L’occhio sinistro di Horus 16° e ultimo episodio di Gloria Barberi

Quella nostra prima giornata insieme fu fatta di frasi caute e silenzi pensierosi. Immaginavo che anche lui, come me, stesse valutando i possibili sviluppi di quell’incontro, e se fosse un bene o un male l’avermi permesso di entrare nella sua vita.
Quando si era tolto gli occhiali avevo scoperto nei suoi occhi nuovi climi: non più la tensione che precede la tempesta, non più la devastazione dell’uragano. Il suo sguardo ricordava quello di Austin Spare; esausto, ma privo della profonda soddisfazione del dèmone appagato. Lo spirito maligno che albergava in Ned era solamente stanco, stanco morto e nauseato, ma tutt’altro che appagato. Non lo sarebbe stato mai.
Non mi raccontò di sé, né del suo libro, e io capii che fargli domande era prematuro. I nostri discorsi furono banali, evasivi, evitando di scendere nel personale; toccavano gli argomenti più disparati per poi staccarsene immediatamente quando un’opinione, un’idea o semplicemente una similitudine rischiavano di aprire uno spiraglio sul nostro intimo. Ned era cordiale e svagato, e sembrava sempre guardare oltre di me. Non che i suoi occhi mi evitassero; era la stessa sensazione che avevo avvertito sulle scale del Savoy, come se fossi diventato tutto a un tratto completamente trasparente. Non era ancora tempo di investigare vicendevolmente in noi stessi; il sole era ancora troppo alto, e la luce troppo cruda.
Ned mi mostrò la sua collezione di libri, che era piuttosto vasta e importante, piena di classici di ogni epoca, e affiancava con candore il suo quasi omonimo D.H. Lawrence a San Francesco d’Assisi. Tra i dischi scoprii una gran quantità di Bach e Beethoven insieme a raccolte di canti gregoriani. Quelli, libri e dischi, erano gli elementi essenziali alla sua vita, tutto il resto sembrava essere soltanto un’accozzaglia di accessori superflui: i mobili, gli abiti, persino il cibo. In quella casa non c’erano neppure letti, solo un paio di sacchi a pelo: uno per Ned, l’altro per un eventuale ospite.

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L’occhio sinistro di Horus 15° episodio di Gloria Barberi

Contrariamente alle mie abitudini, quella sera avevo scelto di cenare nel ristorante dell’albergo. Di solito mi facevo portare i pasti in camera, dove li consumavo nell’ultima luce che entrava dalla finestra; lo splendore delle lampadine elettriche mi feriva gli occhi quanto il sole del mezzogiorno egiziano non era mai riuscito a fare. Mi sentivo come una bestia malata nella sua tana e pensavo che non ne sarei più uscito vivo. Ma quell’ultimo tramonto estivo era stato opprimente. Lo avevo visto scendere su New York come una caligine sanguigna, traendo ombre incredibilmente nere e spesse dai marciapiedi e gli angoli delle strade. La stanza d’albergo mi era sembrata una trappola, non più un rifugio, ed ero sceso dabbasso in cerca d’aria e voci umane.
Non desideravo parlare con nessuno; in realtà, la presenza degli altri mi irritava, e molte volte nell’arco del mio viaggio americano mi ero trovato a reagire sgarbatamente contro coloro che avevano la ventura di capitarmi tra i piedi. Il sorriso gentile di una fioraia aveva il potere di farmi saltare i nervi quanto gli strilli di un bambino capriccioso. Ma quella sera sentivo il bisogno di qualcosa che mi ricordasse l’esistenza del mondo. Non volevo essere coinvolto nella vita, chiedevo soltanto di rimanere ad ascoltarla in disparte, così come a volte, sulle rive del Nilo, ascoltavo il mormorio dell’acqua: un puro suono a testimonianza dell’esistenza di qualcosa di immutabile e sempre diverso, eterno e vitale.
“Io ti avevo avvertito.”

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L’occhio sinistro di Horus 14° episodio di Gloria Barberi

“Se pensano di liquidarmi alla svelta hanno sbagliato i conti.”
“Voi state cercando di liquidarvi con le vostre stesse mani!” Maxwell si asciugava il sudore dalla fronte con un fazzoletto stazzonato. “Crabites è americano, non può
stare che dalla vostra parte, ma voi dovete mostrarvi
remissivo.”
“Remissivo?”
“Ho parlato con Hanna.” James Breasted aveva
quell’espressione stanca e infelice che gli era
diventata abituale negli ultimi tempi. “È disposto a
rinnovare la concessione a Lady Almina, a patto che voi
rinunciate ufficialmente a ogni pretesa sui reperti.”
“Vi ho già detto mille volte che non farò mai una cosa
del genere. Non è per gli oggetti. Io desidero che siano
messi al sicuro in un museo. Ma non posso arrendermi
incondizionatamente, ed è giusto che Lady Almina sia
risarcita almeno in parte delle spese sostenute dal
conte durante tutti questi anni.”
Maxwell indugiò a riflettere con il fazzoletto premuto
sulle labbra, come temesse di lasciarsi sfuggire qualche
dichiarazione compromettente. Poi, mentre uscivamo nel
sole della primavera cairota, disse: “Perché no?”
“Cosa?”
“Rifletteteci un attimo, prima di scaldarvi. Pensate
all’opinione pubblica, e non soltanto a quella egiziana.
Una rinuncia formale testimonierebbe in favore del
vostro disinteresse, sarebbe la prova di quanto avete
sempre dichiarato alla stampa, e vi guadagnerebbe la
simpatia di quei vostri connazionali che adesso esitano
ad appoggiarvi.”
“Io non posso prendere decisioni che vadano contro gli
interessi degli eredi di Carnarvon.”
“Ma è la sola mossa che possa permettervi di tornare
subito al lavoro” rincarò Breasted. “Howard, questa non
è una partita a scacchi, è poker: vince chi bluffa
meglio. Tra qualche tempo, quando le acque si saranno
calmate, potrete tornare all’attacco.”

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L’occhio sinistro di Horus 13° episodio di Gloria Barberi

“Il Times non può negarmi il suo sostegno. Perché quei documenti non sono stati pubblicati?”

Arthur Merton si strinse nelle spalle, un gesto di noncuranza in completo contrasto con il tono della sua risposta.

“Stanno cominciando ad avere paura. Dovete capire.”

“Capire? Al diavolo!” Tirai un calcio a un ciottolo che rimbalzò lontano con un rumore secco. “Lacau non vi ha forse scritto ingiungendovi di abbandonare la Valle? Non vi ha minacciato?”

“Mi ha chiesto di andarmene, sì.”

“Ve l’ha ordinato! Ed è giusto che il pubblico venga informato del modo in cui lui e Suleiman Pascià trattano i miei collaboratori.”

Merton annuì, ma sembrava a disagio. Probabilmente non gli sarebbe dispiaciuto seguire il “consiglio” di Lacau.

<Io posso anche essere d’accordo con voi, Carter, dopotutto questa cosa mi tocca da vicino. Ma stavolta il Times non vi appoggerà. Non pubblicherà quella roba.”

“Perché? È la prova più lampante della disonestà del governo egiziano e della Sovrintendenza. Ripetute minacce, richieste assurde che vìolano i termini della concessione di scavo… Siamo praticamente in balìa dei capricci di politicanti e burocrati, ogni giorno se ne inventano una nuova. Adesso ogni visitatore straniero ammesso nella tomba dovrebbe avere il loro benestare, ma pascià e ministri egiziani devono poter andare e venire a loro piacimento.”

“Il fatto è che il Times sta già ricevendo troppi attacchi, e i membri del consiglio d’amministrazione pensano…”

“Che vadano a farsi fottere!”

“ … pensano che stiate esagerando.

“Sarebbe a dire?”

La vampa del tramonto colorava il viso di Merton con un rossore da scolaretto colto in fallo, ma intuivo che sotto la patina di quell’insolito belletto, in realtà, era pallido. Lo vidi abbassare lo sguardo sulle proprie scarpe, le mani ficcate nelle tasche della giacca si mossero come se le stesse aprendo e chiudendo a pugno più volte, nervosamente.

“Sarebbe a dire che secondo loro la tensione alla quale siete sottoposto vi impedisce di… ehm… vedere le cose nella giusta luce.”

Ridacchiai del suo imbarazzo.

“Insomma, pensano che stia cominciando a dare i numeri.”

Merton scosse la testa un po’ troppo affrettatamente.

“Sono sicuro che loro non intendono…”

“Oh sì, invece.”

Ne ero divertito in maniera feroce e dolorosa, e il sogghigno che mi sentivo sulle labbra era più che altro una contrazione dei muscoli: doveva darmi un’aria piuttosto stupida.

“Bradstreet ha registrato con sollecitudine tutti i miei “vaffanculo” alla stampa e ai rappresentanti del governo e ha fatto risultare che fossi stato io ad attaccare per primo. E bene, i venditori di chiacchiere cadono nella rete dei pettegolezzi di un concorrente!”

“No, non è certo per questo” continuò Merton. “C’è anche la faccenda di Mecham. Hanno dei sospetti, pensano che foste d’accordo con lui fin dall’inizio per agire contro di loro e Carnarvon.”

“Mecham non è più un problema.”

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L’occhio sinistro di Horus 12° episodio di Gloria Barberi

Era esaltazione e smarrimento, come ai primi due passi fuori da un carcere. Dopo tanti anni, mi ero liberato dalla schiacciante ombra di Carnarvon. Non ero più obbligato a fingere, potevo giocare a carte scoperte. Mi compiacevo dell’audacia con cui mi ero comprato la libertà, e in essa cercavo di soffocare il vago senso di disagio, assai simile alla vergogna, che mi coglieva ogni volta che ripensavo all’espressione ferita di Carnarvon. Mi ripetevo che d’ora in avanti tutto sarebbe andato per il meglio. Se soltanto fossi riuscito a non pensare a Eve.
Ma non era unicamente questione di pensare o non pensare. Lei era presente in me come il fluire del sangue nelle vene. E non potevo ordinare al mio sangue di smettere di scorrere, e pretendere di restare vivo.
*
Era un colpo basso. Non faceva parte del copione, e mi sgomentava.
Per la terza volta rilessi la lettera di Carnarvon.
“Mio caro Carter, quando Evelyn mi ha raccontato tutto sono rimasto profondamente sconcertato e non sapevo più come dovessi comportarmi. Mi rincresce sinceramente di aver reagito in una maniera talmente stupida, e ne incolpo tutte le preoccupazioni di questi ultimi tempi che hanno alterato la mia capacità di vedere le cose ed essere obiettivo…”
Parole piene di remissività e rincrescimento. Mi chiedeva scusa. Lui, il quinto conte di Carnarvon!
“Ma c’è una cosa che vorrei soprattutto dirvi e che mi auguro vorrete sempre tenere presente: qualunque sia l’opinione che avete di me adesso, sappiate che la mia stima per voi non verrà mai meno…”
Davvero astuto da parte sua! Voleva mortificarmi con la sua pretesa umiltà. Ipocrita!
Il senso di libertà era del tutto svanito.
*
“Ho saputo che avete avuto una discussione con Lord Carnarvon.” Lo sguardo abitualmente sognante di James Breasted era adesso vigile, concentrato sul mio viso.
Mentirgli sarebbe stato patetico quanto inutile.
“Una discussione? Definitela tranquillamente una lite>
James Breasted sospirò.
“Non ve ne chiederò le ragioni, ma vi renderete conto che tutto questo non giova affatto al progetto Tutankhamon.”
Così era quello il vero motivo del suo invito, e aveva atteso le sigarette e i liquori del dopocena per affrontare con più rilassatezza l’argomento.
“Le mie divergenze con Lord Carnarvon sono di carattere strettamente personale.”
“Il che, se mi permettete, è ancora peggio.”
Attorno al Winter Palace la sera era quieta e chiara, con un che di sonnolento e immobile, quasi che la natura si stordisse nel suo stesso profumo. Lo sentivo filtrare nella stanza dalla portafinestra socchiusa, speziato e morbido, a stuzzicare struggimento e nostalgia. Sahira… Risvegliavo un antico dolore per non affrontarne uno recente e ancora troppo acuto. Non avevo più rivisto Evelyn dopo quella nostra notte insieme.

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L’occhio sinistro di Horus 11° episodio di Gloria Barberi

“Sono proprio affamato” disse Callender, con una prosaicità che mi ferì, ma era necessaria per rientrare nella realtà.

Smontammo dagli asini e ci avviammo verso la mia casa. Gurgar ci seguì, insolitamente silenzioso.

“Ho dato disposizione ad Abdal perché ci lasciasse la tavola apparecchiata” dissi, e provavo disagio a parlare di quelle banalità dopo il magico pomeriggio appena trascorso.

Stavo per aprire la porta di casa quando udii un suono curioso: acuto, simile al gemito di un bambino.

“Abdal?” chiamai, spalancando la porta.

Il crepuscolo riempiva di ombre la stanza, e sulle prime non vidi nulla. Poi colsi un lieve movimento con la coda dell’occhio. Voltandomi, scorsi la gabbia del canarino. Qualcosa si muoveva tra le sbarre dorate, un’ombra sinuosa aureolata da un leggero lucore quasi metallico, e si ergeva e si dilatava come avesse voluto occupare l’intero spazio della gabbia. Un cobra.

“No, sir! No!” ansimò Gurgar, mentre mi avvicinavo alla gabbia, rispondendo al fascino di quello sguardo che avvertivo su di me.

“Carter, state attento.”

Lasciai cadere nel vuoto anche l’avvertimento di Callender.

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