avevo già collaborato sia con la mia band, la The Bordello Rock ‘n’ Roll Band, che su “Stati emozionali”: lui si è occupato anche di mix e mastering».

La grafica che accompagna “Don’t shoot the piano player (it’s all in your head)” è a cura di Maria Dori Calabrese, affiancata da Raffaela Ruocco per la parte digitale.

 
“DON’T SHOOT THE PIANO PLAYER” su Youtube
https://youtu.be/CbOOsU1VxX8

“DON’T SHOOT THE PIANO PLAYER” su Spotify
https://open.spotify.com/track/0JCXRSPAQnxxsz7jYtjU4D?si=ed66344cca2e4f2c

 
TESTO
Hanging in my thoughts my body’s static, I don’t make no move at all
Laying on my bed I see my shadow dancing but I still don’t move

Don’t shoot the piano player, don’t try to stop him now, he’s just a poor man trying to get some tunes
Don’t shoot the piano player, don’t waste the talent he’s got, he’s just playing but where’s the piano?
 
I wanna leave, now, or maybe just stand here with my eyes fixed on the wall
I can’t complaint ‘bout my brain that is trying to escape from my so fucked up world

Don’t shoot the piano player, don’t even try to make some noise, I want to listen to his world
Don’t shoot the piano player, don’t you see how he’s good? He can play even without piano

LINK
Spotify: https://open.spotify.com/artist/2oB1yAIwgRRR11ebkbE8wK
Youtube: https://www.youtube.com/channel/UCfizz-2lmnKumuwN7aCNsqg
Facebook: https://www.facebook.com/solopaginaufficiale/
Instagram: https://www.instagram.com/iiisoloiii/
Soundcloud: https://soundcloud.com/user-253331333
Bandcamp: https://soloofficial.bandcamp.com/releases




Voodoo, un fenomeno religioso

Vodou, vodu, voudou, vodoun, voodoo e hoodoo: questo fenomeno religioso ha molte designazioni, alcune delle quali sono linguisticamente equivalenti, mentre altre non sono corrette e gli studiosi contemporanei consigliano di evitarle. I non haitiani ad esempio usano i termini voodoo, hoodoo e vodun in senso peggiorativo e denigratorio per categorie altrettanto generiche come magia, stregoneria, incantesimo o altro che si riferisca al “lato oscuro” della religiosità africana.
Il termine voodoo ad esempio si preferisce oggi sostituirlo, come concordano sia gli accademici sia gli haitiani, con una più storicamente e foneticamente corretta forma vodou.
L’erudito francese Mederic Louis Elie Moreau de St.-Mery, vissuto a Santo Domingo tra il 1780 e il 1790, riporta di una religione “Vaudoux” le cui origini sarebbero riconducibili al “culto del serpente” presso i Dahomey.
Il termine era in realtà già comparso per la prima volta nel 1658 nella Doctrina Christiana, riportato dall’ambasciatore del re di Allada alla corte di Filippo IV di Spagna. Il testo, redatto in spagnolo e in ayizo traduce vodu come “dio”, sacra, riportando il termine in varie forme per un totale di circa 60 occorrenze. Questa testimonianza è importante perché colloca le origini del vodou nella famiglia linguistica a cui appartengono anche il fon, l’aya, il mahi e altri gruppi simili
Altri invece hanno ritenuto di poter individuare l’origine del termine in una particolare radice; secondo Bruno Gilli antropologo e missionario comboniano la cui ricerca si è focalizzata nell’area Ouatchi in Togo, la parola deriverebbe dalla radice vo di lingua ouatchi, che significa buco, apertura, fosso, cavità. “Gettare il vo” significa allontanare ogni pensiero triste e ogni presagio negativo; il vo si configura essere quindi un qualcosa di nascosto e di non detto, un segreto coperto dal più rispettoso riserbo, perché non chiaramente definibile, che ci turba senza un apparente motivo e ci fa stare in quello stato d’animo di inquietudine in cui sentiamo che qualcosa sta per accadere.
Il vo, inteso come potenza impersonale, non ha connotazione negativa, però bisogna saperlo padroneggiare: «è per questo che si procede ad abluzioni purificatorie con l’acqua contenuta nelle giare poste nei luoghi di culto o nei cortili delle case»

Il vodou è una presenza
Chi si renda colpevole, anche senza intenzione, di qualche manchevolezza, un’omissione, una dimenticanza, fino alla vera e propria profanazione e all’atto sacrilego, incorre nelle conseguenze del “disordine” che questo incidente ha provocato; il vo, che è insito in tutto ciò che esiste, allora diventa quel “potere” inafferrabile e indefinibile che può punirci o premiarci, secondo una “legge cosmica” alla quale gli uomini non possono sottrarsi, ma solo assecondare.
Il vo, anche nella sua indefinitezza, non è tuttavia qualcosa di distante e trascendente perché, ricorda il missionario antropologo, il significato simbolico e segreto di queste potenze e dei termini che li designano sono «sempre in relazione alla terra e all’uomo».

Il recinto sacro
E nella terra ci riporta l’analisi lessicale da cui si prendono le mosse, tornando al vo e alla sua traduzione in lingua ouatchi del Togo come buco, cavità, una profondità scavata. Ebbene questo significato, in apparenza incoerente o quantomeno troppo vago, assume una maggiore chiarezza se si considerano alcune locuzioni proprie della pratica del vodou come i nomi dei gradi iniziatici, alcuni dei quali sono particolarmente indicativi: “Il vodou è nella cavità”, “La cavità venera il vodou”, “La cavità è divenuta rancore” e così via.

I vodou abitano le profondità
Ancora più fuor di metafora sembra un ulteriore collegamento tra la pratica rituale e la terra scavata: ogni tempietto dedicato a un’entità vodou presenta una cavità di grandi proporzioni, che viene riempita con tutto quello che serve al vodou per “formarsi”; sulla sua sommità, unica parte dell’hudo visibile all’esterno, è posto un altare.
Il vo contiene semanticamente dunque queste due valenze, l’inafferrabile potere che pervade il mondo e un buco nella terra dove trovano dimora fisica e simbolica le entità e i loro devoti. Il termine vodou è però composto da un altro monosillabo, du, anch’esso legato alla pratica divinatoria di Afa, entità preposta alla geomanzia. I du di Afa sono piccoli oggetti che rappresentano simbolicamente ciascuno «una certa categoria del bene o del male, che sta probabilmente perseguendo la persona che si è rivolta al geomante, e che ella non conosce ancora. L’interessato tiene gli afadu nascosti nel pugno, dietro la schiena, uno ad uno, e il geomante, con l’aiuto delle figure, deve scoprirli e indicare quelli che intervengono nel caso in questione».
I du sono gli strumenti attraverso cui Afa si esprime, sono il suo mezzo per rendere noto il volere delle entità in relazione alla richiesta del consultante: il du è sia il messaggio sia il messaggero, nascosto nella cavità, una manifestazione del vo inteso come l’invisibile, il numinoso e tutto ciò che oltrepassa la conoscenza dell’uomo.




Federico Fellini e l’interesse per Castaneda

L’attrazione di Federico Fellini per il mondo soprannaturale, e per il paranormale, è ben noto: ed è anche il soggetto più o meno nascosto di alcuni suoi film, come “Giulietta degli spiriti”.
E’ per questo motivo che Fellini frequentò il misterioso sensitivo torinese Gustavo Rol, e contattò Carlos Castaneda, antropologo in origine, famoso per i suoi libri sui “brujos” messicani (stregoni, maghi, sciamani) e sugli allucinogeni: che però, avverte Castaneda, sarebbero utili solo nella fase iniziale e molto dannosi se usati sempre, secondo l’insegnamento di “don Juan”, lo stregone messicano che fu maestro di Castaneda.
Castaneda era un altro personaggio misterioso e l’intervista che diede a Medail è da considerarsi una rarità. Non esistono sue fotografie, tranne una sfocata di quando aveva vent’anni e prese la laurea, ed altre fatte per Time nelle quali però si nasconde sempre il volto, scherzando con il fotografo. I suoi libri sono pieni di cose stupefacenti, ma quanto ci sia di serio e quanto di inventato è ancora da stabilire.




L’Angelo del mattino

Si narra che Gesù Cristo, non riuscendo a scorgere sino all’orizzonte i primi raggi dell’aurora, abbia così plasmato nella creta una creatura alata in grado di volare nelle ore notturne, il pipistrello, inviandolo così traverso le tenebre sino all’aurora. All’essere ibrido il Redentore non diede il dono della vista, ma unicamente quello di trattenere nei propri occhi l’immagine, così da poter riportare da dove era partito il riflesso delle luci mattutine. In origine, dunque, il pipistrello non sembra gravato da quei connotati di negatività nei quali, ben presto, la cultura di molti popoli l’avrebbe immerso. Tuttavia, risale al medioevo l’identificazione fra il mammifero volante e Lucifero. Dalla leggenda sopra narrata si usò chiamare Satana come “l’Angelo del mattino”. Gatti neri, topi, insetti e serpenti finirono così nelle sezioni dei bestiari dedicati agli animali inferi. Su di loro il maligno ha potere assoluto. Li può muovere a piacimento, può assumere le loro sembianze. Sono gli alleati del nemico di Dio. Analizzando la tradizione della letteratura vampirica si noterà che le creature ematofaghe avevano poco o nulla a che fare con i pipistrelli. Le Lamie e le Empuse greche, ovvero quelle entità che potremmo definire proto-vampiriche erano solo in parte carnali, confinavano con il mondo degli spettri. Dovettero passare centinaia di anni perché Bram Stoker conferisse al suo Dracula la facoltà di mutarsi in qualcosa di simile a quello che spregiativamente si è soliti chiamare “topo volante”. E’ un grave errore credere che i chirotteri, quelli che comunemente volano a pochi metri dal suolo anche nel nostro paese, abbiano qualcosa a che fare con i roditori. Gli etologi spiegano che, invece, sembrano essere assai più vicini alla famiglia delle scimmie. E nella catena evolutiva, infatti, i pipistrelli sono secondi soltanto ai primati, e ciò significa che per lunghe ere le due famiglie di mammiferi si contesero il primato nel progresso verso la forma più avanzata di essere senziente. Sotto un profilo anatomico, il pipistrello ha una struttura scheletrica ben distante da quella di un roditore: le braccia e gli avambracci superiori sono quasi atrofizzati, per meglio dire interni al corpo, mentre le dita delle zampe sono smisuratamente sviluppate e membranose. Dunque, volano con quelle che tetramente potremmo considerare mani. Le zampe posteriori sono decisamente antropoidi. La ben nota forma orripilante del muso, che tanto ci muove a disgusto, potrebbe dipendere dal fatto che gli occhi sono frontali, la testa è ben definita e, con raccapriccio, non del tutto distante da quella di una scimmia. Primati e Chirotteri, dunque, nemici per lunghe stagioni biologiche. Per qualche motivo a noi non è dato di conoscere, vinsero i Primati, i quali tuttavia sembrano non aver mai dimenticato completamente i loro avversari biologici, nei confronti dei quali provano ancora una evidente paura. Una delle ultime puntate del telefilm X-files proponeva una teoria a dir poco inquietante. Se è vero che i pipistrelli avrebbero potuto, al caso piacendo, evolversi ipoteticamente quanto noi, in alcune zone inesplorate della terra ciò potrebbe effettivamente essere accaduto.




Winston Churchill e le pratiche magiche

Winston Churchill legatissimo alle pratiche magiche, alla sua corte erano interpellati i grandi Maghi del Novecento europeo.

Quel segno che il premier era solito fare e che i più lo hanno interpretato come simbolo di vittoria o come iniziali del suo nome era un simbolo massonico occulto legato alle pratiche magico-sataniche, che lui seguiva dettate dalla maga Dion Fortune (Dio e non Fortuna…) pseudonimo di Violet Mary Firth legata al milieu magico europeo, dove partecipava pure il Mago Rosso Aleister Crowley, che aveva contatti anche con generali dello Stato Maggiore tedesco, forse un doppiogiochista. Si parla solo però dell’esoterismo nazista condotto da Hitler, in realtà tutti i governanti degli stati belligeranti della seconda Guerra Mondiale usarono la magia in tutti i suoi aspetti, anche i più deleteri e occulti per combattere il nemico!