Revenge di Coralie Fargeat

Revenge (Francia, 2017)
Regia, Soggetto, Sceneggiatura: Coralie Fargeat. Fotografia: Rebrecht Heyvaert. Montaggio: Coralie Fargeat, Bruno Safar, Jérome Eltabet. Musiche: Robin Coudert. Trucco: Laetitia Quillery. Produttori: Marc-Etienne Schwartz, Marc Stanimirovic, Jean-Yves Robin. Case di Produzione: MES Productions, Monkey Pack Films, Charades, Nexus Factory, Umedia. Distribuzione (Italia): Midnight Factory. Genere: Thriller,. Azione. Durata: 108’. Lingua Originale: Francese, Inglese. Paese di Origine: Francia, 2017. Interpreti: Matilda Lutz (Jen), Kevin Janssens (Richard), Vincent Colombe (Stanley), Guillaume Bouchède (Dimitri), Jean-Louis Tribes (Roberto).

Revenge è il primo lungometraggio di Coralie Fargeat, dopo un cortometraggio intitolato Le Télégramme (2003), tra l’altro cinema d’autore perché la regista è autrice di soggetto e sceneggiatura. Riprese durate solo 33 giorni con la finzione del deserto americano realizzata in Marocco. In Italia Revenge si è visto poco e male, perché il cinema di genere non trova spazio nei circuiti d’autore anche quando – come in questo caso – lo meriterebbe. Adesso viene programmato nei circuiti televisivi Mediaset, tra Cielo e Infinity, tra l’altro nella sua forma integrale, senza tagli in funzione televisiva perché la pellicola è vietata solo ai minori di anni 14. Siamo di fronte al più classico dei rape and revenge (stupro e vendetta), originale perché al femminile, senza azioni di rivalsa eseguite per interposta persona (padre, marito, amante). Tutto comincia da uno stupro compiuto in una villa ai confini del deserto prima che tre amici balordi diano il via a un’avventura di caccia. Quattro attori: Matilda Lutz nei panni di Jen, la preda che diventa cacciatrice e vendicatrice; Kevin Janssens, il suo amante Richard, forse il soggetto più turpe del terzetto; Vincent Colomb, Stanley il vile stupratore; Guillaume Bouchède, Dimitri, colui che vede ma non interviene. Il film è girato con una tecnica sopraffina, sequenze ad alta tensione, ben ambientato nel deserto marocchino, montato in maniera serrata (necessari 108’ di pellicola), fotografato con luce vivida, diretto con mano ferma a base di riprese spericolate e di effetti speciali stupefacenti. Molte scene truculente rendono il film sconsigliato a chi non è abituato al realismo dei particolari macabri, ma tutto è realizzato con grande perizia tecnica. Coralie Fargeat è alle prime armi, ma promette molto bene per un futuro nel cinema di azione e nel thriller più efferato, tra l’altro ha capito che per una buona riuscita del film il regista deve dire la sua anche nel montaggio. Anteprima mondiale al Toronto Film Festival nel 2017. Acclamato dalla critica come cinema di exploitation femminista che celebra la vendetta di una giovane donna coraggiosa. Bravissima Matilda Lutz, esperta di ruoli horror e thriller ma alla sua prima volta nel rape and revenge, genere da un po’ di tempo a questa parte abbastanza dimenticato. Coralie Fargeat viene definita come la prima autrice capace di girare un cinema di stupro e vendetta metaforico. Non so quanto la metafora sia voluta, ma il risultato è più che buono anche per gli amanti del genere puro. Consigliata la visione agli amanti del cinema thriller e dell’horror più realistico.

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In Cathedra Succubi di Carlo Salvoni

[…] Non pretendo di aver ragione, so che ci sono momenti per le chiacchiere e momenti per il silenzio, insegnanti che tollerano un certo brusio e altri che esigono il silenzio assoluto. Allo stesso modo, io ho i miei limiti e le mie imprescindibili necessità, o meglio, le avevo: parlare, intervenire, concludere un discorso iniziato. Si chiama dal preside un alunno che chiacchiera troppo? […]

In Cathedra Succubi di Carlo Salvoni edito da Horti Di Giano è una raccolta di dieci racconti che rielaborano, in chiave cruda e inquietante, le dinamiche intricate e talvolta paradossali del sistema scolastico italiano.
Attraverso un filtro disturbante, orrorifico e privo di ogni rassicurazione, l’autore mette in luce le incongruenze, le procedure labirintiche e le formalità spesso inspiegabili che pervadono il mondo dell’istruzione. Questi aspetti delineano un volto oscuro della scuola, suggerendo una realtà sommersa e inquietante.
Non è una lettura adatta ad un pubblico ampio e generalista, alcune storie trasmettono un vero e proprio senso di angoscia, specialmente se – come me – non avete un bel ricordo del periodo tra i banchi.
Invece per chi vive quotidianamente queste dinamiche (tipo Professori, Personale ATA ecc), possono rivelare un’ironia grottesca e spietata.
Nel cuore di In Cathedra Succubi, il lettore si trova di fronte a una delle più inquietanti metamorfosi della vita scolastica, un viaggio lirico dentro un vortice disturbante.
La bellezza di questo libro sta nella sua capacità di giocare con l’allegoria, trasformando la realtà oggettiva in una distorsione orrorifica che non ha bisogno di demoni, perché i suoi mostri possono essere reali. Sono le istituzioni che soffocano, i ruoli che consumano, le parole che scavano nella mente di chi le riceve. E, sopra ogni cosa, è il terrore più grande: accorgersi di essere il male di qualcun altro.
Lo stile di Salvoni distingue per la capacità di intrecciare elementi del quotidiano con sfumature surreali e inquietanti, creando atmosfere che sfidano la percezione della realtà. La sua prosa è caratterizzata da una meticolosa attenzione ai dettagli e da una profondità narrativa che invita il lettore a riflettere sulle sfumature più oscure dell’esistenza umana.
Se siete alla ricerca di qualcosa di diverso, fuori da un certo canone dell’orrore e del bizzarro e che vi lasci qualcosa dentro, questo libro fa per voi.

L’AUTORE:
Carlo Salvoni, nato nell’80, vive in provincia di Brescia con la moglie e le tre figlie, è insegnante di Lettere presso una Scuola Secondaria di Primo Grado.
Dopo aver militato in un gruppo di Death metal melodico (Tragodia), ha riversato sulla scrittura le sue velleità artistiche.
Dopo anni a scrivere romanzi con uomini e animali, rivolti ad adulti e ragazzi (tra gli altri, Cavalletti e cavalli – 2013, Menamato – 2016), si è dedicato alla narrativa fantastica. Del 2022 è la raccolta di storie weird Necromitologia.
Storie senza nomi (Elison), e nello stesso anno appare nelle antologie Il richiamo di Lovecraft (Esescifi), con il racconto “Il canto al di là del ghiaccio”, e Terrorea. Materia corporis Vol 1 e successivamente anche sul Vol 3(Horti di Giano), con il racconto “Il pane”. Sempre nel 2022 si è aggiudicato il Premio Hypnos con il racconto Cambiano le prospettive al mondo.
Ha all’attivo diverse pubblicazioni digitali (Delos Digital, Hypnos e Opera Narativa) e i suoi racconti appaiono su diverse antologie e riviste specializzate.

In Cathedra Succubi
Autore: Carlo Salvoni
Editore: Edizioni Horti di Giano
Pagine: 160
ISBN-13: ‎ 979-1280144690
Costo: Ebook 7,77 € – Cartaceo 15,70 €

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I Custodi Minori: Gli eredi dei Miti di Flavio Deri

Flavio Deri ci conduce in un viaggio oscuro e ipnotico attraverso le ombre dell’universo lovecraftiano, offrendo non solo un omaggio alle opere di H.P. Lovecraft, ma soprattutto ai suoi protagonisti. I Custodi Minori: Gli eredi dei Miti è una storia che rielabora con acume e rispetto gli interrogativi lasciati in sospeso dai racconti del Solitario di Providence, proponendo una visione inedita su ciò che accade alle famiglie e ai discendenti di coloro che hanno affrontato il sovrannaturale.
Un’indagine tra passato e presente
Il detective Gregory Wylde viene ingaggiato da Walter Peaslee per indagare sulla misteriosa scomparsa di tre investigatori della Legrasse & Co. ad Arkham. Questi uomini non sono semplici investigatori: i loro cognomi rivelano una discendenza diretta dai protagonisti di alcuni dei racconti più celebri di Lovecraft. Edward Upton, George Goodenough Akeley e Arthur Legrasse portano il peso di un passato che non ha mai smesso di tormentarli, eredi di storie che non si sono mai davvero concluse. L’indagine di Wylde si sviluppa attraverso una narrazione frammentata, un mosaico di documenti che comprendono registrazioni, pagine di diario e una lettera mai spedita. Attraverso questi espedienti, il lettore ricostruisce gli ultimi giorni degli investigatori e i segreti che hanno scoperto, fino a un finale che giunge con la crudele ineluttabilità tipica del genere weird. Il colpo di scena finale, una confessione rivelata attraverso una lettera, rimescola le carte in tavola e lascia il lettore con un senso di inquietudine duraturo.
Uno degli aspetti più interessanti del racconto di Deri è il modo in cui esplora un tema raramente affrontato: il destino delle famiglie di coloro che hanno affrontato i Miti di Cthulhu. Nei racconti di Lovecraft, gli orrori cosmici non si limitano a distruggere l’individuo, ma si propagano come una maledizione lungo le generazioni. Deri riprende questo concetto e lo amplifica, creando una storia in cui il passato non è mai davvero sepolto e la conoscenza proibita si trasmette come un marchio indelebile. Il rispetto filologico per il materiale originale è evidente. L’autore non si limita a citare personaggi e luoghi, ma costruisce una storia che potrebbe benissimo essere un ideale seguito di alcune delle opere di Lovecraft. Tuttavia, aggiunge anche il suo tocco personale, ispirato al mondo dei giochi di ruolo, introducendo una dinamica investigativa più strutturata e un ritmo narrativo che alterna momenti di tensione a rivelazioni sconvolgenti. Deri dimostra una straordinaria capacità nel catturare l’essenza del weird lovecraftiano, costruendo un’atmosfera densa di mistero e minaccia latente. Arkham è più di una semplice ambientazione: è un organismo vivo, un luogo dove le ombre sembrano avere una volontà propria e il passato continua a sussurrare nelle menti di chiunque osi indagare troppo a fondo. Lo stile dell’autore è evocativo, caratterizzato da un lessico raffinato e da una struttura narrativa che alterna descrizioni dettagliate a documenti frammentati, creando un senso di scoperta continua. L’uso di registrazioni, diari e lettere non è un semplice espediente stilistico, ma un elemento essenziale che immerge il lettore nella storia, rendendolo partecipe dell’indagine di Wylde.
I Custodi Minori: Gli eredi dei Miti è un racconto che espande l’universo impazzito di Lovecraft. Con una narrazione coinvolgente, personaggi credibili e un’atmosfera inquietante, Flavio Deri dimostra una profonda comprensione del genere weird e della mitologia lovecraftiana. Consigliato a chiunque ami le storie di investigazione sovrannaturale, gli enigmi irrisolti e l’orrore cosmico, questo racconto si distingue per la sua capacità di mantenere viva l’eredità di Lovecraft senza mai cadere nella mera imitazione. Un’opera imperdibile per chi vuole esplorare nuovi angoli di un universo narrativo che non smette mai di affascinare e terrorizzare.

L’AUTORE
Flavio Deri è nato il 18/10/1988 a Pontedera (PI). È diventato membro del Culto Lovecraftiano nel 2003, quando ha acquistato il suo primo libro del Sognatore di Providence. Iscritto alla H.P. Lovecraft Historical Society e supporter dell’Horror Writers Association, ha sempre desiderato dedicarsi alla scrittura andando oltre la creazione di campagne di gioco di ruolo da tavolo o dal vivo. Durante la pandemia, ha partecipato a concorsi letterari per antologie, e nel 2022 ha pubblicato il suo primo libro intitolato Appunti di un Sussurro, sempre con ambientazione Lovecraftiana, oltre a rientrare in pubblicazioni come Terrorea – De Rerum Natura della Horti di Giano, nella collana Universo di Lovecraft della Esescifi, nell’antologia Chimerica della PAV Edizioni. Per la Colomò Edizioni compare nell’antologia Strani Aeoni nn. 2 e 3Grimorial’Amaro in Bocca e ha curato la raccolta L’Orrido VerdeL’Ombra dietro la Miskatonic è il suo racconto lungo con la Delos Digital, si possono trovare altri suoi racconti su due numeri del progetto Racconti dal Profondo. Finalista in concorsi letterari come il TOHorror FestivalTerni Horror Festival e del Premio Esecranda.
Fiero membro del Gruppo Telegram Lovecraft Italia. Appassionato del genere Horror, ha dedicato la sua libreria personale a Lovecraft, con oltre cento volumi tra racconti, saggi, biografie, graphic novel e romanzi ispirati ai Miti.
Dal 2024 collabora con Planet Ghost con recensioni di libri e fumetti.

I Custodi Minori: Gli eredi dei Miti
Autore: Flavio Deri
Editore: Delos Digital
Pagine: 30 – Formato ebook
ISBN: 9788825431766
Prezzo: 1,99 €

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Occhi blu di Michela Cescon

Occhi blu (Italia, 2021)
Regia: Michela Cescon. Musiche: Andrea Farri. Soggetto e Sceneggiatura: Michela Cescon, Marco Lodoli, Heidrun Schleef. Fotografia: Matteo Cocco. Montaggio: Sara Petracca. Genere. Thriller. Durata: 86’. Paese di Produzione: Italia, 2021. Interpreti: Valeria Golino (Valeria), Ivano De Matteo (Murena), Jean-Hugues Anglade (Il Francese), Matteo Olivetti (Marco), Teresa Romagnoli, Ambrosia Caldarelli, Ludovica Skofic. Case di Produzione: Tempesta con Rai Cinema, in coproduzione con Palomar e Tu Vas Voir, con il sostegno di Regione Lazio – Fondo Regionale per il Cinema e DG Cinema.

Michela Cescon è soprattutto una brava attrice che nelle vesti di regista prima di Occhi blu si era occupata solo di teatro. Diciamo che non è proprio la stessa cosa, perché i tempi cinematografici sono diversi, forse qualcosa resta da imparare, soprattutto il montaggio e la sceneggiatura, per rendere una storia più fluida e scorrevole. Occhi blu non è comunque un esordio negativo. Tutt’altro. Vorrei mettere in luce le cose positive di un noir psicologico, ambientato in una Roma spettrale e decadente, tra lunghi silenzi e attese sospese. La colonna sonora di Andrea Farri è notevole, con una base jazz al clarinetto, fino alla canzone romana intonata in un piccolo locale notturno dal protagonista. La storia, molto ridotta per sostenere un lungometraggio di 86 minuti, ruota attorno alle gesta di una rapinatrice motorizzata e di un giovane complice, con il commissario di polizia (De Matteo) che le dà la caccia e non riesce ad acciuffarla. Trentatre rapine in tre mesi, fino a quando il commissario non chiede aiuto a un collega più anziano che tutti chiamano Il Francese. Una piccola sottotrama, non meno importante, riguarda il poliziotto transalpino (Jean-Hugues Anglade) che sta cercando chi gli ha ucciso la figlia per vendicarsi. Tutto è raccontato per sottrazione, che va pure bene ma il troppo stroppia si dice in Toscana, al punto che sia del francese che della rapinatrice in motocicletta non sappiamo quasi niente. Pure del commissario sappiamo solo che si è innamorato di una ragazzina e che non riesce più a guardare in faccia moglie e figli, poi lo seguiamo nella caccia infruttuosa alla rapinatrice e soltanto alla fine comprendiamo che ama cantare. Credo che tutto questo mistero sia voluto dalla regista, come la faccenda degli occhi blu del titolo, che sporgono dalla visiera del casco e caratterizzano sia la rapinatrice (Golino) che il complice (Olivetti). Il problema è che non si capisce fino in fondo come il francese sia arrivato a individuare la misteriosa rapinatrice, pare che sia risalito a Valeria dal fatto che è una provetta guidatrice di moto. Altri pregi del film sono una fotografia notturna romana, grigia e plumbea (Cocco), molte riprese con il grandangolo, primi piani mai banali e scontati, riprese dal basso con particolari in soggettiva. Valeria Golino è molto brava nei panni della rapinatrice motorizzata, recita con lo sguardo e con i silenzi più che con le parole. L’impianto del film, alterna il teatrale dei dialoghi ad alcune riprese esterne davvero ben fatte, impaginando dissolvenze poetiche a originali stacchi fotografici che sostituiscono l’azione. Michela Cescon, nonostante sia alla prima prova da regista dimostra di conoscere bene la materia da un punto di vista tecnico, mentre va rivista alla prova come sceneggiatrice. La responsabilità di un montaggio troppo diluito è di Sara Petracca, ma è anche vero che una storia esile e dei personaggi appena abbozzati non potevano che spingere verso tale direzione. Cinema d’autore versione noir con citazioni del vecchio poliziesco italiano, thriller crudo e realistico, un film del quale tutto sommato consiglio la visione, prendendo il buono che è capace di offrire. Lo trovate su Rai Play.

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Ippocorno e altri racconti di Vincenzo Barone Lumaga

Ippocorno e altri racconti è un volume di grande formato (sembra una rivista) che contiene quindici racconti di Vincenzo Barone Lumaga, nome che mi è già simpaticamente noto per le sue attività di critico letterario e scrittore. Ogni racconto è corredato da un’illustrazione in bianco e nero di Diana D. Gallese, grafica e pittrice italiana. L’editore è l’Agenzia Pensiero Creativo.
Il volume consiste in una raccolta di racconti fantastici ambientati nelle più disparate dimensioni spaziotemporali. Andiamo dalla Romania occupata dai nazisti durante la seconda guerra mondiale all’Etiopia durante l’espansione dell’”Impero” del regime fascista e alla Napoli contemporanea. Alcuni invece non hanno un’ambientazione storica delineata. Come genere passiamo dal weird all’horror e arriviamo fino alla fantascienza.
Quindi Barone Lumaga ci regala un ricco scrigno di storie a cui attingere. Racconti che, per trama e stile, non hanno nulla da invidiare ai suoi colleghi angloamericani. La lettura di questo libro mi ha ricordato certe serie televisive antologiche come Ai confini della realtà (Twilight Zone) per il diversificarsi delle storie che mantengono sempre alta l’asticella del fantastico, dell’inquietudine e dell’angoscia uniti al fascino del mistero.
I racconti sono tutti ampiamente suggestivi ma mi soffermerò su quelli che mi sono piaciuti particolarmente.
In Seconda ombra un uomo è perseguitato da una oscura presenza, un doppione di sè…
L’idea non è particolarmente originale, ma è sviluppata in un racconto avvincente ben scritto che non risparmia piacevoli sorprese lungo la narrazione fino alla fine. Molto significativa sul piano narrativo la scelta della narrazione in seconda persona.
Radio Nowhere narra di una trasmissione radiofonica, da ascoltare nelle ore notturne, che dà voce ai morti di morte violenta. Un guidatore ascolta le storie di queste persone che sono morte alla propria autoradio e continua a guidare finché…
Una storia da leggere fino alla fine è che si rivela originale e coinvolgente. Con finale a sorpresa.
In Ippocorno, ambientato in Etiopia durante l’espansionismo della colonizzazione italiana negli anni trenta, assistiamo al confronto tra un essere umano con la sua finitezza e le sue piccolezze e un essere millenario; una creatura ancestrale vive nelle lagune del paese africano.
Una goccia di eternità ci racconta la storia di un uomo che si rivolge a uno strano orologiaio perché il suo orologio “va di fretta”, sembra segnare il tempo troppo velocemente. I giorni per lui scorrono troppo in fretta e questa cosa lo angoscia terribilmente. Allora l’orologiaio bagna con una goccia di una pozione magica l’orologio. D’ora in poi seguiamo le vicende allucinate del protagonista. Attraverso l’invenzione fantastica decisamente originale l’autore opera una riflessione sul tempo che passa e su quanto l’essere umano non lo possa controllare. Da qui deriva una assenza di controllo sulla propria vita e quindi sulla realtà.
Oltre la foresta è un racconto sul vampirismo, uno dei migliori in assoluto che abbia letto all’interno di questo genere. Un soldato nazista, in fuga dall’esercito sovietico, trova rifugio presso una strana comunità di esseri immortali. Quando i sovietici li raggiungono sapranno affrontarli grazie a poteri sovrannaturali.
In Soul Train Drago e sua sorella Ivanka, a bordo di un treno, devono raggiungere la Serbia, da cui sono partiti giovanissimi per emigrare in Italia. I due ragazzi devono tornare perché loro madre sta male. Questo avviene durante la guerra che ha coinvolto i paesi della ex Jugoslavia. Drago conosce, sul treno, uno strano uomo che gli racconta la sua teoria su come i finestrini dei treni siano porte per altre dimensioni. Una delle storie più originali tra quelle contenute in questo volume in quanto parla di altre dimensioni in termini per niente banali e/o desueti.
In conclusione Ippocorno e altri racconti di Vincenzo Barone Lumaga è un libro che consiglio a tutti gli amanti della narrativa fantastica.

L’AUTORE
Vincenzo Barone Lumaga è nato nel 1978 a Torre del Greco, in provincia di Napoli.
Avido lettore di narrativa di genere, soprattutto dei Maestri di lingua anglosassone, scrive racconti con crescente continuità dal 2005.
Esercita a Napoli l’attività di avvocato penalista. È anche bassista, chitarrista e compositore.
Per Milena Edizioni ha già pubblicato la raccolta di racconti dell’orrore Le ore buie, il thriller sovrannaturale Lame di tenebra e il saggio sulla cultura weird Com’era weird la mia valle con Fabio Lastrucci.

Ippocorno e altri racconti
Autore: Vincenzo Barone Lumaga
Editore: Agenzia Pensiero Creativo
Pag. 98 dimensioni: 28x19cm
Codice Isbn: 9791281926042
Prezzo: 15 €

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