Terraluna di Daniele Picciuti

Mi è stato gentilmente fatto dono di questo romanzo cyberpunk di quasi 300 pagine. Il cyberpunk è quel genere di fantascienza urban, sporca, distopica le cui narrazioni spesso ruotano attorno a indagini poliziesche. Terraluna non centra completamente il genere perché calca molto sul fantascientifico, ma non è certo una colpa, anzi arricchisce il suo arazzo.

Il racconto è corale e narra le vicende di Valerie, un’attivista per i diritti delle razze aliene, Fumiaki, un investigatore della polizia più macchina che uomo, Marco, un contrabbandiere, Sylvie, una dipendente di una compagnia assicurativa, e tutta una serie di comprimari. Per motivi non facilmente ricollegabili così ad occhio, i quattro si ritrovano ad avere a che fare con una serie di terrificanti quanto misteriosi omicidi su Terraluna. Questa città, questo mondo, è il nostro satellite trasformato in città-formicaio dopo l’esodo dalla morente Terra e dove la razza umana vive e ancora ha rapporti con tutto l’universo che ha scoperto, importando persone, merci e culture. Ovviamente l’omicidio non è mai solo fine a sé stesso, e le vite dei protagonisti finiranno sempre più intrecciate mano a mano che si scopre cosa ha portato a queste morti e a cosa fanno da preludio nello sconvolgere una società già terribilmente complicata di suo. Il libro ha un finale aperto, ma semplicemente perché “l’universo non finisce con la storia”.

Io sono molto cattivo coi libri che leggo, questo perché mi vizio solo con i grandi autori. Quindi, per non fare l’antipatico, parto dai numerosi pregi di questo scritto. Intanto l’ambientazione viene delineata benissimo e introdotta nei vari dialoghi e situazioni con abilità. C’è una cura particolare per vari dettagli di come funziona il mondo di Terraluna e tutto è sensato e acuto risultando così in una piena immersione del lettore. Allo stesso modo ci sono delle idee originali, soprattutto nel “grande mistero” del narrato che possono colpire i più e lasciarli stupiti dello svolgersi degli eventi. L’azione si legge bene e non è confusa, nemmeno quando la gente si spara (e di solito le sparatorie sono un macello da scrivere come si deve).
Il testo è impaginato molto bene, con ogni capitolo con una costola che dà l’effetto della città sullo sfondo. Inoltre è corredato da immagini, molte, che rappresentano i vari protagonisti. Queste immagini sono di qualità notevole e non so dire se siano disegnate o fatte con una AI (nel caso del sì è un malus, ma non sono capace di dirlo). Senz’altro invece mi sarei risparmiato di inserire altre immagini di landscape che risultano generiche e paiono solo riempitive.
Il narrato è quasi totalmente in prima persona, cosa che non mi piace per niente. Inoltre ogni capitolo ha come titolo il nome di uno dei personaggi (e talvolta di alcuni comprimari) e diventa tutto dal punto di vista di quella persona. A qualcuno può anche piacere e ne ammetto l’originalità, ma io l’ho trovato confusionario e rende anche più difficile affiatarsi davvero con un personaggio.
Proprio questi personaggi sono tanti e interessanti, ma con luci e ombre narrative. Intanto sono molto “umani” nel senso più brutto del termine. Ovvero che sono tutti un po’ stronzi chi per un motivo chi per l’altro (personalmente mi è piaciuto più che altro lo sbirro) e sono tutti arrapati. Non è strano, anche per le strade sono tutti arrapati, ma i libri di solito hanno più classe. Non è strano lo stesso perché si narra di una società decadente e comunque esistono libri drasticamente osceni mentre questo non lo è… risulta solo un po’ immaturo. Che siano tutti molto belli ci sta, che quasi tutti facciano un pensierino sul fare sesso con quasi tutti gli altri (e un paio di volte accada) sembra semplicemente eccessivo. C’era bisogno di così tanti commenti a tema?
Infine e questo è un parere mio, ma la recensione è la mia, sembra che l’autore (che è un autore di successo e io non sono nessuno, lo so) ad un certo punto avesse cambiato idea. Nel senso proprio che la trama cambia direzione in un modo abbastanza netto (ed è un bene perché l’inizio è abbastanza banale) e i personaggi pure ne vengono stravolti, non in modo incoerente, ma alcuni divengono ininfluenti, altri importantissimi, non c’è un vero motivo di questo cambiamento. È come se fosse passato del tempo, l’autore avesse cambiato idea e tutto quanto avesse preso un brutto scossone.
Il finale è ok, leggermente alienante (ma ci sono anche degli alieni quindi… va bene?) e non ha una chiusura così chiara. Si suddivide in epiloghi per ogni personaggio, ma queste “fini” si pestano i piedi a vicenda nullificandosi quasi tutte tra di loro.
In definitiva ci sono libri assai peggiori in giro e questo almeno si legge bene e ha dei tratti originali. Non lo avrei letto di mia sponte e non lo rifarò, ma se vi piace il cyberpunk e non vi fate troppi problemi su come ragionano i personaggi (e sulla scrittura in prima persona) vi piacerà.

Terraluna
Autore: Daniele Picciuti
Editore: Nero Press
Anno: 2024
Edizione cartonata e illustrata
Pagine: 240
Prezzo: 19,90 € – Ebook: 6,99 €
ISBN: 9791281435247

L’AUTORE
Daniele Picciuti è romano, classe 1974, vincitore e finalista di numerosi concorsi letterari, ha all’attivo varie pubblicazioni in ebook (per Nero Press Edizioni e Delos Digital) e in antologie multiautore, tra cui I clown bianchi per Clown Bianco Edizioni, 2017. Opere principali pubblicate: I Racconti del Sangue e dell’Acqua, edito da Nero Press Edizioni in formato illustrato; il romanzo thriller L’inconsistenza del diavolo (Golem Edizioni, 2017); il romanzo per ragazzi Eddie e Melo. Il segreto dei Roccafiore (Plesio Editore, 2018), storia fantasy dal taglio investigativo; il romannzo horror Dove arrivano le ombre (Nero Press Edizioni, 2021). A questa pagina trovate invece le sue pubblicazioni in self, tra cui la saga piratesca a tinte horror Cursed Sails e i romanzi bizzarro fantasy Nero Elfico (vincitore del Premio Cittadella 2016) e Giallo Nanico, tutti confezionati con una cura editoriale di qualità: Illupoelafenice.it

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Piggy di Carlota Pereda

Piggy (Spagna, Francia, 2022)
Regia, Soggetto, Sceneggiatura: Carlota Pereda. Fotografia: Rita Noriega. Montaggio: David Pelegrin. Musiche: Olivier Arson. Scenografia: Oscar Sempere. Costumi: Arantxa Ezquerro. Trucco: Paloma Lozano. Produttore: Merry Colomer. Case di Produzione: Morena Films, Backup Studio, CerditaAIE, La Banque Postale, Indéfilms. Distribuzione (Italia): I Wonder. Genere: Thriller, terrore. Durata: 99’. Titolo Originale: Cerdita. Interpreti: Laura Galán (Satra), Richard Holmes (il sequestratore), Carmen Machi (Asun), Irene Ferreiro (Claudia), Camille Aguilar (Rocio), Caluadia Salas (Maca), Pilar Castro (Elena), José Pastror (Pedro).

Piggy è cinema del terrore – orrore non soprannaturale ma connaturato nell’ordine delle cose -, è anche un thriller, romanzo di formazione, cinema che affronta il tema del bullismo, nella fattispecie del body shaming. Primo lungometraggio della regista spagnola Carlota Pereda che sceneggia il corto di esordio (Premi Goya e Forqué nel 2019) – montato da David Pelegrin in formato da 99’ – e confeziona un lavoro interessante, girato ad alta tensione. In breve la trama. Sara è la figlia del macellaio di un paesino spagnolo, vive oppressa dalla madre e con un fratellino al quale vuol molto bene, soffre di bulimia ed è obesa, per questo viene derisa dalle compagne, soprattutto da Maca, Rochio e Claudia (che sarebbe amica ma lascia fare). Un giorno viene infastidita in piscina dalle tre ragazze mentre fa il bagno da sola, due di loro potrebbero addirittura farla annegare in seguito a uno squallido gioco, ma è uno sconosciuto che la salva, purtroppo con metodi cruenti, perché rapisce le tre ragazzine, ne uccide una e tortura le altre. Lo sconosciuto è uno psicopatico che mette in allarme per alcuni giorni l’intero villaggio, scatenando una caccia al mostro, degenerata in una prevedibile ecatombe. Protagonista del film la stessa Laura Galán che aveva interpretato il corto, tutta la narrazione è sospesa tra il rapporto di amore e terrore che si instaura tra la ragazza e il folle sconosciuto, convinto che loro due sono dei disadattati ma potrebbero stare bene dopo aver eliminato chi vive irridendo. Piggy è il soprannome della ragazza obesa, diventa il titolo internazionale del film, in spagnolo Cerdita (porcellina). Pellicola girata in un insolito formato quadrato, fotografia a colori di un’Estremadura arsa dal sole (Noriega), la regista abbonda in inquietanti soggettive, sprofondando lo spettatore in un clima angoscioso e claustrofobico. Le suggestive scenografie ricordano gli anni Ottanta, soprattutto costumi e interni, pur in un’ambientazione contemporanea, forse per sottolineare l’arretratezza culturale dei luoghi iberici dove si svolge l’azione. La regista (anche sceneggiatrice) compone un quadro familiare perfetto di una ragazzina incompresa che vive con un padre abulico e una madre ossessiva, fin troppo dura e (a suo modo) protettiva. I rapporti tra Sara e il mondo esterno sono analizzati a dovere, viene messo in evidenza il motivo per cui la ragazza non vuole uscire e andare alle feste con le amiche, che non sono certo compagne sincere. Una nota di colore è costituita dalla Guardia Civil del paese, rappresentata da due inetti poliziotti che sembrano usciti da una commedia grottesca di Almodovar. La forza della pellicola sta nel fatto che la regista usa gli strumenti del torture, del cinema splatter e del thriller per comporre un discorso sociale contro il bullismo e per affrontare il tema dei rapporti tra adolescenti e genitori. Film girato in una calda e assolata Estremadura, tra giugno e luglio del 2021, per la precisione nel piccolo comune di Villanueva de la Vera. Presentato al Sundance Film Festival e al Festival del Cinema di San Sebastián, prodotto da Spagna e Francia, uscito nelle sale italiane non in moltissime copie, distribuito poco e male da I Wonder, mentre è andata meglio negli Stati Uniti. Un clamoroso insuccesso al botteghino, se rapportato al budget di due milioni e mezzo di euro, forse per la tematica truce, per un realismo crudele, per un eccesso di sangue e torture. Ma tutto questo è la forza di Piggy, chi ama il cinema del terrore ricerca proprio tali elementi in un’opera cinematografica. Visto grazie a Rai 4, in Prima TV, in data 4 dicembre 2024. Adesso disponibile su Rai Play. Cinema del terrore, realistico e angosciante, ma anche cinema utile che tratta problemi reali. Davvero un buon film, truce e inquietante, che potrà avere un successo postumo, televisivo.

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Shutter Island di Martin Scorsese

Shutter Island (Usa, 2010)
Regia: Martin Scorsese. Soggetto: Dennis Lehane (romanzo). Sceneggiatura: Laeta Kalogridis. Fotografia: Robert Richardson. Montaggio: Thelma Schoonmaker. Effetti speciali: R. Bruce Steinheimer, Robert Legato. Scenografia: Dante Ferretti, Robert Guerra, Francesca Lo Schiavo. Musiche: selezionate e curate da Robbie Robertson. Costumi: Sandy Powell. Trucco: Manlio Rocchetti. Paese di Produzione: Usa, 2010. Durata: 135’. Genere: Thriller, Noir, Giallo, Drammatico. Interpreti: Leonardo DiCaprio (Edward Daniels / Andrew Laeddis), Mark Ruffalo (Chuck Aule / Lester Sheehan), Ben Kingsley (John Cawley), Michelle Williams (Dolores Chanal), Emily Mortimer (Rachel Solando), Patricia Clarkson (dottoressa Rachel Solando), Max von Sydow (Jeremiah Naehring), Jackie Earle Haley (George Noyce), Ted Levine (Warden), John Carroll Lynch (Warden McPherson), Elias Koteas (falso Andrew Laeddis), Robin Bartlett (Bridget Kearns), Christopher Denham (Peter Breene), Nellie Sciutto (infermiera), Joseph Sikora (Glen Miga), Curtiss Cook (Trey Washington), Joseph McKenna (Billings).

1954. Gli agenti federali Teddy Daniels (Leonardo Di Caprio) e il suo collega Chuck Aule (Mark Ruffalo) si recano all’Ashecliff Hospital, un ospedale psichiatrico per criminali psicopatici situato su Shutter Island, per indagare sulla scomparsa di Rachel Solando, rinchiusa lì dentro per aver ucciso i suoi tre bambini affogandoli. I due iniziano le indagini affiancati dal dottor John Cawley (Ben Kingsley) un uomo dall’atteggiamento alquanto sospettoso e non proprio disponibilissimo a collaborare. Nel frattempo l’agente Daniels inizia a fare sogni strani con protagonista Dolores, la povera moglie morta in un incendio anni prima, la quale gli riferisce che sia Rachel che Andrew Laeddis (l’uomo colpevole di aver appiccato il fuoco) sono ancora vivi. Il giorno dopo questi spiega al collega che la vera ragione per cui si trova lì è un’altra: anche Laeddis, dopo il trasferimento in quel manicomio criminale, scomparve nel nulla: è sua ferma intenzione ritrovarlo per assicurarsi che sia rinchiuso per sempre, soprattutto per la sofferenza che gli ha causato in vita. Intanto però Daniels inizia a soffrire di pesanti emicranie e sospetta che le pillole offerte dal dottor Cawley c’entrino qualcosa. Rachel viene in seguito ritrovata, ma non risponde a nessuna domanda dell’investigatore, il quale è sempre più sicuro del fatto che quello a cui sta assistendo sia una messa in scena per fargli sviare le indagini (soprattutto dopo aver sentito un paziente che diceva che nel faro poco lontano dall’ospedale venivano fatti esperimenti su cavie umane). Tutti gli elementi portano al faro, dunque, dove il terrificante colpo di scena del finale darà una spiegazione a tutte le incongruenze della storia e agli strani incubi dell’agente Daniels. 

Tratto dal romanzo del 2003 L’isola della paura, Shutter Island vede il ritorno di Scorsese dietro la macchina da presa con l’inseparabile Thelma Schoonmaker al montaggio. Un ritorno ovviamente gradito che, come nel caso de L’aviatore (The Aviator, 2004), il regista celebra con un film un po’ fuori dai suoi “soliti schemi” (affermazioni, le mie, sempre molto generiche, a tratti monolitiche – la follia è un topos scorsesiano, tanto per dirne uno). Un thriller con qua e là qualche spruzzatina di horror, un esperimento che a Scorsese riesce bene, forte soprattutto della sua sempre presente vocazione a far film in maniera e solida e quasi “artigianale”: e difatti quello che si ha di fronte è un prodotto quadrato, perfettamente funzionante e dal ritmo decisamente sostenuto. Tutte caratteristiche che lo rendono un bel film, ma non eccezionale, non un capolavoro, forse perché manca una certa scintilla di follia presente invece in altri suoi precedenti lavori.
Da sottolineare la prova magistrale di Ben Kingsley, in una parte che avrebbe potuto farlo cadere nel tranello del gigionismo e che invece ne ha esaltato le grandi capacità che tutti conosciamo. Una nota dolente per Di Caprio: non a lui direttamente (come sempre fa bene il suo lavoro), ma a Scorsese, dato che, a mio parere, la scelta dell’attore californiano è stata infelice. Il buon Leo è ancora un po’ troppo giovane per ruoli del genere e mi sembra un po’ prematuro doverlo accostare a personaggi come Hank Quinlan (A Touch of Evil, 1958), dato che la stazza di Orson Welles (sia professionale che fisica) è ancora ben distante.

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I primi cento di Guglielmino, Scali e Costarelli

Si
chiama Damien Donovan, fa l’investigatore dell’occulto, vive a
New York, negli anni ottanta e ha un certo appeal verso le donne che
lo adorano.

È
biondo, fisicamente prestante, sensibile, vegetariano, astemio.

Il suo assistente assomiglia a un noto attore comico e ha, per amico, un bonario ispettore di polizia di mezza età che lo consulta per alcuni casi.

Fatte
le debite differenze, vi ricorda qualcuno? Avete bisogno di qualche
altro suggerimento?

È
dotato della Scuroveggenza, sorta di intuito sovrannaturale. Ha uno
stuolo di fan che cerca di invadere la sua privacy. Ha risolto molti
casi ma tanti dicono che, dopo i primi cento casi risolti, si sia un
po’ infiacchito.

Dai,
che avete capito!

Questa
storia a fumetti, ambientata “A New York, da qualche parte”, come
recita la didascalia iniziale, incomincia al Damien Donovan Horror
Club dove si svolge un un raduno dei fan del detective dell’occulto
a cui è stata anche dedicata una serie a fumetti che ne racconta le
gesta.

Alcuni
dei presenti sono travestiti da Damien Donovan, altri dai suoi
nemici, o vari comprimari. Sembra di assistere a un raduno di
cosplayer.

Durante
l’incontro i fan guardano un programma alla David Letterman Show in
cui viene intervistato Damien Donovan in persona davanti a un
pubblico in delirio composto in maggior parte da esseri di sesso
femminile che dichiarano il loro amore e gli chiedono di sposarlo.

Quindi
il fumetto procede alternando sequenze della video intervista ad
altre in cui i fan commentano: alcuni sostengono che i primi cento
casi sono i più interessanti, altri affermano il valore dei casi
successivi. C’è chi dice che si è venduto, commercializzato, chi
invece lo difende.

Conclusasi
la riunione e la trasmissione televisiva, la storia racconta una
serie di omicidi: in giro c’è un serial killer che uccide le sue
vittime ricalcando quello che facevano i nemici di Damien.

Lo stile di scrittura di Guglielmino e Scali, in particolare nelle sequenze degli omicidi (fa venire in mente subito le sceneggiature di Tiziano Sclavi e Claudio Chiaverotti) è impostato sul modello bonelliano classico delle sei vignette/tre strisce per tavola. Ma gli autori si concedono anche alcune difformità dalla griglia classica che ricordano le sperimentazioni del Dylan Dog degli ultimi dieci anni. Ad esempio a pagina 13 vedo una splash page in cui il proprietario della sede del Damien Donovan Horror Club, inquadrato frontalmente e per intero, dà il benvenuto a tutti gli altri fan convenuti al raduno, ripresi di spalle. Oppure, a pagina 81, vedo una splash page con protagonista Damien che scende delle scale, il cui movimento è raffigurato disegnandolo nelle varie posizioni che occupa nello spazio e con, sullo sfondo, in sovraesposizione, i visi del serial killer e della sua vittima. Anche da Dylan Dog vengono l’utilizzo occasionali di voci narranti in didascalia e i momenti di surrealismo.

Lo
stile di disegno di Costarelli è anche esso classico e
sfrutta adeguatamente la plasticità delle forme. Le vibrazioni del
tratteggio incisivo producono un felice chiaroscuro che dà la giusta
atmosfera alle vicende narrate.

La
New York in cui è ambientato I primi cento, non è la vera
metropoli, ma piuttosto un luogo della mente, edificato prendendo e
manipolando cinema, fumetto e serie televisive degli anni ottanta,
non solo horror, che hanno influenzato gli autori per realizzare
l’intero fumetto.

Non
vi racconto altro perché dovete godervela dalla prima all’ultima
pagina questa storia a fumetti in quanto I primi cento è un
davvero avvincente, divertente e ben realizzato.

Ma
non solo: ha un forte valore metaforico e metafumettistico. Racconta,
sorta di saggio in forma di nona arte, la storia del personaggio a
fumetti Dylan Dog, il rapporto con i suoi lettori, la loro passione e
la loro ingenuità, e l’impatto che ha avuto questo fumetto a
livello sociologico.

Infatti
nell’introduzione Guglielmino cita, come fonte di
ispirazione l’Alan Moore di Watchmen, la famosa miniserie di
supereroi e sui supereroi, anche se poi modestamente, dichiara che
non vuole paragonarsi a lui.

Questo
fumetto risponde alla domanda: che cosa succederebbe se gli autori di
Dylan Dog potessero giocare con gli stereotipi di questa serie
bonelliana in particolare e della nona arte in generale ispirando
sane riflessioni e divertendo i lettori al tempo stesso?

Ecco
la risposta: I primi cento.

Lo consiglio non solo a chi ama o ha amato Dylan Dog ma anche a tutti gli appassionati di fumetto.

GLI
AUTORI

Andrea
Guglielmino e Marco Scali sono già autori
per Bugs Comics (Samuel Stern), Emmetre Edizioni (Garibaldi
Vs. Zombies
), Shockdom (Helen Bristol), Inkiostro e
Passenger Press. Andrea Guglielmino è anche autore di
saggi di antropologia del cinema (Antropocinema ha vinto il
premio Domenico Meccoli nel 2015), Marco Scali è
invece esperto sceneggiatore di cortometraggi.

Luciano Costarelli è attivo già dagli anni ’90 come colorista per Il Corriere dei Piccoli. La sua attività è poi proseguita tra fumetto (Masters Edizioni, Star Comics, Fenix, Forte Editore), illustrazione (Mondo TV HE, RCS Quotidiani) e pubblicità per diverse agenzie milanesi. Oggi collabora con Cronaca di Topolinia, Edizioni Inkiostro, Bugs Comics, Priuli & Verlucca.

I
primi cento

Testi: Andea Guglielmino e Marco Scali

Disegni:
Luciano Costarelli

Editore:
Weird Book

Codice
ASIN: B0CZGS384W

Pag.
108

Prezzzo: 17 €

 I primi cento di Guglielmino, Scala e Costarelli

I primo cento 1

I primi cento 2

I primi cento 3

I primi cento 4

I primi cento 5

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20% di Simone Del Fiore

[…]Sono
un uccello senza zampe. E non so volare

[…]

20%
di Simone
Del Fiore

è l’ultima uscita della Dark
Abyss Edizioni
.
Fin da subito si presenta come un’opera peculiare per questa casa
editrice: il loro primo young
adult
,
con richiami stilistici alla nota collana Piccoli
Brividi
,
viene infatti collocato all’interno della collana Ursula
Kemp

dedicata alla letteratura fantasy e affini.

La
trama parte in modo estremamente interessante. A Francoforte, il 20%
della popolazione cade improvvisamente in un sonno profondo. Tra i
rimasti svegli c’è Aaron
Wolf,
il protagonista principale. Disperato per la perdita del figlio,
decide di suicidarsi, ma viene fermato da un suo superiore, Oswin
Zimmerman.
Quest’ultimo gli propone un gioco che potrebbe permettergli di
rivedere suo figlio.

Portandolo
all’ascensore, gli spiega il rituale da compiere per accedere
all’Ade.
Da questo punto in poi, svelare gli avvenimenti sarebbe uno spoiler,
quindi invito a leggere il libro con attenzione.

Quest’opera
richiama molti elementi mistici ed esoterici, dalla mitologia greca
al the
elevator game
.
La ricerca della verità porta la narrazione verso il thriller,
arricchendo il tutto con una loggia massonica.

A
un certo punto, la trama, inizialmente un thriller sovrannaturale con
una forte componente emotiva, si sposta verso una componente sci-fi
degna delle sorelle Wachowski
o di Christopher
Nolan.
Questo cambio di rotta potrebbe sorprendere e sconvolgere, ma a mio
avviso è ben giustificato e porta a un finale coerente con la storia
del protagonista e il contesto narrativo.

Lo
stile narrativo di Del
Fiore

è particolarmente interessante, caratterizzato da una forte
componente descrittiva e atmosferica. L’autore utilizza un linguaggio
curato e preciso, prediligendo frasi lunghe e complesse che creano un
ritmo calmo e cadenzato. La sua prosa, ricca di dettagli e
descrizioni evocative, contribuisce a creare un’atmosfera cupa,
immergendo il lettore in contesti ben delineati e dando prova di un
ottimo lavoro di worldbuilding.

Da
questa opera emergono forti componenti emozionali e filosofiche,
legate a un’analisi profonda della vita, della morte e
dell’importanza dell’autodeterminazione. Attraverso la sua
narrazione, Del
Fiore

cerca di trasmettere al lettore la pesantezza della vulnerabilità e
del destino, e la difficoltà della ricerca della verità nel
rivelare la nostra vera essenza.

L’immagine
dell’uccello senza zampe, destinato a non volare più, è una
metafora potente che sottolinea l’ineluttabilità della condizione
umana.

L’AUTORE

Simone
Del Fiore (Roma, 13 giugno 1996) è uno scrittore, sceneggiatore e
grafico editoriale italiano.

Morire
ogni notte
,
edito da EdiKit
nel 2020, è il suo primo romanzo. Nello stesso anno pubblica La
Gravida
,
un racconto horror che scala le classifiche di Kobo
Books
,
diventando uno degli ebook più scaricati sulla piattaforma.

Nel
2021 partecipa al Salone del Libro di Torino come autore, dove
presenta il suo nuovo romanzo in uscita, In
fondo al lago
,
tratto da una storia vera.

Nel
2021 è la volta de Il
filo dell’eterno ritorno
,
edito dalle Edizioni Horti
di Giano
,
e In
fondo al lago
,
pubblicato con Echos
Edizioni
.

Nel
2021 si qualifica tra i finalisti del torneo IoScrittore
con il romanzo Le
porte della mente.

Nel
2022 pubblica il romanzo thriller Le
tre lepri
,
con Land
Editore
.
Nello stesso anno esce anche La
Muta
,
secondo racconto Kobo
Books
.

Nel
2022 pubblica anche Il giudice dei defunti, best seller B&W
Edizioni

e nel 2023 vince il concorso Nero su Bianco con Le
porte della mente

della stessa casa editrice.

Nel
2023 partecipa a Più Libri Più Liberi dove presenta Le
porte della mente
.
Nel 2024 pubblica 20%
con Dark Abyss Edizioni.

20%

Autore:
Simone Del Fiore

Editore:
Dark Abyss Edizioni

Collana:
Ursula Kemp

Pagine:
234

ASIN:

B0CTHPZBDJ

Costo: 4,00 € ebbok e 18,00 € cartaceo

20% di Simone Del fiore

Simone Del Fiore

Tutti i diritti riservati ⓒ per immagini e testi.