La casa nella nebbia di Alda Teodorani

La vecchia viveva sola, in una casa di campagna della pianura romagnola, vicino a Pontesanto. Una casa in mezzo al nulla. Solo una piatta distesa nebbiosa. Per questo il cadavere fu ritrovato solo parecchie settimane dopo. Il contadino raccontò che aveva sete, e si era fermato a bere al pozzo della vecchia.
“Quella là,” disse ai carabinieri sforzandosi di parlare in buon italiano, non in dialetto, “non usciva mai di casa. Ciò, l’è longa in bicicletta da Sasso a Toscanella e mi fermo sempre là a bere e magari a cambiare l’acqua ai lupini. Lei non mi ha mai detto niente, non l’ho mai vista, neppure.”
E alle domande dei carabinieri, che non sapevano cosa voleva dire cambiare l’acqua ai lupini ma erano più interessati a un’ipotesi di delitto, rispondeva: “A’ ne so, gli portavano da mangiare quelli del comune. Dicevano tutti che era una strega, o qualcosa del genere. Ma io non l’ho mica neanche mai vista.”
I carabinieri conclusero che la vecchia doveva essersi buttata nel pozzo da sola, e commentavano su quel disgraziato di Pirotti, che era stato il primo ad arrivare sul posto e aveva dovuto aiutare a tirar su la morta, già mezzo putrefatta. La vecchia non aveva parenti, e il comune di Imola aveva pagato i funerali, facendo suoi casa e podere.
E la storia parve finita.

Puoi continuare a leggere il racconto sul portale:




Il mio inferno di Luca Bonatesta

È giorno fatto.
I vostri occhi sono disturbati dalla luce, la maggior parte di voi si sta risvegliando adesso. Siete dentro un pullman. Seduti su di un morbido rivestimento di stoffa a motivi floreali azzurro e verde, le teste reclinate sui poggiatesta integrati in vinile blu oceano. Sopra i tavolinetti ci sono riviste e quotidiani e, negli spazi porta bibite, bottigliette d’acqua ormai sgassata e lattine vuote.
Il sole si alza lentamente ma inesorabilmente nel cielo color candeggina.
È estate. State viaggiando su una strada di campagna.
In fondo c’è un paesino in collina, ma ancora non lo vedete.
Una voce, che sembra venire dal conducente dietro il vetro, annuncia: “Buongiorno, signori, ben svegliati! Avete riposato bene? Come promesso, alle prime luci del mattino, ci stiamo avvicinando all’ingresso dell’Inferno.”

Ai lati della superstrada la sterpaglia brucia e diventa cenere, si innalzano grandi fuochi e il fumo si diffonde come nebbia. Ancora non vedete il paese.
La voce del conducente prosegue: “Notate gli alti falò che avvertono il visitatore dell’approssimarsi all’entrata.”
Il pullman grigio – i raggi del sole creano riverberi sulla superficie lucida del tetto – scivola nell’aria come un balenottero nell’acqua.
“Non badate agli sguardi ostili” dice il conducente. “L’Inferno non è un bel posto e la gente non è molto socievole. Ma voi, signori, non abbiate paura: viaggiate con la nostra agenzia!”
L’autocorriera si è avvicinata all’ingresso del paese, che adesso entra nel vostro campo visivo anche se è ancora distante.

Puoi continuare a leggere sul portale:

https://www.clubghost.it/portale/2019/03/30/il-mio-inferno-di-luca-bonatesta/




Le janare di Punta Licosa di Alessio Noè

Castellabate, regione del Cilento (Campania) – 30 Settembre 2018

Fa ancora molto caldo e il mare sembra più bello che mai da qui. Godo di una vista paragonabile al sublime dei grandi Romantici. C’è l’acqua con i suoi riflessi verdi, grigi, azzurri sempre più sfumati fino al taglio netto che li separa dall’orizzonte offuscato che lascia viaggiare lontano la mente, i ricordi, i sogni. Gli strappi oscuri che occhieggiano dai nembi rammentano alla mia anima degli incubi che trattengo a fatica dentro di me.

Sono seduto sulla collina vicino alla casa che fu di mia nonna e che ora non è abitata da nessuno. Proprio lì, nella vecchia cantina, ho trovato un prezioso documento che avrei fatto meglio a consegnare a uno dei musei locali dove però avrebbero potuto bollare il contenuto come una burla ai danni di una storia sacra. Sì perché il contenuto riguarda Costabile Gentilcore, colui che diede inizio alla costruzione del castello che poi ha dato il nome a questo paese, Castellabate (Castrum Abatis). Lui era l’abate e mia nonna ne è diretta – seppur lontana – discendente, almeno così si dice. Ormai è tardi e serbo con me il contenuto di quelle pagine. Si tratta di appunti scritti, riscritti, costantemente tramandati da secoli e via via adattati nel linguaggio, temo non nel contenuto. La prova tangibile è proprio accanto a me nel momento in cui scrivo.

Puoi continuare a leggere il racconto sul portale:




Il Sacco di Caleb Battiago e Paolo Di Orazio

Roma, 31 Dicembre 2018

Il Reverendo Wallace, dalla magra torre della nunziatura, che ingoia una scalinata di pietra sbavata dal tempo, osserva la notte dipingere col suo unguento nero, lucido, la pelle secca di Roma, costringendola a farsi troia, a stringere le calze a rete ai basamenti dei ponti, ad accendere le sue centinaia di cupole, quella pandemia di seni giganti, con crocefissi di bronzo inchiodati sui capezzoli, che mappa il centro: serbatoi colmi di latte santo che pendono sopra al pantheon forato del ventre della città, col suo cimitero di semafori dagli occhi arancioni spalancati, intermittenti, voraci di coprifuoco.

Puoi continuare a leggere il racconto sul portale:




Night Club di Luca Bonatesta

Un crooner effeminato canta “The
man I love”

sotto lo sguardo annoiato e distratto

di una donna che ha superato i
quaranta

e fuma una sigaretta dietro l’altra.

Nel parcheggio, dentro il
portabagagli di una chevrolet,

riposa il cadavere di un uomo
incaprettato.

Un ragazzo non ancora maggiorenne,
timido e nervoso, malsopporta lo sguardo insistente di un anziano finocchio.

Un uomo molto vecchio, magro e dalla
pelle ricoperta di rughe, la testa calva chiazzata di macchie marroni, lo
sguardo quasi cieco, consuma lentamente un piatto di vermi.

Adolescenti maschi danzano abbracciati ai cadaveri delle loro madri. Il crooner continua a cantare mentre sanguina: “E’ destino che io debba morire di questo amore”

di Luca Bonatesta

(lucabonatesta71@gmail.com)




Apprendista zombi di Andrea Brando

Si sentiva tutto intorpidito, come se avesse assunto una posizione scomoda mentre dormiva. I letti dell’ospedale non erano certo il massimo. Di malavoglia aprì gli occhi per guardare l’orologio sul comodino. Era ancora buio.
Fece per rizzarsi, ma diede una violenta capocciata contro qualcosa di duro sopra la sua testa. A stento soffocò un’imprecazione, non voleva svegliare gli altri degenti. Ma perché quella zuccata? Sopra il suo capo avrebbe dovuto esserci solo il soffitto, che era almeno a tre metri dal pavimento. Alzò le mani di qualche centimetro e scoprì una superficie ruvida, legnosa. Che diavolo era?
Si risolse infine di accendere la lampada per fare luce su quel mistero. Non ci riuscì. Ai suoi fianchi c’erano pareti legnose, come sopra la sua testa. Decise che era venuto il momento di chiamare l’infermiera; pazienza se avesse svegliato i suoi vicini di letto. Fece per cacciare un urlo, ma solo un debole rantolo gli uscì dalla gola. Riprovò, con crescente ansia, ma senza ottenere miglior successo. Oddio, adesso era anche diventato afono.

Continua a leggere sul portale a questo link:




Dono di sangue di Giorgio Borroni

Quella notte eravamo in tre nel furgone e la puzza di sudore stava pervadendo l’ambiente. Mark e Rino erano due veterani, per me, invece, era la prima volta… tuttavia con operazioni del genere non si poteva mai sapere come sarebbe andata a finire. I led delle apparecchiature sfarfallavano nel buio, mentre la radio gracchiava musica da discoteca sparata a tutto volume.
“Quanto ci mettono?”, chiesi con impazienza, ma Mark non rispose.
“Per ora si stanno divertendo, ancora non è il momento”, rispose Rino, con una nota di tristezza nella voce.
Mark scosse il capo: “Dobbiamo aspettare che la festa finisca, dobbiamo solo avere pazienza.”
“Un accidente!”, Rino si innervosì per la prima volta da quando eravamo appostati: “È di mia figlia che stiamo parlando, e ha solo 10 anni!”
Mark gli diede una pacca sulla spalla e si mise di fronte all’apparecchiatura. Cambiò canale e il rumore della discoteca venne scalzato da una semplice conversazione.
“Viria! Che bella festa, buon compleanno!”
“Grazie, Stephanie, non vedo l’ora di ricevere il regalo di papà!”

Continua sul portale a questo link:




Riscossione di Luca Bonatesta

Il bambino aveva capelli color del
grano maturo

e occhi azzurri e luminosi,

che in qualche modo facevano venire
in mente il fuoco.

Quando entrò a mezzanotte nella casa
antica,

gli altri ospiti non fecero caso a
lui.

Nessuno trovò strana la sua presenza.

Il bambino attraversò un enorme
salone illuminato, pieno di gente.

Ignorò gli uomini e le donne e passò
oltre.

Arrivò alla stanza di un uomo molto
vecchio che, dopo aver vissuto una vita lunga e intensa, stava morendo.

Il medico, l’infermiere e i parenti,
presenti nella stanza, reagirono alla presenza dell’ultimo arrivato con
indifferenza.

Il bambino si avvicinò al letto del
moribondo,

che voltò verso di lui il viso magro
e solcato da numerose rughe.

Gli occhi azzurri,

che in qualche modo facevano venire
in mente il fuoco,

si fissarono in quelli color cielo
slavato,

velati dall’approsimarsi della morte.

Il vecchio riconobbe il bambino,

ricordò un antico patto

ed esalò l’ultimo respiro.

Blond boy with azur eyes