Melita – Signora dei Simulacri di Daniele Corradi

Melita – Signora dei simulacri di Daniele Corradi è un romanzo weird post-moderno originalmente dickiano, pubblicato nel 2020 da Dario Abate Editore, che tesse una ricca trama di situazioni e personaggi costruendo una rappresentazione labirintica della realtà. La scrittura sperimentale, che a tratti ricorda quella automatica (Corradi si lascia condurre dalle parole nelle zone oscure dei reami del subconscio) è usata per narrare la relazione amorosa tra Davide Franco, regista di film horror di serie B, fortemente conditi di sesso e violenza, e Melita Bitomi, top model e aspirante attrice. Una relazione a dir poco tossica, i cui protagonisti cercano di amarsi senza riuscirci mai o quasi mai, sono attratti e respinti uno dall’altra nello stesso tempo.

“Davide
avvertiva un vampiro femminile seduto al suo fianco: gli succhiava la
vita come se fossero ancora in un b movie del 1973”.

I
film di Davide ottengono da sempre il successo commerciale e di
critica. Titoli come The Dead Walk, VampEros
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e Tukra la sposa che stupra sono tutto un programma.

“Ti
piacciono i film horror?” chiede Davide a Melita al loro primo
incontro prima di proporle la visione di Tukra la sposa che
stupra
. E questa domanda ricorre per tutto il romanzo. Forse è
rivolta ironicamente e provocatoriamente, al lettore/spettatore, è
un messaggio che Corradi lancia al di fuori dello
schermo/pagina. La risposta lo
scrittore non ce la dà. Forse Melita non li ama o forse sì.
Certo è che ama l’apparenza, il jet set e la vita benestante. La
vita di Davide, invece, è un film: procede per primi piani, piani
sequenza e dissolvenze. Quindi egli è, in realtà, il personaggio di
un film. Come Melita, del resto. Anche i ricordi dell’infanzia e
dell’adolescenza di Davide, risalenti agli anni 80 e ai 90, sono
ricondotti alla forma di sequenze cinematografiche horror. Il romanzo
di Corradi, weird nel senso letterale di bizzarro,
strano, è un manufatto che si colloca tra le dimensioni create dalle
sequenze filmiche rappresentate al suo interno (i film horror di
Davide vengono raccontati nel romanzo come fossero microstorie) e i
disegni, ben cento, realizzati dallo stesso Corradi, che, al
di là del loro valore artistico intrinseco, si interpongono tra le
parole formando un film letterario, un romanzo illustrato in cui le
opere grafiche non sono mero corredo ma svolgono un’importante
funzione narrativa ed esplicativa. Parola-immagine e immagine-parola.
A volte, mentre si legge, si ha l’impressione di stare guardando un
film. Un film horror strano di Davide Franco. Vuoi per l’utilizzo
massiccio dei dialoghi, vuoi per le situazioni allucinate e
allucinanti descritte, grottesche e mostruose, si assiste, durante la
lettura, alla visione di un film horror di serie B dalla grande
risonanza significante. I film, che Davide dirige con lo spirito del
“buona la prima” così caro a Ed Wood, regista di Plan
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from outer space, hanno
sceneggiature sconclusionate e per questo cariche di potenzialità
significante, al punto da far innamorare la critica cinematografica
oltranzista, e scelte tecnico/visive improvvisate che rasentano il
sublime. Inoltre queste opere cinematografiche sono caratterizzate da
sesso e violenza a volontà e sangue e frattaglie come se piovesse.

Nel
romanzo di Corradi è messo in scena l’amore per il cinema
horror, da quello degli anni 30 a quello splatter anni 80 e per il
medium a prescindere dal genere. Strumento dell’espressione di
questo amore sono i B movie perché questi rappresentano l’essenza
del cinema, in quanto libero dall’estetica e dalla autorialità,
sono il cinema puro liberato dalla dittatura dell’estetismo.

La
narrazione di Melita-Signora dei simulacri ha la particolarità
di alternare continuamente il punto di vista di Davide a quello di
Melita. Ma non solo. Ascoltiamo anche le voci dei comprimari. Da Lou
Damiano, produttore dei film di Davide all’attore che recita in un
provino, dalla modella Alexandra, amica di Melita al cameriere del
ristorante di lusso dove Davide porta Melita per pranzare. Una
miriade di punti di vista che vanno a costituire un alveare
narrativo. Possiamo definire l’opera di Corradi un romanzo
mondo? Certo che sì. Le visioni oniriche degli incubi di Davide e di
Melita si intersecano con le visioni cinematografiche dei film di
Davide, rappresentati all’interno del romanzo, e con le situazioni
reali vissute dai protagonisti. Questa permeabilità dei vari piani
narrativi ci induce a chiederci cosa sia la realtà.

“Non
esiste la realtà… io ho il mio mondo e me lo costruisco ogni
giorno… ma poi ci sei entrata tu e si è incasinato tutto”

Non
ci chiediamo solo cosa sia la realtà durante la lettura di
Melita-Signora dei simulacri ma ci domandiamo anche cosa
definisce un essere umano. Siamo sicuri che Melita non sia
un’androide venuta fuori da un incubo letterario/cinematografico di
Dick/Scott? Melita, forse, è davvero la Signora dei
Simulacri.

Davide
dirige i film fregandosene della sceneggiatura e dando importanza
soprattutto agli attori. Melita vorrebbe recitare in una
sceneggiatura solida e senza sorprese. È il conflitto tra l’uomo
(essere umano) che vuole vivere libero e la donna (essere umano) che
lo vuole costringere in una realtà codificata retta da regole
ferree.

Il
romanzo inizia con Davide e Melita nel deserto dell’Arizona, dove
lo spazio si sovrappone oniricamente al tempo. I due raggiungono, in
auto, una casupola che è un laboratorio medico di uno strano
dottore, un mad doctor, che, in una suggestiva atmosfera da film
horror anni 30, impianta nell’orbita vuota destra di Davide un
occhio nuovo di zecca. Il nuovo occhio dona a Davide un nuovo sguardo
sul mondo. È l’ingresso in una diversa dimensione del reale. È lo
sguardo che crea la realtà. Mentre Melita e Davide lasciano lo
studio medico, l’assistente del dottore li insegue con una sega
elettrica, come Leatherface in Non aprite quella porta.

Quando
Davide toglie la benda dal nuovo occhio, egli osserva Melita ed è
come se la vedesse per la prima volta nella sua reale essenza. Ne è
atterrito. Davide è spaventato da Melita, dalla sua perfezione che
ora comprende come mai aveva fatto.

Allora
Melita rinuncia alla sua perfezione e si strappa un occhio. Davide
conquista l’occhio/sguardo creatore; Melita lo butta via. Il gesto
della ragazza, per quanto all’inizio induca Davide a riprovare i
vecchi sentimenti nei suoi confronti, non servirà, almeno per ora, e
per dopo bisogna leggerlo (no spoiler), a ristabilire l’equilibrio
della relazione tossica tra i due protagonisti del romanzo di
Corradi.

In
questa prima parte è contenuto in nuce tutto il romanzo che verrà.

La
narrazione procede poi tra cene in ristoranti di lusso, provini,
riprese cinematografiche, giornate dedicate allo shopping, memorie
dell’infanzia di Davide e Melita, trame di film, incubi dei due
protagonisti, e tanto tanto altro. All’insegna dell’eccesso e del
grottesco. Citiamo, per fare solo un esempio la sequenza, che ci è
piaciuta molto, in cui Davide ragazzo partecipa ad una festa in
maschera con addosso una maschera ricavata dal viso di un cadavere.

Ricoprono,
inoltre, un ruolo importante, tra i vari comprimari, Lou Damiano, il
produttore e Gore, il regista di porno d’avanguardia.

I
film di Davide, pieni di sesso e violenza, che inframezzano la
narrazione, vengono descritti nei minimi dettagli. Melita-Signora dei
simulacri è un’opera letteraria stratificata e complessa scritta
con uno stile che alterna periodi composti da frasi brevi ad altri
molto più articolati. Non deve spaventare la sua lunghezza, circa
settecento pagine, perché scorre facilmente pur non essendo mai
banale. È un romanzo/film ma non nel senso attuale, e banale, di
romanzi scritti come se fossero sceneggiature cinematografiche. Lo è
nel suo significato più nobile di arte letteraria e arte
cinematografica che trovano un terreno di incontro e fanno nascere
qualcosa di artisticamente nuovo.

Questo
libro è puro amore per il cinema e piacerebbe al creatore di Blob e
Fuori Orario, Enrico Ghezzi (consiglio a Corradi di
regalargli una copia). A chi è arrivato alla fine di questa
recensione, consiglio invece di procurarsi il romanzo: non fate come
me che ho aspettato tre anni per decidermi a leggerlo. Entrate nelle
librerie come orde di zombi famelici e compratelo. Quindi tornate a
casa, mettete su la caffettiera, o preparate cartine ed erba gatta e
leggete, leggete, leggete…

L’AUTORE

Daniele Corradi è docente di Lettere, saggista e autore di narrativa. Ha pubblicato i saggi Cthlhu (Carcosa, 2017), Il linguaggio di Cthulhu. Filosofia e dizionario di H. P. Lovecraft (Editoriale Jouvence, 2019), i romanzi Non aprire quella porta (How2, 2017), Melita. Signora dei simulacri (How2, 2020), Contro (Carcosa, 2023) e la raccolta di racconti Oltre il mondo (Editoriale Jouvence, 2021). E’ stato direttore editoriale di Dario Abate Editore. E’ di imminente pubblicazione, per il marchio editoriale Carcosa Edizioni Fantastiche, il romanzo Il re è solo.

Melita-Signora
dei simulacri

Autore:
Daniele Corradi

Editore:
Dario Abate Editore

Pag.
734

Codice
ASIN: B085TSNS4M

Prezzo: edizione cartacea 20 €; ebook 9,90 €

Melita-Signora dei Simulacri

Daniele Corradi

Tutti i diritti riservati ⓒ per immagini e testi.




Ciao, Gianni!

Un paio di giorni fa ho fatto gli auguri di buon compleanno a Gianni Solazzo, collaboratore del Club GHoST dal 2019 al 2021, sul suo profilo Facebook. Non ci sentivamo da parecchio. Mi ha risposto la sorella dicendomi che Gianni non era più tra i viventi da almeno un anno. Un incidente in bicicletta. Una casualità, come ne accadono tante, che conduce dalla vita e alla morte in un battito di ciglia.

Gianni ha collaborato con il Club GHoST (il portale, non il blog su cui sto scrivendo) principalmente con recensioni di fumetti ma scriveva anche di libri e cinema. Erano la sua vita.

Amava la nona arte in tutte le sue declinazioni, dal fumetto seriale a quello d’autore e ai graphic novel. Dotato di particolare sensibilità artistica, sapeva cogliere con invidiabile acutezza il valore di un’opera. Le sue recensioni non erano mai banali ma ricche di spunti e intuizioni originali. Moebius, Dino Battaglia, Sergio Toppi sono solo alcuni dei grandi autori di fumetti che Ganni ha recensito. Ma si occupava anche dei giovani autori meno famosi. E qui ricordo la sua umanità e sensibilità particolari. Quando recensiva un graphic novel di un giovane autore non era mai distruttivo ma sempre costruttivo: anche se l’opera non lo convinceva del tutto, trovava sempre qualcosa di positivo da mettere in rilievo. Non era affatto spavaldo e arrogante. Tanto meno tronfio della propria cultura. Perché Gianni era una persona colta e competente come poche. Di formazione prevalentemente teatrale (era attore, regista e drammaturgo) amava anche il cinema, le serie tv, i fumetti e la letteratura. Ha scritto e diretto decine di spettacoli teatrali, recitando in tutta Italia e in diversi paesi europei.
Nel corso della sua carriera ha frequentato decine di corsi di formazione. Tra i più rilevanti quelli con Marco Baliani, Carlo Formigoni, Iva Hutchisnson, Sannie Fratellini, Stefano De Luca. Fondò la Compagnia Cresta a Taranto e ha lavorato per le compagnie Ruotalibera Teatro di Roma e Pandemonium Teatro di Bergamo.

A
me resta il rimpianto di non averne approfondito la conoscenza, oltre
le mail e messenger.

Non so se Gianni aveva un credo religioso. Ma voglio pensarlo ancora vivo, in qualche modo. Comodamente seduto in poltrona a godersi un fumetto, a guardare un film o a leggere un libro. Questo, in fondo, è il paradiso che si addice a chi ha amato in vita l’arte in tutte le sue forme. Gianni, ne son sicuro, si muove ora negli spazi bianchi tra una vignetta e l’altra, tra mondi fatti di parole e nelle dimensioni altre formate da immagini in movimento. Ciao, Gianni.

Gianni Solazzo

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Il fantasma di Alessandro Appiani di Stefano Simone

Il
fantasma di Alessandro Appiani (2022)
di Stefano Simone

Regia: Stefano Simone. Soggetto: Gordiano Lupi (romanzo), Aldo Zelli (idea). Sceneggiatura: Roberto Lanzone, Giuseppe Bollino. Musiche: Luca Auriemma. Fotografia: Tommaso Visentino. Animazione: Sara Strafile, Lucia Zullo. Aiuto Regia: Francesco Trotta. Fonici di presa diretta: Giovanni Casalino, Robb MC. Produzione: Running TV International. Genere: Commedia / Thriller. Formato: DCP / Colore. Durata: 84’. Paese di Produzione: Italia, 2022. Interpreti: Rosa Vairo (Silvia), Matteo Mangiacotti (Luigi), Simone Balta (Carlo), Bruno Simone (Paolo Lanfranchi), Antonia Notarangelo (amica di Lanfranchi), Carlo Cinque (Mario Luisi), Sara Pellegrino (amica di Lanfranchi), Gianluca Di Trani (assistente di polizia Righetti), Cory Di Pierro (madre di Silvia), Antonio Potito (il nonno), Pasquale Tricarico (ispettore Franceschini), Moussa Camara (senzatetto che vive nel castello), Isabella Gentile (madre di Lanfranchi).

Stefano Simone si conferma autore interessante e versatile, cambiando del tutto genere dopo gli ultimi lavori che spaziavano dal fantastico al thriller, con alcune incursioni nel tema sociale e dei diritti umani. Il fantasma di Alessandro Appiani è commedia thriller, qualcosa che in Italia si fa davvero poco, in parte riferibile a lavori internazionali come IT, per il tono e per la presenza dei ragazzini che indagano, fatte le debite proporzioni. Qui ci troviamo di fronte a un lavoro a basso budget che fa del cinema teatrale la sua maggior forza, con interpretazioni credibili da parte dei giovani attori, un cast interessante nel quale spicca la protagonista Rosa Vairo, per espressività e naturalezza. La sceneggiatura di Matteo Simone, Roberto Lanzone e Giuseppe Bollino parte da un romanzo di Gordiano Lupi, senza stravolgerlo nella storia, ma calandolo alla perfezione in un mondo popolato da adolescenti. L’operazione può dirsi riuscita, perché Silvia Lepri (Vairo) resta la ragazza sognatrice che sin dall’infanzia ha la straordinaria capacità di sentire le voci a grande distanza (idea di Aldo Zelli, dal racconto Le voci lontane). Nella versione del cineasta di Manfredonia si avvale della complicità di due amici come Luigi (Mangiacotti) e Carlo (Balta) per investigare su una serie di omicidi che sembrano collegati alla leggenda del fantasma di Alessandro Appiani e del suo castello abbandonato. Spinti dalla curiosità, i tre adolescenti iniziano un’indagine personale, basandosi sui libri di leggende popolari del professor Luisi, uno storico locale che cerca di riabilitare la figura del principe. Mentre la polizia brancola nel buio, sarà proprio il trio a risolvere il mistero. Non diciamo altro sulla trama, perché il film è un vero e proprio giallo con ben quattro omicidi e un colpevole, che lo spettatore scoprirà soltanto verso la fine, nel corso di una sequenza ad alta tensione. Veniamo ai pregi della pellicola, che sono molti, a partire da un cartone animato iniziale che racconta la storia del delitto di Alessandro Appiani (episodio storico, avvenuto a Piombino nel 1580) avvalendosi di un singolare quanto originale rap in sottofondo. Pare di essere tornati nel cinema degli anni Settanta, quando spesso le commedie italiane venivano introdotte da un divertente disegno animato. Sara Strafile e Lucia Zullo sono davvero brave e realizzano un prodotto di godibile freschezza. Il film è ben fotografato da Tommaso Visentino, che conferisce le atmosfere giuste alla narrazione, passando senza soluzione di continuità dai toni cupi e giallastri dei notturni ai luminosi esterni. Stefano Simone dimostra di aver raggiunto un buon livello di maturità tecnica, che lo rende capace di affrontare sia i piani sequenza che i campi e controcampi per gestire i dialoghi di un film in gran parte teatrale, come impostazione narrativa. Non mancano le annotazioni d’autore come la scena del dialogo tra il nonno (Potito, molto bravo) e Silvia, dove il vecchio discetta sul valore dei sogni e sulla crudeltà della guerra, senza dimenticare il valore simbolico del binario (ricorrente nei film di Simone) con gli adolescenti che camminano lungo la linea ferroviaria, pronti per affrontare la vita. Il film ha un tono da commedia che non ha precedenti nel cinema del regista pugliese, alcuni personaggi sono volutamente grotteschi e caricaturali, come il giovane scrittore Paolo Lanfranchi (Simone), che parla senza capire il senso delle parole e usa piuttosto che a sproposito (come fanno in molti!). Per non parlare dell’inetto ispettore di polizia (Tricarico) e del suo assistente (Di Trani) che deve sopportare la prosopopea del superiore e la sua arroganza nell’imputarsi meriti inesistenti. Da notare alcune riuscite gag all’interno del castello abbandonato, dove gli sceneggiatori si prendono gioco degli stereotipi del cinema horror di bassa lega. Ottimo Matteo Mangiacotti nella parte dello studente secchione innamorato di Silvia e molto bene Simone Balta, il più giovane del terzetto che porta un tocco di leggerezza alla formazione dei giovani detective. Rosa Vairo è perfetta come indagatrice dell’incubo dotata di poteri soprannaturali, che confida solo al giovane amico Carlo, espressiva e sorridente, mai in difficoltà con la gestione del personaggio. Tra i pochi adulti, spicca l’interpretazione di Carlo Cinque, nei panni di un allucinato professor Luisi, scrittore ossessionato dalla figura di un principe calunniato dalla storia. Nota di merito per Stefano Simone, perché non è facile dirigere giovani attori e farli recitare in maniera spontanea e naturale, senza incertezze di sorta. Termino con il montaggio serrato, che contribuisce a creare suspense nelle sequenze più importanti, come durante la visita notturna al castello abbandonato. Ottima la scelta del suono in presa diretta che conferisce veridicità e spontaneità al materiale narrativo. Colonna sonora come sempre (sin dai tempi di Cappuccetto Rosso) del fido Luca Auriemma, una costante positiva nei film del regista sipontino. Attendiamo novità sulla distribuzione, che crediamo sarà soprattutto televisiva, anche se il film meriterebbe attenzione da parte di cinema indipendenti, festival e rassegne a tema.

Il fantasma di Alessandro Appiani locandina

Il fantasma di Alessandro Appiani frame 1

Il fantasma di Alessandro Appiani frame 2

Il fantasma di Alessandro Appiani frame 3

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Zack Snyder – Into the Snyderverse di Filippo Rossi

Presentiamo
Zack Snyder – Into the Snyderverse
di
Filippo
Rossi,
pubblicato
da Edizioni NPE.

Zack
Snyder
,
tra i più grandi cineasti contemporanei, ha realizzato opere per il
grande schermo divenute ben presto dei cult: da L’alba
dei morti viventi

a Batman
v Superman
,
passando per 300.
Questo saggio analizza in maniera approfondita tutti i suoi film,
ripercorrendo la carriera del regista tra curiosità e retroscena. Il
suo percorso di vita, poco noto, e il cammino professionale non sono
sempre stati semplici. E i suoi lavori sono tra i più polarizzanti
del nostro tempo.

Questo
volume passa in rassegna tutti i suoi film, dagli esordi sin ad oggi,
tra appassionanti dietro le quinte e curiosità inedite.

L’AUTORE

“Jedifil”,
nato a Rovigo nel 1971 e trasferitosi a Trieste nel 2009, ha scritto
libri sulla saga di Star Wars, su Superman e sull’Universo
fantascientifico di Dune (quest’ultimo pubblicato per Edizioni
NPE).
Ama
il disegno e il fumetto, la psicologia e il mito, il rock filosofico
di Roger
Waters

e certo cinema. È Presidente di Yavin 4, il fan club italiano di
Star Wars, del Fantastico e della Fantascienza.
Membro
dell’Associazione Italiana Studi Tolkieniani, sostiene la rivista
Éndore
dedicata al mondo del Signore degli Anelli.

Zack
Snyder – Into the Snyderverse

Autore:
Filippo Rossi

Editore:
Edizioni NPE

Collana:
Narrativa

Formato:
148×210 mm, brossura con alette, bianco e nero, pag. 432

ISBN:
9788836272068

Prezzo: 17,90 euro

Zack Snyder – Into the Snyderverse di Filippo Rossi

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Saw X di Kevin Greutert

Saw
X (USA, 2023)

Regia:
Kevin Greutert

Sceneggiatura:
Peter Goldfinger, Josh Stolberg


Per
John Kramer non c’è più nulla da fare dopo il tumore alla testa che
gli è stato diagnosticato. Ma nonostante gli resti un mese di vita,
non si dà per vinto. Navigando in internet scopre che Cecilia,
figlia del dottor Pederson, luminare esperto in cure di tumori, ha
aperto una clinica a Città del Messico. Incoraggiato dalle
testimonianze di pazienti che sono sopravvissuti dopo aver effettuato
le terapie in quella clinica, si mette subito in contatto con la
dottoressa e parte alla volta del Messico. Una volta arrivato lì
verrà accolto dallo staff medico e sottoposto ad intervento… ma
scoprirà presto che quella clinica era tutta una messa in scena e su
di lui non c’è stato alcun tipo di intervento. Non resta che
affidarsi allora alla fedele assistente Amanda per catturare tutti
coloro che lo hanno truffato e sottoporli alla “sua terapia”.

“Salve
a tutti, voglio fare un gioco con voi”… è Kevin Greutert
(veterano della saga con Saw VI e Saw 3D) a
riportare sul grande schermo l’iconica saga di Saw e
soprattutto la figura di John Kramer con questo “midquel”
del 2024, che si posiziona cronologicamente tra gli eventi del 1° e
del 2° capitolo. Nulla di nuovo rispetto ai precedenti capitoli
(torture ed enigmi ai danni delle vittime colpevoli nei confronti di
Kramer, perle di saggezza dell’enigmista, il pupazzo Billy) se non
quella di porre in primo piano lo stato d’animo del protagonista. In
questo capitolo il lato più umano di John Kramer è ancora più
rilevante rispetto ai precedenti capitoli. Lo spettatore viene
coinvolto appieno in tutte le sue emozioni. Assistiamo così alla sua
agonia nell’aspettare che sopraggiunga la ormai annunciata morte come
un orologio in procinto di smettere di ticchettare. Guardiamo il suo
aggrapparsi alla speranza di poter uscire da questo incubo con la
prospettiva di ricominciare a vivere, ben visibile attraverso i suoi
occhi lucidi dall’emozione e dalla commozione. Partecipiamo al suo
precipitare nello sconforto più totale per la truffa subita: un mix
di rabbia e delusione che lascia il passo a una calma che
contraddistingue il personaggio dimostrando ancora una volta la sua
volontà nel dare una chance alle persone.

A
parte questa esplosione di emozioni varie, non mancano le ingegnose
macchine di tortura con enigmi che metteranno a dura prova la
sopportazione del dolore delle vittime, con  effetti speciali
ben realizzati, come sempre, con sangue a fiumi, ossa rotte e arti
amputati. Tutto molto credibile. A vestire i panni di John e Amanda
ritroviamo ovviamente gli insostituibili Tobin Bell e Shawnee
Smith
, mentre nel ruolo della viscida dottoressa Pederson
troviamo l’attrice norvegese Syvonne Macody Lund (Headhunters:Il
Cacciatore di Teste, Millennium: Quello che non Uccide
) ben
calata nel suo ruolo. Il film scorre bene a suon di colpi di scena
che tiene col fiato sospeso, fino ad arrivare all’incredibile finale…
e un piccolo spezzone durante i titoli di coda.

Si può tranquillamente dire che ci troviamo di fronte a un Jigsaw in gran forma ed in gran spolvero (che farà felici i fans della saga dopo le mezze delusioni del Legacy e Spiral) ma soprattutto di fronte alla dimostrazione che questa saga (è già annunciato il capitolo 11), non può fare a meno della figura di Tobin Bell (il cosiddetto “mai più senza”). Mettetevi comodi e gustatevi lo spettacolo… inizia il gioco.

Saw X

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