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Io sono il pazzo che sa

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Io sono il pazzo che sa

Club GHoST & Ipnotica
Pubblicato da Peter C. Arnold in Racconti · Domenica 18 Mag 2025 · Tempo di lettura 18:30
Tags: Peter_C._ArnoldArnaldo_Piero_CarpiPier_CarpiRacconti_horrorSansoni_EditoreSergio_BissoliTerroreRacconti

Grande autore italiano poliedrico

Pubblicato per la prima volta in Italia nell'agosto 1962 su "Terrore 3"

Fermai l'auto proprio quasi in riva al precipizio.

- Perché ci fermiamo qui? - mi chiese Shara.
Io non risposi e aprii la portiera; Shara mi stava fissando. Con i suoi occhi allucinati. Mia moglie non era più la stessa, da più di due anni. I suoi occhi azzurri avevano assunto un cipiglio quasi inesplicabile, assente nello sguardo.
Con la gamba poggiata a terra rimasi a guardar fuori. C'era una fitta nebbia, che andava sfacendosi.
Risalii in auto.
- Andremo in quel castello, Shara. E ti prego di non fare la bambina. Non devi temere nulla.
Shara continuava a fissarmi, ora atterrita.
- Ma perché, perché, Bab? Non vedo la ragione perché si debba andare a passare due mesi in un posto tanto tetro...
Alzai le spalle.
- Per te, Shara. Perché devi convincerti che non c'è nulla di diverso, tranne le comodità moderne, in un castello della Scozia... Nulla di diverso da un qualsiasi albergo di secondo ordine.
- Voglio – gridai - voglio che tu te ne convinca. E che la smetta di crederti in balia di forze misteriose, di atteggiarti continuamente a martire e a perseguitata. Sono tuo marito, Shara. E voglio il tuo bene.
- Tu vuoi uccidermi, Bab.
La nebbia saliva. Veniva dal fondo del precipizio e nascondeva alla vista il baratro. Ondeggiava, ondeggiava, e svaniva al contatto della pineta, che circondava completamente il monte.
Alla sommità del monte, il castello.
- Perché ti sei fermato qui? - insistette Shara.
La guardai.
- Hai visto quel castello?
- Sì, lo vedo. Bab... ma...
- Non cominciare, Shara, ti prego...
- Ma non vorrai...
Alzai le spalle e scesi dall’automobile.
Sempre alle solite. Shara avrebbe cominciato a tremare, e a piangere, se le avessi detto che era appunto quel castello, la meta del nostro viaggio. Perché « sentivo » che dovevamo fermarci lì.
Le mollai un ceffone. Ed ella si ritrasse.

IL DONNONE
La strada era scomoda e scoscesa, stretta, tutta a sassi, quasi dimenticata. Si infilava nel fiume di pini, e pareva un budello morto, che stesse a imputridire in un mazzo di rose.
Il profumo della pineta era intenso.
Fermai l'auto di colpo. Il cartello arrugginito lo avevamo di fronte.
« Proprietà privata - diceva per quanto era decifrabile - vietato il passaggio agli estranei ».
« Noi non siamo estranei », pensai. E schiacciai l'acceleratore.
Addossata al muro col portone principale del castello, notai una casupola di mattoni nuovi e calce, serrata in modo provvisorio da un'avvicendarsi d'assi e di spranghe. Fermai l'auto proprio di fronte a quella casupola.
Si udì l'abbaiare rabbioso di un cane. Shara rabbrividi. Ma non si strinse a me. Diffidava di me, da qualche tempo; forse cominciava a temermi, a odiarmi; e non voglio immaginare quali pensieri contorti ballassero per la sua mente agitata.
Il donnone si era intagliato improvviso, di fronte al grande portone del castello. Doveva pesare un quintale e qualcosa, e traballava nella sua mole.
Mi avvicinai a lei, mentre Shara volle restare nell'auto.
Il cane uscì ululando da dietro un cespuglio vicino: bastò un gesto del donnone a calmarne la furia. Si accovacciò ai suoi piedi, fremente, puntandomi gli occhi sanguigni addosso e ringhiando.
- Non avete letto il cartello, forestiero? - mi disse con aria distaccata e insieme diffidente il donnone.
- Sì, l'ho letto. Ma sono venuto egualmente non per contravvenirlo ma bensì per parlare col proprietario di questo castello...
La risata del donnone fu chiassosa e prolungata, cattiva.
- Il padrone?, - ghignò falsamente divertita.
Poi vi fu un attimo di strano silenzio. E di nuovo il cane riprese a ringhiare.
Era un « lupo ». Straordinariamente grosso anche per la sua razza, dal pelo fulvo misto a nero, la coda lunghissima, ferma.
- Il padrone?... Ah! Ah! Il padrone è lui.
E l'indice del donnone indicava il lupo.
Non sapevo cosa dire. Sentivo un brivido percorrermi la schiena. Come se quella madornale affermazione potesse racchiudere un terribile segreto, una orribile verità.
- Non siete molto divertente, signora... Comunque non riuscite a divertire me. Sarà perché ho viaggiato molto, perché la sera è prossima e la stanchezza comincia a pungermi con maggiore insistenza... Io e mia moglie vorremmo affittare questo castello e trascorrervi due mesi di riposo… Potete dirmi se ci è possibile parlare con qualcuno che possa accondiscenderci?...
- Vostra moglie?...
Il donnone si avvicinò alla Ford, visibilmente incuriosita. E si chinò a guardare Shara.
- Siete bella, signora... Molto bella...
Shara la fissava terrorizzata. Più terrorizzata del solito.
I riflessi del tramonto erano sempre più rossi e giocavano con troppa insistenza coi pini e coi merli del castello.
Il donnone si voltò a me.
- Voi vorreste trattenervi qui per due mesi?...
- Sì, ve l'ho detto...
Accarezzò il pelo del cane, senza staccare lo sguardo da me.
- Siete i benvenuti, allora...
Ma il suo sorriso non era convincente.
- Non mi piacciono i misteri, signora, dissi piuttosto seccato; siete voi la padrona del castello?...
- No, non sono io... Ma il padrone è assente. Ha molto lavoro e conduce delle ricerche un po' ovunque. Ritorna spesso, ma solo per trattenersi una notte e riprendere i suoi viaggi. Sono convinta però che sarà lieto di avervi come ospiti...
- No, signora, noi non ci siamo intesi... Volevamo affittare il castello, non abusare della vostra cortesia e della vostra ospitalità...
Il donnone continuava a sorridere.
- Pagherete il vostro affitto... Ma quando incontrerete il padrone. Io curo i suoi interessi, in sua assenza, e posso disporre. Sono certa che lui vi accoglierà volentieri. Dovrete lasciare però due stanze a sua disposizione: tutto il resto del castello sarà vostro, per due mesi... Io vivo in questa casupola... Mi piace qui. Ci vivo col cane...
Fu allora che Shara prese a gridare.
- Andiamocene, Bab, andiamo via di qui...
- Non fare la sciocca, Shara...
Poi mi voltai al donnone.
- Vi ringrazio, signora. Potremmo visitare il castello?
- Certo, signore, vi faccio strada.
Non feci a tempo a comprendere l'intenzione di Shara. Quando corsi verso di lei la Ford era già avviata e stava dirigendosi a velocità pazza giù per lo stretto sentiero.
- Stupida!, gridai. Non dovevo fidarmi.
- Vostra moglie è piuttosto originale, no?
- Lasciate perdere. C'è un telefono, qui? Bisogna avvisare la polizia. Shara non sta bene e potrebbe commettere delle imprudenze. E' in pericolo.
- Non ci sono telefoni, mi dispiace. Il paese più vicino dista trenta miglia, ma anche li non c'è telefono. Bisognerebbe andare a settanta miglia da qui. Là c'è un posto di polizia... Ma al castello non abbiamo mezzi di locomozione. Nemmeno i cavalli. Il padrone ha la sua auto... Dobbiamo augurarci che arrivi questa notte. A lui potrete dare un messaggio… O altrimenti dovrete attendere tre giorni, quando verrà il camioncino che ci porta i rifornimenti... Tre giorni non sono tanto tempo, signore... E non credo che vostra moglie vorrà commettere delle imprudenze... Tornerà qui, stanotte stessa, vedrete, cheta cheta...
- Maledizione!
- Non prendetevela. Siete molto stanco. Volete vedere il castello e ritirarvi nella vostra stanza?…

***

Era una chiarissima notte.
Rimasi sdraiato a lungo, su quel trabiccolo di letto, nella vastissima stanza che non mi piaceva eccessivamente, anzi, che non mi piaceva affatto, ma che il donnone mi aveva imposto, quasi imposto, con un mare di insistenze, tanto da farmela adorare; solo la scelta a lei gradita mi avesse liberato della sua opprimente presenza.
Una leggera brezza aveva cominciato a dare il colpo di grazia alla giornata afosa. Pensavo.

Dove s'era cacciata Shara?... Ero molto preoccupato per lei... Come poteva essere cambiata così, negli ultimi tempi? Come poteva, la mia dolcissima Shara, essersi chiusa in quella corazza di odio e di terrore, che mi ossessionava?... E dove era corsa, ora, con tanta follia, sola...
Era stato uno choc, aveva detto il professor Samuel. Uno choc dalle origini inesplicabili, il cui effetto solo qualcosa di altrettanto violento e improvviso avrebbe potuto distruggere.
Io insistevo nel combattere le sue fissazioni, il suo terrore per la notte e per i castelli. Perché lei odiava i castelli. Volevo convincerla che non vi era nulla di strano, di misterioso, in essi. E che la vita era eguale ovunque.
Fu riflettendo, nonostante l'ansia e le preoccupazioni, che mi addormentai. La stanchezza mi aveva vinto.

UNO STRIDERE D'ARTIGLI
Che ora poteva essere?
Perché m'ero svegliato di soprassalto, con tanta apprensione in cuore?
Sentii ringhiare, nel buio. La notte era più chiara. Non distinguevo nulla, nella stanza. Se non uno strano odore di betulle, intenso e quasi nauseante. Qualcuno, un animale feroce, forse, stava azzannando la porta. Sentivo lo stridere rabbioso degli artigli, se artigli erano, contro il legno antico. E quel ringhiare affannoso... Quel ringhiare...
Il lupo!...
Mi alzai di scatto. Cercai l'accendisigari, in tasca, e l'accesi. La debole fiammella sparse un lieve chiarore. E allora solo vidi in tutto il suo sinistro squallore la mia stanza. Quei tendaggi viola, e quelle torce affumicate, la cui fiamma, nel tempo, aveva affumicato i muri sgretolati. E quei quadri che pendevano alle pareti, quella vetrata dai riflessi stanchi e opachi!
Le zanne della belva continuavano nella loro foga.
Vinsi la paura per un attimo e afferrai una torcia, l'accesi con l'accendino e rimasi immobile, al cospetto della porta, ad attendere.
Il rumore di un'auto, nel parco, mi distrasse.
Mi feci alla finestra e agitai la torcia. Non vedevo quasi nulla; solo la sagoma di quell'auto che si era fermata, a fari spenti. Distinsi a fatica due sagome staccarsi da essa e approssimarsi all'ingresso della torre ove era sistemata la mia camera.
Una violenta vampata della torcia mi bruciò la mano: mandai un grido e la fiaccola cadde, ondeggiando, dall'altezza di dieci metri, rischiarando per un attimo il buio sottostante. Un attimo sufficiente a farmi scorgere in una delle due sagome la figura di Shara.
- Shara!, gridai.
Ma mi rispose una terribile risata.

***

L'affanno della belva, e lo stridere dei suoi artigli contro il legno cessarono di colpo.
Il buio, tutt'attorno, mi opprimeva, mentre non osavo accendere ancora una torcia. La mano bruciata mi faceva impazzire.
Mi gettai sul letto.
E venne l'alba.

IL SUO CADAVERE
Fu il terribile dolore alla mano e anche al braccio un dolore acuto che andava sempre più propagandosi, a destarmi.
Avevo la testa a pezzi: mi alzai a fatica, combattendo i terribili dolori che mi colpivano in ogni parte del corpo.
L'immagine della sera prima mi ritornò improvvisa alla mente e risentii il senso di terrore e di sgomento che mi aveva pervaso, nella notte.
Mi feci alla finestra e vidi l'auto. Una Buik ultimo modello, ferma innanzi all'ingresso della torre.
- Shara!, - gridai.
E mi precipitai giù per le scale, fino ad imbattermi e quasi a travolgere il donnone che stava salendo.
- Mia moglie... Dov'è mia moglie? - chiesi.
- Vostra moglie...
- Sì, inveii, mia moglie! E' tornata, ieri sera… L'ho vista...
Il donnone chinò il capo.
- Venite con me, - disse.
La seguii.
Percorremmo corridoi e ampi saloni tappezzati, addobbati con lusso: armature e cimeli, arazzi, candelabri istoriati...
Poi ci fermammo davanti a una porta maestosa.
- Siamo arrivati, - disse il donnone; - entrate pure... e... nulla!
Il donnone si allontanò a capo chino.
Mi scagliai contro quella porta monumentale ed entrai.
L'immagine che scorsi mi schiantò.
Shara, vestita di una veste di candido lino, disadorna, coi lunghi capelli composti sulle spalle e sul guanciale da una mano amorosa, giaceva distesa su di un letto monumentale, grottescamente bardato.
- Shara!
Non rispose. Non poteva rispondere. Era morta.

MENZOGNE
Il donnone non era nella sua casupola. E nemmeno il lupo.
Girai ogni stanza del castello, fino a sperdermi, in quella ridda di volte e di corridoi, di corridoi e di corridoi. E man mano che il tempo passava aumentava in me l'ira. Mi trovai, di colpo, in un salone vastissimo, ai cui lati gigantesche armature si ergevano, con drappi appesi alle pareti, e arazzi istoriati. Il donnone era lì. Col lupo.
Era seduta su di uno scranno di legno intagliato, maestoso. E il lupo era ai suoi piedi.
- Shara è morta...
-Sì, è morta. E' stata trovata ieri notte dal padrone. L'ha caricata nella sua auto e l'ha condotta qui. Troppo tardi. L'abbiamo composta in un letto e non abbiamo voluto destarvi, signore.
I miei occhi, puntati su quella donna, dovevano esprimere sin troppo la mia ira e il mio rancore.
- Ho visto Shara, ieri notte, dissi; e ho visto che era VIVA.
- L'avete vista?
- Sì, ho visto chiaramente il suo volto. E anche la sagoma di colui che l'accompagnava. Chi era?...
- Era il padrone. Ma vostra moglie era morta...
- Chi l'ha uccisa?
Mi pareva che quella donna ghignasse.
- Non lo so. So che era morta, quando giunse qui. Forse... non saprei...
- Voi mentite.
Lo sguardo della donna era freddo. E il lupo cominciò a ringhiare, minaccioso.
- Voi mentite. E quella bestia ha cercato di uccidermi ieri notte!
- Voi vaneggiate: il mio cane non farebbe male a una mosca... E io vi ho detto la verità. Sono stata sin troppo paziente, con voi, perché il caso doloroso che vi è capitato vi fa parlare a sproposito...
- Voglio parlare col padrone. Deve spiegarmi il mistero della morte di Shara...
- Il padrone è partito...
- La sua auto è ancora ai piedi della torre...
- E' partito, vi ripeto.
Mi trattenni a stento.
- Voi mentite, mentite! Ma saprò la verità. Ci penserà la polizia a regolare questa storia, a sistemare sia voi che il vostro misterioso padrone...
E tornai sui miei passi.

IL BACIO DEL VAMPIRO
Il cadavere di Shara pareva sorridere, nella morte.
Le passai una mano sulla fronte fredda, azzurrognola.
- Perdonami, Shara, è stata colpa mia...
Lei continuava a sorridere.
Fu un lampo. E i miei occhi corsero a quei due segni strani sul suo collo. Due segni violacei, due ferite brevi ma profonde.
- Non posso crederci, pensai.
Non potevo crederci: vampiri!
Erano i vampiri la più grande ossessione di Shara. Le leggende tramandate nella nostra terra, dai nostri padri.
I vampiri!
Risi, risi forte, di una risata isterica, cattiva.
- Uno scherzo del destino... O uno scherzo della follia.

***

Avevo dormito?
La testa mi doleva. Mi alzai a fatica e rimasi a osservare il volto ancora più freddo di Shara. E i due segni, il bacio del vampiro, tornarono ad ossessionarmi.
Fuori era notte. Avevo dormito tanto? Mi passai una mano sul capo, come per cacciarvi il senso di pesantezza che lo costringeva.
- Shara! Shara! E' stata tutta colpa mia.
E uscii dalla stanza, vaneggiando, quasi di corsa, senza meta. Sentivo di dover correre, correre, fuggire. Abbandonare quella strana atmosfera. La paura! Ecco: era la paura che mi stava attanagliando!

LA TERRIBILE NOTTE
Delle lunghe, sataniche risate echeggiarono in fondo al corridoio che mi si apriva innanzi.
Mi precipitai, in una corsa furiosa. Ma incontrai il buio di un altro profondo corridoio. Uno strano riflesso del cielo chiaro, in quella notte tersa, illuminava sinistramente l'ambiente.
E di nuovo udii quelle risate sataniche.
Ripresi la corsa, per raggiungerle. E non mi curai della foga, che mi faceva rovesciare tavoli e cimeli, scranni e armature.
Mi fermai di colpo.
Un lampo improvviso squarciò il cielo e la sua luce ferruginosa illuminò innanzi a me. Credetti di impazzire.
Mi trovavo di fronte a un grande quadro, terrificante. Rappresentava una donna, vestita in stile castigliano, bellissima.
Il volto di Shara.
Le risate, ancor più sataniche, si manifestarono alle mie spalle. Mi volsi. E vidi.
Indietreggiai terrorizzato, annaspando nella penombra. Inciampai in un tendaggio che mi rovinò addosso.
« Lui » rise.
Non potevo confondermi: il vampiro. La sagoma che la sera prima avevo visto scendere dall'auto con Shara, nell'attimo di chiarore che aveva creato la mia torcia. Il vampiro!
Il vampiro e il lupo. La bestia ringhiava, pronta a scagliarsi, mentre gli occhi vitrei, sanguinolenti del vampiro mi fissavano. Aveva i capelli in disordine, i muscoli facciali contratti in uno sforzo animalesco, i due canini a fior di labbra, aguzzi e terribili.
Gridai, conscio di essere solo, solo con la mia paura e il mio terrore, solo di fronte alle due belve.
E tornai a correre.
Il vampiro non si attendeva la mia fuga. Ma fu un attimo e subito si gettò all'inseguimento, certo di avermi in suo potere.
Fu una corsa terribile: una corsa che non poteva avere altra meta che la morte. E forse qualcosa ancora di più orribile della morte: il contagio del vampiro. La dannazione eterna!
Corsi! Corsi! Senza quiete!
- Shara!
Shara non udì il mio grido. Non poteva udirlo. Camminava verso di me, senza vedermi, forse; composta nella sua veste candida, disadorna.
- Shara!
Ma lei non mi udiva. Mi volsi.
Il vampiro era vicinissimo. E l'ululato del lupo agghiacciava il sangue nelle vene.
All'improvviso, nella mia pazza corsa, sentii qualcosa di freddo e di metallico, con la mano. L'afferrai. Una lancia!...
La alzai pesantemente, con ambo le mani e rimasi fermo ad attendere.
Il lupo andò, nel suo salto alla mia volta, a conficcare la pancia nella punta acuminata della lancia. Avevo avuto fortuna!
La bestia rantolò e si riversò al suolo. Ma dallo squarcio che l'arma gli aveva procurato non uscì una stilla di sangue.
Ero allibito, mentre il vampiro si era fermato, terrificato a sua volta. O estasiato, dall'immagine di Shara che si stava avvicinando.

***

Non ricordo bene come potei trovare il coraggio per agire. Ma lo trovai, approfittando di quell'attimo di panico. Alzai la lancia, con un urlo e uno sforzo sovrumano e mi avventai sul vampiro, colpendolo in pieno petto. Poi fuggii, e mi ritrovai ai piedi della torre.

IO SONO IL PAZZO
La Buik del « padrone » era ancora lì. Vi salii: il cancello era aperto e lo varcai facendo urlare il motore.

***

Mi ritrovarono non so quanti giorni dopo, in una scarpata. Ero più morto che vivo e avevo perso la parola. Rimasi all'ospedale non so quanto tempo, tra la vita e la morte, in continuo stato di incoscienza. Farneticavo e chiamavo Shara, mia moglie e l'immagine di quella terribile notte.

***

E' passato molto tempo. E io sono molto cambiato. Cammino come un pazzo per le verdi contrade della Scozia a cercare, in un tuffo di nebbia e di pini, lo svettare di una torre, che mi riporti a quella meta.

***

Io sono il « pazzo », l'uomo che la gente indica ai bambini per terrorizzarli, che i monaci accolgono con pietà, con un tozzo di pane e una scodella di brodo.
Il « pazzo » scalzo che grida nella notte e che non si stanca di cercare. Che cammina a capo chino sotto il sole, che vive nelle tane delle belve e parla con le serpi.

***

Io sono il « pazzo » che forse anche voi avete incontrato. Che tiene in mano un acuminato palo di frassino e ha le tasche piene di aglio novello.
Sono il « pazzo » cui hanno raccontato che i vampiri vivono in eterno, nella loro eterna maledizione; il loro sonno nei sepolcri di giorno, per destarsi la notte, a uccidere e a depredare le loro vittime del sangue.
Io sono il « pazzo » che sa.
Il « pazzo » che cerca un castello dove il male continua ad esistere. Dove i vampiri continuano a uccidere.


      
NOTE
Racconti horror rari riscoperti da Sergio Bissoli. Io sono il pazzo che sa di Peter C. Arnold, apparso in Italia nell’agosto 1962 sul numero 3 di Terrore, edito da Sansoni e pubblicato per la prima volta su Planet Ghost. Autore italiano Pier Carpi all’anagrafe Arnaldo Piero Carpi nato ad Arceto di Scandiano Reggio Emilia nel 1940 e morto a Viadana Mantova nel 2000. Sposato a Franca Bigliardi morta nel 2000. Autrice del film Il ventre di Maria del 1992.

La copertina del racconto.

Fonti di questo articolo:
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