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Le donne al balcone - intervista a Noémie Merlant

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Le donne al balcone - intervista a Noémie Merlant

Club GHoST & Ipnotica
Pubblicato da Redazione in Interviste · Venerdì 21 Mar 2025 · Tempo di lettura 15:45
Tags: Christophe_MontenezCommediaHorrorLucas_BravoNadège_BeaussonDiagneNoémie_MerlantSanda_CodreanuSouheila_YacoubCinemaFilm

Il nuovo film di Noémie Merlant

Mix di generi tra commedia, horror, surreale, sessismo e violenza sessuale

Le donne al balcone, l’ultimo film di Noémie Merlant è appena uscito nelle sale italiane. Per l’occasione pubblichiamo un’intervista all’attrice regista.

La sinossi del film
Durante una torrida estate a Marsiglia, tre giovani inquiline di un vivace condominio spiano dal balcone del loro appartamento la vita di un attraente vicino di casa.
Ma quando l’uomo le invita a casa sua per un drink a tarda notte, le conseguenze saranno terrificanti e deliranti e le tre amiche dovranno escogitare una soluzione rocambolesca per uscire dai guai e rivendicare la loro libertà.

Come sei giunta a un film che unisce commedia, horror, il surreale e argomenti così sensibili come il sessismo e la violenza sessuale? Da cosa sei partita?
Ho iniziato a scrivere da sola circa quattro anni fa. Sono partita da uno spunto reale: in quel momento dovevo uscire di casa, fuggire da una situazione che non mi faceva sentire realizzata. Mi sono rifugiata presso le mie amiche, tra cui Sanda Codreanu, che nel film interpreta Nicole. Viveva con le sue sorelle che sono anche mie ottime amiche. Ho vissuto per diversi mesi in questa sorta di gineceo, era una dinamica di vita diversa. Non avevo mai vissuto da sola e mai con altre donne, e questo mi ha fatto molto bene. Ci sono stati molti confronti tra noi, sui nostri sogni, sui nostri traumi, sui nostri desideri e sull’oppressione patriarcale. C’era un ragazzo che viveva dall’altra parte della strada – niente a che fare con il vicino del film – lo abbiamo visto che ci guardava, era curioso della nostra libertà, della nudità consentita tra di noi, che non era una nudità di seduzione, ma piuttosto quella di una fiducia ritrovata, di corpi che si rilassavano. Ho voluto partire da questo per il film, con una forte pulsione liberatoria di addentrarmi nell’umorismo, nel cruento, nell’eccesso, nell’assurdo, nel fantastico… Insomma, in una commistione di generi che riflette la pluralità dei messaggi: la denuncia delle oppressioni, ma anche e soprattutto la valorizzazione onirica della liberazione.

Questo mix di generi è una delle caratteristiche principali del film. Come spieghi questa scelta stilistica?
È uno stile che amo e che mi tocca particolarmente, e che in fondo mi somiglia. Questo mi è sembrato il modo più interessante per descrivere il femminile ed esplorare tutto ciò che avevo da raccontare. Volevo un mix di forme e colori, un film libero ed esuberante che rasentasse il cattivo gusto e la volgarità, pur conservando l’umorismo, una certa poesia e temi forti che mi stanno molto a cuore: l’intimità femminile, lo stupro, le sue conseguenze e l’oppressione patriarcale. Ho subito immaginato il film come una farsa punk sfrenata, ma doveva prendere vita con personaggi con cui potessimo identificarci. Quindi ho preso spunto dalla mia esperienza. Gli abusi che subiscono i personaggi, li ho subiti anche io. Filmarli usando l’umorismo era l’unico modo per rappresentarli e prendere distanza dai quei momenti. Per me l’umorismo e la satira sono armi forti. Quindi oltre a essere liberatorio, spero che sia anche un film che faccia bene, che faccia ridere e pensare.

La sceneggiatura è cofirmata da Céline Sciamma. Com’è nata questa collaborazione?
Céline Sciamma ne ha seguito lo sviluppo da lontano fin dall’inizio. Poi si è offerta di aiutarmi a scrivere il film, con un entusiasmo che mi ha commosso. Non abbiamo mai smesso di parlarne dai tempi di Ritratto della giovane in fiamme. Tra noi era già in corso un dialogo, lei conosce molto bene il mio mondo, capisce la mia personalità e anche il mio modo di scrivere, che è abbastanza esuberante e destrutturato. Il processo di scrittura è stato molto fluido, Céline mi ha proposto cose senza impormi nulla, comprendendo le mie intuizioni: il mio desiderio di esplorare il genere, la commedia, il lato un po’ folle, i fantasmi, che per me erano essenziali. Senza togliermi nulla, mi ha permesso di affermare le mie decisioni e di rafforzarle. Mi ha anche aiutato a consolidare la struttura per permettere al film di essere più libero, di arricchire i personaggi, le loro traiettorie e di sviluppare, credo, un rapporto di sorellanza poetico.

Una delle protagoniste, Nicole, è una scrittrice e sta seguendo un corso di scrittura online. Mette tutto in discussione: le regole, gli schemi prestabiliti… Anche tu ti approcci in questo modo alla scrittura?
Nicole – grazie a un’improvvisazione di Sanda – dice nel film: “Preferisco sbagliare con un’idea mia piuttosto che avere ragione con quelle degli altri”. Questo è il mio modo di pensare. Mi piace l’idea che l’assunzione dei rischi sia un percorso che porta alla scoperta di sé. Allontanandomi da metodi e idee già collaudate, ho avuto l’impressione di raggiungere una forma di sincerità, di onestà che mi sembrava necessaria visti gli argomenti che volevo affrontare in questo film. Volevo divertirmi con i canoni dello “sguardo maschile”, della donna-oggetto, della donna misteriosa, e aggirare le classiche dinamiche narrative che portano ai conflitti… Cercare di reinventare certi canoni significa arrivare a un punto di rottura: è questo ciò di cui il film parla anche attraverso il personaggio di Nicole. Esci dal tuo balcone, esci dalla tua zona di comfort. Invertire le prospettive, metterci nei panni degli altri, riappropriarci delle nostre storie, come quelle di violenza sessista e sessuale. Ho voluto, ad esempio, non spettacolarizzare lo stupro di Ruby solo per rendere più credibile la sua versione, ma di filmare invece lo stupro coniugale subito da Élise, che descrive una situazione così poco raccontata e così poco compresa.

Le tre protagoniste del film hanno ciascuna una personalità molto forte, che viene rivelata nel corso del film. Come hai creato questi personaggi?
Pensando alla trama, ho voluto iniziare prendendomi il tempo necessario per presentare i tre personaggi in modo che potessimo capire bene la personalità di ciascuna di loro: i loro problemi, la gioia di vivere dell’una, i sogni impediti dell’altra ecc., in modo da rendere più autentico lo shock dello stupro. Inoltre, in un altro momento, perdiamo momentaneamente di vista uno dei tre personaggi. Céline mi ha aiutato molto in questo. Avevamo bisogno di questa “sparizione”, di sentire una mancanza quasi organica.
Mi è piaciuto molto scrivere un film con tre personaggi principali, che si traducono da un lato in una dimensione di gruppo, come una sorellanza, e dall’altro in un viaggio individuale attraverso il quale ognuna dovrà conquistare la propria libertà.
Nicole, è una scrittrice utopica e sognatrice. È in costante contraddizione interna tra il suo bisogno di essere sé stessa e i vecchi doveri che la società le impone, come il desiderio di piacere, di essere guardata e ascoltata dagli uomini. Questa donna resta sul balcone a scrivere e non esce più perché il mondo le è ostile, ma attraverso la scrittura cerca di inventare un mondo nuovo, dove la vita è più bella. Mi piace l’idea che possiamo chiederci se la storia del film non sia in realtà quella che lei sta scrivendo.
Ruby è una camgirl libera e appassionata. All’inizio del film la vediamo impegnata in una “troppia”, con una donna e un uomo. Era importante mostrare un personaggio che si assume le sue responsabilità, è felice, viva e ridefinisce le leggi dell’amore. È una donna che ama ciò che fa, che si impone, che disturba e che non si lascia condizionare. Dopo la tragedia subita, continua a essere il motore della propria vita, grazie in particolare alle sue amiche che le credono e la supportano.
Élise è un’attrice un po’ insicura e ansiosa. Arriva in crisi a casa di Nicole e Ruby vestita da Marilyn Monroe. Attraverso di lei ho voluto parlare di una figura che si sente soffocata e paralizzata, un ruolo che ci è sempre stato assegnato: quello della donna misteriosa, devota, materna e irreale. Nei miei sogni vedo Marylin ritrovare i suoi amici, in un luogo dove può sentirsi al sicuro, viva e libera da questa figura mitica che le impedisce di essere sé stessa. Questo è il percorso di Élise e mi tocca profondamente. Marilyn esiste solo attraverso il desiderio maschile, è stata plasmata da lui e per lui. Quindi è stato divertente e liberatorio giocare con questo personaggio.

Hai girato questo film in condizioni completamente diverse rispetto a Mi Iubita Mon Amour. Con un tempo di riprese più lungo e con più mezzi. Come hai vissuto questo cambiamento?
Ho girato il mio primo film da dilettante in due settimane e con solo due persone nel team tecnico. Qui ho avuto a disposizione un team completo, mesi di post-produzione… Essendo una persona piuttosto ansiosa, ho sentito addosso un’enorme pressione ma alla fine trovo che sia stata sana e costruttiva. Questi mezzi mi hanno permesso anche di avere più tempo per pensare e provare, per mettere in campo idee più complesse nella messa in scena e nella direzione artistica. Per ammorbidire questa pressione, o almeno umanizzarla, mi sono circondata di persone che già conoscevo: Sanda, il mio produttore Pierre Guyard, che mi ha accompagnata durante la post-produzione del primo lungometraggio, Céline, che è rimasta in contatto con la produzione durante tutto il processo creativo, Armance Durix al suono e Evgenia Alexandrova alla fotografia, alla quale ora sono molto legata. Non mi sono mai sentita persa.

Quali sfide hai affrontato con Evgenia Alexandrova, la direttrice della fotografia, e con il team in generale?
Sapevo di voler offrire allo spettatore un viaggio esuberante e spingermi oltre nella direzione estetica del film, dei costumi, dei colori, delle ambientazioni… Oltre alla storia che a volte flirta con l’horror, altre volte con la favola, la forma doveva seguire l’eccesso e la farsa. Volevo provare a giocare con la nostra immaginazione e rovesciare gli schemi. La prima parte del film è più morbida, colorata e gioiosa, come se ci stessimo addentrando in una commedia romantica ispirata al cinema di Almodóvar. Un mix esplosivo di colore, eccesso e vitalità che permette alle protagoniste di atteggiarsi anche con volgarità e, così facendo, trovare il loro spazio. Questa “sana volgarità” imponeva anche di filmare le donne in una certa rilassatezza, per evitare la sessualizzazione dei corpi. Mi piacciono questi personaggi colorati, donne molto caratterizzate, che parlano ad alta voce. A volte sono quasi caricature dei personaggi dei fumetti. Nella seconda parte, quando andiamo a casa del vicino, volevo che il film virasse verso il thriller, il fantasy, il gore. Volevo una fotografia che virasse verso il verde, per esprimere angoscia pur mantenendo la linea della comicità, dell’assurdo. Avevamo in mente lo stile dei thriller coreani e giapponesi, come The Wailing o The Chaser di Na Hong-jin o Ichi the Killer di Takashi Miike. Infine, Tarantino e Grindhouse – A prova di morte o tutti i film cruenti che guardavo da piccola con mia sorella, i film di fantasmi che mescolano i generi, soprattutto con molto umorismo. Alcune scene sono state molto “orchestrate”, coreografate e montate, altre invece sono state girate con la macchina da presa a mano, come ad esempio le scene notturne. Un altro grande riferimento di cui abbiamo discusso molto con Evgenia è stato Le margheritine di Vera Chytilova, in cui le donne sono state riprese nella loro intimità come non si era mai visto prima.

Come per il tuo primo film, anche qui eri dietro e davanti alla macchina da presa. Come influisce questa situazione sul tuo modo di recitare?
Come regista, ho meno tempo per guardare le inquadrature, pensare e prendere le distanze dal set. E come attrice non ho tempo per analizzare ogni performance. Avevo però preparato così tanto il mio personaggio fin dalla scrittura che sapevo bene come avrei dovuto interpretarlo, quindi mi sono concessa cose più esuberanti. E poi, quando recitavo, sentivo il film crescermi dall’interno, e ho osato spingermi dove non avrei mai immaginato da regista.

Souheila Yacoub e Sanda Codreanu hanno composto il resto del trio di protagoniste. Puoi parlarci di queste scelte?
Mentre scrivevo pensavo già a Sanda, perché è una donna che mi ispira moltissimo nella vita. È un’attrice eccellente che ha fatto molto teatro e che ha un’unicità che mi tocca enormemente. Per Nicole, aveva bisogno di qualcuno che avesse una fisicità particolare e una timidezza sincera mentre affermava le sue idee.
E poi, al di là di questo, il film parte da lei, da casa sua. Penso che non si vedano spesso attrici di questo tipo nei film. Le ho chiesto di ispirarsi a Kwak Do-won in The Wailing e a Whoopi Goldberg in Ghost, aggiungendo sfumature farsesche. Sanda ha partecipato molto alla scrittura dei dialoghi del suo personaggio. Ha un senso del ritmo che permette alla scena di svolgersi rapidamente.
Per il personaggio di Ruby ho visto molte attrici durante il casting, ma quando Souheila ha fatto alcune prove, mi è sembrata la scelta più ovvia. È molto istintiva, integra, sincera. C’è un lato genuino e vibrante in lei. Il suo ruolo lo abbiamo cercato e costruito insieme.

E la scelta di Lucas Bravo per il ruolo del vicino?
Per questo personaggio cercavo un uomo dal fisico attraente, ma soprattutto un bravissimo attore, capace di passare da uno stato emotivo all’altro, in grado di affascinare queste ragazze così come di metterle a disagio. Lucas ha una presenza scenica incredibile e stravolge l’immagine che noi tutti abbiamo conosciuto con la serie Netflix Emily in Paris. Per me la qualità più grande di un attore è non aver paura di giocare con l’autoironia.

Il vicino che affascina le protagoniste di professione fa il fotografo. Il dramma avviene durante una sessione fotografica con una di loro. Questo rapporto è l’inverso di quello tra il tuo personaggio e quello di Adèle Haenel in Ritratto della giovane in fiamme. Che effetto ha su di te il tema della musa e del pigmalione?
Ho iniziato come modella e quello che succede a Ruby l’ho scritto basandomi sulla mia esperienza. Ci sono storie vere e aneddoti presi dalla realtà un po’ ovunque nel film, come le modelle di cui il fotografo dice di voler catturare l’anima nonostante siano nude e con un sacco in testa! Sullo sfondo di questo discorso del fotografo e del suo rapporto con l’arte, c’è l’idea di possesso, di dominio, di una certa idea di creazione e tirannia per cercare di “catturare l’essenza”. Questo esiste ancora tra molti artisti. Grazie a persone come Céline Sciamma ho scoperto che si poteva creare arte in modo completamente diverso. Questo è ciò che sostiene il personaggio di Nicole nel suo rapporto con la scrittura. È un’altra idea della ricerca della verità, del significato delle cose. È complicato perché tutta la nostra società è fondata su questa dinamica, su questa gerarchia.
È difficile creare un’opera collettiva come un film ma è un’esperienza che mi da tanto. Ci deve essere sempre un conducente, ma bisogna mantenere uno sguardo orizzontale, un dialogo e aprirci alla possibilità di dire che “non sappiamo”, alla possibilità di sbagliare e di accogliere le proposte degli altri, ecc.

Gli uomini presenti nel film sono tutti “problematici” e “opprimenti”. Era intenzionale?
Sì, è proprio questa la particolarità del film, una sorta di incubo… Come se, nel corso di una giornata, tutti gli uomini si fossero messi d’accordo. Questo è stato portato all’estremo, per adattarsi al tono generale del film. Questo film parla di violenze e aggressori e non volevo cadere nel politically correct con uno o pochi uomini che si distinguessero dagli altri. Nel mio film gli aggressori e gli oppressori occupano tutto lo spazio, e non vediamo, non sentiamo gli altri, “quelli buoni”, quelli che capiscono e non abusano… Dove sono loro? Questa è la domanda che forse volevo porre. Volevo anche mostrare che, come nel caso di Paul, il marito di Élise, possono esserci amore, incomprensione e voglia di cercare di capire, anche in un rapporto tossico. Tuttavia, mi piace l’idea che possiamo provare tenerezza per lui in alcune scene. Perché gli aggressori non sono sempre mostri, spesso non lo sembrano affatto, a volte possono nascondersi dietro apparenze molto diverse dalla realtà. Spero che le persone riusciranno a capire perché Élise riusciva a immaginare una vita con lui in passato, perché lo amava. E perché ora non può più farlo.

NOÉMIE MERLANT
Noémie Merlant è una regista e attrice francese.
Ha collaborato in veste di attrice con molti prestigiosi registi tra cui Céline Sciamma (Ritratto della giovane in fiamme, 2019), Jacques Audiard (Parigi, 13Arr. Les Olympiades, 2021), Todd Field (Tár, 2022) e più recentemente con Audrey Diwan (Emmanuelle, 2024). Sarà inoltre nel cast di Duse, il nuovo film di Pietro Marcello, accanto a Valeria Bruni Tedeschi.
Nel 2023 ha vinto un Cesar per la Migliore Attrice per la sua interpretazione in L’innocente di Louis Garrel. Dopo aver diretto diversi cortometraggi, Noémie Merlant ha scritto e diretto un primo lungometraggio nel 2020, Mi Iubita Mon Amour, presentato nella selezione ufficiale del Festival di Cannes. Il suo nuovo film, Le donne al balcone – The Balconettes, in cui è protagonista insieme a Souheila Yacoub e Sanda Codreanu, è stato presentato al Festival di Cannes 2024 nella sezione Midnight Screenings.

Scarica lo SpecialKit del film (per soli soci GHoST): DOWNLOAD >>

La locandina del film.
Foto di scena per la locandina.
Noémie Merlant

Fonti di questo articolo:
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