L’Orrore di Abbot’s Grange di Frederick Cowles

Per la prima volta in italiano una raccolta ampia e articolata della narrativa di Frederick Cowles (1900-1948), autore britannico che seppe coniugare la passione per il folklore con la scrittura di storie insolite piene di misteri e fantasmi.

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Negli anni in cui Frederick Cowles andava scrivendo le sue storie – un’epoca letteraria in cui aleggiavano ancora forti le ombre di M.R. James Algernon Blackwood – il racconto di fantasmi godeva di un’aura colta e decadente, ereditata direttamente dalla tradizione tardo-vittoriana. Ma oggi, come una mano pallida che affiora da una tomba dimenticata, la Dagon Press riesuma con solenne maestria l’anima di questo autore misconosciuto, riportandolo alla luce con la pubblicazione italiana de L’Orrore di Abbots’ Grange, un tomo che sa di polvere antica, di velluto logoro, di eterni sospiri tra le pieghe dell’ignoto. Cowles, bibliotecario di giorno e scrittore di fantasmi nelle ore in cui le ombre si fanno più lunghe, ci consegna con questo volume una raccolta di racconti impregnati di una goticità inglese raffinata, mai eccessiva, sempre sorvegliata, come se la paura venisse distillata attraverso gli occhiali da lettura di un antiquario solitario. E in effetti, molte delle sue figure protagoniste – studiosi indipendenti, nobili decaduti, collezionisti di curiosità esoteriche – sembrano uscite da un salotto crepuscolare di fine Ottocento, anche se la loro epoca è quella più dimessa degli anni Trenta del secolo scorso. La scrittura di Cowles è sobria, classica, e affilata come una lama nascosta sotto una tovaglia di lino. Le trame, sebbene brevi, si muovono tra chiese diroccate che sussurrano nel vento, anelli maledetti, dipinti che osservano da dietro il vetro opaco, villaggi che non compaiono sulle mappe e castelli dimenticati dove la pietra stessa sembra ricordare. La sua ispirazione, chiaramente debitrice nei confronti di E.F. Benson M.R. James, è tuttavia rielaborata con un gusto personale per l’intimo terrore della provincia britannica, quella brughiera sonnolenta dove il soprannaturale non ha bisogno di effetti speciali per insinuarsi nella mente. Nel racconto che dà il titolo alla raccolta, L’Orrore di Abbots’ GrangeCowles sfiora addirittura il mito vampirico con una grazia funerea degna di Bram Stoker: non c’è sangue, ma un’angoscia sottile, un’atmosfera da incubo medioevale che pare filtrata attraverso il vetro piombato di una cappella dimenticata. La figura del vampiro qui non è mostruosa ma nobile, distaccata, insinuante come una carezza gelida sul collo nudo. È vero che le ambientazioni possono apparire ripetitive e i finali affrettati, quasi come se lo stesso autore, temendo di disturbare troppo l’anima del lettore, volesse svanire prima del colpo di scena. Ma questo non è un difetto: è lo stile stesso di Cowles, che preferisce il tremore all’urlo, la presenza suggerita alla carneficina. Le sue storie sono candele tremolanti nel buio, non esplosioni di luce, e proprio per questo sanno colpire, lentamente, ma con precisione millimetrica. A rendere il volume ancora più prezioso è la presenza di un rarissimo scritto introduttivo dell’autore stesso, che ci guida tra le sue ossessioni e passioni con la discrezione che gli si addice. La traduzione di Pietro Guarriello è elegante e fedele al tono dell’originale, riuscendo a trasportarci nelle viscere di una letteratura gotica d’antan senza mai risultare artificiosa. Le illustrazioni interne – e la riproduzione della copertina originale del 1936 – aggiungono un tocco visivo che contribuisce al senso di immersione in un’altra epoca, in un’altra temperatura dell’anima. L’Orrore di Abbots’ Grange non è un libro da leggere frettolosamente. È una collezione di reliquie, ogni racconto è un oggetto dimenticato, ogni pagina una porta scricchiolante verso un’Inghilterra spettrale, dove il soprannaturale non è mai urlato, ma sempre sussurrato da dietro un tendaggio polveroso. Perfetto per le notti d’autunno, per chi ama essere accompagnato nel sonno da voci di altri tempi, questo volume è un tributo tardivo ma meritatissimo a un autore che meritava di essere riscoperto. Cowles forse non è un gigante del genere, ma è un maestro della penombra, e in un mondo fatto di luci troppo forti, la sua ombra ci mancava terribilmente.

L’Orrore di Abbot’s Grange
Autore: Frederick Cowles
Editore: Dagon Press
Pagine: 244
ISBN 13: 979-8286015573
Costo:15,90 € cartaceo

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Le presenze invisibili di Dorothy Macardle

Gotico dell’anima: il ritorno di un classico inquieto

Con Le presenze invisibili, pubblicato per la prima volta nel 1942 con il titolo Uneasy Freehold, Dorothy Macardle ci regala un raffinato romanzo gotico che non si limita a spaventare, ma inquieta, scava, rimane addosso. Grazie alla nuova edizione di Dagon Press, impreziosita dall’accurata introduzione di Bernardo Cicchetti e dalla sua limpida traduzione, questo capolavoro sommerso torna finalmente nelle mani dei lettori italiani, più vivo e attuale che mai. La storia si apre con un’apparente idillio: due fratelli, Roderick e Pamela Fitzgerald, lasciano la Londra affannata degli anni Trenta per rifugiarsi in un tranquillo angolo del Devon. La casa che acquistano, Cliff End, è sospesa tra la bellezza e l’isolamento, protesa su una scogliera affacciata sul mare. Ma quella quiete è solo apparente: la casa è abitata da presenze che non si vedono, ma si sentono – e lasciano dietro di sé odori, brividi, e la sensazione opprimente che qualcosa di non risolto si aggiri tra le stanze. Macardle non indulge mai nel sensazionalismo: il terrore in questo romanzo si insinua nei dettagli, nell’atmosfera, nei silenzi. È un gotico psicologico, costruito con lentezza e precisione, dove la casa infestata diventa specchio dell’inconscio, dei traumi non elaborati, delle passioni represse. I fantasmi non sono solo spiriti, ma anche e soprattutto i residui emotivi di una tragedia familiare sepolta. Due donne – la defunta Mary Meredith e la misteriosa Carmel – si contendono la memoria e l’identità della giovane Stella, figlia e testimone di una storia d’amore e gelosia finita nel sangue e nel silenzio. L’incontro tra Stella e Roderick accende il cuore della vicenda: non si tratta solo di un innamoramento romantico, ma di un legame che si sviluppa sotto l’ombra dell’irrazionale, della paura, del dubbio. Quanto di ciò che accade è reale? Quanto è frutto dell’influenza emotiva di un luogo segnato da un passato irrisolto? La narrazione in prima persona di Roderick ha il tono disincantato di chi cerca la razionalità anche nell’assurdo, ma è proprio questo contrasto che rende il romanzo efficace: la voce lucida del protagonista fa da contrappunto alla crescente inquietudine degli eventi. Pamela, più pragmatica e intuitiva, è una figura femminile forte e moderna, mentre Stella si muove tra innocenza e ambiguità, attratta inesorabilmente dalla casa e dai suoi misteri, come una falena dalla fiamma. Macardle non fu solo romanziera, ma anche giornalista e attivista politica irlandese, vicina al pensiero repubblicano e antifascista, e collaboratrice stretta di Éamon de Valera. Il suo impegno civile traspare, in filigrana, anche in questo romanzo: nella difesa della soggettività femminile, nella denuncia sottile delle strutture patriarcali, nella consapevolezza che ogni casa – come ogni Paese – può essere infestata dai suoi fantasmi. Le presenze invisibili è quindi molto più di una storia di fantasmi: è una riflessione sulla verità e la memoria, sull’identità e il potere, raccontata attraverso la lente di una narrativa gotica elegante e penetrante. Macardle affronta la dimensione soprannaturale come allegoria della psiche e della storia, portando nel genere una tensione morale e intellettuale rara. Con Le presenze invisibili, Dagon Press recupera un’opera che merita pienamente il titolo di “classico”: un libro che travalica il genere e si impone per la qualità della scrittura, l’intelligenza della costruzione narrativa e l’atmosfera unica, sospesa tra malinconia e terrore. Un romanzo da leggere lentamente, nelle sere d’autunno o nelle notti in cui il vento porta con sé voci dimenticate. Perché, come insegna Dorothy Macardle, non sempre ciò che è invisibile è meno reale.

Le presenze invisibili
Autore: Dorothy Macardle
Editore: Dagon Press
Pagine: 390 pagine
Dimensioni: 13.97×2.49×21.59 cm
ISBN-13: 979-8314610947
Prezzo: 17,90 €

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I dodici apostoli e altri incubi di Eleanor Scott

La raccolta I dodici apostoli e altri incubi di Eleanor Scott, pseudonimo di Helen Leys, rappresenta un raro e prezioso gioiello della narrativa soprannaturale inglese. Pubblicata da Dagon Press e curata con grande competenza da Bernardo Cicchetti, questa antologia porta per la prima volta al pubblico italiano racconti che sono rimasti a lungo trascurati, se non da una ristretta cerchia di appassionati.

Helen Leys (1892-1965), educatrice e scrittrice, ebbe una carriera letteraria breve ma interessante. Dopo il successo del controverso romanzo War Among the Ladies (1928), pubblicò Randalls Round (1929), un’opera anomala rispetto al resto della sua produzione, composta da racconti del soprannaturale intrisi di folklore e atmosfere gotiche. Dopo questa raccolta, Eleanor Scott abbandonò le storie di fantasmi per dedicarsi a biografie e saggistica, lasciando però un’impronta duratura nel genere horror.

È grazie a Richard Dalby, il celebre studioso e curatore di letteratura fantastica, che Randalls Round ha trovato nuova vita con una ristampa nel 1996 per la prestigiosa Ash-Tree Press, ormai quasi introvabile. Dalby riconobbe il valore di queste storie, apprezzandone la capacità di inserirsi nella grande tradizione jamesiana, pur conservando una voce originale. Una delle peculiarità di questa raccolta è che molti dei racconti trovano origine nei sogni della stessa autrice, un aspetto che conferisce loro un’atmosfera surreale e disturbante. L’esperienza onirica diventa il terreno fertile da cui nascono figure inquietanti e situazioni di ambiguità sottile, capaci di insinuarsi nell’inconscio del lettore.

Tra i racconti più memorabili troviamo “Randalls Round”, che esplora le misteriose tradizioni di una danza popolare nelle Cotswolds, e “La stanza”, dove sei uomini vivono esperienze diverse, ma ugualmente inquietanti, in una camera infestata. “La fattoria di Simnel Acres” si distingue per la sua descrizione vivida di un giardino maledetto e di un antico rituale della notte di Lammas, mentre “La vecchia signora” presenta una studentessa di Oxford alle prese con una figura malvagia dal fascino sinistro. Particolarmente significativi sono i racconti che mostrano l’influenza di M.R. James. “I dodici apostoli”, con il suo enigma archeologico e il mostro nascosto, richiama Il tesoro dell’abate Thomas, mentre “Celui-là” riprende il tema dell’oggetto maledetto già esplorato in Fischia e verrò da te, ragazzo mio. Pur evidenti nei richiami, queste storie non si limitano a emulare James, ma reinterpretano con originalità le sue trame, arricchendole di elementi folkloristici e riflessioni sulla fragilità della razionalità umana. Un altro punto di forza della raccolta è il modo in cui Scott intreccia il folklore inglese con una profonda inquietudine psicologica. “Randalls Round” si configura quasi come un elogio al Ramo d’oro di Frazer, mentre “Alla fattoria di Simnel Acres” evoca il potere rituale dei cicli stagionali. Ogni racconto sembra voler ricordare al lettore come il passato non sia mai del tutto sepolto e come antichi rituali continuino a esercitare il loro potere oscuro sul presente.

La traduzione di Bernardo Cicchetti riesce a preservare la ricchezza stilistica e l’atmosfera densa della prosa originale, restituendo intatta l’esperienza perturbante che caratterizza le opere di Scott. Inoltre, l’apparato critico curato da Cicchetti arricchisce la raccolta, offrendo al lettore italiano un contesto approfondito per apprezzare appieno il valore letterario di questi racconti.

I dodici apostoli e altri incubi è un’opera che merita un posto d’onore tra gli appassionati della narrativa fantastica e gotica. Le storie di Eleanor Scott, con la loro matrice onirica, i richiami al folklore e l’influenza jamesiana, rappresentano un punto di incontro perfetto tra la tradizione e l’innovazione. Questo volume è un’autentica riscoperta letteraria che dimostra come l’orrore, quando radicato nei miti e nei sogni, possa toccare corde profonde e universali.

I dodici apostoli e altri incubi
Autore: Eleanor Scott
Editore: Dagon Press
Pagine: 258
ISBN: 979-8301649493
Costo: 15,95 € cartaceo

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I racconti di Dagon 2: Attraverso angoli alieni di Autori Vari

Ci sono libri che spalancano porte su universi dimenticati, che tracciano mappe di orrori celati oltre i confini della comprensione umana. I racconti di Dagon 2: Attraverso angoli alieni, antologia pubblicata dalla Dagon Press con l’introduzione di Gianfranco de Turris, è uno di questi libri. Un viaggio multiforme e inquietante, che non si limita a rievocare l’ombra di H.P. Lovecraft, ma che intreccia un dialogo corale tra scrittori americani e italiani, accomunati da una visione condivisa dell’orrore cosmico.

De Turris, con il suo consueto acume, sottolinea come questa antologia non sia un semplice tributo, ma una prova concreta dell’universalità della poetica lovecraftiana. Lungi dall’essere una “bizzarria” personale, il nuovo orrore cosmico di Lovecraft si è dimostrato una struttura narrativa robusta, capace di attraversare decenni e confini, e di alimentare nuove forme di inquietudine.

Elwin G. Powers apre la raccolta con Attraverso angoli alieni, un racconto che spinge oltre i limiti l’eredità del creatore dei Miti di Cthulhu. Gli Shoggoth tornano in scena con una potenza primordiale, protagonisti di un crescendo narrativo che culmina in un finale evocativo del “Dagon” lovecraftiano. Powers, alter ego letterario di Robert A.W. Lowndes, non si limita a ripetere i temi lovecraftiani, ma li innova, dimostrando che il canone è uno spazio vivo, aperto alla reinterpretazione. A seguire, il racconto inedito in Italia di Abraham Merritt, Lo stagno del dio di pietra, colpisce per il suo potere visionario. La misteriosa isola su cui il professor Marston e i suoi compagni fanno naufragio si anima di un’atmosfera tangibile di minaccia e fascinazione. L’idolo dalle ali di pipistrello, al centro della vicenda, anticipa in modo quasi profetico Il richiamo di Cthulhu e non bisogna dimenticare come Lovecraft apprezzasse Merritt. Merritt non è un epigono di Lovecraft, ma piuttosto un precursore, capace di evocare suggestioni che sarebbero poi diventate colonne portanti del mito. Con Il vello di Graag di Paul Dennis Lavond – pseudonimo che cela le menti di Frederick Pohl, Harry Dockweiller e lo stesso Lowndes – ci immergiamo in un racconto classico ispirato ai Miti di Cthulhu. Il racconto cattura con la sua tessitura oscura e simbolica, dimostrando come il mito lovecraftiano possa essere declinato in forme polifoniche senza perdere la sua essenza. Henry Kuttner, nel suo Il divoratore di anime, mostra un lato dunsaniano e lovecraftiano che seduce per la sua atmosfera decadente e onirica. Kuttner non si limita a spaventare: conduce il lettore in un labirinto di immagini simboliche, dove l’orrore si mescola con una bellezza ineffabile. L’abominio supremo di Clark Ashton Smith e Lin Carter è un perfetto esempio di alchimia letteraria. Partendo da un frammento incompiuto di Smith, Carter plasma una narrazione che cattura l’essenza dei miti di Lovecraft, portandoli verso nuove vette di orrore e meraviglia. La collaborazione tra i due autori si traduce in un racconto che è tanto un tributo quanto un contributo originale al mito.

Tra i contributi italiani, spicca Nessun dolore… del compianto Elvezio Sciallis, una figura centrale nel fandom del fantastico italiano. Questo racconto si presenta come un omaggio carico di emozione e profondità, ambientato in una Sanremo gotica che unisce il fascino della Riviera a un’atmosfera densa di mistero. Fra i protagonisti troviamo lo scultore Andrea (probabilmente Andrea Bonazzi, noto scultore e artista lovecraftiano), in una narrazione che intreccia realtà e incubo. Viene citato anche un certo Guarriello come traduttore di un tomo di magia. Sciallis dimostra una maestria unica nel fondere elementi lovecraftiani con una sensibilità tutta italiana, rendendo il racconto un tributo autentico e un contributo indelebile alla letteratura weird. Ma l’apporto italiano non si ferma qui. Marco Marra, con La cosa caduta dal cielo, costruisce un incubo che richiama per atmosfere Il colore venuto dallo spazio, pur mantenendo una sua originale peculiarità. Pietro Rotelli, con Carcosa Beach Party, ci regala una storia che unisce ironia e mistero, citando apertamente Carcosa e Hastur, e intrecciando la leggenda con una vena contemporanea. In La spiaggia di Baleia di Claudio Foti, la popolazione atterrita si confronta con conchiglie titaniche, in un crescendo di tensione che fonde l’elemento naturale con una minaccia sovrannaturale. Paco Sidney Silvestri, invece, con La via del caos, riporta al centro della narrazione il culto di Dagon, intrecciando il mito con un senso di fatalismo implacabile. Un maelstrom di orrore di Andrea Beatrice si distingue per la sua atmosfera onirica e cosmica, che richiama le suggestioni di Clark Ashton Smith. Gli enigmatici Cosmici, creature di potenza insondabile, amplificano il senso di meraviglia e terrore, facendo del racconto una perla visionaria. Flavio Deri, con Ritorno a Innsmouth, ci guida in un viaggio nella mitica città ormai diroccata e fatiscente, tra decadenza e mistero. Da Y’ha-nthlei, una sorta di nuova R’lyeh che emerge dagli abissi, si dipana una narrazione carica di fascino mitologico. Cesare Buttaboni, in Il culto del verme nero, fonde il gotico padano con l’orrore cosmico, in una storia che riecheggia antiche leggende trasfigurate in chiave lovecraftiana. La struttura di Paolo Sista si distingue per la sua vena surreale e patafisica. Dopo aver scavalcato una misteriosa struttura, il protagonista cade in un delirio visionario che esplora concetti vertiginosi come la “Cuspide Apicale della Arborescenza Inversa di Yug Sutol”. Infine, Maria Tauro, con Giochi di magia, ci regala il ritratto di un personaggio femminile complesso e recluso, i cui segreti si rivelano essere di portata cosmica.

ATTRAVERSO ANGOLI ALIENI
I racconti di Dagon 2
Autore: AA.VV.
Editore: Dagon Press
Anno: 15 dicembre 2024
Pagine: 228
Prezzo: 15,60 €
ISBN: 979-8302054043

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Il Mantra del Fuoco di Walter Owen

Il Mantra del Fuoco: un capolavoro occulto riscoperto.

Dopo il libro di culto La croce di Carl la Dagon Press pubblica Il Mantra del Fuoco, un altro romanzo quasi sconosciuto di Walter Owen (le notizie in rete sono minimali). Si tratta di un’opera affascinante e vertiginosa, dimenticata per decenni e ora riportata alla luce in un’edizione italiana curata con minuziosa attenzione da Bernardo Cicchetti. Questo romanzo – conosciuto originariamente come More Things in Heaven – è un viaggio tra il visibile e l’invisibile, un’esplorazione esoterica che fonde fantasy, horror e filosofia in un’unica, intricata visione del mondo.

Walter Owen, nato in Scozia nel 1884 e trasferitosi a Buenos Aires, dove trascorse gran parte della sua vita, è una figura misteriosa e poco nota. Poeta, bibliofilo e traduttore di testi storico-filosofici, Owen sembra aver riversato in questo romanzo tutto il suo interesse per il soprannaturale e l’esoterismo. In un’opera di straordinaria complessità, egli intreccia dottrine teosofiche, pseudoscienza e misticismo per offrire una prospettiva alternativa sulla Storia del Mondo e sul rapporto dell’umanità con l’invisibile.

La trama ruota intorno a un protagonista che intraprende un viaggio di scoperta e trasformazione, costellato da incontri enigmatici e momenti di rivelazione. Ma ridurre Il Mantra del Fuoco a un semplice riassunto sarebbe come cercare di descrivere un labirinto indicando solo l’entrata e l’uscita. L’essenza del romanzo risiede nei suoi dettagli: ogni capitolo, ogni dialogo, ogni descrizione è un tassello di un mosaico che sfida le percezioni e invita il lettore a confrontarsi con le grandi domande della vita. La citazione shakespeariana che dà il titolo originale al libro – “Ci sono più cose in cielo e in terra, Orazio, di quante ne sogni la tua filosofia” – è una dichiarazione d’intenti: Owen esplora ciò che si nasconde oltre i limiti della razionalità umana.

La prosa di Owen è densa, evocativa e, a tratti, volutamente opprimente. L’atmosfera che crea è un miscuglio di meraviglia e inquietudine: il lettore si sente trascinato in un mondo familiare e, allo stesso tempo, radicalmente altro. È come camminare su un filo sottile, sapendo che sotto di noi si estende un abisso insondabile. Le digressioni filosofiche e le teorie esoteriche possono sembrare ardue, ma aggiungono profondità al testo e premiano chi è disposto a immergersi completamente nel suo universo.

Bernardo Cicchetti, curatore di questa edizione italiana, ha arricchito il libro con oltre 500 note esplicative, un vero e proprio strumento di navigazione per orientarsi tra i molti riferimenti occulti e simbolici. Questo lavoro di contestualizzazione rende l’opera accessibile senza banalizzarla, permettendo anche a chi non ha una conoscenza approfondita dell’esoterismo di apprezzarne la ricchezza.

Tuttavia, Il Mantra del Fuoco non è un libro di facile lettura. La sua narrazione astratta, il ritmo lento e la struttura complessa possono risultare ostici per qualche lettore. Questo è un romanzo che chiede tempo e attenzione, ma per chi accetta la sfida, l’esperienza può rivelarsi unica. Owen, come un maestro alchemico, trasforma la lettura in un viaggio di trasformazione personale, portandoci a guardare dentro noi stessi tanto quanto al di fuori.

Il fascino oscuro del libro non si limita al suo contenuto. La leggenda che circonda le copie originali – associate a maledizioni e disgrazie – ha contribuito a creare un’aura di mito attorno a More Things in Heaven. Il Mantra del Fuoco è un invito a esplorare l’ignoto, un viaggio intellettuale e spirituale di portata cosmica.

Il Mantra del Fuoco
Autore: Walter Owen
Curatore: Bernardo Cicchetti
Formato: 17×24
Pagine: 382
Prezzo: 28,00 €
Edizione a tiratura limitata
Per informazioni e ordini scrivere a: studilovecraft@yahoo.it

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