Nella verde gola delle Lupe di Lucrezia Pei e Ornella Soncini

[…]Il sole è prossimo all’orizzonte. Il branco si ritira nel cuore della selva, dove la luce fatica ad arrivare. […]

Nella verde gola delle Lupe di Lucrezia Pei e Ornella Soncini è una delle ultime tre pubblicazioni di Mosca Bianca Edizioni. Premetto che questa lettura non è adatta a tutti: la complessità dello stile scelto dalle autrici, coerente con l’epoca in cui è ambientata, potrebbe non essere di facile approccio per ogni lettore.
L’opera si apre con un utile glossario dei personaggi, che ho apprezzato particolarmente per la sua funzione nel tenere traccia dei numerosi nomi. Un ringraziamento alle autrici per questa accortezza.
La storia è ambientata nella profondità di una foresta, dove aleggia la leggenda di una santa che uccise un grande lupo nero. In questo luogo, vive una comunità matriarcale di donne forti e indipendenti. Una di loro, Ana, è segnata, un po’ come tutte le donne, dalla Grande Ingiustizia – un concetto chiave spiegato nel corso del racconto – e non ha mai oltrepassato i confini del bosco. Sa solo che ogni estate le donne si riuniscono ai limiti della selva e quando tornano, dopo poco sono incinte.
Pei e Soncini ci offrono una distopia storica dai toni cupi e a tratti horror. Il loro mondo è uno spazio in cui la linea tra uomo e bestia si confonde, e le bambine sono considerate il tesoro più prezioso. L’allegoria è potente e rappresenta un avvertimento sui limiti umani. In alcuni momenti, è l’uomo a essere la bestia; in altri, sono le donne a trasformarsi in un branco feroce, pronte a difendersi. Il messaggio è chiaro: tutto può essere distorto a seconda dello sguardo con cui lo si osserva.
Le sfumature folkloristiche sono tra gli aspetti che ho maggiormente apprezzato. Queste donne possono apparire come una ribelle congregazione religiosa o, agli occhi degli estranei, una coven di streghe. È come ascoltare la stessa campana, ma con orecchie diverse.
L’opera scava profondamente nell’anima, esplorando temi come l’identità, il corpo e il desiderio di libertà. Le illustrazioni di Marco Calvi, simili a vetrate antiche, riflettono con grande efficacia le emozioni dei personaggi e accompagnano il lettore in questo viaggio con maestria. Le ho trovate particolarmente pregevoli.
Se da un lato lo stile ricercato potrebbe limitare il pubblico, dall’altro il vero punto debole del racconto è la presenza di troppi personaggi e temi che, per quanto affascinanti, avrebbero il potenziale per essere sviluppati in un’opera molto più ampia.

GLI AUTORI
Lucrezia Pei e Ornella Soncini si sono incontrate grazie al comune amore per il Rinascimento. Specializzatesi nella formazione editoriale, correggono, traducono e raccontano libri, tra gli altri per Safarà Editore. Devote al fantastico, nelle loro storie esplorano l’universo femminile, le questioni di genere e il rapporto col mondo naturale. È possibile leggerle su riviste letterarie online (tra cui «Kobo», «Altri Animali», «Spore», «micorrize»), sulla tavola periodica di Leonardo Luccone e in antologie edite (Moscabianca Edizioni, Il Saggiatore, Edizioni Arcoiris, Pidgin Edizioni). Alcuni loro racconti sono arrivati finalisti o sul podio dei premi InediTo e Zeno, di cui ora sono giurate. Hanno esordito all’estero sulla rivista cartacea statunitense «The Shoutflower» con una storia legata a Nella verde gola
delle lupe. Augurano a chiunque leggerà questa novella di accogliere il selvatico.
Marco Calvi è un illustratore freelance che vive e lavora a Milano. Nato il 23 agosto 1989, ha frequentato il Liceo Artistico Statale di Brera e poi l’Accademia di Belle Arti di Brera. Si è specializzato in Illustrazione all Scuola d’Arte applicata del Castello Sforzesco. Oggi collabora con diverse case editrici italiane tra cui ABEditore, Moscabianca Edizioni e Nativi Digitali edizioni, oltre che con la galleria d’arte Imperfecta di Oregon City e molte imprese artigianali in tutta Italia.

Nella Verde gola delle Lupe
Autore: Lucrezia Pei & Ornella Soncini
Illustrazioni: Marco Calvi
Editore: Mosca Bianca Edizioni
Collana: Cuspidi
Pagine: 96
ISBN: ‎ 978-883-198-259-7
Costo: 12€ – brossurata

Nella verde gola della lupe di Lucrezia Pei e Ornella Soncini

Ornella Soncini
Ornella Soncini

Lucrezia Pei
Lucrezia Pei

Tutti i diritti riservati ⓒ per immagini e testi agli aventi diritto.




Settimo figlio di un settimo figlio di Marco Barbarisi

[…]E
come altre mille volte aveva fatto, contò le sette sorelle delle
Pleiadi, si immerse nella loro nebulosità blu, posando poi lo
sguardo sull’occhio rosso del Toro che, poco distante, cinto dal
triangolo delle Iadi dominava il cielo.
[…]

Settimo
figlio di un settimo figlio

di Marco
Barbarisi

è un romanzo d’esordio pubblicato nel 2024 dalla Edizioni
Il Saggio
.

Il libro inizia con l’introduzione da parte dell’autore, che ci presenta la genesi del romanzo. Ci racconta di due speciali regali ottenuti durante il natale del 2017:  Racconti del terrore di Edgar Allan Poe, l’edizione Oscar classici della Mondadori e Seventh Son of a Seventh Son, il settimo album in studio del gruppo musicale britannico Iron Maiden.

Con
queste premesse, sono partito con grande fiducia avendo toccato due
passioni.

La
trama ruota attorno alla leggenda del settimo figlio di un settimo
figlio, che secondo il folklore possiede poteri mistici come la
chiaroveggenza. Il protagonista, Edward, è proprio il settimo figlio
di un uomo anch’egli settimo figlio. La storia esplora il peso di
questa eredità e le superstizioni che la circondano, con Edward che
si trova a fare sogni premonitori e a vivere visioni del futuro, un
potere che lo spaventa e lo isola dagli altri.

Il
tema del destino è centrale: sin dall’inizio, Edward e la sua
famiglia sono tormentati dalle dicerie e dalle paure legate alla sua
nascita. La leggenda diventa sempre più concreta quando le sue
visioni iniziano a manifestarsi nella realtà. Edward è diviso tra
la sua razionalità e la crescente consapevolezza delle sue doti
sovrannaturali, che sembrano condizionare il suo futuro, guidato da
forze più grandi di lui. Questo conflitto interiore lo porta a
dubitare della propria sanità mentale, mentre eventi tragici
sembrano confermare le paure legate alla sua discendenza.

Non
rivelerò il finale, poiché reputo che quest’opera meriti di essere
letta e assaporata con calma, per gustare appieno la narrazione
descrittiva di Barbarisi.
Tra i temi trattati, spiccano la psicologia della paura e
l’esplorazione delle ragioni per cui gli esseri umani si aggrappano
alle superstizioni e temono l’ignoto.

Altro
elemento focale è il rapporto tra l’uomo
e l’universo
:
una riflessione sulla condizione umana e sul nostro posto nel cosmo.
La piccolezza dell’uomo di fronte alla vastità dell’universo, il
conflitto tra ragione e superstizione, e la paura dell’ignoto sono
temi centrali. Lo stile narrativo è cupo e atmosferico, con una
forte componente gotica. Barbarisi
utilizza un linguaggio ricco di immagini suggestive e descrizioni
dettagliate, creando un’atmosfera di suspense e inquietudine. La
narrazione, lenta e meditativa, si concentra sull’interiorità dei
personaggi e sulle loro angosce.

Il
finale è perfettamente coerente con il lavoro che l’autore ha
costruito fino a quel punto: una conclusione che chiude un viaggio
nell’abisso della follia e del mistero, immergendoci in un mondo
oscuro e inquietante. Barbarisi
ci presenta un protagonista enigmatico e affascinante, spingendoci a
riflettere sui temi della solitudine, del male e del destino. L’unico
appunto che mi permetto di fare riguarda, talvolta, l’eccessiva
lentezza di alcune scene, a causa di descrizioni molto dettagliate
che potrebbero essere snellite.

In
conclusione, questo romanzo segna un debutto interessante per un
autore giovane, che dimostra di avere una visione narrativa ben
delineata e il potenziale per raggiungere altezze sempre maggiori.

L’AUTORE

Marco
Barbarisi, autore di 19 anni, vive a Montonoro in provincia di
Avellino. Ha frequentato il liceo scientifico P-S-Mancini ed è
iscritto alla facoltà di Chimica. Nonostante

Settimo
figlio di un settimo figlio

Autore:
Marco Barbarisi

Editore:
Edizioni Il Saggio

Collana:
Geco

Pagine:
234

EAN:
9788893605007

Costo: 15,00 € cartaceo

Settimo figlio di un settimo figlio di Marco Barbarisi

Tutti i diritti riservati ⓒ per immagini e testi agli aventi diritto.




Il vampiro e altre novelle di A. K. Tolstoy

[…]Il sole era calato quando Georges tornò a casa, pallido come la morte e con i capelli ritti. Sedette presso il focolare e mi sembrò che battesse i denti. Nessuno osò fargli domande. […]

Il Vampiro e altre novelle gotiche di A.K. Tolstoj, tradotto da Marco Battaglia per la Nero Press Edizioni. L’editing alla traduzione è di Simona Focetola mentre il progetto grafico e copertina sono realizzate da Laura Platamone.
L’opera è un’affascinante raccolta di racconti gotici che esplora il mito dei vampiri attraverso l’influenza del folklore slavo e della narrativa romantica dell’Europa occidentale.
La prefazione di Battaglia è ben strutturata e informativa. Spiega il contesto in cui Tolstoj scrisse queste novelle e ne evidenzia l’importanza per la letteratura gotica russa del XIX secolo. È apprezzabile l’attenzione data alle influenze letterarie e storiche che hanno plasmato l’opera di Tolstoj, come la connessione tra il folklore slavo e i temi del vampirismo e dei revenant.
Dal punto di vista editoriale, la traduzione è scorrevole e ben curata, riuscendo a mantenere il fascino arcano e a trasportare il lettore nel clima opprimente e misterioso dei racconti gotici ottocenteschi.
Le note sono estremamente utili per chi desidera comprendere a fondo il contesto culturale e letterario dell’epoca. Il testo contiene anche riferimenti a studi accademici e fonti secondarie, il che lo rende un lavoro non solo di traduzione ma anche di critica letteraria. L’apparato critico è solido e ben documentato, con una bibliografia che dimostra un approccio metodico e accurato nello studio delle fonti.
La raccolta, che include racconti come La famiglia del vurdalak, Appuntamento tra trecento anni, Il vampiro e Amena, riesce a unire tradizioni narrative differenti: il gotico inglese e il folklore russo. Tolstoj è noto per il suo stile intriso di suggestioni letterarie e folcloristiche che dialogano con il soprannaturale. Il vampiro, nelle sue storie, emerge come una figura inquietante e tragica, legata al sangue e alle antiche maledizioni familiari.
In termini di struttura, la raccolta è bilanciata, con una progressione graduale tra racconti che esplorano temi simili, ma da angolazioni diverse. La storia de La famiglia del vurdalak, con il suo orrore sottile e il lento disvelarsi dell’orrore vampirico, è uno dei punti più alti dell’opera. Allo stesso tempo, le altre novelle offrono uno spaccato diverso della poetica di Tolstoj, tra amori impossibili e incontri sovrannaturali.
In conclusione, la raccolta rappresenta un’ottima introduzione al gotico russo e a Tolstoj come un pioniere del genere. La traduzione e l’apparato critico arricchiscono il testo, rendendolo accessibile a un pubblico contemporaneo senza perdere la sua complessità e profondità originale.

GLI AUTORI
Il conte Aleksej Konstantinovič Tolstoj (San Pietroburgo, 1817 – Krasnyj Rog, 1875) fu poeta, romanziere, drammaturgo e autore satirico. In vita, la sua fama letteraria fu legata in particolare alle opere di carattere storico, come il romanzo Il principe Serebrjanyj (1862), ambientato nella Russia del XVI secolo e che ottenne un grande successo di pubblico, e la trilogia teatrale La morte di Ivan il Terribile (1865), Zar Fëdor Ioannovič (1868) e Zar Boris (1870). Divenne celebre anche per le sue poesie e ballate. Vengono qui raccolte per la prima volta in traduzione italiana tutte le sue opere giovanili di genere gotico, scritte tra il 1839 e il 1846.

Marco Battaglia, nato nel 1985, si è laureato in Giurisprudenza a Trento, in Traduzione a Londra e in Lingue e culture europee a Groningen. È esperto di cultura e letteratura russa ed è traduttore professionista dall’inglese, dal russo e dal francese, oltre che docente a livello universitario.

Il vampiro e altre novelle gotiche

A. K. Tolstoy

Tutti i diritti riservati ⓒ per immagini e testi agli aventi diritto.




I primi cento di Guglielmino, Scali e Costarelli

Si
chiama Damien Donovan, fa l’investigatore dell’occulto, vive a
New York, negli anni ottanta e ha un certo appeal verso le donne che
lo adorano.

È
biondo, fisicamente prestante, sensibile, vegetariano, astemio.

Il suo assistente assomiglia a un noto attore comico e ha, per amico, un bonario ispettore di polizia di mezza età che lo consulta per alcuni casi.

Fatte
le debite differenze, vi ricorda qualcuno? Avete bisogno di qualche
altro suggerimento?

È
dotato della Scuroveggenza, sorta di intuito sovrannaturale. Ha uno
stuolo di fan che cerca di invadere la sua privacy. Ha risolto molti
casi ma tanti dicono che, dopo i primi cento casi risolti, si sia un
po’ infiacchito.

Dai,
che avete capito!

Questa
storia a fumetti, ambientata “A New York, da qualche parte”, come
recita la didascalia iniziale, incomincia al Damien Donovan Horror
Club dove si svolge un un raduno dei fan del detective dell’occulto
a cui è stata anche dedicata una serie a fumetti che ne racconta le
gesta.

Alcuni
dei presenti sono travestiti da Damien Donovan, altri dai suoi
nemici, o vari comprimari. Sembra di assistere a un raduno di
cosplayer.

Durante
l’incontro i fan guardano un programma alla David Letterman Show in
cui viene intervistato Damien Donovan in persona davanti a un
pubblico in delirio composto in maggior parte da esseri di sesso
femminile che dichiarano il loro amore e gli chiedono di sposarlo.

Quindi
il fumetto procede alternando sequenze della video intervista ad
altre in cui i fan commentano: alcuni sostengono che i primi cento
casi sono i più interessanti, altri affermano il valore dei casi
successivi. C’è chi dice che si è venduto, commercializzato, chi
invece lo difende.

Conclusasi
la riunione e la trasmissione televisiva, la storia racconta una
serie di omicidi: in giro c’è un serial killer che uccide le sue
vittime ricalcando quello che facevano i nemici di Damien.

Lo stile di scrittura di Guglielmino e Scali, in particolare nelle sequenze degli omicidi (fa venire in mente subito le sceneggiature di Tiziano Sclavi e Claudio Chiaverotti) è impostato sul modello bonelliano classico delle sei vignette/tre strisce per tavola. Ma gli autori si concedono anche alcune difformità dalla griglia classica che ricordano le sperimentazioni del Dylan Dog degli ultimi dieci anni. Ad esempio a pagina 13 vedo una splash page in cui il proprietario della sede del Damien Donovan Horror Club, inquadrato frontalmente e per intero, dà il benvenuto a tutti gli altri fan convenuti al raduno, ripresi di spalle. Oppure, a pagina 81, vedo una splash page con protagonista Damien che scende delle scale, il cui movimento è raffigurato disegnandolo nelle varie posizioni che occupa nello spazio e con, sullo sfondo, in sovraesposizione, i visi del serial killer e della sua vittima. Anche da Dylan Dog vengono l’utilizzo occasionali di voci narranti in didascalia e i momenti di surrealismo.

Lo
stile di disegno di Costarelli è anche esso classico e
sfrutta adeguatamente la plasticità delle forme. Le vibrazioni del
tratteggio incisivo producono un felice chiaroscuro che dà la giusta
atmosfera alle vicende narrate.

La
New York in cui è ambientato I primi cento, non è la vera
metropoli, ma piuttosto un luogo della mente, edificato prendendo e
manipolando cinema, fumetto e serie televisive degli anni ottanta,
non solo horror, che hanno influenzato gli autori per realizzare
l’intero fumetto.

Non
vi racconto altro perché dovete godervela dalla prima all’ultima
pagina questa storia a fumetti in quanto I primi cento è un
davvero avvincente, divertente e ben realizzato.

Ma
non solo: ha un forte valore metaforico e metafumettistico. Racconta,
sorta di saggio in forma di nona arte, la storia del personaggio a
fumetti Dylan Dog, il rapporto con i suoi lettori, la loro passione e
la loro ingenuità, e l’impatto che ha avuto questo fumetto a
livello sociologico.

Infatti
nell’introduzione Guglielmino cita, come fonte di
ispirazione l’Alan Moore di Watchmen, la famosa miniserie di
supereroi e sui supereroi, anche se poi modestamente, dichiara che
non vuole paragonarsi a lui.

Questo
fumetto risponde alla domanda: che cosa succederebbe se gli autori di
Dylan Dog potessero giocare con gli stereotipi di questa serie
bonelliana in particolare e della nona arte in generale ispirando
sane riflessioni e divertendo i lettori al tempo stesso?

Ecco
la risposta: I primi cento.

Lo consiglio non solo a chi ama o ha amato Dylan Dog ma anche a tutti gli appassionati di fumetto.

GLI
AUTORI

Andrea
Guglielmino e Marco Scali sono già autori
per Bugs Comics (Samuel Stern), Emmetre Edizioni (Garibaldi
Vs. Zombies
), Shockdom (Helen Bristol), Inkiostro e
Passenger Press. Andrea Guglielmino è anche autore di
saggi di antropologia del cinema (Antropocinema ha vinto il
premio Domenico Meccoli nel 2015), Marco Scali è
invece esperto sceneggiatore di cortometraggi.

Luciano Costarelli è attivo già dagli anni ’90 come colorista per Il Corriere dei Piccoli. La sua attività è poi proseguita tra fumetto (Masters Edizioni, Star Comics, Fenix, Forte Editore), illustrazione (Mondo TV HE, RCS Quotidiani) e pubblicità per diverse agenzie milanesi. Oggi collabora con Cronaca di Topolinia, Edizioni Inkiostro, Bugs Comics, Priuli & Verlucca.

I
primi cento

Testi: Andea Guglielmino e Marco Scali

Disegni:
Luciano Costarelli

Editore:
Weird Book

Codice
ASIN: B0CZGS384W

Pag.
108

Prezzzo: 17 €

 I primi cento di Guglielmino, Scala e Costarelli

I primo cento 1

I primi cento 2

I primi cento 3

I primi cento 4

I primi cento 5

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Il dio serpente di Piero Vivarelli

Il
dio serpente (Italia,
1970)

Regia:
Piero Vivarelli. Soggetto: Piero Vivarelli. Sceneggiatura: Ottavio
Alessi, Piero Vivarelli. Fotografia: Benito Frattari, Francesco
Alessi. Montaggio: Carlo Reali. Musiche: Augusto Martelli.
Scenografia: Giuseppe Aldrovandi. Costumi: Maria Pia Lo Savio.
Trucco: Orietta Melaranci. Produttore: Alfredo Bini. Casa di
Produzione: Finarco. Durata: 94’. Genere: Esotico-erotico.
Interpreti: Nadia Cassini (Paola) – doppiata da Ludovica modugno,
Beryl Cunningham (Stella), Galeazzo Benti (Bernard), Sergio Tramonti
(Tony), Evaristo Marquez (Dio Serpente), Claudio Trionfi, Juana
Sobreda.

Il dio serpente è un film che è rimasto nell’immaginario erotico di molti ragazzi degli anni Settanta. Bene ha fatto nel 2005 la Storm Video a rimetterlo in circolazione nella sua versione integrale. La pellicola è distribuita da Mondo Home Entertainment e contiene pure i trailer delle parti che furono censurate. Il dio serpente è un film scritto e diretto da Piero Vivarelli, che per la sceneggiatura si avvale della preziosa collaborazione di Ottavio Alessi; il montaggio è di Carlo Reali, la stupenda fotografia di Benito Frattari, mentre dirige la produzione Lucio Orlandini per conto di Alfredo Bini. Il film si ricorda anche per l’ottima colonna sonora composta da Augusto Martelli che uscì nel quarantacinque giri Djamballà ed ebbe un clamoroso successo di vendite. Dario Baldan Bembo intraprese un contenzioso legale per i diritti sulla musica, asserendo che si trattava di una sua creazione originale. Protagonista indiscussa del film è una sensuale Nadia Cassini (Paola), che aveva appena debuttato con una piccola parte ne Il divorzio di Romolo Guerrieri (1970), ma che questa volta ottiene il lancio definitivo. Accanto a lei ci sono Beryl Cunningham (Stella), Sergio Tramonti (il fidanzato Tommy) e Galeazzo Bentio (il marito). Ricordiamo Evaristo Marquez nei panni del Dio Serpente quando assume sembianze umane. Il critico Paolo Mereghetti lo definisce un film modesto, un epigono da dimenticare di un genere di film inaugurato nel 1968 da Ugo Liberatore con Bora Bora. Non condivido. Ritengo Il dio serpente un film importate come atmosfera esotico-erotica, un buon lavoro che documenta i riti vudù e i culti sincretici dei popoli caraibici. Il film gode di una stupenda ambientazione esotica a Santo Domingo, comincia con una panoramica aerea della città tra baracche, fiumi, mare, miseria e ricordi di un passato sotto i conquistadores. Un sottofondo di musica cubana, le note di una rumba molto sensuale, accompagnano lo spettatore in un’atmosfera tropicale fotografata con grande bravura. Vediamo spiagge bianchissime e un mare stupendo, atolli corallini, indigeni che corrono e fanno l’amore sulla sabbia, posti di sogno. La trama si racconta in poche righe. Nadia Cassini (Paola) è in vacanza ai Caraibi con il marito Galeazzo Benti, conosce Beryl Cunningham (Stella) che la mette in contatto con il culto del Dio Serpente (Djamballà), ma la donna se ne invaghisce a tal punto che diventa un’ancella consacrata al suo amore.  Beryl Cunningham è perfetta nel ruolo di indigena, soprattutto per i tratti negroidi molto marcati, ma anche Evaristo Marquez è credibile come negro gigantesco che rappresenta la forma umana del dio. La pellicola si inquadra nel genere esotico-erotico, il più tipicamente italiano, legato alla scoperta di lontane culture e conseguenza dei primi viaggi aerei, che portavano a sognare di paradisi tropicali dove regnava una completa libertà sessuale. Sono film che alla base contengono sempre un atteggiamento razzista e paternalista, con il mito del buon selvaggio che vive bene  perché non conosce la civiltà. Il contenuto erotico la fa da padrone e di solito c’è un europeo (maschio o femmina non ha importanza) a caccia di sensazioni nuove, che scopre il vero senso della vita tra le braccia di un’indigena. Il dio serpente contiene in più l’elemento magico e misterioso, che si amalgama bene con le ottime parti erotiche che al tempo scandalizzarono i solerti censori. Il film entra subito nel vivo della sua parte misteriosa quando Paola e Stella diventano amiche e l’europea vuole conoscere la fortezza spagnola, il regno degli zombi, morti che continuano a vivere senz’anima, schiavi del Dio Serpente chiamato Djamballà. Paola vuole scoprire il mistero e si avventura da sola sulla spiaggia della roccia nera dove vede un enorme serpente che si avvicina minaccioso. Non ci sono serpenti a Santo Domingo, ma è Djamballà che si materializza e si avvicina alla ragazza, lui è il dio dell’amore e pretende obbedienza. Vivarelli ci fa entrare nel vivo delle credenze sincretiche quando ci presenta la figura del brujo (stregone), che divina il futuro e confeziona amuleti, disegnando cerchi magici sul terreno. La figura del prete cattolico è ancora più emblematica di come le popolazioni caraibiche vivono il cristianesimo. Il parroco porta la statua di Gesù Bambino nelle case del villaggio perché tutti la possano vedere e poi dice: “Adorano Gesù e fanno i riti magici. Ma sono due cose così diverse?”. In una scena successiva vediamo che durante i festeggiamenti natalizi l’immagine di Gesù Bambino è circondata da simboli vudù. Il prete commenta: “Sono bravi, un po’ rumorosi ma bravi. Dio è con loro, lo amano così. Sono più religiosi di noi perché credono davvero al loro dio. Io devo far dimenticare che dei bianchi li hanno portati qui in catene molti anni fa”. Il regista ci spiega come sono nati i culti sincretici: una fusione di religiosità cattolica importata a forza dagli spagnoli e di culti animasti che venivano dagli schiavi africani. Il film presenta anche interessanti e realistiche cerimonie vudù dove si adora il Dio Serpente tra cerchi di farina bianca, candele votive, canti evocativi, tamburi insistenti e balli sensuali. La fotografia è stupenda, il colore locale è reso molto bene con frequenti immagini di spiagge tropicali e di mercati cittadini, ma anche di ruderi precolombiani e di fortezze spagnole. Il rumore del mare, il vento tra le fronde delle palme, i bambini che gridano, il caldo e la sensualità della gente, sono elementi importanti di una pellicola girata con cura e fotografata con bravura. Piero Vivarelli ci fa conoscere i riti vudù, le possessioni, gli zombi privi di anima, i culti nati dagli schiavi africani a contatto con la repressione dell’Inquisizione spagnola. Un film da riscoprire. Rivisto tagliatissimo su Cielo. Consigliato procurarsi il DVD uncut.

Il dio serpente di Piero Vivarelli

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