Il custode di Davide Stocovaz

Come
premessa a questo mio resoconto devo dichiarare che non sono mai
stato un uomo di facile impressione. Non sono mai stato
superstizioso, non ho mai creduto alle leggende, né tanto meno ai
fantasmi. Ero convinto, fin poco tempo fa, che nulla potesse esistere
dopo la morte. Che questa chiudesse le porte dell’anima, lasciandola
scivolare in un oblio eterno.

Questo,
almeno, lo credevo fino all’anno 2020.

Capitò
che, trovandomi in cerca di un’occupazione, mi imbattei in un
annuncio online col quale si richiedeva la presenza di un nuovo
custode nell’antico castello di Montebello, in provincia di Rimini.

Al
tempo, trovandomi in gravi difficoltà economiche, anche se il ruolo
di custode non rappresentava la mia più elevata ambizione, decisi di
rispondere all’annuncio inviando il mio curriculum vitae. Avevo già
avuto modo di svolgere quell’incarico presso un museo di storia
naturale, quand’ero più giovane, e poi in un piccolo acquario di
provincia. Sembrava che il destino, o la mia poca attitudine a
svolgere altri mestieri, mi imponesse di perseguire quella strada.

Mi
sentii sollevato quando mi contattò la direzione del castello per
informarmi di avermi selezionato tra i vari pretendenti di quel
lavoro. Così, senza esitazioni, a bordo della mia sgangherata
vettura, mi recai al borgo di Montebello di Torriana.

Vidi
subito il castello, una costruzione maestosa, ergersi sul colle alto
436 metri e dominare il borgo sottostante. La mia vettura faticò non
poco a raggiungere il cancello d’ingresso. Venni accolto dalla
direttrice del castello che mi fece accomodare nel suo studiolo. Dopo
avermi illustrato le mansioni da svolgere, volle portarmi alla
conoscenza di una leggenda che attraversava i secoli e che giungeva
fino ai nostri tempi. La storia della piccola Guendalina Malatesta.

Lei
non era una bambina come tutte le altre. Aveva, infatti, lunghi
capelli bianchi e la pelle di un chiarore quasi innaturale. Era
albina.

Nel
1300 essere così diversi dagli altri, tra superstizioni e paure,
poteva voler dire essere uccisi anche in modi piuttosto cruenti. Per
proteggere Guendalina dagli sguardi torvi dei paesani, la madre tentò
di celare l’albinismo della figlia tingendole i capelli. Ma questi,
chissà per quale effetto di chimica, non trattenevano il colore che
svaniva in modo rapido, lasciando solo un leggero riflesso azzurro.
Perciò
Guendalina
venne soprannominata Azzurrina.

Il
padre, essendo un uomo piuttosto influente, decise di far vivere la
bambina nel castello, circondata da guardie che ne garantivano la
sicurezza.

Si
narra che il 21 giugno 1375, mentre imperversava un forte temporale,
Azzurrina era intenta a giocare con una palla fatta di stracci. Di
colpo, il giocattolo iniziò a rotolare incontrollato giù da una
rampa di scale che conduceva alla ghiacciaia. La stanza aveva un
unico accesso, perciò le guardie si limitarono a osservare la scena
attendendo il ritorno della bambina. Ma Azzurrina non le risalirà
mai più. Scomparve nel nulla, come inghiottita dalle viscere del
castello stesso.

Le
disperate ricerche dei suoi genitori non portarono a nessun
risultato.

Da
allora, la leggenda vuole che ogni cinque anni, la notte del 21
giugno, la voce di Azzurrina torni a farsi sentire proprio nella
stanza di accesso alla ghiacciaia.

Ringraziai
la direttrice del castello per avermi messo alla luce della leggenda
e le assicurai che l’indomani sarei stato pronto a svolgere le mie
mansioni.

Così
ebbe inizio il mio nuovo incarico. Mi occupavo delle pulizie delle
stanze, di controllare che tutto fosse in ordine prima delle visite
dei turisti. Ne venivano a frotte, da tutte le parti del mondo.
Strinsi conoscenza con alcune guide turistiche, che ribadivano la
leggenda raccontatami dalla direttrice del castello. Sembrava che
questa fosse di dominio pubblico, che avesse valicato i confini
italiani e persino europei. Non c’era visitatore o turista che non
chiedesse di Azzurrina e della sua leggenda. Per conto mio, non vi
prestavo molta attenzione. Mi limitavo a svolgere le mie mansioni, ad
aprire e chiudere le stanze prima e dopo le varie visite, a tenere in
ordine gli oggetti ben custoditi, ad accertarmi che nessuno rubasse
qualcosa.

Finché
arrivò il mese di aprile. La leggenda mi
echeggiava nella mente e
io continuavo a svolgere il mio lavoro in completa serenità. Non
avevo mai sentito voci di bambina echeggiare nei lunghi corridoi, non
avevo mai visto tavoli, o altri oggetti, alzarsi e rimanere sospesi
nel vuoto per svariati secondi. I fenomeni paranormali, di qualsiasi
entità, erano ben lungi da me, se mai ce ne fossero stati veramente.

La
mattinata era tiepida, il sole splendeva sul borgo sottostante. Mi
trovavo in una delle stanze adiacenti al salone delle feste. Stavo
spazzando il pavimento. Tenevo la testa china, indaffarato nel mio
lavoro di preparazione prima dell’arrivo della guida di turno e dei
turisti. All’improvviso, con la coda dell’occhio, notai una macchia
scura, come un’ombra, che si muoveva lungo le pareti. Spinto
dall’istinto, alzai il capo di scatto.

E
la vidi.

Una
figura femminile si stagliava a pochi metri da me. Aveva un aspetto
cadaverico, la pelle chiarissima. Se ne stava a testa in giù; i
lunghi capelli, sfumati da una leggera livrea di un azzurro spento,
sfioravano il pavimento; i suoi piedi nudi erano innaturalmente
appoggiati al soffitto in legno; indossava una lunga veste bianca, e
questa le rimaneva aderente al corpo, in modo inspiegabile perché, a
causa della forza di gravità, avrebbe dovuto ricaderle addosso,
coprendola almeno in parte.

Ricordo
di non essermi mosso. Mi sentii paralizzare dalla testa alla punta
delle scarpe. Lei mi guardava, sembrava osservarmi. In quei suoi
occhi scuri, come biglie di una bambola, non vi lessi segno di
aggressività o cattiveria. Anzi, sembrava sondarmi con curiosità.

Poi,
dopo qualche istante, la mia mente prese a vacillare. Un brivido
gelido mi risalì le vene. Ricordo di aver aperto la bocca, emettendo
prima un gemito strozzato, poi un miagolio soffocato e, solo dopo
qualche secondo, esplosi un grido di terrore. La mia mano lasciò
cadere la scopa, che colpì il pavimento con uno schiocco di frusta.
Arretrai fino a trovarmi con le spalle pigiate contro una parete.

Lei
continuava a fissarmi. Benché non sembrasse aggressiva, il suo era
uno sguardo di ghiaccio.

Chiusi
gli occhi in modo istintivo. Le mie gambe cedettero presto e scivolai
lungo la parete, chiudendomi su me stesso. Brividi freddi si
rincorrevano nel mio corpo. Tremavo.

Non
ebbi più il coraggio di sollevare la testa e di guardare. Rimasi
nell’angolo, in una postura da roccia inamovibile, non so per quanto
tempo.

Poi
udii dei passi e una voce familiare che mi chiamava per nome. Trovai
la forza per aprire un occhio, solo uno spiraglio di palpebra. E
sospirai dal sollievo quando vidi il volto di una guida turistica che
mi sovrastava.

Allora,
con voce tremante, le raccontai l’accaduto.

Il
ragazzo, sui trent’anni, mi ascoltava in modo attento. Nei suoi occhi
non lessi, nemmeno per una frazione di secondo, il riflesso di
potersi trovare davanti a un pazzo visionario: cosa che, di certo,
avrei pensato io al posto suo.

Mi
aiutò ad alzarmi. Mi cinse le spalle con un braccio. Gli indicai il
punto in cui era apparso il fantasma. E solo allora notammo che, sul
soffitto in legno, erano presenti strane macchie bianche.

Cercammo
di cancellarle con l’acqua, ma appena questa si asciugava, le chiazze
riapparivano. Guardandole meglio, ci accorgemmo che non si trattava
di semplici macchie: erano orme di piedi nudi.

E
se davvero non credete a questa mia storia, se davvero dubitate di
questo resoconto, sappiate che una di queste impronte è ancora lì
oggi, presente e visibile a tutti. Prestando attenzione, si possono
notare l’alluce, quattro piccole dita e il tallone di un piede di
taglia 34-35, proprio come quello di una bambina.

Dopo
questa esperienza, decisi di presentare le mie dimissioni. Non sarei
mai stato in grado di aggirarmi in quei corridoi o in altre stanze
del castello senza avere addosso il timore, la paura più acuta, di
ritrovarmi di nuovo faccia a faccia con uno spettro. La direttrice
comprese e mi augurò buona fortuna per il mio futuro.

Ora,
dopo quanto vissuto al castello di Montebello, credo che vi sia
qualcosa di inspiegabile che può accadere dopo la morte. Credo
che, forse, questa non sia proprio la fine del tutto. In merito ai
fantasmi, penso
che questi andrebbero accettati così come si accetta il fuoco,
fenomeno più comune ma altrettanto misterioso. Che cos’è il fuoco?
Non è veramente un elemento, nemmeno un principio di moto e nemmeno
una creatura vivente; non si tratta neppure di una malattia, anche se
si propaga da una casa all’altra. È un evento anziché una cosa o
una creatura.

I
fantasmi, allo stesso modo, sembrano essere eventi, anziché cose o
creature.

L’autore

Davide
Stocovaz è nato a Trieste nel 1985.

È
autore e sceneggiatore, tra i suoi romanzi ricordiamo “Zanne
nelle Tenebre”, “Abissi”, “Ombra di Morte”,
“Addendum”, “Il Mostro del Buio”, “La
Giungla dell’Orrore”, “Krampus, la leggenda è viva” e
“Il Re delle Dolomiti”.

Nel
2010 vince il Primo Premio Internazionale per la Sceneggiatura
Mattador, dedicato a Matteo Caenazzo.

Alterna
il percorso in narrativa con la stesura di poesie. La sua prima
raccolta poetica “Sussurri nel Vento” è stata pubblicata
nel 2022 dalla Ensemble Edizioni.

Collabora con la rivista
online Bora.La con la stesura di racconti ambientati a Trieste.

Visceralmente legato alla sua città natale, continua il suo percorso nella narrativa con la stesura di racconti, romanzi e poesie.

Il custode di Davide Stocovatz




Il Mostro del Buio di Davide Stocovaz

La redazione GHoST segnala l’uscita dell’ultimo romanzo di genere thriller psicologico, con sfumature horror, Il Mostro del Buio di Davide Stocovaz edito da Dark Abyss Edizioni.

Un corpo mutilato e senza vita viene ritrovato nella foresta. Un investigatore mandato lì, tra le montagne della Carnia, a indagare. Così inizia il viaggio al limite del soprannaturale di Lorenzo De Filippi, perché ogni indizio pare condurre a un enorme cane nero. Ma Lorenzo deve confrontarsi con questa assurda realtà e con gli spettri del proprio passato, non può indugiare nel dubbio perché l’assassino continua a colpire. Riuscirà De Filippi a trovare il colpevole di tanta ferocia e a riportare la pace nel paese di Valverde?

Davide Stocovaz è nato a Trieste nel 1985.
È autore e sceneggiatore, tra i suoi romanzi di genere horror/thriller ricordiamo “Zanne nelle Tenebre”, “Abissi”, “Ombra di Morte”, “Addendum” e “Il Mostro del Buio”.
Nel 2010 vince il Primo Premio Internazionale per la Sceneggiatura Mattador, dedicato a Matteo Caenazzo.
Alterna il percorso in narrativa con la stesura di poesie. La sua prima raccolta poetica “Sussurri nel Vento” è stata pubblicata nel 2022 dalla Ensemble Edizioni.
Visceralmente legato alla sua città natale, continua il suo percorso nella narrativa con la stesura di racconti, romanzi e poesie.

Il romanzo lo si trova sugli store online sia in formato cartaceo che in ebook.

Cartaceo: https://www.amazon.it/mostro-del-buio-Davide-Stocovaz/dp/B0C35K7NL1

Ebook: https://www.amazon.it/mostro-del-buio-Davide-Stocovaz-ebook/dp/B0C5XFHQJL/ref=sr_1_3?qid=1685103853&refinements=p_27%3ADavide+Stocovaz&s=books&sr=1-3




Ombra di Morte di Davide Stocovaz

La Redazione GHoST segnala l’uscita sui maggiori store online, in formato sia cartaceo che ebook, il romanzo di genere thriller di Davide Stocovaz, dal titolo Ombra di Morte, edito da Elison Publishing.

Sinossi
Dopo tre morti misteriose, la notizia che un velenosissimo serpente si aggira libero nel Parco del Farneto getta la città di Trieste nel panico.
Com’è arrivato fin lì? Cosa si può fare per neutralizzarlo?
La polizia è mobilitata in forze, mentre un giovane erpetologo, Daniel Peruzzi, segue una sua pista personale e si innamora di Martina Guerrini, una giornalista.
I giorni passano e la tensione cresce: le ricerche non danno esito, e intanto il serpente continua a colpire, inafferrabile, aggressivo, mortale.

Davide Stocovaz nasce a Trieste nel 1985.
Terminati gli studi partecipa alla realizzazione di cortometraggi e documentari.
Nel 2010 vince il Primo Premio per la Sceneggiatura Mattador, dedicato a Matteo Caenazzo, con la sceneggiatura “Istinti”.
Nel 2014 il suo racconto “L’ultima Sinfonia” viene pubblicato nella raccolta Morte a 666 giri curata dalla Dunwich Edizioni, con un contest ideato in collaborazione con LetteraturaHorror.it.
Nel 2016 viene pubblicato il suo primo romanzo: “Zanne nelle Tenebre” (Editrice GDS)
Nel 2017 viene pubblicato il romanzo dal titolo “Abissi” (Elison Publishing).
Nello stesso anno esce la raccolta di racconti “La Voce e altri racconti” (Franco Puzzo Editore)
Nel 2019 viene pubblicato il racconto lungo “Tra due fuochi” (La Sirena Edizioni)
Nel 2020 viene pubblicato il romanzo “Krampus-la leggenda è viva” (Dark Zone Edizioni)
Nel 2021 viene pubblicato il romanzo “Ombra di morte” (Elison Publishing)
Nello stesso anno esce la raccolta di racconti “Mostri, Spettri ed Esseri Umani” (Argento Vivo Edizioni)

Link alla vendita: premi qui…




Una notte del 31 ottobre di Davide Stocovaz

Appena aprii gli occhi, mi trovai avvolto da un’oscurità impalpabile.
Non avevo memoria di quanto avessi dormito, né del luogo nel quale mi trovavo. Provai a muovere un braccio. Lo sentii urtare contro una superficie dura, liscia. Alzai anche l’altro, poggiandolo a quello che sembrava essere il soffitto di una minuscola stanza.
Anelavo la luce del sole, così vivida nei miei ricordi. Desideravo respirare aria fresca, sentirla entrare nel naso e scendere fino ai polmoni. Alzai entrambe le braccia. I palmi delle mani poggiati sulla superficie sopra la testa. Spinsi con tutte le mie energie. Non accadde nulla. Mi sentii soffocare. L’aria, all’interno dello stanzino, era irrespirabile; un odore acre, pungente, mi intasava le narici fin dal mio risveglio. Dovevo assolutamente uscire da lì, o sarei impazzito. Allungai nuovamente le braccia verso l’alto. Strinsi i denti. Raccolsi ogni briciolo di forza. Spinsi ancora. Sentii il soffitto gonfiarsi e piegarsi sotto le mani. Uno scricchiolio legnoso mi indicò che stavo raggiungendo il mio scopo. Con un ultimo, sovrumano sforzo, alzai il busto, spinsi ancora. Lo sentii cedere e spalancarsi. Una valanga umida e compatta mi travolse, spezzandomi il respiro. Trattenni il fiato, agitai braccia e gambe spingendomi verso l’alto. Mi trovai a nuotare nel cuore di quella strana valanga dal fresco odore pungente. Chiusi gli occhi, muovendomi alla cieca. Annaspai per un tempo che mi sembrò eterno, finché urtai con le dita una nuova superficie; più dura e fredda della precedente. Dovevo sollevarla il prima possibile. Provai a forzare quel secondo soffitto. Piegai le ginocchia, sollevai il busto, e lo tentai ripetutamente, spingendolo verso l’alto. Lo sentii smuoversi appena. Forse qualche centimetro. Lasciai la presa, recuperai le energie e, dopo qualche secondo, lo attaccai di nuovo. Con uno sforzo supremo, stringendo i denti a tal punto che iniziarono a dolermi, riuscii a scostare il soffitto, spingendolo a lato. L’aria fredda e briosa della notte mi colpì le narici con una folata. Fui subito pervaso dall’estasi più pura che abbia mai conosciuto. Trattenni il respiro e mi infilai nella fessura appena creata. Uscii all’esterno alzandomi contro il cielo punteggiato di stelle. La luna rifulgeva tra gli alberi scheletrici. Mi guardai attorno, aspettando di ritrovarmi su un qualche tipo di tetto, a osservare la città dall’alto. Invece davanti a me si stendeva una compatta superficie di terra interrotta da lapidi marmoree e adorna di colonne anch’esse di marmo.
Semincosciente, avanzai verso un cancello. Lo aprii.

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