The Trick di Stefano Simone

The Trick (Italia, 2025)
Regia e Montaggio: Stefano Simone. Soggetto e Sceneggiatura: Giovanni Casalino. Fotografia: Marco Rizzi. Musiche: Luca Auriemma. Fonico di Presa Diretta e Missaggio: Robb MC. Microfonisti: Giuseppe Valente, Gerardo Romani. Segretaria di Edizione: Angela Daloiso. Operatrice di Macchina: Sara Strafile. Make Up / Effetti Speciali: Valentina Tambasco. Art Designer: Barbara Bottalico. Assistente di Produzione: Mirko J. Keeper. Casa di Produzione: Indiemovie. Collaborazione: Comune di Manfredonia. Interpreti: Giovanni Casalino (Kevin), Mr Carnacki (Diego), Giovanni Scopece (commissario), Paola Renzullo (signora Rossi), Maurizio Tomaiuolo (agente 2), Matteo Mangiacotti (agente 1), Tonino Potito (Antonio), Natalia D’Amato (la barbona), Rosanna Trotta (preside), Giovanni Guidone (guardia), Maria Paglione (Monica Villa), Sara Simone (segretaria), Angelo Castriotta (addetto al cimitero), Sara Viscio (cadavere), Camilla Prencipe (bambina), Marco Delli Carri (bambino), Tonino Pesante (nonno), Sara Strafile (poliziotta), Angela Daloiso (impiegata).

The Trick poteva intitolarsi Il Trucco, ma non avrebbe reso bene l’idea, perché l’autore non vuole alludere a un semplice scherzo o a un tiro mancino, ma a qualcosa di più complesso come “il trucco che si nasconde  dietro una determinata situazione”, ma anche a uno “stratagemma finalizzato a qualcosa”, “l’inganno che si sta per compiere”. Il titolo anglofono, sintetico e penetrante, precipita lo spettatore sin da subito nei meandri del mistero e della tensione narrativa. Contribuiscono a creare la suspense persino la dedica a David Lynch (in apertura), il fatto che la storia sia ispirata (molto liberamente) a Il barile di Amontillado Il cuore rivelatore di Edgar Allan Poe e la sibillina epigrafe “Un mago non rivela mai i suoi trucchi”. Da notare che i titoli di testa scorrono mentre un prestigiatore muove con sapienza un mazzo di carte da gioco e tutto questo contribuisce a creare un alone di suspense. La storia non si può raccontare, perché è giusto che lo spettatore la scopra da solo, passo dopo passo, diciamo solo che un ragazzo di nome Kevin viene assunto come vigilante notturno in una scuola localizzata vicino a un cimitero, per collaborare con un anziano custode. Il ragazzo invita il vecchio amico Diego – che come passatempo fa il mago – per una serata alcolica, da passare tra bevute e ricordi, fino a quando tutto si complica e i due compagni decidono di compiere una scorribanda notturna al cimitero per verificare una leggenda legata a una vecchia tomba. In realtà niente è come sembra. Non vado oltre con la trama perché rovinerei il gusto della sorpresa e tutta la suspense che regista e sceneggiatore infondono tra le immagini con grande perizia artistica, ricorrendo anche a una perfetta colonna sonora composta da Luca Auriemma. Nella parte finale comprendiamo il senso del prologo che vede un’anziana signora richiedere medicinali importanti per la cura di un tumore che invece le vengono rifiutati. Il film comincia come un horror soprannaturale, perché pare che il protagonista veda i fantasmi e pronuncia strane frasi sulla visione di inquietanti presenze, quindi si sviluppa come un thriller di ambientazione scolastico – cimiteriale, infine assume i colori del giallo con l’indagine poliziesca, diventando persino cinema d’autore quando approfondisce il tema della malattia mentale. Terrorismo dei generi, come ci ha abituati da tempo Stefano Simone, sulle orme di Lucio Fulci, in questo caso anche per la presenza di un ambiente cimiteriale e una sequenza durante la quale si teme che il protagonista venga chiuso vivo dentro una bara. Stefano Simone usa con perizia la macchina da presa, conferendo movimenti avvolgenti, alterna la macchina fissa con la macchina a mano, costruisce inquietanti soggettive e brevi piani sequenza, confezionando un film a base di riprese mai banali e scontate. La sceneggiatura di Casalino non perde un colpo, alla fine tutto torna, con personaggi ben tratteggiati e molti dialoghi teatrali, gestiti tra campi e controcampi, che a volte risultano artefatti e risentono di qualche pecca didascalica. Il montaggio è perfetto, Simone sa che montare un film è parte della regia e cura il delicato momento in prima persona, definendo il film in 85’ essenziali per la comprensione del racconto. Gli effetti speciali a base di allucinazioni e inquietanti presenze sono un altro elemento di pregio che conduce alla scoperta del mistero. La fotografia di Marco Rizzi passa dal verde al rosso con toni che cambiano dal cupo al vivace, immergendo lo spettatore in situazioni claustrofobiche, che assecondano le scelte di regia. La colonna sonora di Luca Auriemma accompagna il crescendo di tensione senza mai perdere di vista il collegamento con il racconto. Gli interpreti sono tutti molto ben calati nei rispettivi ruoli, una citazione speciale la merita Giovanni Casalino nei panni di Kevin per l’espressione perennemente allucinata e il caratteristico sguardo perso nel vuoto. Bene anche Mr Carnacki (nome d’arte), prestigiatore e illusionista, che interpreta l’amico Diego e sfoggia la sua grande abilità nei giochi di carte. Non mancano i temi importanti in un film che – pur restando cinema di genere – riesce a dire altro e supera i confini della semplice storia. Mettiamo in evidenza la denuncia di un sistema sanitario che non funziona e non garantisce cure mediche per tutti, così come si analizza la precarietà del lavoro giovanile e la malattia mentale. Un film risolto, che nel finale presenta una doppia sorpresa importante (ovviamente non la rivelo) e che sarebbe stato perfetto se avesse sfumato la situazione conclusiva, lasciando un minimo d’incertezza. Un colpo di genio a livello di sceneggiatura e di tecnica di regia l’alternarsi tra realtà e fantasia, tra improvvise allucinazioni ed effettive presenze. Bravo Stefano Simone che – sorretto da una sceneggiatura ben costruita – regala al suo pubblico uno dei lavori più compiuti della sua (ormai lunga) carriera.

Prima proiezione pubblica lunedì 4 Agosto, ore 20:15, presso il Cinema San Michele di Manfredonia. Unica recita. Ingresso a 5€. Locandina ufficiale realizzata da Barbara Bottalico.

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Omicidio al cimitero di Stefano Simone

Omicidio al cimitero (Italia, 2024)
Regia: Stefano Simone. Soggetto e Sceneggiatura: Roberto Lanzone. Fotografia: Marco Di Gerlando. Montaggio: Stefano Simone. Aiuto Regia: Francesco Trotta. Assistente alla Regia: Giuseppe Bollino. Fonico di Presa Diretta: Robb Mc. Microfonisti: Robb Mc, Giuseppe Bollino. Runner: Alessandro Mirasole. Musiche: Luca Auriemma (brano Horror Cello remixato). Durata: 70’. Genere: Giallo. Interpreti: Giovanni Casalino (Christian), Matteo Mangiacotti (Gabriel), Luigia Riccardi (Victoria), Bruno Simone (Alan), Giada Latronica (Mia), Rossella Castigliego (Nora), Filippo Totaro (Ivan, il custode).

Ho il privilegio – perché lo considero tale – di aver seguito il regista pugliese Stefano Simone sin dalle sue prime acerbe prove, dai corti a un horror inquietante come Cappuccetto Rosso, persino Kenneth, fino a Gli scacchi della vita, Cattive storie di provincia e Il fantasma di Alessandro Appiani, ogni volta apprezzando notevoli miglioramenti. Omicidio al cimitero – dedicato a William Friedkin – è il suo ultimo riuscito lavoro, una commedia gialla, ambientata in un luogo ben definito, che si svolge in una sola giornata e vede sulla scena sei personaggi, più il morto, che torna in alcuni interessanti flashback. Diciamo poco sulla trama, perché un giallo non si racconta, come regola del buon critico rispettoso degli spettatori. Sei ragazzi, in visita a un cimitero di campagna per motivi diversi, scoprono il cadavere del custode strangolato ai piedi di un piccolo altare e subito si scatena la caccia al colpevole, che potrebbe essere uno di loro, ma non è detto. Di fatto vediamo che trovano due auto con il serbatoio perforato e tutti sono costretti a restare in quel luogo isolato (dove non c’è campo per i cellulari) fino all’arrivo della corriera. Si parte dalla scoperta del cadavere e lo spettatore cinefilo potrebbe pensare a un meccanismo alla dieci piccoli indiani ma non è così, la storia ci porta a conoscere un’indagine condotta dallo psicoterapeuta del gruppo (Christian) con la collaborazione di un esperto informatico (Gabriel), anche se il colpevole potrebbe essere uno dei due ragazzi. Gli altri personaggi della commedia thriller sono un’impiegata di banca (Victoria), un postino che pare abbastanza sciocco (Alan), una ragazza marginale un po’ volgare (Mia) e una molto più tranquilla (Nora). L’azione si svolge nel cimitero di Macchia, frazione di Monte Sant’Angelo, che il regista ribattezza Santa Cristiana come omaggio ad Agatha Christie. Unità di tempo, di spazio e di luogo, commedia teatrale dai tempi compassati, scritta con molta ironia, caratterizzata da un montaggio serrato (curato dal regista, consapevole di quanto sia importante il montaggio per un film), che rallenta solo nella parte centrale per giungere spedita a una conclusione inattesa e a un doppio finale ancor più sconcertante. Flashback usati benissimo dal regista per raccontare il passato, più o meno recente, e per illustrare anche la sequenza (bellissima) dell’omicidio e quella altrettanto riuscita della cattura del colpevole. Ottima la colonna sonora di Luca Auriemma che rielabora il tema Horror Cello; fotografia cupa ed essenziale di Marco Di Gerlando; sceneggiatura oliata alla perfezione da Roberto Lanzone; tecnica di regia compiuta, che passa dalla soggettiva alla macchina a mano, oltre alla camera fissa nei frequenti dialoghi, tra campi e controcampi. Commedia gialla di impostazione teatrale, perché giocata sul dialogo – non è una valutazione negativa -, stile La finestra sul cortile di Hitchcock, facendo le debite proporzioni. In ogni caso il regista mostra e non racconta le situazioni decisive che accadono e questo mi pare un passo avanti rispetto alla sua recente produzione. Attori non professionisti ma bravi, una piccola factory che il regista si è costruito, ché Mangiacotti e Simone già li abbiamo apprezzati ne Il fantasma di Alessandro Appiani, mentre il bravo Filippo Totaro lo ricordiamo interprete di un eccellente personaggio ne Gli scacchi della vita. Totaro anche in questo lavoro dà vita a un personaggio singolare di custode del cimitero caratterizzato da un tic nervoso importante ai fini della scoperta del mistero. Il film racconta il phishing, le truffe online, si sofferma sul bullismo e sulla delinquenza minorile, termina con una morale non da poco contro il suicidio (la vita è un bene troppo prezioso perché si possa pensare di togliersela) e con una trovata geniale di un personaggio che dice Portateci alla stazione di polizia è avvenuto un … improvvisamente arriva il titolo del film Omicidio al cimitero, quindi scorrono i titoli di coda. Da notare che si tratta di un film indipendente girato con un budget modesto, quasi inesistente. Presto disponibile su Teca TV, nei vari circuiti televisivi regionali e in alcuni cinema selezionati. Prima cinematografica in Puglia, quasi sicuramente a Manfredonia.

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Il fantasma di Alessandro Appiani di Stefano Simone

Il
fantasma di Alessandro Appiani (2022)
di Stefano Simone

Regia: Stefano Simone. Soggetto: Gordiano Lupi (romanzo), Aldo Zelli (idea). Sceneggiatura: Roberto Lanzone, Giuseppe Bollino. Musiche: Luca Auriemma. Fotografia: Tommaso Visentino. Animazione: Sara Strafile, Lucia Zullo. Aiuto Regia: Francesco Trotta. Fonici di presa diretta: Giovanni Casalino, Robb MC. Produzione: Running TV International. Genere: Commedia / Thriller. Formato: DCP / Colore. Durata: 84’. Paese di Produzione: Italia, 2022. Interpreti: Rosa Vairo (Silvia), Matteo Mangiacotti (Luigi), Simone Balta (Carlo), Bruno Simone (Paolo Lanfranchi), Antonia Notarangelo (amica di Lanfranchi), Carlo Cinque (Mario Luisi), Sara Pellegrino (amica di Lanfranchi), Gianluca Di Trani (assistente di polizia Righetti), Cory Di Pierro (madre di Silvia), Antonio Potito (il nonno), Pasquale Tricarico (ispettore Franceschini), Moussa Camara (senzatetto che vive nel castello), Isabella Gentile (madre di Lanfranchi).

Stefano Simone si conferma autore interessante e versatile, cambiando del tutto genere dopo gli ultimi lavori che spaziavano dal fantastico al thriller, con alcune incursioni nel tema sociale e dei diritti umani. Il fantasma di Alessandro Appiani è commedia thriller, qualcosa che in Italia si fa davvero poco, in parte riferibile a lavori internazionali come IT, per il tono e per la presenza dei ragazzini che indagano, fatte le debite proporzioni. Qui ci troviamo di fronte a un lavoro a basso budget che fa del cinema teatrale la sua maggior forza, con interpretazioni credibili da parte dei giovani attori, un cast interessante nel quale spicca la protagonista Rosa Vairo, per espressività e naturalezza. La sceneggiatura di Matteo Simone, Roberto Lanzone e Giuseppe Bollino parte da un romanzo di Gordiano Lupi, senza stravolgerlo nella storia, ma calandolo alla perfezione in un mondo popolato da adolescenti. L’operazione può dirsi riuscita, perché Silvia Lepri (Vairo) resta la ragazza sognatrice che sin dall’infanzia ha la straordinaria capacità di sentire le voci a grande distanza (idea di Aldo Zelli, dal racconto Le voci lontane). Nella versione del cineasta di Manfredonia si avvale della complicità di due amici come Luigi (Mangiacotti) e Carlo (Balta) per investigare su una serie di omicidi che sembrano collegati alla leggenda del fantasma di Alessandro Appiani e del suo castello abbandonato. Spinti dalla curiosità, i tre adolescenti iniziano un’indagine personale, basandosi sui libri di leggende popolari del professor Luisi, uno storico locale che cerca di riabilitare la figura del principe. Mentre la polizia brancola nel buio, sarà proprio il trio a risolvere il mistero. Non diciamo altro sulla trama, perché il film è un vero e proprio giallo con ben quattro omicidi e un colpevole, che lo spettatore scoprirà soltanto verso la fine, nel corso di una sequenza ad alta tensione. Veniamo ai pregi della pellicola, che sono molti, a partire da un cartone animato iniziale che racconta la storia del delitto di Alessandro Appiani (episodio storico, avvenuto a Piombino nel 1580) avvalendosi di un singolare quanto originale rap in sottofondo. Pare di essere tornati nel cinema degli anni Settanta, quando spesso le commedie italiane venivano introdotte da un divertente disegno animato. Sara Strafile e Lucia Zullo sono davvero brave e realizzano un prodotto di godibile freschezza. Il film è ben fotografato da Tommaso Visentino, che conferisce le atmosfere giuste alla narrazione, passando senza soluzione di continuità dai toni cupi e giallastri dei notturni ai luminosi esterni. Stefano Simone dimostra di aver raggiunto un buon livello di maturità tecnica, che lo rende capace di affrontare sia i piani sequenza che i campi e controcampi per gestire i dialoghi di un film in gran parte teatrale, come impostazione narrativa. Non mancano le annotazioni d’autore come la scena del dialogo tra il nonno (Potito, molto bravo) e Silvia, dove il vecchio discetta sul valore dei sogni e sulla crudeltà della guerra, senza dimenticare il valore simbolico del binario (ricorrente nei film di Simone) con gli adolescenti che camminano lungo la linea ferroviaria, pronti per affrontare la vita. Il film ha un tono da commedia che non ha precedenti nel cinema del regista pugliese, alcuni personaggi sono volutamente grotteschi e caricaturali, come il giovane scrittore Paolo Lanfranchi (Simone), che parla senza capire il senso delle parole e usa piuttosto che a sproposito (come fanno in molti!). Per non parlare dell’inetto ispettore di polizia (Tricarico) e del suo assistente (Di Trani) che deve sopportare la prosopopea del superiore e la sua arroganza nell’imputarsi meriti inesistenti. Da notare alcune riuscite gag all’interno del castello abbandonato, dove gli sceneggiatori si prendono gioco degli stereotipi del cinema horror di bassa lega. Ottimo Matteo Mangiacotti nella parte dello studente secchione innamorato di Silvia e molto bene Simone Balta, il più giovane del terzetto che porta un tocco di leggerezza alla formazione dei giovani detective. Rosa Vairo è perfetta come indagatrice dell’incubo dotata di poteri soprannaturali, che confida solo al giovane amico Carlo, espressiva e sorridente, mai in difficoltà con la gestione del personaggio. Tra i pochi adulti, spicca l’interpretazione di Carlo Cinque, nei panni di un allucinato professor Luisi, scrittore ossessionato dalla figura di un principe calunniato dalla storia. Nota di merito per Stefano Simone, perché non è facile dirigere giovani attori e farli recitare in maniera spontanea e naturale, senza incertezze di sorta. Termino con il montaggio serrato, che contribuisce a creare suspense nelle sequenze più importanti, come durante la visita notturna al castello abbandonato. Ottima la scelta del suono in presa diretta che conferisce veridicità e spontaneità al materiale narrativo. Colonna sonora come sempre (sin dai tempi di Cappuccetto Rosso) del fido Luca Auriemma, una costante positiva nei film del regista sipontino. Attendiamo novità sulla distribuzione, che crediamo sarà soprattutto televisiva, anche se il film meriterebbe attenzione da parte di cinema indipendenti, festival e rassegne a tema.

Il fantasma di Alessandro Appiani locandina

Il fantasma di Alessandro Appiani frame 1

Il fantasma di Alessandro Appiani frame 2

Il fantasma di Alessandro Appiani frame 3

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