L’occhio sinistro di Horus 7° episodio di Gloria Barberi

“Questo giovanotto è mio figlio Henry. Un ragazzone per i suoi undici anni, eh?”
“Piacere, signor Carter” mi salutò il ragazzo, serio e compito come un adulto in miniatura.
“E questa deliziosa signorina è mia figlia Evelyn.”
La bambina (sugli otto anni, vestita di cotone rosa ricamato a fiorellini azzurri) fece un piccolo inchino, e in quel movimento il cappellino di paglia le scivolò; lei l’acchiappò a tempo prima che cadesse a terra, e rise.
Con quella risata, Evelyn Herbert entrò nella mia vita.
“Papà ha detto che ci farete visitare una tomba.”
“Sì. Hai paura?”
“Perché?” Mi guardava da sotto in su. Grandi occhi luminosi in un faccino dai tratti insolitamente decisi per una bambina di quell’età. Aveva qualcosa di familiare, e non tanto perché somigliasse al padre. Poi ricordai. Janet. Gli stessi occhi, ma con un bordo scuro attorno alle iridi che rendeva ancor più penetrante lo sguardo.
Le sorrisi, sentendomi idiota per il disagio che mi provocava il suo sguardo.
“E va bene, Evelyn. Se davvero non hai paura, vedrai delle cose bellissime. Prego, da questa parte.”
Erano due bambini particolari, i figli del conte di Carnarvon. Henry robusto e lento, forse più pigro che tranquillo, sembrava non aver preso molto da suo padre. Era Evelyn che, se pur con capelli scuri e diversi lineamenti, somigliava al conte: ne aveva gli stessi modi autoritari e lo stesso senso dell’umorismo; era lei che poneva domande e pretendeva risposte che poi demoliva con qualche battuta sconcertante.

“Questo rilievo, vedi, rappresenta una regina, la madre di un grande faraone. Si chiamava Ahmes-Nofretari ed era venerata come una dea.”
Gli occhi intensi frugavano indagatori tra le ombre dell’ipogeo.
“Questa era la sua tomba?”
“No, apparteneva a un principe di nome Teta-Ky. Ma Ahmes-Nofretari vegliava su di lui.”
“Dov’è la mummia del principe?”
“E chi lo sa? Non siamo riusciti a trovarla, è scomparsa tanto tempo fa.”
“L’hanno rubata?”
“È probabile.”
L’espressione della bambina si fece assorta.
“Allora le mummie sono preziose. Devo vederne una. Al più presto.”
Lord Carnarvon rideva divertito ai commenti della figlia. Avevo l’impressione che gli fosse assai più cara del maschio, forse per l’affinità di carattere che c’era tra loro. E poi, dovevo ammetterlo anch’io che pure con i bambini non avevo troppa dimestichezza, Evelyn era davvero adorabile; graziosa senza leziosità, ironica senza impertinenza e animata da una curiosità vorace per quanto riguardava l’antico Egitto. Quando le mostrai i reperti accumulati nella baracca che abitavo non lontano dallo scavo, la piccola intensificò il fuoco di domande, tanto che Carnarvon arrivò a rimproverarla affettuosamente: “Eve! Al signor Carter verrà l’emicrania se continui così!”
Lei però, con candido egoismo infantile, non se ne preoccupava; e io mi compiacevo della sua genuina ammirazione.
“Cosa c’è scritto, lì sopra?”
“Ah, questa è una cosa molto importante che ho trovato in un’altra tomba.” Presi delicatamente una delle due tavolette che stavano sul mio tavolo da lavoro, posate su un panno morbido. “C’è scritta la storia di un grande generale di nome Kamose che migliaia e migliaia di anni fa liberò l’Egitto dagli invasori chiamati Hyksos.”
“Erano davvero tanto cattivi, questi Iks?”
“Be’, se qualcuno entrasse in casa tua senza chiedere il permesso, cosa faresti?”
“Lo caccerei a calci.”
Non ricordo se e quanto Henry contribuisse al dialogo; quella bambina così vivace e curiosa aveva catturato tutta la mia attenzione. E non sembravano interessarle soltanto i reperti, ma anche chi li riportava alla luce. Probabilmente, ai suoi occhi infantili apparivo vetusto e malandato come un antico papiro.

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