I Faustus sono una emergente realtà modern metal svedese che ama mescolare diversi stili nel proprio sound, a partire dal djent metal come influenza primaria, per poi approdare nei territori del melodic death metal, del groove metal e anche qualche vago influsso industrial. “Memoriam” è la loro seconda fatica discografica ed è supportata da Go Loud Agency, anche se l’album esce in maniera del tutto indipendente.
Ciò che mi ha colpito in questo album è la maniacalità con cui la band ha curato ogni aspetto: l’artwork di copertina è stupendo, i brani sono davvero delle bordate di immane violenza e il sound è stato curato davvero bene. Questa band, insomma, pur essendo relativamente giovane, è riuscita a realizzare un disco che se la gioca con tanti nomi storici della frangia più estrema del metal. L’unico dubbio che potrei avere su questa formazione è la loro collocazione presso un pubblico “settoriale”. Guardando in rete ho capito che questa formazione ami definirsi death metal, ma secondo me ha pochissimo in comune con questo genere, se non la forza brutale che vagamente riporta a quel genere. Ma qui è tutto estremamente più complicato da assimilare e descrivere. Come dicevo ad inizio recensione, sono fondamentali anche altri generi che si sono fatti spazio negli ultimi 30 anni circa, e qualcuno potrebbe addirittura sentirci qualcosa di nu metal in questo “Memoriam”.
Al netto di queste classificazioni, che rimangono una costante per certi ascoltatori di metal che non vogliono spostarsi di un centimetro rispetto le loro ormai vetuste posizioni, questo è un album più che godibile e molto fresco. Questa freschezza è data proprio dal fatto che in alcuni punti potrete trovare degli spunti che rimandano a Morbid Angel o At The gates, e in altri potrete trovare molti punti di contatto con Pantera, Meshuggah, Archspire e altro ancora. Per me questo “Memoriam” è un gran bel disco e quindi non posso fare altro che consigliarvelo senza troppi indugi.
Tracklist:
1. Deprived of liberty 2. Psychogenic 3. Anhedonia 4. Existence, Death 5. The Creation of what’s called Hell 6. Architect of Ruin 7. Sleep 8. Tempus 9. Obscurity 10. From the Beginning to the End 11. XI
I September Damage giocano d’anticipo, in quanto stanno componendo materiale per un imminente nuovo album, e buttano sul mercato queste tre tracce più una outro che creano la giusta atmosfera con canzoni non troppo prolisse, ma che suscitano interesse per un songwriting affilato e per una tecnica di alto profilo. La loro base melodic death si sposa benissimo con vaghi influssi più modern-metal, grazie ai vari effetti che impreziosiscono il loro tessuto sonoro.
Quindi abbiamo una voce cattiva al punto giusto, ma non parliamo di un growl, piuttosto di harsh vocals che a volte sconfinano in qualche scream. Chitarre che spesso si staccano dalla pura essenza ritmica che il genere impone e si lasciano andare a bei fraseggi ed assoli. La batteria è sufficientemente varia e il basso la supporta a dovere. E’ interessante il fatto che i brani inizino in modo piuttosto standard, ma quasi sempre abbiano poi delle sorprese all’interno , che si esprimono con cambi di tempo o di feeling e magari, di tanto in tanto, con qualche spiraglio leggermente più tranquillo e rilassato.
“Perception Of Reality” è quindi un buon mini album, ma quattro brani per ora possono solo far presagire quello che sarà, piuttosto che quello che è. Anche perchè, come dicevo, non sono quattro vere canzoni ma tre, perchè la terza traccia, ovvero “Toxic Instrumental Vibes” dura poco più di un minuto ed è solo strumentale. In ogni caso è una band da seguire e vedere cosa saprà fare in futuro, anche perchè pare che un nuovo album sia in arrivo nel 2023.
Tracklist: 1. Invisible Soul 2. Tools or Victims 3. Toxic Instrumental Vibes 4. Memories Don’t Die
Una turista in visita a Parigi viene rapita da un misterioso psicopatico per farle fare da cavia ad un esperimento che le farà testare le più folli e tremende paure e ossessioni umane attraverso 6 cortometraggi:
DUST TO DUST: una cam girl riceve un biglietto e un mazzo di fiori da quello che sembra essere un ammiratore. Ma il biglietto non promette nulla di buono…
SAVE THE PLANET: un’ecologista difensore del pianeta punisce chi inquina con dei metodi tutti suoi…
THE COMPETITION: tre spogliarelliste entrano in conflitto tra loro per ottenere il consenso del pubblico.
MUSCLES: su consiglio del suo personal trainer, un uomo assume sostanze dannose per il suo corpo.
THE HEARTBREAKER: una ragazza, dopo tante delusioni, pare abbia trovato finalmente l’amore… Durerà questa volta?
SHOT MY SOUL: quello che sembra essere un semplice servizio fotografico si trasformerà inspiegabilmente in tragedia…
Grand Guignol, famoso teatro francese inaugurato nel 1897 e chiuso nel 1963, specializzato in spettacoli macabri e violenti torna come titolo di questo horror antologico del 2020 diretto da Davide Pesca, il quale prepara il palcoscenico allo spettatore offrendo un trionfo di violenze, body horror e un pizzico di erotismo. Ispirandosi ad atmosfere anni ’80, le mini storie sono molto variegate tra loro ma sempre con la follia e il sangue come assolute protagoniste. Gli effetti speciali molto casarecci sono un bel pugno allo stomaco grazie al loro realismo e a rendere ancora più inquietante la visione è la (quasi) totale assenza di dialoghi, l’inserimento di scene di natura morta e innesti in bianco e nero, creando quella giusta atmosfera surreale e a tratti soffocante. Tra una mini storia e l’altra si assiste a spezzoni di tortura nei confronti della turista protagonista della storia che fa da cornice al film, la cui sofferenza è ben trasmessa allo spettatore grazie a una convincente interpretazione. Il minutaggio è di soli 60 minuti ma sono abbastanza per far scioccare il pubblico.
In conclusione, Davide Pesca (dopo Suffering Bible e Dead Butterfly) si afferma ancora una volta nel panorama horror made in italy, mettendo in scena questo teatro degli orrori difficile da dimenticare. Crudo, violento, spietato, senza regole… adatto solo a stomaci di ferro!
(a cura di Marco Scognamiglio)
A Italia ’90 avevo otto anni di Claudio Bartolini
Sinossi: Questa è la storia di un amore indissolubile, inseparabile. Claudio ha otto anni e un’immensa passione per il calcio: trascorre giornate intere a leggere la Gazzetta, studiare almanacchi, collezionare figurine. Dev’essere pronto: pronto per ITALIA ’90, il mondiale dei mondiali, il suo mondiale. Lăcătuş, Francescoli, Gullit, Leighton, Völler, Maradona… E “Occhietti” Schillaci, “il Principe” Giannini, “Spiderman” Zenga. Donadoni… Il rosario di (sopran)nomi è snocciolato partita dopo partita, minuto per minuto. Poi ci sono la scaramanzia, i rituali, le pagelle, i pronostici, la condivisione con genitori, nonni, migliore amico, parrucchieri e assistenti dentisti: ognuno dice la propria e un intero Paese spinge la sua nazionale verso il più grande dei traguardi. Fino al gol gelido di Caniggia che da solo frantuma l’incanto. Trentuno anni dopo il bambino diventato uomo riapre una ferita mai sanata e cerca di suturarla attraverso un romanzo autobiografico che è insieme una cronaca ricca di aneddoti, retroscena e resoconti di quella beffarda, atroce, magnifica sconfitta; e una vera e propria bibbia per appassionati di calcio e di Nineties, ricostruzione filologica minuziosa (impreziosita da consigli di lettura e visione, illustrazioni realizzate ad hoc di alcuni dei giocatori più significativi e “pagelle” dei calciatori protagonisti) dell’intero microcosmo calcistico, storico, sociopolitico che è stato il mondiale ITALIA ’90. [Bietti, 2021, pp. 740]
Recensione:
Pubblicato nella primavera del 2021 per i tipi di Bietti, A Italia ’90 avevo otto anni di Claudio Bartolini, autore di diversi saggi sul cinema di genere thriller/horror, che qui per la prima volta si cimenta con un’opera sportiva, dal taglio prettamente autobiografico, dove con un corposo tomo di poco più di settecento pagine cerca di esorcizzare quello che è stato il suo più grande trauma sportivo della sua infanzia. Il volume in questione, è bene precisarlo, non è solo uno dei tanti saggi commemorativi sui mondiali di calcio di Italia 90, ma una vera e propria autobiografia di un’estate, quella del 1990, dove un timido bambino appassionato di calcio vive in maniera viscerale ogni singola partita della rassegna iridata, quasi come fosse la sua unica ragione di vita. Per lui oltre che notti sono delle “giornate magiche”, nelle quali rimane incollato al televisore senza perdersi una partita, in compagnia del suo amico fraterno prima e in vacanza con la sua famiglia poi, trepidando in attesa di un gol dei suoi beniamini. Il racconto, nei capitoli finali, fa un salto temporale di trent’anni: qui ritroviamo Claudio adulto e con famiglia, che rimugina sugli eventi di quell’estate e su una ferita che non si è ancora rimarginata. La ferita in questione ha un nome, Claudio Paul Caniggia: il “giustiziere” dell’Italia a quei mondiali, colui che tante notti insonni gli ha causato. Decide così, per esorcizzare il suo trauma infantile, di acquistare qualsiasi gadget in circolazione inerente a quel mondiale di calcio, creando con il passare degli anni un vero e proprio “museo” su Italia ’90. E, non contento, decide anche di scrivere un libro sull’esperienza vissuta. L’opera, oltre a narrare le vicende romanzate su quell’estate del Claudio bambino, è anche un “vademecum” dei mondiali di Italia ’90. Scorriamo così nelle oltre settecento pagine dell’opera, numerosi aneddoti oltre a resoconti dettagliati di tutte le partite, con annessi consigli di lettura e di visione per chi volesse approfondire i temi trattati nei singoli capitoli. Corredato inoltre da pregevoli illustrazioni a colori dei calciatori di quella competizione più significativi per l’autore, dulcis in fundo troviamo in appendice le pagelle personali di ogni singolo atleta che abbia preso parte alla competizione. Per i meno giovani (come me), una volta iniziata la lettura, vi ritroverete immersi in quella magica estate del 1990, che vi accompagnerà giorno dopo giorno in un lungo e intenso viaggio fino all’amaro epilogo. In conclusione A Italia ’90 avevo otto anni risulta essere principalmente una gradevole lettura di narrativa; oltre ad essere un lavoro molto personale, il testo è anche ricco di informazioni e curiosità: un vero e proprio lavoro certosino di ricostruzione filologica “day by day” degli eventi calcistici di quella rassegna iridata, per un’opera che è da considerarsi a tutti gli effetti un vero e proprio”Diario di Italia ’90”. Un vero “must have“ che non può mancare nelle librerie di tutti gli appassionati e nostalgici di quelle celeberrime “notti magiche”
Intervista a Claudio Bartolini:
Per oltre dieci anni ti sei occupato di critica cinematografica di genere thriller/horror, scrivendo diversi saggi sul tema: da dove nasce l’idea di scrivere un testo su un argomento così diverso come il calcio?
L’idea di scrivere un libro sui mondiali di Italia 90 precede il mio effettivo lavoro che per dodici/tredici anni è stato quello di scrittore di testi sul cinema. La mia passione è il calcio, da sempre, ben prima e ben più che il cinema; la mia “ossessione” è stato il mondiale di Italia 90 e, di conseguenza, avevo sempre covato questo desiderio di mettermi al lavoro su un tema a me così caro. Cosa mi aveva bloccato? Da una parte evidentemente il tempo, perchè un lavoro così richiede tempo, e dovendo parallelamente occuparmi di testi sul cinema, il mio focus andava chiaramente lì per dovere. Dall’altra parte, anche quando magari avevo delle finestre di tempo, mi bloccava il fatto che di questa materia io conoscevo tutto (o quasi) nei minimi dettagli, e quando si è così “verticali” su un argomento si ha il terrore di dovercisi misurare. Io inizialmente avevo in mente un libro che fosse di tipo analitico, specialistico: un’analisi sui mondiali di Italia 90 più enciclopedica, meno narrativa, meno romanzata, meno evocativa. Con il passare del tempo l’idea è mutata e, dopo aver concluso il mio percorso con l’editoria cinematografica, cambiando settore lavorativo, si è definitivamente sbloccata. Mi si è liberato del tempo e le energie necessarie per misurarmi con una passione così pervasiva, e a quel punto ho cambiato completamente la struttura del libro. Anche perchè. nel corso degli anni, anch’io ero cambiato e non sentivo più l’esigenza di scrivere un libro di tipo analitico, ma sentivo piuttosto l’esigenza di scrivere un libro che fosse più un racconto di formazione su questo bambino durante quel fatidico mese.
Il tuo libro è quindi una sorta di “Diario di italia 90” narrato come un romanzo di formazione, con protagonista un bambino di otto anni. Perchè da appassionato di calcio ti è rimasto così impresso quell’evento, tanto da parlare di “ossessione”, rispetto a tanti altri che hai certamente vissuto nella tua vita?
Perchè quel mondiale? Innanzitutto a quell’età si mitizza un pò tutto. Io essendo tifoso milanista da sempre, nel 1990, a otto anni, assisto alla vittoria della seconda Coppa dei Campioni consecutiva della mia squadra, scrivendo di fatto la storia di questo sport. In quel Milan giocano praticamente i calciatori migliori al mondo in ogni ruolo o quasi; essendo io un bambino fantasioso, creativo e pieno di voglia di fantasticare sulle cose reali, grazie a quella squadra di campioni si fomenta in me una grande passione per il calcio. Scopro così per la prima volta l’esistenza di una competizione chiamata “Mondiale”, con tante nazionali distanti dal visibile, perchè all’epoca questi campioni non li vedevi o li vedevi poco in tv. Ci sono intere nazioni composte da emeriti sconosciuti (URSS, Jugoslavia, Romania, Camerun ecc.), e quindi per me ogni calciatore di quelle nazionali diventava un mito, perchè non l’avevo mai visto giocare, e vedendolo in figurina me lo immaginavo come un “campionissimo”, non sapendo ovviamente quanto in realtà valeva. Il bambino che era in me, guardando queste espressioni truci e i volti granitici nelle figurine, fomenta questa passione che cresce sempre di più. La seconda ragione di questo coinvolgimento è che intorno a me in quel mese si scatena un deliro collettivo, perchè Italia 90 è il “nostro” mondiale, quello di casa, di cui parlano tutti. Per un bambino di otto anni tutto questo è un po’ come essere preso per i capelli e tirato dentro all'”ossessione”, per di più per un bambino come me, predisposto a questo genere di ossessione per il calcio. La terza ragione è che io sono sempre stato attratto dal calcio delle nazionali, dalle bandiere, da tutto questo mondo che sta attorno a un mondiale: ecco perchè Italia 90. Anche perchè crescendo, già a dodici anni, in occasione del Mondiale di Usa 94, la passione era sì ancora molto viva, ma lo vivevo come un mondiale più “distante”: infatti negli Stati Uniti si giocava talvolta a orari improponibili per un ragazzino come me. Questo coinvolgimento emotivo è andato affievolendosi negli anni, anche se in me è rimasta fortissima la passione per il calcio. Ma quel tipo di ossessione, quel tipo di “mitizzazione” e quella voglia di collezionare tutto ciò che faceva parte di un mondiale, è venuta un pò meno. Mentre italia 90, un po’ come una “bolla”, rimane lì nella mia memoria, ed è per questo che ho indirizzato il libro su quel mondiale.
A proposito della tua passione per il collezionismo e, nello specifico, su tutto ciò che riguarda quel mondiale, recentemente sono apparsi diversi articoli su alcune testate giornalistiche dove si parla della tua immensa collezione di gadget e memorabilia di vario genere, il tutto contenuto in una stanza della tua abitazione. Hai mai pensato di renderlo fruibile al pubblico allestendo una sorta di “Museo di Italia 90”?
Sì, il mio grande progetto, il mio grande sogno, sarebbe quello di trasformare la mia collezione in una “Casa-Museo”, allestendo ogni locale della casa a tema. Ad esempio in cucina ci metterei le tazzine di caffè, posate, bicchieri ecc. In bagno gli accappatoi, gli asciugamani, ecc. In lavanderia tutti i prodotti della Bio Presto. Creare proprio una casa-museo, e solo a quel punto contattare le istituzioni preposte per far sì che diventi un museo a tutti gli effetti e quindi visitabile al pubblico con i relativi orari. Questo sarebbe il mio sogno. Il percorso di avvicinamento a questo sogno è ovviamente lungo e tortuoso, però non ti nascondo che l’ambizione è quella.
L’Autore: Claudio Bartolini Nato nel 1982, è critico e redattore del settimanale di cinema «Film Tv», collabora con le riviste «Nocturno» e «Antarès». Cura rassegne e cineforum in provincia di Milano. Ha pubblicato Il gotico padano. Dialogo con Pupi Avati (Le Mani, 2010), Nero Avati. Visioni dal set (Le Mani, 2011), Thriller italiano in cento film (Le Mani, 2011), Macchie solari. Il cinema di Armando Crispino (Bloodbuster, 2013). Suoi saggi sono apparsi nei volumi The Fincher Network. Fenomenologia di David Fincher (Bietti Heterotopia, 2011), «i»L’ossessione visiva. Il cinema di Ridley Scott«/i» (Historica Edizioni, 2012), Cinema senza fine. Un viaggio cinefilo attraverso 25 film (Mimesis, 2014). Ha scritto la prefazione per Fino all’ultima goccia. Tutto il cinema dei vampiri da Dracula a True Blood (Mimesis, 2014). Dal 2014 è direttore della collana di cinema Bietti Heterotopia.
A cura di Massimiliano Ruzzante
Nati morti di Alex Visani
Luna è una appassionata di tassidermia, una passione che l’ha portata a essere asociale con una psiche distorta. Un giorno, passeggiando nel bosco in cerca di qualche animale morto da imbalsamare, si imbatte in Tony, un uomo a terra agonizzante tra la vita e la morte con una grave ferita alla gamba infieritagli da una donna prima che lui la uccidesse. Luna carica in macchina sia l’uomo che il cadavere della donna, stendendo quest’ultima (una volta arrivata a casa) su un tavolo, mentre l’uomo lo lega a una sedia medicandogli di continuo la ferita e nutrendolo. Luna scopre che Tony è uno spietato assassino e si sente spesso minacciata da lui ma presto tra i due comincerà a nascere una complicità in quanto hanno una passione in comune…sono attratti dalla morte!
Alex Visani torna alla regia nel 2021 con questo film carico di un’atmosfera soffocante e cupa e dove la tematica della morte fa da padrona dal primo fino all’ultimo fotogramma. Le quattro mura del casale isolato dove è ambientato il film fanno da teatro ad una serie di eventi inquietanti, dove perversione, tensione e tanto sangue si alternano in un modo tale da tenere lo spettatore incollato allo schermo. A dare man forte al film, oltre alle colonne sonore e alla fotografia (quest’ultima curata dallo stesso Visani) ci troviamo di fronte ad una grande performance recitativa da parte del cast, che vede Ingrid Monacelli impersonare Luna, creando un personaggio che potrebbe sembrare fragile ma in realtà nasconde una personalità oscura…personalità che salterà fuori con Tony, interpretato da Lorenzo Lepori, che le sue condizioni da “sofferente” la affascinerà a tal punto da non farsi intimidire dalle sue minacce di morte e si scopriranno fatti l’uno per l’altro, trasformando quel casale nel loro “paradiso personale” dove agire indisturbati, lasciandosi trasportare dalle loro manie senza vergognarsi l’uno dell’altro. Menzione particolare va anche al resto del cast che prevede la presenza di Ester Andriani, Corinna Coroneo e Claudio Massimo Paternò. Gli effetti speciali sono quanto un appassionato di splatter possa desiderare, realizzati con un realismo da applausi, tra l’altro Lepori e Monacelli ci regalano un momento di pura macelleria con tanto di perversione erotica da spiazzare lo spettatore. Il macabro finale fa molto pensare al Buio Omega di Joe D’Amato, con una nota di romanticismo oscuro.
Visani questa volta ha spinto di brutto l’acceleratore, portando la lancetta dell’horror al massimo e regalando uno spettacolo difficile da dimenticare. Pluripremiato a diversi festival, il film sta attraversando l’oceano per approdare negli USA, un grande trionfo per l’horror made in Italy che merita tutta la visibilità possibile…specialmente quando si sfornano perle simili dietro le quali si intuisce un forte lavoro di squadra. Destinato a diventare un cult della filmografia nostrana e non solo. Che altro aggiungere…CHAPEAU!