L’occhio sinistro di Horus 14° episodio di Gloria Barberi

“Se pensano di liquidarmi alla svelta hanno sbagliato i conti.”
“Voi state cercando di liquidarvi con le vostre stesse mani!” Maxwell si asciugava il sudore dalla fronte con un fazzoletto stazzonato. “Crabites è americano, non può
stare che dalla vostra parte, ma voi dovete mostrarvi
remissivo.”
“Remissivo?”
“Ho parlato con Hanna.” James Breasted aveva
quell’espressione stanca e infelice che gli era
diventata abituale negli ultimi tempi. “È disposto a
rinnovare la concessione a Lady Almina, a patto che voi
rinunciate ufficialmente a ogni pretesa sui reperti.”
“Vi ho già detto mille volte che non farò mai una cosa
del genere. Non è per gli oggetti. Io desidero che siano
messi al sicuro in un museo. Ma non posso arrendermi
incondizionatamente, ed è giusto che Lady Almina sia
risarcita almeno in parte delle spese sostenute dal
conte durante tutti questi anni.”
Maxwell indugiò a riflettere con il fazzoletto premuto
sulle labbra, come temesse di lasciarsi sfuggire qualche
dichiarazione compromettente. Poi, mentre uscivamo nel
sole della primavera cairota, disse: “Perché no?”
“Cosa?”
“Rifletteteci un attimo, prima di scaldarvi. Pensate
all’opinione pubblica, e non soltanto a quella egiziana.
Una rinuncia formale testimonierebbe in favore del
vostro disinteresse, sarebbe la prova di quanto avete
sempre dichiarato alla stampa, e vi guadagnerebbe la
simpatia di quei vostri connazionali che adesso esitano
ad appoggiarvi.”
“Io non posso prendere decisioni che vadano contro gli
interessi degli eredi di Carnarvon.”
“Ma è la sola mossa che possa permettervi di tornare
subito al lavoro” rincarò Breasted. “Howard, questa non
è una partita a scacchi, è poker: vince chi bluffa
meglio. Tra qualche tempo, quando le acque si saranno
calmate, potrete tornare all’attacco.”

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L’occhio sinistro di Horus 13° episodio di Gloria Barberi

“Il Times non può negarmi il suo sostegno. Perché quei documenti non sono stati pubblicati?”

Arthur Merton si strinse nelle spalle, un gesto di noncuranza in completo contrasto con il tono della sua risposta.

“Stanno cominciando ad avere paura. Dovete capire.”

“Capire? Al diavolo!” Tirai un calcio a un ciottolo che rimbalzò lontano con un rumore secco. “Lacau non vi ha forse scritto ingiungendovi di abbandonare la Valle? Non vi ha minacciato?”

“Mi ha chiesto di andarmene, sì.”

“Ve l’ha ordinato! Ed è giusto che il pubblico venga informato del modo in cui lui e Suleiman Pascià trattano i miei collaboratori.”

Merton annuì, ma sembrava a disagio. Probabilmente non gli sarebbe dispiaciuto seguire il “consiglio” di Lacau.

<Io posso anche essere d’accordo con voi, Carter, dopotutto questa cosa mi tocca da vicino. Ma stavolta il Times non vi appoggerà. Non pubblicherà quella roba.”

“Perché? È la prova più lampante della disonestà del governo egiziano e della Sovrintendenza. Ripetute minacce, richieste assurde che vìolano i termini della concessione di scavo… Siamo praticamente in balìa dei capricci di politicanti e burocrati, ogni giorno se ne inventano una nuova. Adesso ogni visitatore straniero ammesso nella tomba dovrebbe avere il loro benestare, ma pascià e ministri egiziani devono poter andare e venire a loro piacimento.”

“Il fatto è che il Times sta già ricevendo troppi attacchi, e i membri del consiglio d’amministrazione pensano…”

“Che vadano a farsi fottere!”

“ … pensano che stiate esagerando.

“Sarebbe a dire?”

La vampa del tramonto colorava il viso di Merton con un rossore da scolaretto colto in fallo, ma intuivo che sotto la patina di quell’insolito belletto, in realtà, era pallido. Lo vidi abbassare lo sguardo sulle proprie scarpe, le mani ficcate nelle tasche della giacca si mossero come se le stesse aprendo e chiudendo a pugno più volte, nervosamente.

“Sarebbe a dire che secondo loro la tensione alla quale siete sottoposto vi impedisce di… ehm… vedere le cose nella giusta luce.”

Ridacchiai del suo imbarazzo.

“Insomma, pensano che stia cominciando a dare i numeri.”

Merton scosse la testa un po’ troppo affrettatamente.

“Sono sicuro che loro non intendono…”

“Oh sì, invece.”

Ne ero divertito in maniera feroce e dolorosa, e il sogghigno che mi sentivo sulle labbra era più che altro una contrazione dei muscoli: doveva darmi un’aria piuttosto stupida.

“Bradstreet ha registrato con sollecitudine tutti i miei “vaffanculo” alla stampa e ai rappresentanti del governo e ha fatto risultare che fossi stato io ad attaccare per primo. E bene, i venditori di chiacchiere cadono nella rete dei pettegolezzi di un concorrente!”

“No, non è certo per questo” continuò Merton. “C’è anche la faccenda di Mecham. Hanno dei sospetti, pensano che foste d’accordo con lui fin dall’inizio per agire contro di loro e Carnarvon.”

“Mecham non è più un problema.”

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L’occhio sinistro di Horus 12° episodio di Gloria Barberi

Era esaltazione e smarrimento, come ai primi due passi fuori da un carcere. Dopo tanti anni, mi ero liberato dalla schiacciante ombra di Carnarvon. Non ero più obbligato a fingere, potevo giocare a carte scoperte. Mi compiacevo dell’audacia con cui mi ero comprato la libertà, e in essa cercavo di soffocare il vago senso di disagio, assai simile alla vergogna, che mi coglieva ogni volta che ripensavo all’espressione ferita di Carnarvon. Mi ripetevo che d’ora in avanti tutto sarebbe andato per il meglio. Se soltanto fossi riuscito a non pensare a Eve.
Ma non era unicamente questione di pensare o non pensare. Lei era presente in me come il fluire del sangue nelle vene. E non potevo ordinare al mio sangue di smettere di scorrere, e pretendere di restare vivo.
*
Era un colpo basso. Non faceva parte del copione, e mi sgomentava.
Per la terza volta rilessi la lettera di Carnarvon.
“Mio caro Carter, quando Evelyn mi ha raccontato tutto sono rimasto profondamente sconcertato e non sapevo più come dovessi comportarmi. Mi rincresce sinceramente di aver reagito in una maniera talmente stupida, e ne incolpo tutte le preoccupazioni di questi ultimi tempi che hanno alterato la mia capacità di vedere le cose ed essere obiettivo…”
Parole piene di remissività e rincrescimento. Mi chiedeva scusa. Lui, il quinto conte di Carnarvon!
“Ma c’è una cosa che vorrei soprattutto dirvi e che mi auguro vorrete sempre tenere presente: qualunque sia l’opinione che avete di me adesso, sappiate che la mia stima per voi non verrà mai meno…”
Davvero astuto da parte sua! Voleva mortificarmi con la sua pretesa umiltà. Ipocrita!
Il senso di libertà era del tutto svanito.
*
“Ho saputo che avete avuto una discussione con Lord Carnarvon.” Lo sguardo abitualmente sognante di James Breasted era adesso vigile, concentrato sul mio viso.
Mentirgli sarebbe stato patetico quanto inutile.
“Una discussione? Definitela tranquillamente una lite>
James Breasted sospirò.
“Non ve ne chiederò le ragioni, ma vi renderete conto che tutto questo non giova affatto al progetto Tutankhamon.”
Così era quello il vero motivo del suo invito, e aveva atteso le sigarette e i liquori del dopocena per affrontare con più rilassatezza l’argomento.
“Le mie divergenze con Lord Carnarvon sono di carattere strettamente personale.”
“Il che, se mi permettete, è ancora peggio.”
Attorno al Winter Palace la sera era quieta e chiara, con un che di sonnolento e immobile, quasi che la natura si stordisse nel suo stesso profumo. Lo sentivo filtrare nella stanza dalla portafinestra socchiusa, speziato e morbido, a stuzzicare struggimento e nostalgia. Sahira… Risvegliavo un antico dolore per non affrontarne uno recente e ancora troppo acuto. Non avevo più rivisto Evelyn dopo quella nostra notte insieme.

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L’occhio sinistro di Horus 11° episodio di Gloria Barberi

“Sono proprio affamato” disse Callender, con una prosaicità che mi ferì, ma era necessaria per rientrare nella realtà.

Smontammo dagli asini e ci avviammo verso la mia casa. Gurgar ci seguì, insolitamente silenzioso.

“Ho dato disposizione ad Abdal perché ci lasciasse la tavola apparecchiata” dissi, e provavo disagio a parlare di quelle banalità dopo il magico pomeriggio appena trascorso.

Stavo per aprire la porta di casa quando udii un suono curioso: acuto, simile al gemito di un bambino.

“Abdal?” chiamai, spalancando la porta.

Il crepuscolo riempiva di ombre la stanza, e sulle prime non vidi nulla. Poi colsi un lieve movimento con la coda dell’occhio. Voltandomi, scorsi la gabbia del canarino. Qualcosa si muoveva tra le sbarre dorate, un’ombra sinuosa aureolata da un leggero lucore quasi metallico, e si ergeva e si dilatava come avesse voluto occupare l’intero spazio della gabbia. Un cobra.

“No, sir! No!” ansimò Gurgar, mentre mi avvicinavo alla gabbia, rispondendo al fascino di quello sguardo che avvertivo su di me.

“Carter, state attento.”

Lasciai cadere nel vuoto anche l’avvertimento di Callender.

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L’occhio sinistro di Horus 10° episodio di Gloria Barberi

“Tutto bene?” La voce di Carnarvon mi giunse soffocata attraverso la breccia.
“Sì. Venite a vedere.” Ma quelle parole le bisbigliai appena, stordito.
Eve e suo padre mi raggiunsero in fretta, ma Callender dovette rinunciare perché il passaggio era troppo stretto per la sua imponente figura. Tuttavia, allargarlo ancora non sarebbe stato prudente. Già non sapevo come avremmo potuto richiuderlo senza che nessuno se ne accorgesse, ma al momento quella era comunque l’ultima delle mie preoccupazioni.
Tra il tabernacolo aureo e il muro c’era spazio sufficiente appena per insinuarsi. Procedendo a sinistra, lungo il lato più ampio, aggirai il tabernacolo. E trovai la porta. La vista del chiavistello d’ebano privo di sigilli mi comunicò una nuova scossa di panico. In quell’altalena di esaltazione e timore, l’unica forza che ancora mi muoveva era la determinazione di sapere.
“È lì dentro, vero?” bisbigliò Evelyn.
Le porsi la mia torcia elettrica e mi inginocchiai per rimuovere il chiavistello; scivolò via con una facilità estrema, come se il tabernacolo fosse stato chiuso appena il giorno avanti. Provai allora a spingere le ante dorate, ma queste opposero resistenza. Per un istante pensai che stavo agendo né più né meno come un violatore di tombe, e che Tutankhamon non mi avrebbe mai perdonato quell’intrusione. Mi sembrò che qualcosa di troppo teso si spezzasse dentro di me con uno schiocco secco, e incominciai a tremare. Le mani di Carnarvon si posarono con decisione sulle mie.
“Coraggio, Carter! Tirate forte!”
Un cigolio simile a un lamento umano. Le ante cedettero di colpo sui cardini. Dopo tremila anni.
Il tabernacolo era pieno di nebbia dorata e stelle; questa fu la mia prima impressione alla luce delle torce elettriche. Poi la nebbia si rivelò un sudario di lino così sottile da sembrare quasi impalpabile, decorato di minuscole rosette d’oro. Allungai una mano per scostare il velo e una delle rosette mi scivolò sul palmo, come un premio. Non sapevo che fare e me la ficcai in tasca, quasi senza pensarci. Dietro il sudario di lino c’era un’altra porta, protetta dall’incantesimo di colonne di geroglifici. Una spessa corda scura era avvolta attorno ai catenacci con perizia e attenzione, fermata dai sigilli della necropoli: intatti.
“Mi hai aspettato, dunque. Sei ancora qui.”
Dopo tremila anni.

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L’occhio sinistro di Horus 9° episodio di Gloria Barberi

Incoscientemente, gustavo le sensazioni che la sua vicinanza mi procurava. Osservavo il gioco dei riflessi sui suoi capelli e le guance: il freddo splendore della luna e la fiamma calda dei lampioncini; argento e oro. Oro brillava anche nella morbida depressione alla base della gola, lo sfolgorio del fermaglio della sua collana che si era girata senza che lei se ne accorgesse; avrei dovuto farglielo notare, ma mi piaceva troppo quel punto di luce annidato nella sua carne. Scintillò come un diamante quando lei rovesciò la testa all’indietro e sospirò.

Lady Evelyne Herbert

Lady Evelyne Herbert

“Howard…” Pronunciò il mio nome con uno strano tono sognante, svagato. Quella sera sembrava muoversi in una sua dimensione irreale, distaccata da tutto; forse perché era felice. “L’avete più visto?”
“Chi?” chiesi, senza comprendere.
“Il dio della luna.”
Provai un leggero brivido.
“No” risposi. “E voi?”
“Neppure io. Forse è perché sono cresciuta?”
“Anni fa eravate sul punto di descrivermelo, ricordate?”
“E la mamma venne per portarmi a letto. Sì, ricordo.”
“Potreste…” Sentii che la voce mi tremava. “Potreste farlo adesso? Ricordate com’era?”
Lei alzò lo sguardo alla luna, e tornò a rovesciare la testa all’indietro, allontanandosi a ritroso dalla balaustra, così che la luce calda dei lampioncini scivolò via dal suo viso. Fu come vederla impallidire.
“Era bello” sussurrò “ma non lo ricordo esattamente. Oro e luce. Questa è la sola cosa…” S’interruppe e mi guardò, sorridendo come a scusarsi. “Sono proprio strane le fantasie che si hanno da bambini.”
“Sì.”
Il suo sorriso, quella sera, era un piccolo arco: ogni volta che si tendeva scagliava una freccia candida e rovente. E masochisticamente indugiavo ad assaporare quel martirio che mi ero imposto, certo che in seguito avrei trovato qualche generosa ed esperta ragazza di Luxor in grado di curare le mie ferite.

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L’occhio sinistro di Horus 8° episodio di Gloria Barberi

“Mi dispiace, signor Carter, ma noi non possiamo farci niente.”
“Ma si tratta di una bambina che rischia di essere venduta come un capo di bestiame!”
C’era un moscone che ronzava follemente contro i vetri, e io mi sentivo proprio come quell’insetto, impotente e idiota. Sapevo da principio che la polizia di Luxor non si sarebbe fatta in quattro per aiutarmi, ma un tentativo era doveroso. L’ufficiale dietro la scrivania mi fissava con malcelata impazienza
“Oltretutto, non sapete dirci nulla di questa bambina, non avete un suo ritratto, non siete neppure in grado di descriverla.
“Ve l’ho detto, non l’ho mai vista.”
L’uomo allargò le braccia.
“Credetemi, comprendo la vostra preoccupazione, ma è sicuramente ingiustificata.”
“Ingiustificata? La bambina ha soltanto otto anni e vogliono avviarla alla prostituzione.”
Forse avevo alzato un po’ troppo la voce. Il ticchettio della macchina da scrivere che proveniva dall’ufficio adiacente s’interruppe per un attimo.
“Di questo non siamo affatto sicuri, signor Carter. Inoltre, un’eventuale indagine non approderebbe a nulla. Non troveremmo nessuno disposto a collaborare. In questo paese un bambino venduto non fa storia. Del resto…” un sorriso perfido sfiorò per un istante la larga faccia dell’uomo “casi simili non sono infrequenti neppure nel vostro paese”.
“Ma almeno il nostro Governo cerca di porvi rimedio!” proruppi alzandomi in piedi.
L’ufficiale smise bruscamente di fingere cordialità.
“E allora rivolgetevi alle autorità inglesi. Ora, se volete scusarmi… ho parecchio lavoro.”
Accadde, e basta. Fu come quella dolorosa vertigine che mi aveva assalito ad Amarna davanti al pavimento infranto, e più tardi a Saqqara con i turisti ubriachi: una rossa esplosione. Poi fui consapevole di mani che mi strattonavano, ricordo i miei pugni macchiati di sangue, la faccia grigiastra dell’ufficiale e le imprecazioni dei poliziotti egiziani mentre mi trascinavano via.
Mi calmai soltanto quando mi buttarono in una cella.
*
Fu Herbert Winlock a tirarmi fuori di prigione, quattro giorni dopo. Non disse che poche cose essenziali finché non fummo saliti sulla vettura a cavalli che aveva noleggiato; allora proruppe: “Vi diverte tanto cacciarvi nei guai? Maspero era furioso. Se fosse saltata fuori quella vecchia storia…”
“Vi credevo in America” dissi per tutta risposta.
“No, per vostra fortuna. Sembra che per ora l’esercito americano non abbia bisogno di un altro archeologo.”

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L’occhio sinistro di Horus 7° episodio di Gloria Barberi

“Questo giovanotto è mio figlio Henry. Un ragazzone per i suoi undici anni, eh?”
“Piacere, signor Carter” mi salutò il ragazzo, serio e compito come un adulto in miniatura.
“E questa deliziosa signorina è mia figlia Evelyn.”
La bambina (sugli otto anni, vestita di cotone rosa ricamato a fiorellini azzurri) fece un piccolo inchino, e in quel movimento il cappellino di paglia le scivolò; lei l’acchiappò a tempo prima che cadesse a terra, e rise.
Con quella risata, Evelyn Herbert entrò nella mia vita.
“Papà ha detto che ci farete visitare una tomba.”
“Sì. Hai paura?”
“Perché?” Mi guardava da sotto in su. Grandi occhi luminosi in un faccino dai tratti insolitamente decisi per una bambina di quell’età. Aveva qualcosa di familiare, e non tanto perché somigliasse al padre. Poi ricordai. Janet. Gli stessi occhi, ma con un bordo scuro attorno alle iridi che rendeva ancor più penetrante lo sguardo.
Le sorrisi, sentendomi idiota per il disagio che mi provocava il suo sguardo.
“E va bene, Evelyn. Se davvero non hai paura, vedrai delle cose bellissime. Prego, da questa parte.”
Erano due bambini particolari, i figli del conte di Carnarvon. Henry robusto e lento, forse più pigro che tranquillo, sembrava non aver preso molto da suo padre. Era Evelyn che, se pur con capelli scuri e diversi lineamenti, somigliava al conte: ne aveva gli stessi modi autoritari e lo stesso senso dell’umorismo; era lei che poneva domande e pretendeva risposte che poi demoliva con qualche battuta sconcertante.

“Questo rilievo, vedi, rappresenta una regina, la madre di un grande faraone. Si chiamava Ahmes-Nofretari ed era venerata come una dea.”
Gli occhi intensi frugavano indagatori tra le ombre dell’ipogeo.
“Questa era la sua tomba?”
“No, apparteneva a un principe di nome Teta-Ky. Ma Ahmes-Nofretari vegliava su di lui.”
“Dov’è la mummia del principe?”
“E chi lo sa? Non siamo riusciti a trovarla, è scomparsa tanto tempo fa.”
“L’hanno rubata?”
“È probabile.”
L’espressione della bambina si fece assorta.
“Allora le mummie sono preziose. Devo vederne una. Al più presto.”
Lord Carnarvon rideva divertito ai commenti della figlia. Avevo l’impressione che gli fosse assai più cara del maschio, forse per l’affinità di carattere che c’era tra loro. E poi, dovevo ammetterlo anch’io che pure con i bambini non avevo troppa dimestichezza, Evelyn era davvero adorabile; graziosa senza leziosità, ironica senza impertinenza e animata da una curiosità vorace per quanto riguardava l’antico Egitto. Quando le mostrai i reperti accumulati nella baracca che abitavo non lontano dallo scavo, la piccola intensificò il fuoco di domande, tanto che Carnarvon arrivò a rimproverarla affettuosamente: “Eve! Al signor Carter verrà l’emicrania se continui così!”
Lei però, con candido egoismo infantile, non se ne preoccupava; e io mi compiacevo della sua genuina ammirazione.
“Cosa c’è scritto, lì sopra?”
“Ah, questa è una cosa molto importante che ho trovato in un’altra tomba.” Presi delicatamente una delle due tavolette che stavano sul mio tavolo da lavoro, posate su un panno morbido. “C’è scritta la storia di un grande generale di nome Kamose che migliaia e migliaia di anni fa liberò l’Egitto dagli invasori chiamati Hyksos.”
“Erano davvero tanto cattivi, questi Iks?”
“Be’, se qualcuno entrasse in casa tua senza chiedere il permesso, cosa faresti?”
“Lo caccerei a calci.”
Non ricordo se e quanto Henry contribuisse al dialogo; quella bambina così vivace e curiosa aveva catturato tutta la mia attenzione. E non sembravano interessarle soltanto i reperti, ma anche chi li riportava alla luce. Probabilmente, ai suoi occhi infantili apparivo vetusto e malandato come un antico papiro.

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