Trap di M. Night Shyamalan

Trap (Usa, 2024)
Regia: M. Night Shyamalan. Sceneggiatura: M. Night Shyamalan. Fotografia: Sayomphu Mukdiphrom. Montaggio: Noëmi Preiswerk. Musiche: Herdís Stefánsdóttir. Scenografia: Debbie DeVilla, Brittany Morrison. Costumi: Caroline Duncan. Produttori: M. Night Shyamalan, Marc Bienstock, Ashwin Rajan. Produttore esecutivo: Steven Schneider. Case di Produzione: Warner Bros. Pictures, Blinding Edge Pictures. Distribuzione (Italia): Warner Bros. Italia. Genere: Thriller, Giallo. Anno: 2024. Paese di produzione: Usa. Durata: 106′. Interpreti: Josh Hartnett (Cooper), Ariel Donoghue (Riley), Saleka (Lady Raven), Hayley Mills (dottoressa Josephine Grant), Alison Pill (Rachel), Jonathan Langdon (Jamie), Mark Bacolcol (Spencer), Marnie McPhail (mamma di Jody), Kid Cudi (The Thinker), Russ (Parker Wayne), Marcia Bennett (Madre di Cooper), Lochlan Miller (Logan Adams), M. Night Shyamalan (Zio di Lady Raven).

Cooper è un vigile del fuoco e padre di famiglia che realizza il sogno di sua figlia Riley: portarla al concerto della sua cantante preferita Lady Raven. Il pomeriggio procede bene fino a quando Cooper nota un esagerato spiegamento di forze di polizia. Chiede spiegazioni quindi a James, un commesso addetto alle vendite allo stand dei gadget, il quale gli dice che il concerto è una trappola per catturare Il Macellaio, un serial killer che da tempo terrorizza la città con dodici vittime all’attivo. L’FBI è venuta a sapere che tale killer sarebbe stato presente al concerto. Riley comincerà a notare gli strani atteggiamenti di suo padre ma l’uomo riesce a ingannare anche sua figlia in modo abile e calcolato. In alcune scene invece appare agitato e pensieroso proponendole di andare a curiosare in giro con l’unico scopo di trovare una via di fuga dall’edificio. Riuscirà comunque nel suo intento sfruttando la passione della figlia per la popstar ed entrando in contatto diretto con quest’ultima… ma sarà l’inizio della fine per Cooper che vedrà la sua vera identità venire allo scoperto.

M. Night Shyamalan torna alla regia a un anno dal suo ultimo Bussano alla Porta (datato 2023) con questo thriller semplice ma ricco di sostanza. Senza troppi giri di parole, il regista rivela quasi subito allo spettatore chi è l’assassino nel film in quanto non vuole giocare sulla suspense come se fosse un giallo poliziesco ma bensì concentrare l’attenzione sul personaggio. Il macellaio ci apparirà più che altro come un astuto “Arsenio Lupin” capace di svignarsela e farla franca facilmente ingegnandosi come può sfruttando l’ambiente circostante e la sua capacità di interagire con le persone (risparmiandoci di mostrare i suoi omicidi con dei flashback, il che risulta positivo visto il contesto trattato). Il merito della riuscita di tale personaggio sta nell’azzeccata scelta dell’attore, tale Josh Hartnett (Halloween 20 Anni Dopo, The Faculty, Il Giardino delle Vergini Suicide, Pearl Harbor, Sin City, 30 Giorni di Buio, Oppenheimer… giusto per citarne alcuni) che ci offre una performance convincente e si cala perfettamente nei panni del pazzo omicida nonostante abbia avuto sempre ruoli da bravo ragazzo nella sua carriera. Il film è anche una scusa da parte del regista (che interpreta un cameo come zio di Lady Raven) per pubblicizzare la figlia cantante Saleka (nei panni di Lady Raven) facendola dunque debuttare nel mondo del cinema affidandole il ruolo di personaggio chiave nella parte finale del film. Il finale, che tenderà a movimentarsi con una frenetica caccia all’uomo e allo stesso tempo con un inseguimento tra gatto e topo, risulta ben coordinato e studiato grazie a una sceneggiatura solida ma non troppo impegnativa che risponderà a tutti gli interrogativi che si è fatto lo spettatore durante la visione.

Il regista questa volta abbandona il suo essere visionario offrendoci un prodotto più concreto, quasi a trattarlo come un fatto realmente accaduto. Intrattiene senza annoiare. Seppur possa sembrare a tratti prevedibile, è comunque un film valido e meritevole di visione.

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Sangue selvaggio – Incubi dal profondo West di Autori Vari

[…] Il forestiero entrò nel saloon e tutti si voltarono a guardarlo. Aveva la sabbia incollata sui vestiti e sul cappello, come se avesse viaggiato per giorni attraversando le tormente del Deserto dell’Ovest. E questo era impossibile, perché il Deserto non risparmiava nessuno; quelle dune dorate che sembravano scavalcare persino la linea dell’orizzonte per estendersi senza fine avevano ingoiato più uomini che pioggia negli ultimi mille anni. Lo sapevano tutti quelli che lì a Silent Town ci erano nati e cresciuti? […]

Sangue Selvaggio – Incubi dal profondo West edita da Weird Book nel 2018 è un’antologia che fonde il western con l’horror e il weird, un connubio perfettamente naturale se si considera il West come una terra di misteri, di morte e di incontri con l’ignoto. La raccolta, curata da Nicola Lombardi, presenta racconti firmati da alcuni dei più noti autori italiani del genere fantastico, tra cui Danilo Arona, Luigi Boccia, Stefano Di Marino, Claudio Foti, Maico Morellini, Luigi Musolino, Gianfranco Staltari e Claudio Vergnani.
Ogni racconto esplora un aspetto diverso del West, rielaborandolo in chiave gotica e sovrannaturale: territori infestati, maledizioni ancestrali, entità demoniache e incubi emergenti dalla polvere e dal sangue. La narrazione è immersiva, grazie a una scrittura evocativa che restituisce il fascino oscuro di questa frontiera mitica.
Procediamo con i racconti:
Malongo di Danilo Arona – La storia si apre con un prologo intenso ambientato durante la battaglia di Alamo, nel 1836. Fin dalle prime righe, Arona dipinge uno scenario di disperazione e follia, con i difensori texani che si trovano non solo contro l’esercito di Santa Ana, ma anche contro un’oscura presenza che aleggia nel deserto: la Soyoko, una creatura malefica legata a una leggenda Hopi. L’orrore si insinua tra le sabbie, in un crescendo di inquietudine che culmina nella morte e nella dannazione.
The Grinder di Luigi Boccia – Il racconto si apre con l’arrivo di uno straniero misterioso in un saloon di Silent Town, una cittadina sperduta ai margini del deserto. La sua comparsa desta immediatamente sospetti: è coperto di sabbia, come se avesse attraversato le tormente del deserto, un’impresa considerata impossibile. Da subito, il lettore percepisce un’aria di minaccia sospesa, una tensione che sembra pronta a esplodere.
Bad Lands di Stefano Di Marino – La storia è ambientata nel Texas del 1874, in un’area remota conosciuta come Mal Paìs, le Bad Lands, un territorio desertico e inospitale al confine con il Messico. Il protagonista, il colonnello Ray Hogan, ex ufficiale confederato ora al servizio dei Texas Ranger, guida un gruppo di uomini alla ricerca della banda di Black Bart, un brutale cacciatore di scalpi noto per la sua crudeltà.
Il lascito di Stella Caduta di Claudio Foti – stavolta invece ci troviamo a Torrey Valley, Wind River, Wyoming, il 17 giugno 1876, pochi giorni prima della celebre battaglia di Little Bighorn, un evento storico che diventa il fulcro della narrazione. Il West di Foti non è quello idealizzato, ma un luogo oscuro, dominato da forze sconosciute e creature primordiali.
L’Oro degli Olandesi di Maico Morellini – La vicenda è ambientata nel 1875, nella regione della Striscia, un territorio tra il fiume Verde e Forte McDowell in Arizona, un lembo di terra abitato sia da messicani che da Apache. Il protagonista è il dottor Abraham Thorne, un uomo di scienza che si è ritirato in quella zona franca per curare gli indigeni e insegnare loro conoscenze mediche occidentali.
Teste Vento su Levelbulls di Luigi Musolino – La narrazione segue il professor Cliff Hodgson, un accademico alla ricerca di Frank Williams, un suo giovane studente scomparso nelle Adirondack Mountains, un’area remota e selvaggia nel nord-est degli Stati Uniti. Hodgson è un uomo abituato alla razionalità e alle rigide strutture del mondo accademico, ma il suo viaggio lo porterà in un luogo dove le regole della logica non valgono più.
Uomini e bestie di Gianfranco Staltari – l’opera si apre con una tormenta di neve che avvolge Cypress Hills, un luogo già di per sé ostile e desolato. Il protagonista, Arnie Ketchum, è un taglialegna che si trova costretto a cercare riparo in una baracca degli attrezzi mentre fuori il vento ulula. Ma ben presto, il rumore del vento lascia spazio a qualcosa di molto più sinistro: grattii alla porta, guaiti e un’ombra che si muove nel buio.
La tensione cresce rapidamente quando una creatura bestiale fa irruzione nella baracca.
John Wayne di Claudio Vergnani – Il racconto si apre in un’arena high-tech, un luogo in cui gli spettatori assistono a duelli simulati con armi ad alta tecnologia, ologrammi e proiettili di gomma. Il protagonista è un uomo che si trova a osservare l’esibizione di un pistolero dall’identità inquietante: John Wayne. Ma non si tratta di un semplice attore o di un imitatore: l’uomo che si aggira nell’arena è la copia esatta del leggendario attore western, con una velocità di estrazione sovrumana e un’abilità che sfida ogni logica.
Uno degli aspetti più affascinanti di Sangue Selvaggio è il modo in cui riesce a reinventare il mito del West, allontanandosi dagli stereotipi per abbracciare una dimensione più oscura e inquietante. Non si tratta del western epico e avventuroso alla John Ford, ma di un West malato, infetto, preda di forze occulte. I cowboy qui sono uomini alla deriva, i nativi non sono solo nemici o alleati, ma custodi di segreti ancestrali, e la natura non è un semplice sfondo, ma un’entità ostile e viva.

Titolo: Sangue selvaggio – Incubi dal profondo West
Autore: AA.VV.
Editore: Weird Book
Collana: Weird Tales
Genere: Antologia
Pagine: 216
Prezzo: € 17,50
ISBN: 978-88-99507-88-6

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Elucubrazioni a buffo! di Marco Settembre

[…] Chissà quando avrebbe trovato un’altra ora libera dal suo attuale lavoro, per andarsene a cercare un altro. Quando avrebbe potuto riprovarci? Se poi qualcuno – chissà chi, ma lui lo immaginò per puro, estremo pessimismo –avesse riferito al suo principale che lui aveva cercato di trovarsi un altro impiego, quello a sua volta l’avrebbe cacciato a calci sui denti, per dimostrare di non essere da meno di altri. Beata (?) incoscienza […]

Elucubrazioni a buffo! – nuova edizione di Marco Settembre, edito come Self Publisher – è un testo dalla forte impronta umoristica e surreale, caratterizzato da una narrazione volutamente caotica e paradossale, capace di catturare il lettore attraverso l’assurdità delle situazioni.
Il racconto Visite inattese apre l’opera presentando un contesto di degrado e squallore che fa da sfondo a incontri improbabili e dialoghi grotteschi. Craig Foster, protagonista apparentemente apatico e disilluso, è affiancato da personaggi altrettanto eccentrici, come Randy Bloom, rappresentante frustrato, e Venceslao Prosdòcimi, individuo paranoico e impulsivo. Le interazioni tra questi personaggi generano un umorismo nero che mette in risalto l’assurdità della condizione umana, alternando situazioni comiche a momenti di profonda amarezza. La figura femminile di Isadora Sbletchen, creatura surreale dall’aspetto quasi fantascientifico, introduce un ulteriore elemento di follia nella trama, rendendo il racconto un susseguirsi imprevedibile di eventi. La presenza di elementi quotidiani, come il gas, il cibo bruciato e la televisione, viene enfatizzata fino al paradosso, amplificando il senso di tragicomica decadenza esistenziale.
Petunia, invece, offre una narrazione più intima e psicologicamente complessa, attraverso la storia della giovane protagonista, quasi diciassettenne, che affronta un momento di crescita e distacco doloroso. Attraverso una lettera crudele indirizzata a Mariotto. Settembre esplora temi legati alla classe sociale, all’identità e alla sottile crudeltà delle dinamiche familiari. Il linguaggio ricercato e l’uso di simboli, come i pesci rossi e il polpo, amplificano il senso di distacco e alienazione emotiva che pervade il racconto.
Ab Origine utilizza una pseudo-scienza umoristica per descrivere una civiltà immaginaria, popolata da personaggi metaforici che riflettono le ossessioni e le contraddizioni umane. L’uso satirico del linguaggio e la caratterizzazione grottesca rendono il testo provocatorio e stimolante.
Il racconto Far finta di niente affronta, invece, con ironia le paranoie e le alienazioni tipiche del mondo contemporaneo. Attraverso le vicende di Franco, Ernesto e Tania, il testo svela, con un umorismo nero e paradossale, l’assurdità delle paure quotidiane, portate all’estremo fino a trasformarsi in vere e proprie mutazioni fisiche.
La Flemma offre una riflessione amara e ironica sull’alienazione e l’isolamento della terza età. Il protagonista, Romualdo, un anziano intrappolato in una solitudine quasi kafkiana, cerca disperatamente un contatto umano che gli restituisca un senso di appartenenza.
Dandysmo Coatto è un racconto satirico-grottesco dal ritmo frenetico e volutamente disordinato, caratterizzato da un linguaggio barocco e surreale, che mescola dialetto romanesco, neologismi, citazioni colte parodiate e giochi linguistici esasperati. Al centro di questa stravaganza letteraria vi è Martino Sciolta, detto “Scapsulo”, un moderno dandy decadente ma coatto, ovvero volgare e popolare, che si impone come ospite abituale nella casa dei Crombi, una famiglia di arricchiti suburbani che aspira a un’aura di raffinatezza senza mai riuscire davvero a raggiungerla.
Femmine di Castoro è un’esplosione di conflitti, pettegolezzi e rivalità femminili ambientata in un salone di bellezza, dove ogni battuta è un colpo di fioretto e ogni personaggio rappresenta una caricatura estrema e grottesca di un certo tipo di donna dello spettacolo e dell’alta società.
T’hanno portato via si configura come un monologo interiore dal tono amaro e surreale, in cui il protagonista riflette sulla sua relazione tossica con una donna eccentrica e distruttiva. Lo stile è caratterizzato da una narrazione frammentata, con frasi spezzate, digressioni grottesche e un flusso di pensieri che si intreccia tra passato e presente.
Rito Sacrificale è un racconto di fantascienza che fonde elementi distopici e satirici, offrendo una critica feroce e ironica alla burocrazia, all’arroganza del colonialismo e alla rigidità delle gerarchie di potere, ambientata in un universo alieno pieno di assurdità formali e culturali.

Dal punto di vista stilistico, la scrittura risulta scorrevole e coinvolgente, sebbene in alcuni momenti l’uso eccessivo di dialoghi surreali rischi di attenuare l’efficacia comica iniziale. Un lettore meno avvezzo a testi ironici e destrutturati potrebbe trovare difficile immergersi nel concept e comprenderne la logica interna. Tuttavia, ciascun episodio mantiene una sua coerenza, regalando al lettore un quadro vivido delle assurdità esistenziali e delle piccole nevrosi quotidiane, trasformando il testo in una metafora satirica della condizione umana contemporanea.
L’unico vero difetto del libro è, obiettivamente, l’impaginazione e la gestione dei paragrafi, che rendono la lettura più faticosa. Al di là di questo, è un’opera particolare, adatta a chi apprezza – senza dubbio – la letteratura non convenzionale.

L’AUTORE:
il7 – Marco Settembre, laureato cum laude in Sociologia a indirizzo comunicazione con una tesi su cinema sperimentale e videoarte, accanto all’attività giornalistica da pubblicista (arte, musica, cinema) mantiene pervicacemente la sua dimensione da artistoide, come documentato negli anni dal suo impegno nella pittura (decennale), nella grafica pubblicitaria, nella videoarte, nella fotografia (fa parte delle scuderie della Galleria Gallerati). Nel 1997 è risultato tra i vincitori del concorso comunale L’Arte a Roma e perciò potè presentare una videoinstallazione post-apocalittica nei locali dell’ex mattatoio di Testaccio; da allora alcuni suoi video sono nell’archivio del MACRO di Via Reggio Emilia. Come scrittore, ha pubblicato il libro fotografico “Esterno, giorno” (Edilet, 2011), l’antologia avantpop “Elucubrazioni a buffo!” (Edilet, 2015) e “Ritorno A Locus Solus” (Le Edizioni del Collage di ‘Patafisica, 2018). Dal 2017 è Di-Rettore del Decollàge romano di ‘Patafisica. Ha pubblicato anche alcuni scritti “obliqui” nel Catalogo del Loverismo (I e II) intorno al 2011, sei racconti nell’antologia “Racconti di Traslochi ad Arte” (Associazione Traslochi ad Arte e Ilmiolibro.it, 2012), uno nell’antologia “Oltre il confine”, sul tema delle migrazioni (Prospero Editore, 2019) e un contributo saggistico su Alfred Jarry nel “13° Quaderno di ‘Patafisica”. È presente con un’anteprima del suo romanzo sperimentale Progetto NO all’interno del numero 7 della rivista italo-americana di cultura underground NIGHT Italia di Marco Fioramanti. Il fantascientifico, grottesco e cyberpunk Progetto NO, presentato da il7 già in diversi readings performativi e classificatosi 2° al concorso MArte Live sezione letteratura, nel 2010, è in corso di revisione; sarà un volume di più di 500 pagine. Collabora con la galleria Ospizio Giovani Artisti, presso cui ha partecipato a sei mostre esponendo ogni volta una sua opera fotografica a tema correlata all’episodio tratto dal suo Progetto NO che contestualmente legge nel suo rituale reading performativo delle 7 di sera, al vernissage della mostra. ll il7 ha quasi pronti altri due romanzi e una nuova antologia. Ha fatto suo il motto gramsciano “pessimismo della ragione e ottimismo della volontà”, e ha un profilo da outsider discreto!

Elucubrazioni a buffo!
Autore: Marco Settembre – il7
Editore: Self Publisher
Pagine: 151
ISBN-13: ‎ 979-8327516793
Costo: Cartaceo 16,64 €

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L’orto americano di Pupi Avati

L’orto americano di Pupi Avati (Italia, 2024)
Regia: Pupi Avati. Soggetto: Pupi Avati (romanzo L’orto americano, Solferino). Sceneggiatura: Pupi Avati, Tommaso Avati. Fotografia: Cesare Bastelli. Montaggio: Ivan Zuccon. Effetti speciali: Sergio Stivaletti. Musiche: Stefano Arnaldi. Scenografia: Biagio Fersini. Regista della Seconda Unità: Mariantonia Avati. Produttori: Antonio Avati, Gianluca Curti, Riccardo Suriano. Case di Produzione: DueA Film, Minerva Pictures, Rai Cinema, Mionistero della Cultura, Emilia Romagna Film Commission. Distribuzione (Italia): 01 Distribution. Interpreti: Filippo Scotti (il giovane scrittore), Rita Tushingham (la madre di Barbara), Robert Madison (maggiore Capland), Patrizio Pelizzi (giudice della Corte d’Assise), Romano Reggiani (il pubblico ministero), Cesare Cremonini (Ugo Oste), Massimo Bonetti (il presidente della Corte d’Assise), Andrea Roncato (maresciallo dei Carabinieri), Alessandra D’Amico (perito psichiatra), Nicola Nocella (paziente psichiatrico), Claudio Botosso (medico legale), Roberto De Francesco (Emilio Zagotto), Armando De Ceccon (Glauco Zagotto), Holly Irgen (giudice popolare), Monia Pandolfi (giudice popolare), Chiara Caselli (Doris), Luca Bagnoli (cancelliere), Morena Gentile (Arianna), Filippo Velardi (Pubblico Ministero), Francesco Colombati (psichiatra).

L’orto americano ci riporta alle atmosfere gotiche de La casa dalle finestre che ridono, girato in uno stupendo bianco e nero (fotografia del grande Cesare Bastelli), montato con la giusta suspense da un regista horror come Ivan Zuccon (107′ necessari) e accompagnato da una suggestiva colonna sonora di Stefano Arnaldi. Un film che mostra ancora una volta il tocco di Avati, tutto il suo stile, tra genere e letteratura, fantastico e minimalismo, suggestioni del passato e inquietante presente. Si parte da Bologna – città del cuore – nel 1945, in un’Italia appena uscita dalla Seconda Guerra Mondiale, un ragazzo nel negozio di un barbiere vede una giovane ausiliaria statunitense e in un solo istante se ne innamora. Scopriamo che il ragazzo parla con i morti, non ha una psicologia stabile, molti lo ritengono squilibrato e viene internato per un certo periodo in manicomio, ma è anche uno scrittore con il sogno americano e appena possibile (nel 1946) si reca nello Iowa (l’America di Pupi Avati è quella, da sempre) grazie a uno scambio di case. Il caso vuole che la sua vicina sia la madre della giovane ausiliaria che l’aveva fatto innamorare, una ragazza chiamata Barbara scomparsa nel niente, che dall’Italia non ha mai fatto ritorno. L’orto americano è quello della vicina, dove nottetempo il ragazzo si reca per scavare, dopo aver sentito le voci dei morti, e tira fuori un contenitore di vetro con i genitali di una donna e come etichetta una misteriosa iscrizione. Il giovane scrittore torna in Italia, tra Ferrara e Comacchio, per dipanare il mistero di Barbara e ritrovare almeno il corpo della giovane ausiliaria scomparsa. Il mistero ha inizio e si risolve proprio tra le lande sperdute delle Valli di Comacchio, luogo avatiano per eccellenza, dove il ragazzo partecipa come spettatore al processo a carico di un losco individuo che avrebbe trucidato tre donne, forse anche la sua Barbara. Non tutto è come sembra, il resto va apprezzato in sala, perché siamo in presenza di un vero e proprio giallo hitchcockiano ambientato tra Roma, Ferrara, Ravenna, Forlì, senza dimenticare Davenport nello Iowa, altro luogo da sempre caro al regista. L’orto americano non è cinema horror, ma ci sono tutte le suggestioni del cinema di Avati prima maniera, ricreate grazie agli effetti speciali del grande Sergio Stivaletti (le vulve, gli arti amputati, il morto nella bara che si contorce…). Un film definibile come thriller nero, angosciante e macabro, molto gotico, vicino solo al cinema dello stesso Avati, con la sua poetica del puro che possiede poteri soprannaturali incomprensibili per la gente comune. Parlare con i morti, ascoltare le voci dei morti, croce e delizia dell’esistenza del giovane scrittore, condannato a non essere creduto e a essere considerato un folle. Molto bravo Filippo Scotti nei panni del protagonista, intensa Rita Tushinghan come madre di Barbara; troviamo nel cast presenze consuete del cinema di Avati come Massimo Bonetti (il giudice) e Chiara Caselli (Doris, la padrona della pensione ferrarese), ma anche Nicola Nocella che è un paziente del manicomio. Breve cameo per Andrea Roncato come maresciallo dei Carabinieri, incredulo di fronte al racconto del giovane scrittore. Ricordiamo anche Cesare Cremonini in una piccola parte. La sceneggiatura non perde un colpo, tra lo Iowa e Comacchio, con il sottile collante dei reperti anatomici rinvenuti nella boccia di vetro, scritta dal regista e dal fratello Tommaso, partendo dal romanzo omonimo edito da Solferino. Molto azzeccata l’idea di far recitare in inglese la parte americana, sottotitolando i dialoghi, e in italiano la parte ferrarese e bolognese. Scenografie d’epoca perfette, costumi senza la minima sbavatura, le atmosfere del primo dopoguerra sono verosimili e le immagini di repertorio lasciano il posto alla finzione scenica senza soluzione di continuità. Presentato alla Mostra del Cinema di Venezia 2024 come film di chiusura, rappresenta la summa del cinema nero di Avati, con citazioni al suo passato, da Zeder a Le strelle nel fosso, per finire con La casa dalle finestre che ridono, che viene fuori con prepotenza in certe situazioni angoscianti vissute in solitudine dal giovane scrittore e da un finale che immortala un inquietante scambio di sguardi consapevoli. Un film da vedere al cinema per apprezzarne tutto il fascino.

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Nella tana dei Lupi di Jon Athan

[…] L’autista indossava una maschera da lupo mannaro in silicone, con il volto grigio e una testa di bellissimi e voluminosi capelli castano scuro che spuntavano dalla parte superiore, dai lati e dalla mascella della maschera. Le iridi azzurre e vispe si intravedevano attraverso i fori degli occhi, insieme alle zampe di gallina.
Il passeggero indossava una maschera da maiale in silicone. Sembrava realistica, il colore rosa pallido si confondeva con la carnagione del collo. […]

Nella tana dei Lupi, di Jon Athan – pseudonimo dello scrittore californiano – è il terzo libro pubblicato in Italia dalla Dark Abyss Edizioni, all’interno della collana Catherine Monvosin, dedicata alla letteratura straniera.
Si tratta di un romanzo che si colloca nel genere thriller/horror, caratterizzato da forti elementi di violenza e tematiche disturbanti. L’autore, attraverso uno stile crudo e diretto, riesce a trasmettere un senso di inquietudine crescente, immergendo il lettore in un racconto di terrore psicologico e fisico. L’opera non è destinata a un pubblico sensibile, ma si propone come un’esperienza letteraria intensa e senza compromessi per gli amanti del genere.
Il romanzo adotta una struttura ben delineata, suddivisa in capitoli che alternano momenti di tensione estrema a scene più riflessive. Il primo capitolo introduce i personaggi principali in un contesto apparentemente spensierato e adolescenziale, brutalmente interrotto dall’irruzione della violenza. Il contrasto tra normalità e orrore è uno dei punti di forza della narrazione, generando un effetto di shock ben costruito.
Il ritmo è incalzante, con scene d’azione dosate sapientemente e descrizioni minuziose che intensificano l’impatto emotivo degli eventi. La narrazione procede senza eccessive digressioni, mantenendo alta la tensione fino alla fine.
I personaggi principali, in particolare Carrie, Allie e Brooke, sono ben delineati, con una dinamica realistica che li presenta come adolescenti comuni catapultati in un incubo. I dialoghi credibili riflettono l’ingenuità e le paure tipiche della loro età, contribuendo a rendere la loro caratterizzazione autentica.
Dall’altra parte, gli antagonisti – il signor Wolf e zio Oinks – risultano particolarmente inquietanti. La loro malvagità è resa ancora più disturbante dalla maschera di falsa cordialità e dal tono quasi giocoso con cui si rivolgono alle loro vittime. Questo contrasto li rende figure memorabili e terrificanti.
Keith Klein, padre delle ragazze e poliziotto, offre un punto di vista adulto che introduce nella narrazione il dramma familiare e la disperazione di chi cerca di salvare i propri cari dall’orrore.
Il romanzo affronta tematiche estreme, tra cui rapimenti, violenza sessuale e brutalità omicida. La narrazione non si limita a sviluppare un semplice thriller, ma esplora la psicologia della paura e dell’impotenza delle vittime, creando un senso di terrore profondo.
La violenza è rappresentata in maniera esplicita, senza edulcorazioni, rendendo il romanzo difficile da digerire per chi non è abituato a contenuti così estremi. Tuttavia, per gli appassionati di horror estremo, il libro risulta efficace e memorabile.
Il finale è brutale e privo di speranza, lasciando nel lettore un forte senso di amarezza.

L’AUTORE:
Jon Athan è un autore californiano. Jon è nato il 12 settembre 1992 durante una notte di tempesta. Da bambino si divertiva a scrivere e raccontare storie spaventose. Alcune di queste storie gli hanno procurato seri problemi con gli insegnanti, ma ha resistito alle punizioni e alle sedute di terapia. Da adulto, Jon ha pubblicato oltre 100 racconti horror e diversi romanzi. È un autore prolifico di narrativa dark, noto per i suoi scioccanti romanzi horror. Tuttavia, si diletta anche con la fantascienza e il fantasy. Indipendentemente dal genere, Jon non compromette la sua visione. Il suo profondo amore per l’orrore e la narrazione lo ha portato avanti negli anni.
Oltre all’amore per l’horror e la scrittura, Jon ama i film, soprattutto quelli coreani, l’elettronica, i videogiochi e la musica. Ama anche la cultura giapponese e coreana. Nel tempo libero, scrive recensioni di film per diversi siti web e si diverte ad aiutare gli altri a raggiungere i loro obiettivi. Scrive anche libri utili per altri autori con lo pseudonimo di “Jonathan Wright”.

Nella tana dei lupi
Autore: Jon Athan
Editore: Dark Abyss
Pagine: 320
Costo: 19,00 €
ISBN: 9791280782694

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