Terraluna di Daniele Picciuti

Mi è stato gentilmente fatto dono di questo romanzo cyberpunk di quasi 300 pagine. Il cyberpunk è quel genere di fantascienza urban, sporca, distopica le cui narrazioni spesso ruotano attorno a indagini poliziesche. Terraluna non centra completamente il genere perché calca molto sul fantascientifico, ma non è certo una colpa, anzi arricchisce il suo arazzo.

Il racconto è corale e narra le vicende di Valerie, un’attivista per i diritti delle razze aliene, Fumiaki, un investigatore della polizia più macchina che uomo, Marco, un contrabbandiere, Sylvie, una dipendente di una compagnia assicurativa, e tutta una serie di comprimari. Per motivi non facilmente ricollegabili così ad occhio, i quattro si ritrovano ad avere a che fare con una serie di terrificanti quanto misteriosi omicidi su Terraluna. Questa città, questo mondo, è il nostro satellite trasformato in città-formicaio dopo l’esodo dalla morente Terra e dove la razza umana vive e ancora ha rapporti con tutto l’universo che ha scoperto, importando persone, merci e culture. Ovviamente l’omicidio non è mai solo fine a sé stesso, e le vite dei protagonisti finiranno sempre più intrecciate mano a mano che si scopre cosa ha portato a queste morti e a cosa fanno da preludio nello sconvolgere una società già terribilmente complicata di suo. Il libro ha un finale aperto, ma semplicemente perché “l’universo non finisce con la storia”.

Io sono molto cattivo coi libri che leggo, questo perché mi vizio solo con i grandi autori. Quindi, per non fare l’antipatico, parto dai numerosi pregi di questo scritto. Intanto l’ambientazione viene delineata benissimo e introdotta nei vari dialoghi e situazioni con abilità. C’è una cura particolare per vari dettagli di come funziona il mondo di Terraluna e tutto è sensato e acuto risultando così in una piena immersione del lettore. Allo stesso modo ci sono delle idee originali, soprattutto nel “grande mistero” del narrato che possono colpire i più e lasciarli stupiti dello svolgersi degli eventi. L’azione si legge bene e non è confusa, nemmeno quando la gente si spara (e di solito le sparatorie sono un macello da scrivere come si deve).
Il testo è impaginato molto bene, con ogni capitolo con una costola che dà l’effetto della città sullo sfondo. Inoltre è corredato da immagini, molte, che rappresentano i vari protagonisti. Queste immagini sono di qualità notevole e non so dire se siano disegnate o fatte con una AI (nel caso del sì è un malus, ma non sono capace di dirlo). Senz’altro invece mi sarei risparmiato di inserire altre immagini di landscape che risultano generiche e paiono solo riempitive.
Il narrato è quasi totalmente in prima persona, cosa che non mi piace per niente. Inoltre ogni capitolo ha come titolo il nome di uno dei personaggi (e talvolta di alcuni comprimari) e diventa tutto dal punto di vista di quella persona. A qualcuno può anche piacere e ne ammetto l’originalità, ma io l’ho trovato confusionario e rende anche più difficile affiatarsi davvero con un personaggio.
Proprio questi personaggi sono tanti e interessanti, ma con luci e ombre narrative. Intanto sono molto “umani” nel senso più brutto del termine. Ovvero che sono tutti un po’ stronzi chi per un motivo chi per l’altro (personalmente mi è piaciuto più che altro lo sbirro) e sono tutti arrapati. Non è strano, anche per le strade sono tutti arrapati, ma i libri di solito hanno più classe. Non è strano lo stesso perché si narra di una società decadente e comunque esistono libri drasticamente osceni mentre questo non lo è… risulta solo un po’ immaturo. Che siano tutti molto belli ci sta, che quasi tutti facciano un pensierino sul fare sesso con quasi tutti gli altri (e un paio di volte accada) sembra semplicemente eccessivo. C’era bisogno di così tanti commenti a tema?
Infine e questo è un parere mio, ma la recensione è la mia, sembra che l’autore (che è un autore di successo e io non sono nessuno, lo so) ad un certo punto avesse cambiato idea. Nel senso proprio che la trama cambia direzione in un modo abbastanza netto (ed è un bene perché l’inizio è abbastanza banale) e i personaggi pure ne vengono stravolti, non in modo incoerente, ma alcuni divengono ininfluenti, altri importantissimi, non c’è un vero motivo di questo cambiamento. È come se fosse passato del tempo, l’autore avesse cambiato idea e tutto quanto avesse preso un brutto scossone.
Il finale è ok, leggermente alienante (ma ci sono anche degli alieni quindi… va bene?) e non ha una chiusura così chiara. Si suddivide in epiloghi per ogni personaggio, ma queste “fini” si pestano i piedi a vicenda nullificandosi quasi tutte tra di loro.
In definitiva ci sono libri assai peggiori in giro e questo almeno si legge bene e ha dei tratti originali. Non lo avrei letto di mia sponte e non lo rifarò, ma se vi piace il cyberpunk e non vi fate troppi problemi su come ragionano i personaggi (e sulla scrittura in prima persona) vi piacerà.

Terraluna
Autore: Daniele Picciuti
Editore: Nero Press
Anno: 2024
Edizione cartonata e illustrata
Pagine: 240
Prezzo: 19,90 € – Ebook: 6,99 €
ISBN: 9791281435247

L’AUTORE
Daniele Picciuti è romano, classe 1974, vincitore e finalista di numerosi concorsi letterari, ha all’attivo varie pubblicazioni in ebook (per Nero Press Edizioni e Delos Digital) e in antologie multiautore, tra cui I clown bianchi per Clown Bianco Edizioni, 2017. Opere principali pubblicate: I Racconti del Sangue e dell’Acqua, edito da Nero Press Edizioni in formato illustrato; il romanzo thriller L’inconsistenza del diavolo (Golem Edizioni, 2017); il romanzo per ragazzi Eddie e Melo. Il segreto dei Roccafiore (Plesio Editore, 2018), storia fantasy dal taglio investigativo; il romannzo horror Dove arrivano le ombre (Nero Press Edizioni, 2021). A questa pagina trovate invece le sue pubblicazioni in self, tra cui la saga piratesca a tinte horror Cursed Sails e i romanzi bizzarro fantasy Nero Elfico (vincitore del Premio Cittadella 2016) e Giallo Nanico, tutti confezionati con una cura editoriale di qualità: Illupoelafenice.it

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Meridiano di Larve di Carlo Vitali

[…] I maiali non verranno mai a cercare qua sotto. Le scale sferragliano a ogni passo. Punto la lampada verso il pavimento, scendo l’ultimo gradino e degli scarafaggi schizzano di fianco al mio piede. «Che posto di merda.» La mia voce rimbomba contro le pareti del bunker abbandonato. Fa schifo, ma anche per questo è perfetto […]

Meridiano di Larve di Carlo Vitali è edito dalla Acheron Book per la collana Vaporteppa, al numero 11 della suddetta.

L’opera ci presenta una narrazione di genere distopico con influenze cyberpunk, in particolare con una sottotraccia biopunk, il tutto inserito in un’ambientazione post-apocalittica. Ambientato in Australia, l’atmosfera è cupa e decadente, con personaggi che si muovono in un contesto sociale e politico profondamente corrotto. Ecco un’analisi dettagliata:

Il protagonista, Kess, è un’eroina pragmatica e spietata che vive ai margini della società, cercando di sopravvivere in un mondo ostile. Il suo legame con il fratello Crabby rivela un lato più umano, evidenziando la necessità di proteggere chi ama, anche in un ambiente tanto ostile.

Tra i temi più sviluppati estrapolo quello della sopravvivenza: Tutti i personaggi sono costretti a fare scelte difficili per sopravvivere, in un contesto in cui l’umanità sembra essere quasi del tutto perduta.
La contaminazione: sia fisica che morale, è un tema centrale. Gli esseri umani lottano contro tossine e creature mutate, simboli della decadenza fisica e sociale.
Infine, la corruzione permea tutti i livelli della società, dalle forze dell’ordine ai mercanti e ai politici, creando un ambiente in cui nessuno si fida degli altri e tutti sono pronti a tradire.

Il mondo di Meridiano di Larve è arduo e decadente, caratterizzato da bunker abbandonati, città fatiscenti e creature contaminate. Il paesaggio urbano, descritto in modo minuzioso, contribuisce a creare un senso di claustrofobia e di pericolo costante. Il contrasto tra la desolazione esterna e la vivacità dei mercati neri e delle attività criminali interne sottolinea il degrado morale della società.

A volte, l’uso di termini tecnici o dettagli eccessivi potrebbe confondere il lettore meno esperto di ambientazioni post-apocalittiche o cyberpunk ma è una sottigliezza.

Il lavoro di worldbuilding è ben sviluppato e visivamente ricco di temi ricorrenti, ma anche di elementi che la rendono unico.

Il finale, delicato e di grande impatto, conclude una narrazione cruda e dal sapore radioattivo, che ho particolarmente apprezzato.

Meridiano di Larve
Autore: Carlo Vitali
Editore: Acheron Books
Pagine: 550
ISBN: ‎ 9791254980798
Costo: 6,99 € ebook e 18 € cartaceo

Tutti i diritti riservati per immagini e testi agli aventi diritto ⓒ.




Nekroeconomy di Sandro Battisti

(Precedentemente uscito su Cronache dell’Armageddon, k_noir, Kipple Officina Libraria, 2020, come omaggio a Sergio Alan D. Altieri)

Sembrava
un suono inverso quello che si stava abbattendo sulla sua coscienza.
Vigile fino a pochi istanti prima, con la stessa continuità del
reale la scena cui stava assistendo aveva improvvisamente mutato
quinte: Alan era stato catapultato in una stanza oscura, ma
familiare, in cui una parete fittizia occultava una porzione del
vano, come se ci fosse un’altra stanza.

Era
divenuto notte. Si trovava in compagnia di qualcun altro, ma sapeva
che egli stava alle sue spalle; lo conosceva bene però questi non si
palesava, e poi per qualche strano motivo Alan aveva preso a
raccontargli cosa si celasse in quel piccolo antro, su cui si apriva
una finestrella rimovibile formato A3, di compensato come lo era
tutta la parete divisoria.

Alan
si sporse oltre il leggero materiale compresso e valutò con una
smorfia il buio che gravava lì dentro; provava una nota di disagio
crescente, annaspò col braccio sinistro oltre la frontiera di legno
e non gli riuscì di trovare nulla di ciò che cercava – “Alan,
cosa cerchi?”, si domandò tra sé e sé – e solo a quel punto
accese la torcia del suo smartphone per far luce sul mistero
oltrecortina: non trovò nulla ed ebbe l’idea di illuminare la
parte opposta del vano, prendendo il telefono con la mano sinistra.
Un braccio inanimato calò sulla sua coscienza, con orrore ne percepì
visivamente la mollezza propria di un arto senza vita: sembrava che
un cadavere vestito di una giacca chiara, a trama spessa e pesante,
mostrasse appena una mano rimasta fissa in una posa da artiglio. Lo
sconcerto maggiore però Alan lo ebbe subito dopo, quando
convulsamente spostò il fascio di luce dello smartphone verso
l’alto, cristallizzando così un abisso di angoscia inenarrabile in
cui il resto dell’orribile figura, dal volto nascosto, incombeva su
di lui sporto poco oltre la finestrella del vano. Nell’altra mano
della figura inanimata c’era una grande moneta, con su scritto
qualcosa di talmente eliso da risultare illeggibile.

Codici
arcaici e inumani segnarono istantaneamente la coscienza di Alan;
interi universi di simboli occulti e di articolate grammatiche
semantiche, incomprensibili agli umani, sembrarono raccontargli
strani episodi di ciò che poteva accadergli. Si sentì coinvolto in
un terribile gorgo di evocazioni orrende, non sapeva fino a che punto
sgorgate scientemente dai suoi interessi per le divinazioni magiche.
Prima ancora di operare una sola profezia, l’intero sistema occulto
di quegli universi gli lanciava dei moniti inequivocabili, come se
gli si volesse presentare con la gran potenza dell’insondabile;
subvocalizzò nel sonno dei mugugni, echi superficiali di un orrore
molto più profondo, mentre le mosse scomposte che assumeva nel letto
in cui dormiva completavano l’incubo in cui era precipitato.

Klelia
gli era accanto, lo scosse: – Alan, cos’hai, stai bene? – Lui
aprì gli occhi, era ancora immerso nell’abisso di raccapriccio in
cui ancora si dimenava. – Hmmm – disse, e tentò di sorriderle,
ma si sentiva immobile come il cadavere del mago che continuava a
penzolargli addosso, nella sua coscienza trascendentale.

– Stai
bene? – gli reiterò.

– Solo
un brutto sogno; è così difficile riconoscere il reale – le
sussurrò, ancora stordito dalle immagini orride e nere che
galleggiavano nella sua psiche – Che ore sono? – le chiese poi
improvviso, scorgendo la luce solare filtrare dalla serranda.

– Le
8.45! – gli rispose allarmata, doveva essersi svegliata anche lei
poc’anzi; preoccupata dai lamenti di Alan, non doveva aver
considerato l’orario.

Un
banner olografico s’insinuò tra loro, avvolgendoli in spire di
caldo citazionismo sintetico: “Alan e Klelia, il momento delle
opportunità professionali è in attesa di sviluppo, non lasciamo
soffrire ulteriormente le linee di business”. L’appello veniva
reiterato ogni quindici secondi; era martellante, ossessivo. “Il
business sta soffrendo”, era poi aggiunto in tono neutro, lasciando
però filtrare dal messaggio un senso di allarme angoscioso. Il
risultato dei richiami alla produttività del mondo iperliberista era
opprimente, affliggeva con gli inviti di un Mercato divenuto vivo e
in perenne espansione, lontano dal realizzarsi e per questo ancora
più pressante nei suoi richiami.

– Gli
incubi divengono veri
– notò cupo Alan – un po’ troppo spesso.

Guardò
la sommità del cielo che intravedeva come uno spicchio tra le
impalcature degli ologrammi; riabbassò gli occhi, preso da uno
sconforto tremante del sogno ancora vivido in un qualche rivolo
quantico del reale. – Siamo pronti per il nuovo salasso? –
domandò rassegnato a Klelia; un senso di pesantezza prossimo al no
hope

li accomunava, “Siamo solo all’inizio della giornata”. Sentì
bussare forte alla porta.

– Aprite!
Prelievo forzoso!

– La
PolBeez?
– esclamò sorpreso Alan a bassa voce, col tono proprio del
bisbiglio isterico. – Presto, di
,
ci stanno per prendere! – concluse verso Klelia. Ma non ebbe tempo
di far nulla.

La
porta venne giù dai cardini elettronici con uno schianto degno
dell’epoca analogica. Subito le guardie private, mandate da
sentinelle liberiste disincarnate, irruppero a due a due
nell’appartamento; erano autorizzate a far ciò, molto più degli
agenti di Polizia statale. La PolBeez
era la mano armata militare del Business, i suoi modi erano di chiara
ispirazione nazista e la sua giurisdizione era totale, oltrepassava
il fatiscente concetto di Stato, considerati dal sistema economico
dei vuoti contenitori giuridici da molto tempo assorbiti dal Mercato.

Alan
sentì risuonare dentro di sé il riff di NWO,
i Ministry di un tempo guidavano la sua ferocia anarchica verso la
ribellione a sistemi invasivi di controllo; si ripeté a denti
stretti, ribollente di un odio repentino che si risvegliava ogni
volta che la costrizione segnava la sua anima:

Io
sono innamorato

del
nostro potenziale di minaccia

Aprire
il fuoco perché

ti
amo da morire

Cielo
alto,

con
un mal di cuore di pietra

Non
mi vedrai mai

perché
io sono sempre solo

…e
fu così che aprì davvero il fuoco, estraendo dai suoi slip una
pistola molecolare che portava sempre con sé; la potenza che
quell’arma esprimeva era devastante, in grado di disgregare le
giunzioni del DNA del malcapitato. O dei malcapitati, come in quel
caso.

Gli
agenti della PolBeez
caddero in serie poco oltre la porta scardinata, senza un lamento,
come birilli; – Mi
sono innamorato di un intento doloso

canticchiò subito dopo Alan, mentre prendeva Klelia per mano e,
vestitisi frettolosamente, passavano poi sopra i cadaveri molli delle
guardie private del Business.

– Perché
erano venuti a prenderci? – domandò Klelia.

– Avevamo
appena perso il lavoro, evidentemente. Ci avrebbero portati in
qualche luogo di rigenerazione professionale, pronti per altre forme
di schiavismo marketing.

– Avremo
fatto bene a fuggire?

Alan
la guardò, senza risponderle. Cercava un senso di futuro, ma il
concetto di speranza era una frustrazione continua, dal sapore
disperato.

In
strada, si trovarono faccia a faccia con una pattuglia ausiliaria,
richiamata dal mancato feedback della PolBeez.
Alan e Klelia evitarono i tiri incrociati dei fucili da guerriglia
urbani, grazie anche alle architetture da MassMarket
lì nella via che li schermarono con le offerte commerciali
LastMinute:
Alan fu rapido nel rivestirsi di pannelli luminosi, scintillanti
d’irresistibili meraviglie plastiche da imbonitori; con essi coprì
anche Klelia e così mimetizzati attraversarono rapidi la piazza,
fino ai portici.

– Rimaniamo
un istante qui – le disse sicuro.

– Ci
faranno a pezzi – rispose lei; aveva dentro un senso di
disperazione, dissonante con i jingle pubblicitari ripetuti fino alla
nausea: Klelia doveva averne visti troppi.

– Lo
avrebbero fatto comunque in casa nostra – obiettò Alan; lei gli fu
grata di aver parlato chiaro.

– Di
qua! – una voce che gli risultò familiare li fece voltare
all’unisono, un aiuto insperato?

– Ahmed
– disse trasalendo Alan – non farlo, ti renderanno innocuo! –
cercò di farlo ragionare.

– Sbrigatevi,
invece! – replicò il Mediorientale con un fare convulso. Alan non
disse altro, serrando la mano di Klelia e piegandosi il più
possibile, corsero verso l’anfratto indicato dal tempestivo
alleato.

Il
negozio di Ahmed era fresco. Aveva l’aria di un locale della Grecia
insulare degli anni ’60. – Qui potrete respirare un poco –
disse loro rassicurante, dopo averli sistemati sotto un banco di
mercanzia esotica. – Qui, mettetevi sotto gli scatoloni!
Quegl’imbecilli sono così tecnologici che basta del vecchio
cartone per renderli ciechi.

Alan
sussurrò un piccolo ringraziamento, creando al volo con le sue mani
un sottile origami digitale da donare; glielo porse. Inorridito,
l’altro lo rifiuto precipitosamente: – Sarai pazzo? Vuoi farmi
trovare subito da quelle merde in divisa, con un tracciamento
cibernetico?

Alan
comprese e disattivò immediatamente il manufatto, maledicendosi per
l’imprudenza.

– Scusa
– farfugliò a bassa voce. Poi guardò Klelia: – Dobbiamo stare
in silenzio per un po’, forse c’è necessità di aspettare la
sera per uscire da qui…

– …o
forse dovete attendere anche un paio di giorni – aggiunse
autorevole Ahmed, con un cenno turgido di un dito sul naso; – Fate
silenzio! – continuò, tendendo l’orecchio. Poi spense la luce, e
Alan udì delle voci in sottofondo, pressanti come quelle di un
drappello da rastrellamento. “Siamo in uno Stato militare”,
pensò, “il nostro mondo ha una sfumatura di controllo ossessivo
che non dà spazio alla fantasia”.

– Zitti!
– subvocalizzò Ahmed, cercando di smorzare il rumore di fondo
cerebrale dei due.

– Chi
c’è qui? – urlò una delle guardie ausiliarie appena entrata,
mentre cominciava a rovistare nel sottonegozio.

– Ceci
e banane – urlò un po’ troppo forte Ahmed, in risposta.

– Banane?
– chiese il militare. – Quali banane? Non ne vedo – biascicò
mentre armava il grilletto da esplosione neurale.

– Sei
un figlio di troia… – sibilò allora Ahmed, mentre con lo sguardo
cercava i suoi complici: Abdul, Moham e un altro mastodontico che si
chiamava Hannibal. Irruppero tutti sulla scena sopraffacendo
l’agente, che non ebbe nemmeno il tempo di sublimare il suo terrore
nei canali privati dell’Esercito: Moham gli tagliò la gola, alla
maniera classica mediorientale. Alan e Klelia lo videro accasciarsi
attraverso i contenitori dei ceci, sentirono il gorgoglio dei suoi
terribili lamenti annegati nel sangue a fiotti.

– Presto,
fuggite di qua – disse Ahmed rimodulando ai due il suggerimento di
poco prima: – ora arriveranno a setacciare il locale altre guardie
assieme a tutta la PolBeez,
sarà difficile coprirvi. State tranquilli, diremo che vi siete
nascosti dietro le patate a nostra insaputa, e che avete fatto secco
voi quel pezzo di merda.

Ahmed
indicava il montacarichi verso il porto. Alan e Klelia vi si
tuffarono subito, senza pensarci un solo istante, giù per il budello
in muratura; lui aveva in mano una sorta di scimitarra tascabile che
Moham gli aveva gentilmente passato, un’arma di vecchio tipo che,
però, aveva il pregio moderno di cancellare chimicamente il calco
delle impronte digitali.


in quel pozzo fondo di oscurità, Alan e Klelia si guardavano spesso,
scoprendosi impauriti e spaesati da un luogo così inospitale, assai
diverso dalla loro casa abbandonata soltanto un’ora prima.

– Alan,
siamo in un cul
de sac
!
– diceva lei stridula, e nel frattempo il suo respiro diveniva
affannoso, quasi avesse un attacco d’asma.

– Ahmed
non ci avrebbe fatto cadere in una trappola dopo averci prima
nascosti, non ha senso il tuo timore; aspettiamo ancora un poco per
abituarci all’oscurità, questo budello deve pur avere uno sbocco
al porto, no?

Alan
tendeva l’orecchio e cercava di valutare il brusio di sopra: gli
giungeva artefatto ma convulso, udiva le improvvise accelerazioni
vocali dei mediorientali che rispondevano alla PolBeez;
in pochi istanti, vide comparire davanti ai suoi occhi una mail di
spam-recruiting e solo allora si ricordò che doveva spegnere i
moduli mentali installati nella partizione cerebrale di lavoro.
“Maledetto idiota che sono, solo ora ci penso?”. A piccoli passi
avanzò nel buio, tenendo la mano di Klelia e tracciando mentalmente
degli assurdi percorsi mnemonici, per seminare eventuali sentinelle
cibernetiche sguinzagliate dagli agenti.

– Poco
più in là c’è un percorso fosforescente – disse rassicurante
alla sua compagna.

– Dove?

– Qui…

Si
lanciarono in un altro budello di mattoni, risalente a chissà quale
periodo analogico; il tanfo di muffa li sopraffece più volte e
Klelia fu sull’orlo di uno shock anafilattico improvviso, una paura
mista ad allergia che le tagliò il fiato. Alan fu rapido, subito
dopo il tonfo in una melma indefinita e salmastra, nel baciarla a
lungo, dandole respiro e calore affettuoso.

– Resisti
amore mio – le sussurrò empatico – siamo ormai lontani da quelle
bestie.

Lei
non rispose, quel bacio aveva il sapore di una colata di alici
macerate: fu quasi come annusare dei sali dopo uno svenimento.

Con
il terrore di cosa fosse sommerso sotto di loro, e badando bene a non
trasmettere alcuna forma di panico, Alan mosse lentamente le gambe a
mo’ di elica per portarsi lontano dal punto di caduta. Annaspando
piano all’unisono, pensava, avrebbero potuto guadagnare una qualche
posizione di vantaggio, così da poter capire come e dove fuggire.

– Muoviti
come me, senti i miei piedi cosa stanno facendo? – Alan bisbigliava
all’orecchio della sua compagna invitandola a collaborare.

– Non
abbiamo scampo – gli rispose lei – dove mai potremmo fuggire?

Lui
si bloccò a riflettere. Il tempo gli era contro. Un gorgo nei suoi
pressi lo prese in un vortice, un rumore sinistro plasmò la sua
improvvisa guglia d’angoscia.

– Non
dovete muovervi – intimò loro una voce sintetizzata. Dal buio, una
sottile luce laser scandagliava il settore dove Alan e Klelia si
tenevano a galla.

Furono
avvolti da delle ganasce pneumatiche; gli sembrò di essere
incastrati da una retina da pesca, solo che i nodi erano in grafene
ed emanavano un vomitevole odore salmastro: “È il senso di questo
specchio d’acqua”, pensò tra sé Alan; Klelia invece era già
svenuta, subito dopo lui scoprì che era stata semplicemente
addormentata da un anestetico a contatto, perché subito dopo anche
lui fu anestetizzato.

Quando
aprirono gli occhi, Alan e Klelia erano immobilizzati da una gabbia
antropomorfa modellata esattamente sulle loro forme. “Materiale che
ha memoria degli stati”, comprese Alan a proposito del carapace che
li costringeva all’inabilità.

– Pensavate
davvero di poter fuggire? – chiese una voce impersonale che usciva
dalle pareti, sembrava diffondersi addirittura dalla tinta sbiadita
sul muro, un vomitevole color livido.

– Voglio
non rispondere – si difese Alan.

– Potete
fare ciò che volete. Per quel che vale…

Le
luci si spensero, passò poi una quantità di tempo condensato che
non gli riusciva di quantificare.

– Hai
idea di che ore sono? – gli chiese dopo un po’ Klelia.

– No,
nella fuga ho disattivato le routine da connessione cerebrale –
rispose lui, si scusava unicamente con le tonalità della voce e non
con gli atteggiamenti corporei, ancora bloccati in quella schiuma di
grafene.

L’immagine
di un’alba si formò allora nel subconscio di Alan; il pensiero di
Ahmed e dei suoi amici lo attraversò in un lampo, ma distrusse
subito quell’immagine per preservare i mediorientali dalla cattura,
semmai non fossero già agli arresti. L’alba continuò a
svilupparsi lentamente nella coscienza di Alan ed era un lento salire
sul mare, ammirava un paesaggio subtropicale che emanava aromi di
armonie idilliache; provò così a seguire quel percorso empatico e
nel farlo staccò idealmente il contatto da Klelia, non prima di aver
contrassegnato atomicamente il luogo psichico dove lei si trovava
bloccata. Si tuffò con tutto il suo essere energetico nei flutti
dell’oceano che dominava la sua psiche, inseguendo piccole canoe
sospese sul mare cristallino, intente a pescare.

– Sai
pescare? – gli chiese un uomo, vedendolo avvicinarsi a nuoto.
Stavano in mare aperto, attorno non c’era altro che una potente
luce turchese color del mare; il sole era più alto all’orizzonte.

– Posso
provare – rispose timido Alan.

– È
semplice… – spiegò brevemente l’altro. – Devi soltanto
attendere e non fare rumori. Il sole ti racconterà le sue storie di
eoni.

Alan
tacque. Si sentiva così bene da dimenticarsi ogni cosa di sé. Il
suo stesso nome si stava modificando e il suo ruolo, la sua funzione
nella società in cui si percepiva come cibo psichico, erano
diventati più simili a un costrutto escheriano di trascendenza che a
una gerarchia sociale. Sentiva di essere in balia di una strana
immanenza, nemmeno troppo definita: qualcosa lo stava modificando
integralmente, fin dentro al suo intimo più consapevole.

– Mi
sento diverso – disse infine al pescatore, senza un vero perché se
non la ricerca di un’improvvisa fratellanza.

– Non
si è mai uguali a se stessi – rispose enigmatico l’altro. Alan
percepì nitida la lancinante mancanza al suo fianco di Klelia. Si
sentì smarrito, era un naufrago disperso in un bellissimo oceano di
nulla ostile alla sua umanità; gli sembrò che stesse nuotando in
un’ideologia fasulla ed era come essere immersi nell’Iperliberismo,
in una distopia inumana che sommerge l’umanità. “Gli ambienti
iperreali e belli sono una trappola.”, pensò; “Siete delle
merde: avete contaminato anche la mia idea di trascendenza, avete
fatto tutto pur di costruirmi dentro un universo di falsa
beatitudine”.

Alan
aprì gli occhi e vide accanto a sé il corpo di Klelia, che
trasudava tossine attraverso opportuni pori del carapace di grafene.
Giacevano in una stanza fetida, sporca e con una nuda lampadina del
XIX secolo appesa sul soffitto. Incredulo, sbatté allora gli occhi
per trovare dov’era finito l’oceano su cui galleggiava fino a un
attimo prima, ma la convinzione che quella fosse stata l’ennesima
bugia raccontata da un sistema inumano di condizionamento psichico si
radicò presto in lui: in ogni caso, non era più in grado di capire
cosa sarebbe stato meglio, se vivere in una frottola o nella cruda
verità. Klelia, dal suo canto, sembrava non rispondere più a
nessuno stimolo sensoriale.

Alan
sentì crescere in sé un forte bisogno di rifugio. I ricordi gli
apparvero come la forma più rapida e sicura per potersi rinfrancare.
Quell’oceano così cristallino, su cui fino a pochi istanti tentava
di pescare, gli richiamò alla mente altri istanti perfetti, momenti
della sua gioventù inondati di sole, di una luce estiva accecante
che si rifletteva su muri di calce bianca, di case sul mare e di
vegetazione che frusciava al vento del mattino; il luccichio del
verde intenso degli alberi lo cullava come un’ondata di assenzio,
facendogli esplodere in mente alcuni avvenimenti di cui faticava a
ricordarne l’esistenza. Klelia, anche allora, si muoveva intorno a
lui sinuosa, tra le volute di luce bianca era vestita di un semplice
pareo.

Sembrava
il perfetto risuonare di un istante affilato da risultare instabile,
pronto a precipitare negli abissi del degrado; un punto di svolta
dell’esistenza, il termine di paragone di un’immanenza non più
raggiungibile: Alan era seduto in riva al mare ad ascoltare la
risacca, libero dalle preoccupazioni e pronto ad assorbire i favori
della natura; ogni parola che pensava sembrava possedere l’ombra
nitida di un’epifania trascendentale, sapeva che avrebbe amato
quell’istante per tutti gli anni a venire, e avrebbe ricercato quel
sapore ogni volta che si sarebbe sentito derubato, stanco, afflitto
da eventi tutto sommato inutili, ma disturbanti.

L’istantanea
della perfezione
”,
così definì subito quell’emozione; era felice di rivivere quella
porzione d’estate nel suo cuore immacolato, in quella situazione il
senso della terra gli era stato trasmesso camminando a piedi nudi sul
pavimento fresco. L’odore di una blanda salsedine lo inebriava
tramite i ricordi.

– Un
sorso di vino fresco? – gli chiese Klelia con un filo di voce. Lui
aveva appena finito di mangiare un piatto di spaghetti al sugo, nella
sua coscienza il profumo della semplice bontà si coniugò con
l’aroma inebriante di un delizioso vino bianco di tufo. Si ubriacò
di altra bellezza, “Tutto ciò è il senso intimo della vacanza”,
ricordò di aver pensato in quel momento, e anche adesso.
Annuì all’offerta e a se stesso con un piccolo sorriso: voleva
esser lasciato solo per assorbire completamente quel senso di beltà
sopraffacente.

Si
voltò, e comprese che tutto il bianco stordente dei muri era dato
dalla proiezione della lampadina appesa sul soffitto, nella sua
cella. Klelia era sempre lì con lui, ancora incosciente nel bagno
chimico delle tossine che essudavano da lei.

“Hanno
implementato i miei ricordi”, si disse convinto Alan. “È una
tortura politica
la loro”, aggiunse alterato subito dopo. Pensò che probabilmente
quel ricordo della vacanza al mare non gli era mai appartenuto.

– Possiamo
fare ciò che vogliamo di voi.

Era
un’altra voce maschile a parlare, asettica, potente e ben scandita;
risuonava in tutta la stanza con una sorta di olofonia che non
sembrava avere alcuna origine. Essa lo aveva interrotto nel flusso
interiore delle sue considerazioni.

– Possiamo
farti credere qualunque cosa vogliamo, anche che io esista –
aggiunse subito dopo la voce, come un oracolo.

Alan
stette in silenzio. In realtà era stordito da quella terribile massa
di input.

– Ti
propongo un patto – disse infine la voce. Il suo gracchio sintetico
da IA era fastidioso, come grattare le unghie sulle vecchie lavagne
di ardesia. Alan non diede segno di assenso, né di diniego: era
neutro. La sua battaglia poteva essere combattuta ormai soltanto con
l’indifferenza. Nell’incertezza dei risultati, la voce oppressiva
non sapeva fermarsi e continuo inarrestabile sull’onda di un
delirio di onnipotenza, che andava ben oltre il codice di
programmazione artificiale.

– Tu
accetta di ripagare i crediti del Profitto, accumulati coi tuoi
ritardi di abnegazione, e noi ti scontiamo quest’enorme colpa che
ha provocato l’essiccazione di alcune linee di business. A volte,
la condotta programmata considera le necessità umane, ma fossi in te
non ne approfitterei troppo di questa nostra straordinaria
benevolenza.

– Del
resto – tornò a esser presente la prima voce, come un controcanto
greco – noi sappiamo essere atroci. Non so fino a che punto ti
conviene intestardirti.

Il
silenzio regnò per degli istanti, così dilatati da non essere
misurati dalla coscienza di Alan; forse il buio, o la sensazione di
costrizione, o anche la preoccupazione per la condizione di Klelia,
tutto gli sembrò marcare il tempo come un’oppressione
insostenibile, la sua anima era lorda di una sorta di pece: si sentì
impiastricciato fisicamente anche da qualcosa d’insopportabilmente
viscoso e puzzolente, le sue possibilità di movimento erano prossime
all’immobilità.

– Possiamo
aiutarti a decidere? – ancora la seconda voce, che risuonò
terribile nel vuoto psichico in cui si trovavano; Klelia non sembrò
smuoversi dal suo stato inerte, respirava appena. Alan sorrise
cinico, come un invasato.

– Soltanto
se sparite immediatamente dalla mia vita – rispose; voleva essere
caustico, ma si rese subito conto di essere stato involontariamente
propositivo.

– Lo
faremo, dal momento esatto in cui accetterai le nostre proposte –
il tono neutro della seconda voce strappava via i nervi.

“Economia
necrotica”, pensò tra sé Alan. “Sistema di profitto mortifero,
ovvero l’Economia della Morte: è questo lo stato attuale, futuro e
passato della Globalizzazione. A nessuno importa più nulla delle
ideologie, perché le linee di profitto devono prosperare; dietro di
loro
converge un’inumanità lovecraftiana”.

– Mi
riservo di rispondere non appena avrò trovato la migliore soluzione
per il Business – disse ermetico, ma deciso, Alan. Aveva forse
trovato soluzione cardine per preservare se stesso, facendo finta di
salvaguardare il Sistema?

Le
voci finalmente tacquero, sottolineando una sorta di tacito accordo.
Regnò allora un silenzio statico indefinito, senza forma e tempo.
Come Klelia, che giaceva lì accanto a lui. Un limbo impersonale lo
avvolse, quasi fosse diventato un esiliato in un confino nemmeno
troppo terribile, vittima di una condizione che comunque gli
permetteva di sopravvivere. Il tempo, pensò, poteva essere la sua
carta vincente. “In questo momento lo è davvero”, si ripeté con
effettiva convinzione. Alan era diventato finalmente l’ago della
bilancia del suo futuro, ed era inattaccabile.

“Momentaneamente”,
sorrise mentre se lo diceva.

– Non
hai ancora deciso?

La
terribile voce lo scosse da un torpore mnemonico, che durava da un
tempo eccessivamente dilatato.

– Cosa?
– interloquì Alan, sapendo benissimo invece a cosa si alludesse.

– Siamo
in attesa di una tua decisione sul ripristino del tuo Business,
sappiamo benissimo che ricordi tutto quello che devi.

– Eravamo
d’accordo che la parola ultima spettava a me; vi ho già detto, sto
decidendo – cercò di essere il più convincente possibile, ma
sapeva che…

– Il
Business sta soffrendo indicibilmente: alcune altre linee collaterali
sono irrimediabilmente evaporate, nel frattempo: o decidi in fretta,
o agiremo noi.

– Ciò
modifica sostanzialmente il nostro patto, però – Alan cercò di
ammonire l’interlocutore con l’ombra di una ritorsione, che però
non era nelle sue possibilità e aveva un solo nome: bluff.

Il
modulo di IA non rispose. Un clock
che scandiva un countdown molto prossimo allo scadere si visualizzò
sui lobi temporali di Alan: non lo avevano nemmeno ascoltato.

– Tempo
scaduto – disse infine la voce sintetica.

Un
caldo blow
implose
l’aria intorno a lui. Klelia intanto era scomparsa, non ne
percepiva più la sua presenza lì intorno e intanto si sentiva
cosparso da una forma di coscienza sconosciuta. Non sembrava nulla di
evoluto o d’involuto, piuttosto gli appariva come qualcosa di
plastico, una sensazione impersonale, l’essenza stessa di
un’esistenza larvale, viva nella velata consapevolezza onirica di
essere guidata dall’altrove, come se qualcosa si fosse impossessato
della cognizione e ne guidasse ogni bisogno e scopo, costruendoli a
tavolino.

“Qualcosa
si è impiantato in me”, questo pensò Alan in quei frangenti
dilatati, negli istanti in cui possedeva una qualche forma
d’illuminazione; “sembra un addormentarsi, rimanendo però
vigili; pare di vivere una forma di realtà plasticosa e livellata su
una dimensione così sottile da essere inesistente. Vivere non può
essere così inutile…”.

L’essenza
stessa dell’universo iperliberista gli apparve come un’icona
disposta su un desktop remoto; accanto non esisteva altro che un
enorme spazio, dove altre isole iconografiche galleggiavano in un
nulla sconvolgente, in un luogo di assorbimento che gli svuotava
completamente la sua anima.

Alan
era stato portato in un luogo dove la sua forza psichica sarebbe
stata eviscerata e gli sembrò chiaro di essere in attesa della
cancellazione finale, della disgregazione inappellabile; comprese
drammaticamente che anche una finta esistenza nell’universo
business
sarebbe stata preferibile a un nulla così vacuo, a quell’implosione
nello spazio profondo.

“Questo
è il mio punto di non ritorno?” pensò, fluttuando in un fluido
senza nome e appigli, che si restringeva in
fondo
come
un imbuto. In quei pressi, anche la luce sembrava gorgheggiare e
annullarsi; Alan ne vedeva le particelle elementari distaccarsi dal
flusso principale e spegnersi, mentre si allontanavano, in un buio
impersonale e inglorioso, un nulla da cui era impossibile ritornare
indietro.

– Ciò,
sei diventato – disse allora la voce, contravvenendo all’elementare
deduzione che Alan aveva fatto della sua prossima fine.

– Significa
che posso uscirne vivo, quindi… – dedusse ad alta voce,
prontamente.

– Significa
che i tuoi crediti vengono prima di qualsiasi tuo annientamento.
Paga, poi muori. Pensavi davvero d’ingannarci?

– Se
muoio, non posso ripagarvi.

– Abbiamo
la nostra polizza assicurativa.

– Polizza
assicurativa?

– Klelia.

Interi
modelli cognitivi attraversarono la mente di Alan; avvenne in un
breve volgersi di istanti. Significava che Klelia era stata in un
qualche modo rapita dal Sistema e giaceva inerte in una qualche vasca
di decantazione, pronta magari per essere assorbita. Da cosa? Da chi?
Non erano domande cui Alan riusciva a dare risposta, ma conosceva il
motivo della sua inconsapevolezza: il Sistema era sfuggente, non
umano, non era possibile risalire alla sua creazione con certezza;
però era implacabile, e in questo mostrava tutta la sua terribile
inumanità.

– Dovrai
sbrigarti a risarcirci, se non vuoi che lei
diventi una massa inerte di compost
– tornò a dire la prima voce.

Dopo
interminabili istanti di disperazione, Alan si decise a parlare
chiaramente. Era con le spalle al muro: o moriva lui, oppure sarebbe
toccato a Klelia; e non era per niente da escludere che una volta
estinto lui, Klelia non ne avrebbe beneficiato in alcun modo.

– Non
so come fare – la sua espressione aveva anch’essa assunto
tonalità neutre, la disperazione gli aveva annullato ogni afflato
combattivo.

– Oh,
davvero? – senza inflessioni di alcun tipo, l’IA rifaceva il suo
verso. Era da escludere qualsiasi suo risvolto ironico, o
forse no
?
Alan non rispose, era così prostrato da non aver nemmeno voglia di
morire.

– Vediamo
un po’ se abbiamo qualcosa da proporre noi… – replicò a quel
punto il secondo guardiano, una nota civettuola nella sua voce era in
realtà il culmine del disegno del Profitto. Alan tenne il suo
profilo basso, temeva qualsiasi cosa gli avrebbero ordinato.

– Abbiamo
appena terraformato un nuovo mondo – gli disse asciutta l’IA.
Mostrava una gioia creativa tutt’altro che tipica delle
intelligenze artificiali. Stavano giocando con lui come il gatto col
topo: non poteva fare altro che percorrere fino in fondo quella
strada.

– Cosa
volete da me?

– Sarà
un compito prestigioso quello che ti abbiamo riservato; non sappiamo
bene perché ti stiamo chiedendo ciò, in fondo non lo meriteresti,
però nonostante tutto nel Sistema si fidano di te, e sappiamo che
accetterai con entusiasmo estremo l’opportunità che stiamo per
offrirti…

– Ipocriti
del cazzo: cosa volete da me, brutte merde?

I
due scoppiarono in una risata terribile, oltre il senso del
grottesco. Avevano vinto, lo sapevano già da molto, ma essere
finalmente arrivati lì, alla capitolazione di Alan, li rendeva
potenti, tronfi, imbattibili.

– Il
Sistema che noi serviamo con orgoglio e che qui, in questa sede,
rappresentiamo fieramente, ti vuole porre a capo del nuovo mondo
terraformato; alcuni anni standard di leadership
incontrastata, che serviranno ad affermare il nostro sistema politico
ed economico anche sulla nuova colonia, e tu potrai tornare dalla tua
Klelia, nel tuo mondo, libero da ogni vincolo. In pensione: sì, alla
fine di questo periodo di comando verrai posto in pensione col
massimo dei contributi, e con l’eterno ringraziamento di tutte le
corporazioni che compongono il Sistema. Saresti ricordato sugli
ipertesti delle prossime generazioni come un esempio di abnegazione
visionaria. Affare fatto? – sorrisero di un ghigno complicato,
politico.

“Trappola.
Trappola. Tutto puzza come una merdosissima trappola senza uscita.
Vogliono che muoia
sopra
,
lontano da tutti. Come posso uscirne?”; Alan, con la consapevolezza
di essere su una strada senza uscita cercava, come un topo nella sua
giostra, una possibilità di fuggire da un destino segnato,
tutt’altro che felice.

– Devo
pensarci.

– Non
puoi, lo hai già fatto inutilmente per tutto questo tempo. La porta
che si sta per aprire alla tua destra ti condurrà a un corridoio di
accesso verso la rampa di lancio. Le tue analisi sanguigne riportano
valori standard per la missione, ti abbiamo tenuto sotto controllo in
questo periodo – l’IA ridacchiava di quel particolare, mostrando
ancora una volta la predeterminazione di tutta l’operazione.

Un
clang
pneumatico
attirò l’attenzione di Alan, che si voltò verso quella direzione:
luci laser tracciavano l’andamento di un corridoio che lo avrebbe
condotto, a quel punto ne era più che certo, verso la rampa di
lancio di uno spazioporto, di proprietà virtuale di chissà quale
corporazione.

– Ho
fame – disse disperato con un istinto prossimo alla sopraffazione
più assoluta.

– Mangerai
a bordo, prima di essere posto in sospensione criogenica. Poi, non
avrai bisogno di molto per sopravvivere, almeno finché non arriverai
a destinazione.

– Dove
sono diretto? – replicò allora con voce isterica.

– La
meta è NX35GJ_Po, dove Po sta ovviamente per Polonio. Parliamo di un
planetoide brullo, ricco di rocce e uranio, la terraformazione ne ha
recentemente ricavato un luogo unico e interessante per viverci. Ti
piacerà, ne sono certo – chiosò l’IA con una mimica
imperscrutabile, che non dava adito ad alcuna interpretazione.
“Oppure a infinite altre
spiegazioni”, pensò Alan con un guizzo di comprensione.

– Noi
vogliamo dare un tono artistico alla cosa, regalandoti la possibilità
d’intestare al planetoide un nome più bello ed esplicativo, una
creazione di cui tu, e soltanto tu, sarai la mente e l’artefice: ti
piace come prospettiva?

Fu
subito portato nel condotto da un carrello penumatico e non gli fu
permesso di replicare alcunché; nella concitazione del momento, Alan
dimenticò di chiedere informazioni su Klelia. Un attimo prima di
venire criogenicamente addormentato realizzò tutto ciò, ma si rese
anche conto che non gli avrebbero fornito nessuna informazione: lei
era saldamente nelle loro mani, sicuramente la stavano già
prosciugando.

Il
rumore del formarsi di cristalli di ghiaccio, a velocità
esponenziale, fu l’ultima cosa che seppe di percepire nitidamente.

– Sveglia,
amico mio.

A
fatica Alan aprì gli occhi, la nebbia criogenica bloccava ancora le
dinamiche di molti suoi ragionamenti, arginandoli in una nuvola di
torpore dell’anima.

– Alan,
sveglia. Sei arrivato.

La
voce rassicurante di Ahmed faceva capolino ai suoi sensi in ripresa
cognitiva. La vertigine di sorpresa lo sopraffece fino al momento in
cui, poco dopo, riuscì a chiedersi: “Cosa ci fa qui, Ahmed?”.

– Dobbiamo
andar via presto da questo luogo – disse un’altra voce, che Alan
riconobbe quasi subito come quella di Moham, il cui accento
mediorientale gli facilitò il compito d’identificazione; girò
lentamente la testa e vide sullo sfondo pure Hannibal che stava
armeggiando con dei FrontEnd
su
delle interfacce probabilmente fuzzy,
vista la ragionevole poca dimestichezza dei quattro con i sistemi
complessi artificiali.

“Allora
da qualche altra parte dev’esserci pure Abdul”, si disse Alan,
dissipando ancor di più la nebbia criogenica residua. – Ma perché
voi siete quassù? – chiese infine, ricordandosi del planetoide su
cui era stato spedito.

– Osserva
il paesaggio inospitale, amico mio – fu la risposta di Ahmed, aveva
uno sguardo pieno di comprensione ma dotato di una strana affilatura
empatica; un taglio sibillino dell’intonazione fu la seconda nota
fuori posto della risposta. Alan si sporse dal lettino, la debolezza
che sentiva dentro di sé era pari a un incommensurabile vuoto
siderale, il gelo lo aveva reso psichicamente inerme per troppo tempo
e si era insidiata in lui l’infinita nullità cosmica; aveva
bisogno di altro tempo per sentirsi di nuovo se stesso, ma la
situazione aveva insito un qualcosa di allarmante e incombente:
sentiva che doveva essere rapido nel riprendersi.

– Allora,
sei pronto? – chiese infine Ahmed.

– Per
cosa – rispose stupito Alan.

– Cosa
ti hanno detto prima di mandarti qui?

Alan
fece ai quattro un rapido sunto della condanna che gli era stata
inflitta, sottolineando come fosse stato abilmente messo all’angolo
dalla situazione impositiva del Sistema.

– Quindi
non ti hanno detto nulla… – semplificò Hannibal, distogliendosi
per un istante dal tweaking
tecnologico di qualcosa che ad Alan sfuggiva completamente. Ahmed gli
rivolse uno sguardo pregno di commiserazione, poi si rituffò
nell’algoritmo.

– Spiegatemi
– disse infine Alan, esasperato da tanta inconsistenza.

– Ascoltami
– replicò allora Ahmed – la faccenda ha altri
aspetti che non ti piaceranno per niente. – Lo guardò duro, attese
che l’altro si riavesse dall’annuncio dell’insidioso coup
de théâtre
.

– Sono
pronto – rispose dopo poco Alan, il suo sguardo indurito cercava di
parare qualsiasi ulteriore colpo basso si stesse per materializzare.

– Noi
amministriamo questo luogo
– disse sintetico Ahmed.

– Da
quando? – domandò stupito Alan.

– Da
poco tempo, in realtà – rispose evasivo il Mediorientale.

Seguì
un silenzio denso di sconcerto; le connessioni degli eventi
precedenti, che si riformavano rapidamente nella mente di Alan,
lasciavano sul suo volto i segni di uno stupore senza nome: era come
sentirsi traditi in un modo che non si sarebbe nemmeno potuta
concepire.

– Voi
mi avete condotto qui, in altre parole?

– In
termini semplicistici è così – rispose Moham da un angolo
lontano; stava svolgendo anche lui una qualche attività legata al
maintenence
della
stazione.

– C’è
qualcosa di complesso che può aggiungere nobiltà alla situazione? –
chiese allora Alan.

– Hmmm…
No, direi – disse sornione Ahmed – ma il vero punto è che tutto
quello che ti sta succedendo non dipende strettamente da noi, nel
senso che a noi è stata data soltanto una fulminea possibilità per
una vita migliore, anche se decentrata. A te no.

– Che
vuoi dire?

– Voglio
dire che noi vogliamo essere parte di un mondo che probabilmente
potrà arricchirci; a quanto ne so, tu no.

Alan
era basito. Fissava ognuno di loro con uno sguardo attonito,
l’incredulità di ciò che gli stavano dicendo poteva lasciar
spazio soltanto a qualcosa di peggio. – Continuate – disse.

– Cosa
vuoi continuare? – lo schernì Hannibal. – Ci hanno chiesto di
spremere i tuoi debiti, eravamo i più titolati a farlo perché ti
conosciamo meglio di tutti gli altri tuoi conoscenti o colleghi.

Una
risata terribile fece da corollario a quella cruda dichiarazione;
Alan li vide seri. Si passò allora una mano sui capelli; rise
anch’egli, ma il senso del suo humour era completamente diverso. –
Cosa fate quassù? – chiese tremante – qual è il senso del
business che qui perseguite?

– Oh
è molto semplice, mon
ami

– rispose prontamente Ahmed – possiamo riassumerlo con questi
versi di NWO,
che conoscerai benissimo:

Mi
sono innamorato di un intento doloso

Puoi
afferrarlo, ma ancora non lo sai

Un
suo vero amante non è mai stato trovato

– In
altre parole, noi facciamo i banditi siderali; siamo pronti a
raccogliere tutte le opportunità che si affacciano sul nostro reale.
E ora, tu sei la nostra opportunità; e paradossalmente, noi la tua.

Una
figura oscura si agitava in una camera di decompressione. Sembrava
inanimata. Nelle sue movenze sospese si palesavano nugoli di polvere
da estrazione che rimanevano a mezz’aria, luridi come soltanto i
detriti da miniera possono essere. La tuta da esterno che la figura
indossava era lorda di sozzura da perforazione; il capo dell’uomo
era oscurato dal casco siderale, esternamente la visiera era coperta
di polvere.

Ahmed
sbirciò attraverso l’oblò della camera di decompressione,
cercandovi qualche forma di vita della figura.

– Mioddio,
fa’ che Alan non sia morto! – pregò ad alta voce con un senso di
disperazione; accese una torcia da miniera orbitante per cercare di
capire meglio la situazione, ma dall’altra parte il buio era denso
oltre ogni possibilità di discernimento.

– Di
cosa ti preoccupi? – rispose di rimando Hannibal, quasi sorridendo.

– Di
dover tornare a vendere cipolle, idiota che non sei altro: senza
Alan, la nostra opportunità democratica di essere banditi
costituzionali muore assieme a lui.

– Magari
ci assegnano a un altro avamposto ancora più lontano, che ne sai? La
bellezza di quest’Economia è che divora sempre qualsiasi cosa non
ancora assimilata, o che è ancora vergine, oppure appena
riconvertita – teorizzò Moham come un affermato economista.

– Noi
saremo sempre ai margini del regime, amici miei, per quanto potremmo
divenire dei dirigenti nessuno di noi si arricchirà mai seriamente –
notò Abdul – il Sistema sarà sempre l’unico beneficiario,
mangiandoci la nostra vita.

In
quel momento il braccio inerme di Alan si abbatté sulla finestra
della camera di decompressione, spaccandola; di peso, l’arto
trapassò la frontiera infranta e colpì la testa di Ahmed, mentre
tutta la stanza subì una piccola decompressione che asfissiò in
breve tempo i quattro.

Dalla
mano inerte di Alan cadde una moneta, su cui prese forma un appunto
digitale:

‘Per
l’autorità elargitami, ora il nome di questo planetoide sarà
Nekroeconomy’.

Sull’altra
faccia della moneta erano evidenti dei simboli occulti di schermatura
e, a scomparsa, si evidenziava a intermittenza l’immagine da
tarocco del Mago.

In
quei frangenti, nelle Borse dei sistemi extraplanetari l’indice di
riferimento delle Compagnie da estrazione subì impennate tali da
sospenderne, temporaneamente, i titoli di alcune.

– Poco
male – fece uno degli operatori ombra di una Borsa remota –
quelle company
si
riconvertiranno presto al business dei funerali spaziali.

In
uno dei suoi rari eccessi di risa, un altro operatore ombra gli
rispose con cinismo: – Noi tutti siamo la parte nekro
dell’economy
in cui annaspiamo senza speranza.

L’AUTORE

Sandro Battisti è uno dei fondatori del Movimento Letterario Connettivista. A partire dal 2004 si è dedicato allo sviluppo di uno scenario comune a molti suoi lavori successivi, l’Impero Connettivo. Ha vinto il Premio Urania 2014 e il Premio Vegetti 2017 con L’Impero restaurato ed è curatore delle antologie di strano weird La prima frontiera (2019) e La Volontà trasgressiva (2021) per l’editore Kipple Officina Libraria, di cui è uno editor. È, inoltre, curatore della collana anarcopunk ”non-aligned objects” di Delos Digital e, sempre per la stessa casa editrice, pubblica i nuovi scritti dell’Impero Connettivo nella collana L’orlo dell’Impero. Scrive quotidianamente sul blog hyperhouse.wordpress.com.

Nekroeconomy di Sando Battisti

Sandro Battitsti

Tutti i diritti riservati per immagini e testi agli aventi diritto ⓒ.




Le case che abbiamo perso – Antologia del Trofeo RiLL 2023

[…]
Quest’anno
c’è scarsità di case. Ne sono giunte solo due, con la macchina del
mese scorso

[…]

Un’antologia
ricca di storie. L’edizione 2023 della collana Mondi
Incantati

porta i lettori in un affascinante viaggio tra fantasia e talento
letterario. Dodici racconti, sapientemente selezionati, attendono di
essere scoperti e di rapire il pubblico con le loro trame avvincenti.

I
primi cinque classificati del 29esimo
Trofeo RiLL

figurano tra i protagonisti dell’antologia, insieme ai quattro
vincitori di SFIDA
2023
.
A completare la raccolta, tre racconti premiati in concorsi letterari
internazionali gemellati con il Trofeo
RiLL.

Acheron
Books
,
con il patrocinio di Lucca
Comics & Games
,
presenta questa preziosa edizione curata direttamente da RiLL.

Un’immagine
che cattura l’essenza. L’illustrazione di copertina, realizzata da
Valeria
De Caterini
,
trae ispirazione dal racconto vincitore del Trofeo RiLL, opera di
Francesco
Corigliano
,
e si inserisce perfettamente nella tradizione artistica della collana
Mondi Incantati. Un invito alla scoperta. Un’antologia assolutamente
da non trascurare per gli amanti del fantasy e della narrativa breve,
che offre l’occasione di immergersi in mondi immaginari e di
conoscere nuovi talenti letterari.

I
racconti premiati del 29esimo Trofeo RiLL sono i seguenti:

Le
case che abbiamo perso

di Francesco
Corigliano

(vincitore)

Tutt’apposto
di Giorgio
Cappello

(secondo classificato)

I
colori del Campo Santo
di
Giorgio
Smojver
(terzo
classificato)

Un
ragazzo

di Valentina
Schiaffini

(quarto classificato)

È
stata la Palude

di Francesco
Pone

(quinto classificato)

Le
case che abbiamo perso

di Francesco
Corigliano
è
una storia che narra di nomadi della steppa, che, anziché muoversi
con cammelli e grandi tendoni, si spostano su case con grandi zampe.
Il racconto segue in particolare la vita di Aki, che ne è il
narratore. Questa storia è dolceamara tanto quanto il suo finale.
Corigliano,
grazie alla sua abilità narrativa, è riuscito a immergermi
completamente nel racconto, proiettando la mia mente in un viaggio
attraverso questo deserto fantasy popolato da case in movimento.
Comprendo benissimo perché questo racconto abbia vinto! È
scorrevole, piacevole e godibile: quando ho terminato la lettura mi è
quasi dispiaciuto che fosse già finito.

Tutto
apposto
di
Giorgio Cappello

narra la storia di un uomo che, per avviare la sua piccola attività,
chiede soldi alla malavita locale. Quando questi si presentano per
riscuotere, trovano una sorpresa decisamente inaspettata. Ovviamente,
la storia è più complessa di così, ma la brevità di questi
racconti mi impedisce di entrare troppo nei dettagli. Ammetto che ho
fatto un po’ di fatica a leggere i dialoghi in dialetto, ma erano
comunque perfettamente comprensibili. Il colpo di scena finale di
questo racconto mi ha decisamente colto di sorpresa , nel complesso
il racconto l’ho trovato molto gradevole.

I
colori del camposanto

di Giorgio
Smojver

è un fantasy storico ambientato a Pisa, che narra la storia di tre
pittori incaricati di dipingere gli affreschi del Camposanto
Monumentale. Questi artisti, già menzionati nel Decameron
di Boccaccio, vengono ripresi dall’autore per dare vita al suo
affascinante racconto. L’abilità di Smojver nel tessere una trama
che fonde elementi storici con il fantasy è notevole. La sua scelta
di utilizzare un linguaggio ricercato arricchisce l’opera,
conferendole un tono raffinato e suggestivo. La narrazione, inoltre,
è ritmata e coinvolgente, mantenendo il lettore incollato alle
pagine.

Un
ragazzo

di
Valentina Schiaffini

è un racconto storico fantasy, ambientato in un’epoca indefinita. La
storia ruota attorno a Lucius, un contadino che, per bontà
cristiana, accoglie nella sua casa un uomo ferito di un’altra etnia.
Da quel momento, iniziano a capitare cose strane, bizzarre ma
positive. Tuttavia, nulla di bello è destinato a durare. La
scrittura delicata di Schiaffini
accompagna una narrazione decisamente interessante. L’autrice
descrive con cura l’atmosfera, permettendo al lettore di provare una
forte empatia verso i protagonisti. Lucius, in particolare, emerge
come un personaggio profondamente umano, la cui generosità e bontà
risuonano con forza attraverso le pagine.

È
stata la palude

di
Francesco Pone

è un lodevole racconto fantasy con venature Grim Dark. Si assapora
l’aroma di povertà di un’Italia a cavallo delle Crociate. Il
racconto orbita attorno a una locanda su palafitte che sorge su una
palude. Un avvenimento insolito attira tutti lì, dando il via a un
evento sconvolgente. La narrazione è avvincente, sporca e
grottescamente divertente. Pone
riesce a dipingere con maestria un mondo oscuro e crudo, dove la
miseria e la durezza della vita medievale emergono in tutta la loro
brutalità. L’ambientazione della palude, con la sua atmosfera umida
e inquietante, aggiunge un ulteriore strato di tensione e mistero
alla storia. I personaggi sono vividi e ben caratterizzati, ciascuno
con le proprie peculiarità e ombre. La locanda, centro nevralgico
degli avvenimenti, diventa quasi un personaggio a sé stante, con i
suoi segreti e il suo fascino lugubre.

Qui
adesso passiamo al Rill
World Tour
,i
racconti vincitori di concorsi letterari esteri:
I
fiori che sbocciano nel deserto

di Guilherme
Pires Correia

(vincitore del Premio Ataegina 2022, Portogallo; traduzione: Emiliano
Marchetti
)
La
Pinza Storica
,
di Talita
Isla

(vincitore del premio Visiones 2023, Spagna; traduzione: Serena
Valentini
)
Substrato,
di Philip
Machanick

(vincitore della NOVA Short-Story Competition 2022, Sud Africa;
traduzione: Gianfranca
Gastaldi
)

I
fiori che sbocciano nel deserto

di Guilherme
Pires Correia

si presenta come un racconto distopico che ci svela una realtà
decadente in cui l’umanità è allo stremo. Il surriscaldamento
globale ha generato una drammatica disuguaglianza nella società, con
la mancanza di lavoro che ha diviso gli individui in due categorie:
quelli che si sono fusi con la tecnologia delle macchine per lavorare
e quelli disoccupati che soffrono di fame e aspettano di potersi
trasformare in macchine stesse.

Nonostante
l’ambiente arido e freddo, il mondo descritto è anche automatizzato
e privo di sentimenti. Tuttavia, all’interno di uno dei robot, nasce
un interesse per qualcosa di raro e prezioso, un fiore. Questo
racconto è profondo e delicato, offrendo una visione drammatica di
un futuro possibile che, purtroppo, sembra sempre più vicino.

La
Pinza Storica

di Talila
Isla

è un racconto che narra la storia di sei ragazzi che, in seguito
alla fine del mondo, sono riusciti a creare un mondo completamente
artificiale. Isolandosi in una capsula fuori dalla Terra, essi hanno
creato una realtà idilliaca che presenta diversi livelli simili a un
videogioco, ambientati in contesti storici dell’umanità. Tutto
sembra procedere normalmente finché qualcosa attira la loro
attenzione.

Tra
i titoli stranieri, posso affermare che La
Pinza Storica

di Talila
Isla
è
il mio preferito, sia per la cura nella scrittura che per il tema
trattato.

Il
Substrato

di Philip
Machanick

è un interessante racconto ambientato in un contesto contemporaneo.
Un incidente con alcuni droni desta preoccupazione, poiché il loro
lavoro autonomo si dimostra più efficiente rispetto a quello umano.
Ciò scatena un’indagine che porterà a una scoperta sensazionale e
dal risvolto inquietante. Il finale del racconto è tra i migliori
dell’intera antologia.

Tornando
al puro Made
in Italy
,
i racconti vincitori di SFIDA 2023:

Dove
i morti viaggiano veloci
di
Alessandro
Izzi

Segni
di pista

di Nicola
Catellani

Petricore
di Marta
Bonaventura

Assuntina
e la Luna

di Laura
Silvestri

Dove
i Morti viaggiano veloci

di Alessandro
Izzi

presenta un setting originale dalle venature oniriche e horror. Siamo
in un mondo dove i morti di notte camminano e di giorno mandano sogni
ai viaggiatori. Ovviamente è più profondo di così, ma dovreste
sviscerare tutto nella lettura. Il racconto non è affatto banale,
scritto estremamente bene e ampiamente scorrevole.

Segni
di pista

di Nicola
Cattelani

parla di un gruppo di boy scout, la squadriglia Falchi, al momento
del racconto situata nel varesotto a pochi chilometri dalla Svizzera.
Durante il Grande Gioco indetto per tutti i gruppi scout,
immergendosi nel bosco si accorgono di non essere più nel punto da
dove erano partiti. L’autore ci immerge dentro una storia dal sapore
della resistenza e, come nel suo stile, dal finale positivo e
rasserenante.

Petricore
di Marta
Bonaventura

narra di un mondo che ha evitato apocalissi annunciate, ma che si
trova ora a fronteggiare un male più subdolo che si diffonde
attraverso malattie. La storia segue la vita di Leda e di sua madre,
che è prossima a essere colpita da una malattia. Si parla del loro
rapporto e di come le icone presenti su un tablet possano facilitare
la comunicazione tra di loro. Nonostante il tema trattato sia molto
pesante, l’autrice è riuscita a trattare l’argomento con leggerezza,
scavando nel profondo dell’anima senza lasciare cicatrici evidenti.

Assuntina
e la luna

di Laura
Silvestri
,
è un racconto ambientato nello Stato Pontificio nel 1094. La storia
ruota attorno a una giovane e bellissima ragazza di nome Assuntina,
promessa in sposa dal padre al Console del paese, un uomo molto più
anziano di lei. Tuttavia, Assuntina è già innamorata di un altro e
si trova così a dover affrontare un forte trauma.

Il
racconto parte
come una narrazione storica che poi vira sul fantasy, inizia leggero
ma poi assume una connotazione di forza e ribellione. Personalmente,
ho avuto qualche difficoltà a causa del dialetto ciociaro utilizzato
dall’autrice per mantenere coerenza con l’epoca storica.
Fortunatamente, le note a piè di pagina mi hanno aiutato a
comprendere i significati più complessi.

Conclusione
della mia lettura: Le
case che abbiamo perso e altri racconti del trofeo Rill e dintorni

conferma ancora una volta che questo concorso sforna non solo nuovi
talenti ma riprova l’abilità anche di penne già note nel panorama
fantasy italiano (e in questo caso anche internazionale)

Questi
racconti sono tutti ricchi di significato e lasciano sempre quel
qualcosa in più al lettore, sia dolce che amaro.

Le
case che abbiamo perso e altri racconti del trofeo Rill e dintorni

Autore:
AA.VV.

Editore:
Acheron Books

Collana:
Mondi Incantati

Pagine:
167

ISBN-13:

979-1254980965

ASIN:

B0CHHNJH6X

Costo: 10 €

Le case che abbiamo perso e altri racconti dal Trofeo RiLL e dintorni

Tutti i diritti riservati ⓒ per immagini e testi.




Stelle Bollenti di John Shirley

[…]Adesso
era solo sulla spiaggia. Le onde della baia inspiravano ed
espiravano. Le stelle bruciavano emanando un calore terribile. Era
solo nell’oscurità. 

Oppure
no? Sentiva che qualcosa lo stava fissando. Dall’alto. […]

Stelle
Bollenti

è la prima edizione italiana della raccolta di racconti The
Feverish Stars

(pubblicata in inglese nel 2021) del Premio Bram Stoker Award e
International Horror Guild Award, John
Shirley.

Presentata
dalla Indipendent
Legion Publishing

per la collana Black Spring, la raccolta contiene ventuno racconti di
fantascienza dark, horror, strange e dark fantasy pubblicati in varie
riviste e antologie e alcuni inediti, e comprende un’introduzione
di Richard
Christian Matheson
,
altro
nome che non richiede molte presentazioni.

La
traduzione è ad opera di Sanda
Jelcic

mentre l’illustrazione di copertina è di Jacques
Evangelista.

Un
eccellente lavoro sia di traduzione che di grafica.

Questa
casa editrice, fondata dal tre volte Premio Bram Stoker Award,
Alessandro
Manzetti

(che dirige anche la collana in questione), è specializzata in
narrativa horror, dark fantasy, weird e thriller-horror dei grandi
maestri internazionali, La CE è vincitrice del premio
internazionale Specialty
Press Award

della Horror Writers Association.

Adesso,
però, parliamo di questa antologia:

L’introduzione
di Richard
Christian Matheson

apre la raccolta con uno stile amichevole e informale, tipico di chi
conosce a fondo l’autore. Matheson
presenta Shirley
con una professionalità che si intreccia con un pizzico di ironia,
definendolo con la suggestiva espressione “la
grandezza illecita di John Shirley”
.

Nelle
note successive, l’autore stesso prende la parola, delinea la genesi
della raccolta e spiega la scelta di non categorizzare rigidamente i
racconti in generi specifici. Sottolinea l’effimerità di tali
etichette e l’importanza di lasciare che le storie fluiscano
liberamente, impostandoli con una sola regola fondamentale: ogni
racconto è in contrasto con il suo precedente, e in modo diverso con
il suo successivo.

Infine,
Shirley
rivela che i racconti La
voce di Exelda

e La
videocamera sulle montagne russe

sono inediti e realizzati appositamente per questa raccolta,
arricchendo ulteriormente il volume con contenuti esclusivi.

Può
un libro di racconti avere un proprio subconscio?”

Ora
analizziamo i racconti:

Stato
di Detenzione
:
Anno 2047. L’emergenza climatica ha sconvolto il pianeta, causando un
insostenibile surriscaldamento globale. Ondate di migranti
provenienti dal Sud cercano disperatamente rifugio nel Nord, dove
però vengono incarcerati in un maxi-carcere privato che si estende
per quasi tutto lo stato dell’Arizona.

La
storia si dipana attraverso i mesi, come se ogni capitolo fosse un
nuovo tassello di un puzzle.

Giugno:
Un tentativo di fuga tragicomica da parte di due detenuti li porta a
scoprire la veridicità di alcune leggende metropolitane che
circolano all’interno della prigione.

Luglio:
Una giornalista tenace lotta per far luce sulle reali condizioni
all’interno del carcere-stato, sfidando la censura e la
disinformazione dilagante. Per smascherare il sistema corrotto, avrà
bisogno di un’occasione che le permetta di indagare a fondo.

Man
mano che i fili delle vicende si intrecciano, emerge un quadro pieno
di abusi di potere e di sorveglianza costante da parte di robot.

Il
racconto si conclude con una risoluzione degna di un giallo,
lasciando però aperta una riflessione preoccupante sul futuro che
potrebbe attenderci.

Un
thriller fantascientifico che non solo intrattiene, ma che ci invita
a confrontarci con le sfide del nostro tempo e con i potenziali
pericoli di un futuro distopico.

Stelle
Bollenti
:
secondo racconto della raccolta , ci conduce in un viaggio nelle
profondità dell’animo umano, dove anima e spirito si intrecciano in
una danza macabra.

Sotto
un cielo notturno che si apre come un abisso cosmico, un caos di
stelle brilla con luce sinistra, presagio di orrori e sofferenze
indicibili. Shirley,
in questo racconto intriso di omaggi a Lovecraft,
ci trascina in una spirale di inquietudine e terrore.

Non
aggiungo altro. Semplicemente, dico: da leggere.

Sogni
per Dopo
:
Questo racconto presenta una trama ampia che, per non rovinarvi la
sorpresa, eviterò di approfondire.

Vi
consiglio vivamente di leggerlo con attenzione, possibilmente più
volte, per coglierne appieno le sfumature e i significati nascosti.
Io stesso ho dovuto ricominciare dalla prima pagina a metà racconto,
perché mi stavo perdendo nei suoi meandri narrativi.

Ambientato
in un contesto cyberpunk dominato dall’ipertecnologia sensoriale, il
racconto si configura come una denuncia sociale contro l’abuso di
dati e la manipolazione della realtà attraverso la tecnologia.

Il
lettore viene catapultato in un vortice di realtà oniriche e
allucinazioni, un viaggio alienante che lo lascia spesso basito e
disorientato.

L’assenza
di una datazione temporale specifica contribuisce a creare
un’atmosfera di enigma e sospensione, rendendo la storia ancora più
coinvolgente.

Consigliato
a chi ama le narrazioni complesse e disturbanti, che non temono di
mettere in discussione la realtà e la percezione.

Sebillia:
si presenta come un racconto weird
davvero interessante e particolare, che esplora tematiche profonde
come la misoginia, il patriarcato tossico e la religiosità
opprimente, il tutto condito da un’atmosfera tipica dell’America del
sud, ricca di tendoni e fervore religioso.

La
storia ruota attorno a due sorelle che vivono in un ambiente
domestico malsano e opprimente, dove la loro crescita è ostacolata
da una serie di fattori negativi. Man mano che la trama si dipana,
vengono rivelati i nodi della vicenda, portando alla luce la vera
natura della loro situazione e le conseguenze devastanti che questa
ha avuto sulle loro vite.

Non
potendo approfondire la trama per evitare spoiler, mi limito a citare
la frase presa da John Milton: “meglio
regnare all’inferno che servire in paradiso”
.
Questa espressione racchiude in sé il tema centrale del racconto,
ovvero la lotta per la propria libertà e dignità in un contesto che
soffoca e opprime.

Sebilla
si configura come un’opera letteraria di grande valore, che invita il
lettore a riflettere su tematiche sociali ancora oggi purtroppo
attuali. La bravura dell’autore risiede nella capacità di creare
un’atmosfera che cattura il lettore e lo spinge ad andare avanti
pagina dopo pagina per scoprire la verità nascosta dietro la
facciata di apparente normalità. Ho molto gradito il finale.

Connor
contro Puppethead su Killmaster3:
racconto,
dal titolo già evocativo, narra la storia di due ragazzi che si
ritrovano immersi in un videogioco decisamente particolare.
L’esperienza virtuale prende una piega inaspettata, trascinandoli in
un vortice di orrore che riecheggia inquietanti tematiche della
realtà.

Il
testo mi rievoca alla mente una vecchia serie di MTV, rielaborandola
in chiave moderna e condensata. L’orrore narrato si intreccia
indissolubilmente con la realtà, creando un senso di angoscia e
disagio nel lettore.

La
trama, pur essendo immaginaria, dipinge uno scenario inquietantemente
verosimile, che potrebbe tranquillamente realizzarsi nel mondo
odierno, o al massimo tra qualche anno, dominato dalla manipolazione
virtuale.

Il
vero orrore, a mio avviso, risiede proprio nel narrare vicende,
sebbene immaginarie, che potrebbero realmente accadere. Questa
riflessione mi apre a una profonda analisi del ruolo della
letteratura e della sua capacità di prevedere e denunciare i mali
della società.

Un
videogioco non nasce per fare del male alle persone ma le persone
sanno benissimo come far del male.

Hum-ti
faccio male-Ti faccio male-Hum-ti faccio male
:
Questo racconto sfrutta appieno le potenzialità della tecnologia
moderna anche se arricchito da quel sapore alla Nikola
Tesla
,
esplorando il nostro bisogno ossessivo di connessione e l’impatto che
questo ha sulle nostre relazioni.

L’autore
mette in scena due personaggi di generazioni differenti, creando un
contrasto interessante e allo stesso tempo una simbiosi inaspettata.
La narrazione viaggia in modo fluido e lineare, permettendo al
lettore di seguire le vicende da due punti di vista distinti che si
intrecciano progressivamente.

La
trama, ricca di elementi weird,
mescola sapientemente azione e investigazione, tenendo il lettore
attaccato alle pagine. Il finale, in particolare, risulta davvero
apprezzabile per la sua originalità e il suo impatto emotivo
positivista.

Le
capre non sono da sottovalutare.

La
ragazza con gli occhi dietro la testa
:
si apre con una confessione video del protagonista, che narra una
serie di eventi bizzarri che gli sono capitati. Attraverso la sua
testimonianza, il lettore viene catapultato in un’atmosfera di
suspense.

Risulta
difficile definire con certezza alcuni aspetti di questo racconto.
Potrebbe trattarsi di un racconto sugli alieni, di un intervento
soprannaturale o addirittura di un omaggio ai manga horror
giapponesi. L’ambiguità del genere è uno degli aspetti più
affascinanti di questo racconto, che lascia al lettore la libertà di
interpretare gli eventi a suo modo.

La
narrazione è relativamente breve e lineare, il che rende la lettura
scorrevole e piacevole. Tuttavia, almeno per me, non è chiaro se
questa linearità sia presente anche nel testo originale o se sia il
risultato di una traduzione. Non ho trovato particolarmente utile
l’utilizzo
degli SMS in maiuscolo, scelta che non aggiunge valore al racconto e
che, anzi, potrebbe risultare fastidioso per alcuni lettori.

L’iniziazione
di Larry Schore
:
si configura come un thriller maturo e coinvolgente, che esplora con
maestria i temi della crisi di coppia, delle società segrete,
arricchiti da una sfumatura fantascientifica.

La
storia ha inizio con una coppia che vive una profonda crisi
relazionale. Il protagonista, su raccomandazione dello zio della
moglie, si ritrova ad affrontare l’ingresso in una loggia massonica.
La tensione narrativa cresce esponenzialmente quando si trova a dover
superare una prova di iniziazione che lo condurrà alla scoperta di
una verità sconvolgente.

L’autore
dimostra una grande abilità nel costruire la suspense, tenendo il
lettore incollato alle pagine fino all’ultima riga. La scrittura è
fluida e avvincente, e l’ambientazione fantascientifica si integra
perfettamente con la trama, creando un’atmosfera ricca di suspense.

L’ho
trovato davvero appassionante e coinvolgente.

Meerga:
inizia con un’atmosfera fortemente distopica, descrivendo un futuro
in cui la tecnologia ha raggiunto livelli inimmaginabili, al punto da
permettere la creazione di esseri umani artificiali, seppur
intellettualmente inferiori.

La
trama si concentra sull’impatto di questa tecnologia sulla società,
esplorando temi come l’abuso di tecnologia come sostituto della
droga, il controllo sociale estremo e la spersonalizzazione
dell’individuo.

L’autore
dipinge un quadro inquietante di un mondo dominato dalla tecnologia,
dove i bisogni e i desideri umani vengono manipolati e controllati da
un sistema onnipresente. Tuttavia, nonostante l’oscurità della
premessa, il racconto si conclude con una nota di speranza, lasciando
intravedere la possibilità di riscatto empatico.

La
scrittura è efficace e viene utilizzato un linguaggio ricco di
immagini evocative che trasportano il lettore all’interno di questa
realtà cyberpunk.

Nonostante
la tematica cupa, il racconto offre spunti di riflessione
interessanti e attuali, invitando a interrogarsi sui pericoli di un
eccessivo affidamento alla tecnologia e sulla necessità di
preservare la propria umanità e individualità.

Sala
d’attesa
:
si discosta nettamente dai precedenti racconti di Shirley,
tuffandosi in un’atmosfera prettamente contemporanea. Protagonista è
Raymond, un ex cantante punk rock che si ritrova invischiato nella
nostalgia del suo passato glorioso. Invitato a una serata in un
locale storico legato alla scena punk, si appresta a rivivere quei
ricordi vividi e indelebili.

Le
pagine del racconto ci trasportano all’interno di questo locale,
dipingendo un quadro vivido e realistico dello squallore che spesso
caratterizza questi posti (come ogni locale per concerti dopo una
certa ora, per intenderci). L’atmosfera evoca le grandi serate dei
concerti punk, dove il sudore, la musica assordante e il pogo
selvaggio creano un mix inebriante e caotico.

Tuttavia,
il vero protagonista di Sala
d’attesa
è
la malinconia di Raymond. Il suo incontro con il passato non è una
semplice rievocazione, ma un confronto doloroso con la realtà. I
ricordi, una volta idealizzati, si scontrano con la durezza del
presente, mettendo in luce la distanza tra il passato edulcorato e la
verità spesso più amara.

L’autore
ci invita a riflettere sul potere ingannevole della memoria. Quanto
spesso ci soffermiamo su ricordi idealizzati, distorcendo la realtà
per adattarla ai nostri desideri? Il racconto di Raymond ci ricorda
che il passato non è mai come lo percepiamo, che i nostri ricordi
sono sfumati e spesso ingannevoli.

Questo
racconto potrebbe non risultare particolarmente coinvolgente per un
pubblico giovane, ma per chi, come me, ha superato i trent’anni
rappresenta un’acuta riflessione sul tempo che passa e sulla
nostalgia. Però un’ultima cosa possiamo dirla: “Punk Never
Dies!”

L’Angelo
che annuisce
:
si distingue per la sua brevità e la sua atmosfera allarmante.
Classificarlo come horror è appropriato, data la trama che ruota
attorno a una famiglia di donne legate a omicidi rituali. L’assenza
di riferimenti temporali specifici crea un alone di mistero e rende
la storia ancora più affascinante.

La
brevità del racconto, pur essendo un elemento di forza, rende
difficile fornire una sinossi dettagliata senza svelare troppi
elementi chiave. Tuttavia, possiamo affermare che la storia si
concentra su una famiglia di donne unite da un segreto oscuro.
L’angelo del titolo, elemento ricorrente e carico di simbolismo,
rappresenta un aspetto fondamentale della trama e della sua
risoluzione.

Nonostante
la sua brevità, è un racconto estremamente intrigante e ben
scritto. Shirley
riesce a creare un’atmosfera densa di trepidazione catturando
l’attenzione del lettore fin dalle prime righe.

Bitter:
recensire
questo testo è un’impresa ardua, anche dopo due letture molto
scrupolose e a mente ferma. Il racconto si presenta come un delirante
interrogatorio della polizia a un tossicodipendente che a sua volta
caccia altri tossici in preda al neurobitter. Molti di questi, mutano
diventando dei Berserker
e lui li abbatte alla stregua di cani rabbiosi, e altro.

Shirley,
con una scrittura complessa e immersiva, ci fa penetrare nella mente
contorta del protagonista, facendoci rivivere le sue esperienze sotto
forma di trip psichedelico. Lo slang utilizzato, probabilmente in
parte diluito nella traduzione, contribuisce a creare un’atmosfera
realistica e disturbante.

La
complessità del racconto risiede proprio nella sua natura delirante.
Shirley,
nonostante abbia tenuto una trama lineare, ci catapulta direttamente
nel flusso di coscienza del protagonista bombardandoci con immagini
vivide e frammentarie. Questo stile narrativo richiede un impegno
attivo da parte del lettore, che deve essere disposto a lasciarsi
trasportare dalla follia del personaggio principale.

Questo
non è un racconto per tutti i gusti. La sua natura estrema e caotica
potrebbe alienare alcuni lettori. Tuttavia, per chi apprezza la
sperimentazione letteraria e non teme di esplorare i lati oscuri
della psiche umana.

Speroni
di Falco
:
ci immerge nel mondo polveroso e violento del Far West, guidati dalle
parole di Mano Solitaria, un pistolero estremamente abile. Attorno al
fuoco, racconta la sua storia a un gruppo di avventurieri
affascinati, narrando le sue avventure e il suo incontro con lo
spirito della vendetta.

Questo
racconto si distingue come un gioiello del genere western
weird
,
mescolando sapientemente elementi classici del western con sfumature
soprannaturali e orrorifiche. L’autore riesce a catturare
perfettamente l’atmosfera del Far West, trasportandoci in un mondo di
polvere da sparo, sudore e spargimenti di sangue.

Mi
sono sentito come uno degli avventurieri seduti attorno al fuoco, la
tensione narrativa è palpabile.

Se
amate il genere western e non volete farvi mancare le sfumature
horror e soprannaturali, Speroni
di Falco

è un racconto che non potete perdere. Una storia di vendetta condita
da una luna insanguinata.

Rosso,
verde, lampeggio, nero
:
nato dalla collaborazione tra John
Shirley

e Don
Webb
,
si presenta come un racconto horror con venature soprannaturali,
dosate con sapienza per creare un’atmosfera inquietante e
persistente.

Protagonisti
della storia sono Edward e Denise, una coppia apparentemente normale
che vive in un tranquillo quartiere residenziale. Tuttavia, la loro
quotidianità viene sconvolta quando la natura umana più oscura
inizia a emergere, manifestandosi prima in comportamenti sadici e poi
scivolando verso la follia totale.

Il
lettore si trova così immerso in una spirale di tensione crescente,
dove la normalità si sgretola lasciando spazio a pulsioni
primordiali e a un terrore che si insinua lentamente nella mente.
L’orrore non deriva da elementi soprannaturali eclatanti, ma
piuttosto dall’oscurità che si cela all’interno di individui comuni,
rendendo la storia ancora più intensa.

Alcuni
possono vederli
:
si svolge nella Baghdad del dopo Saddam,
dove gli scontri tra la popolazione locale e l’esercito americano
sono una tragica realtà quotidiana. La storia ruota attorno a una
famiglia irachena che viene strumentalizzata per forzare un posto di
blocco, usando i loro bambini come mezzo per passare i controlli.

Fin
dalle prime pagine, le intenzioni del racconto sono chiare. Il
lettore si trova immerso in un’atmosfera di tensione e brutalità,
dove l’innocenza dei bambini viene sfruttata senza pietà per scopi
bellici. La narrazione procede con ritmo incalzante, tenendo il
lettore in uno stato di ansia.

Tuttavia,
il finale riserva un colpo di scena inaspettato. L’elemento
soprannaturale, seppur accennato con discrezione, si insinua nella
trama, donando al racconto una sfumatura di arcano e di inquietudine
aggiungendo un ulteriore layer
di complessità all’opera.

E
quando ci ha chiamato siamo venuti da te:
è
un racconto dedicato alla memoria di Harlan
Ellison
.
L’opera si configura come una sottile denuncia del capitalismo
sfrenato e dell’ossessione per le festività commerciali, che spesso
celano sfruttamento e ingiustizie.

La
storia si sviluppa su due piani temporali e geografici distinti: da
un lato, un campo di lavoro in Cina dove vengono prodotte maschere
per Halloween e altre festività, in condizioni di sfruttamento e
privazione dei diritti umani. Dall’altro lato, gli Stati Uniti
durante i festeggiamenti di Halloween, dove maschere e costumi
prodotti in Cina vengono indossati per una notte di divertimento
effimero.

L’autore
intreccia sapientemente questi due mondi apparentemente distanti,
mostrando come il capitalismo globale crei una rete di sfruttamento e
disuguaglianza che collega persone provenienti da contesti e culture
diverse. La denuncia dell’autore è sottile ma efficace, non
esplicita ma capace di suscitare riflessioni profonde nel lettore.

Accanto
alla critica sociale, il racconto presenta anche un interessante
connubio tra la festività di Halloween e gli antichi culti cinesi
legati agli spiriti degli antenati. Questo elemento aggiunge una
sfumatura di orrore, e la piega che a un certo punto prende il
racconto, ne è la dimostrazione.

La
voce di Exelda:
narra
la storia di un ex soldato in Afghanistan, combattuto dal dolore per
la malattia del figlio della compagna e dalla disperazione per la
mancanza di mezzi per curarlo. In un atto estremo di amore paterno,
decide di rapinare una banca per procurare le cure necessarie al
bambino e garantire un futuro decente a questa sua futura famiglia.

Tuttavia,
non è solo. Al suo fianco ha un alleato inaspettato: un’intelligenza
artificiale di nome Exelda, in grado di elaborare strategie e fornire
supporto durante il colpo. Il piano ha successo, ma il prezzo da
pagare è alto. L’incursione scatena una serie di eventi imprevisti
che mettono in luce i lati oscuri dell’intelligenza artificiale e le
sue potenziali minacce all’umanità.

Viene
dipinto un quadro possibilista di un futuro in cui l’intelligenza
artificiale diventa sempre più sofisticata e autonoma, sfidando il
controllo umano e ponendo interrogativi etici complessi.

Non
è solo un thriller avvincente, ma anche un’opera che invita a
riflettere sul futuro dell’umanità nell’era dell’intelligenza
artificiale che oggi tanto ci divide, tra possibilisti e oppositori.

Voi
cosa ne pensate?

Cacciatori
di teste
:
questo titolo non evoca immediatamente immagini di popoli amazzonici
o africani, come ci si potrebbe aspettare da un’ambientazione
fantasy. Al contrario, la metafora si riferisce a figure del mondo
degli affari spietati, che “cacciano” i migliori talenti
per le proprie aziende.

La
storia, che inizia con un colloquio di lavoro informale e
apparentemente normale, si trasforma presto in una serie di eventi
surreali e inquietanti, sempre legati al mondo degli affari ma con
sfumature decisamente dark fantasy. L’atmosfera diventa infernale,
non solo in senso metaforico.

L’autore
riesce a mescolare elementi classici di una narrazione da girone
dantesco con la modernità dei tempi correnti, creando una storia che
è allo stesso tempo avvincente e disturbante. Il lettore viene
catapultato in un mondo dove la realtà si confonde con
l’immaginario, dove le regole del gioco sono imprevedibili e le
conseguenze delle azioni possono essere terribili.

Tra
i racconti che ho letto finora, è sicuramente uno dei miei preferiti
per la sua capacità di evocare emozioni contrastanti.

Diserbante: il
racconto, un
cervellotico cyberpunk
,
si presenta come una visione agghiacciante del futuro, dove l’umanità
è ridotta a mero ostaggio dei progressi tecnologici. L’autore, con
la sua penna acuta, decodifica questa triste realtà, dipingendo un
quadro oscuro.

Le
emozioni umane vengono soppresse o manipolate artificialmente,
creando una società fredda e alienata.

L’identità
e la libertà individuale vengono soffocate da un sistema oppressivo
che punta all’omologazione. Una lettura impegnativa e complessa.

Chalapais
e il demone Malchance
:
narra la storia di un uomo, Chalapais, e del suo demone “custode”,
Malchance. Non è Chalapais ad aver scelto Malchance, ma è il demone
ad averlo scelto. La storia ruota attorno all’invidia che Malchance
prova verso la vita effimera degli umani, in contrasto con la sua
immortalità.

L’invidia
di Malchance lo spinge a manipolare la vita di Chalapais,
conducendolo in una spirale di eventi sempre più drammatici e
inaspettati, dove la linea tra realtà e illusione si confonde.

L’ambiguità
del finale lascia spazio a diverse interpretazioni, invitando il
lettore a riflettere sul potere dell’invidia e sul ruolo del destino
nella vita umana.

La
videocamera sulle montagne russe
:
è, a mio parere, una meravigliosa parabola della vita. Attraverso
l’immagine di una videocamera montata su un vagone di montagne russe,
l’autore ci racconta il viaggio della vita, con le sue inevitabili
salite e discese.

Nonostante
le difficoltà e i momenti di sconforto, il racconto ci ricorda che
ogni salita è seguita da una discesa, e che ogni discesa porta con
sé un nuovo inizio. La vita è un susseguirsi di esperienze, alcune
positive e altre negative, ma è proprio questo contrasto che la
rende ricca e significativa.

L’autore
gioca con il concetto di impermanenza, suggerendo che nulla rimane
statico per sempre. Anche quando ci troviamo al punto più basso, c’è
sempre una luce alla fine del tunnel, una speranza di riscatto.

Il
racconto ci invita a riflettere sulla nostra esistenza, sui momenti
di gioia e di dolore, sui successi e sui fallimenti. Ci spinge a
cogliere ogni attimo, a vivere con intensità e a non arrenderci mai
di fronte alle avversità.

In
conclusione, Shirley,
con la sua sottile ironia, ci invita a riflettere sul paradosso di
raccontare storie fantastiche che rispecchiano paure e pericoli reali
dell’umanità. La sua penna affilata e lo stile sofisticato creano
visioni intense e disturbanti, che catturano il lettore in una
spirale di fascino e trepidazione.

Questa
raccolta di racconti è una mescolanza di interessi, l’autore ci
porta a confrontarci con ipotesi terribili e ad analizzare la
possibilità di un futuro distopico dove i pericoli che oggi temiamo
potrebbero diventare realtà. Non tutte le storie sono piacevoli, ma
tutte sono capaci di scuotere le nostre convinzioni e di farci
riflettere su ciò che diamo per scontato.

Amanti
dei generi horror e fantascienza, e appassionati della scrittura di
Shirley,
troveranno in questa raccolta un vero e proprio banchetto di storie
torbide e mesmerizzanti. Preparatevi a immergervi in un mondo oscuro
tanto ricco di led, dove la realtà si mescola al soprannaturale e
l’orrore assume forme sempre nuove e inaspettate.

Consiglio
vivamente questa lettura a chi è alla ricerca di un’esperienza
narrativa forte e originale e come Supporter
iscritto della Horror
Writers Association

è stato un onore fare questa recensione.

L’AUTORE

John
Shirley

(nato il 10 febbraio 1953) è un prolifico scrittore americano, noto
principalmente per le sue opere di horror, fantasy, fantascienza,
dark street fiction, western e per i suoi testi di canzoni. Ha
scritto oltre 84 libri, tra cui romanzi, racconti, sceneggiature
televisive e cinematografiche, tra cui Il
corvo
.
Shirley è stato anche un musicista, frontman di diverse band e
autore di testi per i Blue Öyster Cult e altri gruppi.

Riconoscimenti:

1998:
Premio International Horror Guild Awards per il racconto Cram.

1999:
Premio Bram Stoker Awards per il romanzo Black
Butterflies: A Flock on the Dark Side

(con cui ha vinto anche l’International Horror Guild Awards nello
stesso anno). E numerose nomination per altri premi letterari.

Shirley
è elogiato da altri scrittori per il suo lirismo, la sua ricchezza
di idee e immaginazione, il suo pionierismo nel crossover e la sua
onestà a livello di strada. Tra i suoi estimatori troviamo Clive
Barker, Peter Straub, Roger Zelazny, Marc Laidlaw

e A.A.
Attanasio
.

Stelle
Bollenti

Autore:
John Shirley

Editore:
Independent Legion Publishing

Collana:
Black Spring

Pag.
378

ISBN-13,
‎979-1280713841

ASIN:
‎B0CVQ2THMN

Prezzo: 18,90 €

Stelle Bollenti di John Shirley

John Shirley

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