Le pallottole non lo uccidevano
Pubblicato da Peter C. Arnold in Racconti · Domenica 04 Mag 2025 · 15:15
Tags: Peter_C._Arnold, Arnaldo_Piero_Carpi, Pier_Carpi, Racconti_horror, Sansoni_Editore, Sergio_Bissoli, Terrore, Racconti
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Grande autore italiano poliedrico
Pubblicato per la prima volta in Italia nel giugno 1962 su "Terrore 1"
E' ancora vivo il ricordo di Al Mahoon, il misterioso cavaliere immortale - giunse a farsi adorare dagli indiani ed era temuto dai pionieri. Cavalcava nella notte, con la luna piena, e riposava il suo corpo di vampiro di giorno, nei sepolcri indiani delle grandi rocce...
La luna splendeva alta, sul canyon.
E il silenzio della notte era impenetrabile, lacerato soltanto, sinistramente, dall'ululato dei coyotes.
Pareva che la selvaggia prateria gridasse, con quel silenzio di tomba, il suo furore, la sua ribellione allo zoccolo dei cavalli sbavanti dei pionieri, che in quella giornata si erano contesi una terra non loro, che apparteneva alla saggezza della prateria, alla sua antichissima tradizione tutta donata all'ululante cavalcata dei bisonti, all'attesa dei cacciatori indiani...
Per la prateria, la terribile prateria, i pionieri erano profanatori di sacrari. Profanatori di sepolcri.
***
Il vecchio Tom Alan era arrivato solo. Aveva corso con gli altri la grande « contesa » della terra. Ma aveva piantato il suo palo - che indicava i limiti della sua nuova piccola proprietà - in un riquadro arso e riarso della terra.
Non era nato per fare l'allevatore, né per coltivare la terra. Erano tempi duri per tutti, quelli; e anche lui, come tanti, era venuto nel nuovo Continente con nuove speranze. Con le nuove speranze della sua età, comunque; l'età dei rassegnati, degli sconfitti, per quegli uomini che, dopo aver lottato tutta la vita, approdano a una nuova riva.
Aveva piantato il suo palo lì, in quella terra asciutta, dove avrebbe costruito forse la prima casa della nuova città, su cui avrebbe spiccato nitido, in una targa riverniciata, il suo nome: « Tom Alan Editore »,
Avrebbe stampato il giornale di una nuova comunità. Questo lo faceva sentire ancora giovane, nonostante le sessanta primavere e più che aveva sulle spalle.
Ma non sapeva, il vecchio Tom, che sarebbe stato uno dei pochi testimoni alla vicenda che stiamo per narrarvi e che ci è giunta, soprattutto, dalla sua testimonianza e da quella di altri pionieri che con lui, quella stessa mattina, avevano partecipato alla « grande corsa » della terra e avevano piantato i « pali » sulle nuove proprietà e sui nuovi pascoli di quell'angolo di selvaggio West.
***
La luna splendeva alta, nel cielo.
E il vento ululava terribile la furia della prateria inquieta. La notte era fredda.
Tom Alan stava osservando le « grandi rocce », all'estremo limite della prateria, e lasciava che il freddo gli penetrasse nella carne e nelle ossa. Aveva lo sguardo fisso laggiù, nell'attimo che vedeva la grande luna intagliarsi nel gioco delle « grandi rocce ». C'era qualcosa di strano, in quella notte. Qualcosa che gli parlava di altre notti cupe e tristi, nella Scozia, all'ombra malaticcia di tetri castelli in rovina, di boscaglie, regno delle serpi e del silenzio.
Fu un attimo. Vide un'ombra passare veloce; l'ombra di un cavaliere, che non poteva distinguere meglio.
Ma un brivido lo percorse tutto, inspiegabilmente.
« Perché? », si chiese con terrore. Cosa poteva mai esserci di sconcertante nella figura di un uomo a cavallo, nella notte della prateria?....
Eppure seguì sospeso, trattenendo il fiato, il volo velocissimo di quella figura nera: il cavaliere e il cavallo parevano fusi in un unico mitico corpo e il galoppo era veloce, quasi gli zoccoli dell'animale non sfiorassero l'erba alta della prateria.
Fu un'immagine breve: una nube densa coprì il largo cerchio della luna e in essa la figura scomparve.
***
Una nuova alba, nella prateria; l'alba che seguiva il giorno della conquista della terra.
Donna Webel avvicinò Tom Alan, che era seduto su una cassa di whisky.
- Salve, giornalista.
La vecchia Donna era originaria dell'Irlanda e si era unita alla carovana sola anche lei.
- Salve a voi, veggente...
Tom Alan risenti nella schiena il brivido che lo aveva colto con la visione notturna del cavaliere.
- Cosa intendete dire, Donna?
La veggente aveva lo sguardo fisso al cielo. Ma il limpido azzurro non si specchiava nei suoi occhi, che restavano di un grigio cupo e impenetrabile.
- Sapete cosa intendo dire: avete visto l'immagine risorta di Al Mahoon, il cavaliere nero, che è sceso dai sacri sepolcri, chiamato dal vento impetuoso della prateria...
Tom Alan ascoltava muto. Non credeva a certe cose, ma l'immagine che aveva visto gli era ancora innanzi. Lasciava che le parole della vecchia scorressero lente...
- Al Mahoon è sceso dai sacri sepolcri indiani...
- Chi è Al Mahoon, veggente?
- Al Mahoon è il cavaliere che non muore. Non conoscete la sua storia?
Tom dissenti col capo. - No, ma vorrei ascoltarla...
Donna mandò una grande risata.
- Voi siete giornalista e chiedete a me di raccontare… Siete vecchio, Tom Alan, vecchio quanto me... Perché siete venuto a morire nel West?
- E voi?
- Io non sono venuta per morire... ma per vivere...
Tom non comprese, ma sentì che c'era un fondo di verità in queste ultime parole. Perché era venuta in quel posto, la vecchia Donna?.... Per vivere, non per morire. Poteva essere così.
- Non volete parlarmi di Al Mahoon, veggente?
La vecchia sorrise. Aveva il volto solcato dalle rughe e l'espressione antica della saggezza.
- Io vedo, è vero, giornalista. Ma anche voi, ieri notte, avete visto...
Donna lo fissò a lungo.
- Ve ne parlerò, Tom Alan... Mi siete simpatico… E forse anche voi siete venuto qui per non morire...
***
Era la festa della fecondità, al villaggio Uruki, il villaggio indiano che sta nella rada delle sorgenti, oltre le grandi rocce. I capi tribù delle genti vicine vi erano convenuti in pace ed amicizia e il volto dei guerrieri era tinto dei colori della pace, mentre le scuri di guerra dormivano il loro sonno sotto il Totem del Grande Spirito.
Iniziarono le danze, nello spiazzo a cerchio delimitato dalle vecchie squaws che battevano i tamburi e, innanzi a loro, dai grandi capi che fumavano il calumet.
Le giovinette, i cui denti ancora non avevano conciato le pelli, attendevano, coperte delle vesti di nuovo bisonte appena conciato, che la danza avesse termine per essere scelte dai giovani guerrieri, che già gli anziani gli avevano indicato.
In disparte, in piedi accanto al Totem del Grande Spirito, stavano i figli guerrieri dei grandi capi delle tribù vicine. Uno di essi avrebbe dovuto recare come sposa al proprio villaggio la figlia di Sahomaha, il capo Uruki, la bella « Luna del Mattino ».
Chi dei cinque figli dei grandi capi sarebbe stato scelto? Nessuna delle presenti volontà avrebbe potuto decidere. La ragazza era là, vicina al grande fuoco, ricoperta delle penne dei guerrieri che ad essa ambivano... Un onore che poteva spettare solo alla figlia di Sahomaha, il prediletto del grande Spirito...
Le danze continuavano nel loro vortice, sempre più esasperante, mentre i tamburi battevano un tempo impossibile, frenetico sino all'ossessione...
Si attendeva l'attimo... E, come vuole la tradizione Uruki, sarebbe stata la voce del Grande Spirito a scegliere, per Luna del Mattino, il guerriero sposo...
E se la Voce non fosse giunta, dalla notte, su di essi, allora i figli pretendenti avrebbero combattuto fra loro, sino allo spasimo... E col sangue avrebbero placato la collera del Grande Spirito... Col sangue valoroso e giovane, che spegneva le fiamme e indorava gli altari della saggezza indiana.
La luna si intagliò alta, quasi improvvisamente, nella notte cupa. E il suo chiarore sinistro lacerò la fiamma del grande fuoco che gli Uruki avevano acceso al centro del loro campo. Era la nuova luna. Con la nuova luna il Grande Spirito è sempre presente, perché la luna è il suo occhio e la sua luce pallida è la sua forza, la sua vita.
Le danze cessarono di colpo, come di colpo l'occhio del Grande Spirito aveva ucciso la nube che l'offuscava.
I guerrieri ansavano e le squaws tenevano il capo abbassato. Solo il figlio prediletto, il grande capo Uruki, Sahomaha, teneva gli occhi fissi verso il cerchio pallido del cielo. Ma non venne, la voce.
I figli dei capi, assieme, prima lentamente e poi sempre con maggior violenza, iniziarono il carosello della morte sacra, attorno al grande fuoco, sotto gli occhi della bella « Luna del Mattino » e della pallida luna della notte.
Si alzarono le loro grida, feroci per possanza, ma dimesse in omaggio al sacrificio che si stava compiendo… Non grida di dolore, ma di furia e di gioia, di amore...
Caddero uno alla volta, senza un gemito...
Prima Mahuni, poi Theheral, e anche Geremal. La lancia di Toroshal fece cadere nel suo sangue il prode Abural.
Ma cadde anche Toroshal!
Chi aveva ucciso il quinto guerriero? Che arma aveva fatto cadere il valoroso Toroshal?...
Era il silenzio, tra i presenti.
Sahomaha si alzò lentamente. Il volto era duro. Fissò l'occhio del Grande Spirito. Poi fu vicino al cadavere del prode Toroshal. Si chinò a baciarlo.
Si udi uno sparo. Uno sparo secco, simile a quello coperto dalle grida di Toroshal, pochi attimi prima.
E i Grandi Capi furono in piedi, allibiti.
A pochi passi da loro era apparsa la figura di un cavaliere. Un cavaliere nero come la notte, delimitato, nella sagoma, dai riflessi dell'occhio del Grande Spirito.
- Un viso pallido, ringhiò il capo Faoshala, padre del prode Toroshal.
Un fremito di sdegno percorse l'assemblea. E mille occhi seguirono la traiettoria della lancia mortale di capo Faoshala. La lancia nera vibrò nell'aria e andò a conficcarsi nel petto del cavaliere nero.
E rimase lì.
Si udì una prolungata risata, mentre il nero cavallo dell'uomo s'impennò, lanciò un terribile e glaciale nitrito, per fermarsi poi di colpo, nella posizione di prima. Il cavaliere nero non era caduto.
Si vide la sua mano afferrare la lancia che lo aveva colpito nel petto, strapparla con violenza e scagliarla ai piedi del Totem del Grande Spirito, dove rimase a vibrare, sotto gli occhi increduli e terrorizzati degli Uruki.
Lentamente il cavaliere nero scosse le briglie del cavallo, che si avvicinò al grande fuoco.
Ormai capo Sahomaha e i capi fratelli potevano vederlo bene, lo strano cavaliere nero. E vedere la ferita nel suo petto, una ferita che non era, per quanto profonda e lacerante, cosparsa di sangue.
Ora il cavaliere era innanzi a « Luna del Mattino ». La ragazza lo fissava attonita, ma senza orrore negli occhi azzurri. Anzi, ella si avvicinò a lui, accarezzò il muso del suo cavallo e poi i suoi stivali macabri...
E lui le tese la mano, lentamente.
Altrettanto lentamente ella salì sul cavallo, davanti al cavaliere nero.
Una nube velocissima oscurò la luna. L'occhio del Grande Spirito era assente. E una ventata fredda, rabbiosa, dalle grandi rocce, fu sul campo, dove spense il grande fuoco ai piedi del Totem del Grande Spirito.
Dalla prateria e dalle Grandi Rocce, giunse un canto. Un lamento di pace... La voce dei grandi padri morti...
Sahomaha alzò le braccia al cielo e iniziò il canto di morte della gente Urnki. Il coro dei guerrieri lo seguì. E la nenia si fuse al canto macabro che veniva dalle grandi rocce.
« O padri sepolti
o figli della roccia
guerrieri della pietra...
O padri sepolti e immortali
padri della gente Uruki
figli del Grande Spirito...
voi che giungete... ».
Il coro si ripeteva, mentre il cavaliere nero era sempre fermo al centro del campo, sotto il Totem del Grande Spirito. E gli occhi azzurri della bella « Luna del Mattino » lo fissavano affascinati.
« O padri sepolti
dalle grandi piume
o padri Uruki
grandi guerrieri... ».
Di nuovo il vento rabbioso, il soffio della morte fu sul campo Uruki.
I guerrieri si prostrarono e adorarono il cavaliere nero. Mentre la nube di pece, diradandosi con violenza, riportò la luce all'occhio del Grande Spirito.
Il canto tacque e parlò il prediletto Sahomaha.
- Tu sei il figlio del Grande Spirito, o uomo della notte. La voce dei padri sepolti ti ha mandato a noi… La loro voce dice che tu dormi il tuo sonno nei sepolcri delle grandi rocce e che la tua furia si accende di notte, con lo sguardo dell'occhio del Grande Spirito che ti accompagna... Tu sei il nostro prediletto, come il prediletto figlio del Grande Spirito. E io ti adoro, con la gente Uruki, uomo della notte, guerriero immortale.
Il cavallo nitrì.
E il cavaliere si allontanò, con « Luna del Mattino », veloce nella notte.
E il fuoco del campo si riaccese, quando una nuova nube spense l'occhio del Grande Spirito, nel cielo.
***
Tom Alan aveva ascoltato in silenzio la vecchia Donna.
- E' lui che avete visto, la notte scorsa...
- « Lui » è Al Mahoon?
- Sì, l'immortale Al Mahoon, il cui spirito era sepolto in questi luoghi molti e molti temi prima della venuta dell'uomo bianco su queste terre...
- Egli è immortale?
- Eterno. E immortali sono i suoi prediletti.
Tom Alan sospirò.
- Che ne è stato di « Luna del Mattino? », chiese.
La vecchia Donna guardò al cielo.
- Ella dorme con lui, nei sepolcri delle grandi rocce… E la notte l'occhio del Grande Spirito la ridesta, per farle ripercorrere le sue valli... Gli uomini bianchi debbono guardarsi dalla loro foga di conquista, dalla loro ignoranza, dalla loro sete di profanazione... Al Mahoon li ucciderà...
- Ci ucciderà tutti?
Ghignò, la vecchia Donna.
- Ucciderà coloro che non lo adoreranno. Ucciderà quanti vorranno disturbare la sua quiete... profanare il suo sacrario... Voi volete morire, Tom Alan?
- Dovrei morire, come tutti, Donna: perché voi non morrete, è vero?
- No: se « lui» mi vorrà.
L'aria era ferma. E le nubi rade, bianchissime, oltre l'orizzonte, sino ai cieli più lontani, disegnavano lunghe saghe indecifrabili, nell'azzurro. Il sole, accecante, era freddo. E Tom Alan si sentì pungere... Qualcosa gli mordeva dentro... Qualcosa che temeva e non comprendeva. Guardò la vecchia.
I suoi occhi grigi, impenetrabili, uccidevano l'azzurro del cielo e invocavano la notte.
***
E la notte venne.
***
C'era festa, attorno ai carri della carovana. Si danzava e beveva, con gioia. La gioia della conquista dell'uomo bianco, che non sentiva la voce dei morti, che il vento lanciava rabbioso dalle grandi rocce, sulla prateria, fino a loro.
Tom Alan guardava. E Donna era poco distante da lui, con gli occhi fissi al cielo.
Il vento rabbioso giunse improvviso e fu un attimo: il grande fuoco si spense. E fu il silenzio.
Una voce giunse dalle grandi rocce. Un canto funebre. Dai presenti si alzò un'altra voce. Che Tom Alan distinse per quella di Donna.
Portò la mano al calcio della pistola, mentre il canto si alzava, glaciale, nella notte cupa.
« Tu che vieni dai grandi sepolcri
inviolati
dei padri...
Tu che vieni, raccogli
il mio corpo
e il mio essere invisibile
per recarli con te
ai grandi pascoli verdi
della vita... ».
Nel cielo si accese la luna. Sulla quale si intagliò repentina la figura del cavaliere Al Mahoon.
Il terrore aleggiava nell'aria.
Ma Tom Alan estrasse la pistola e sparò. Sei colpi, rabbiosi, accecanti.
Una risata. I sei colpi avevano fatto centro. Ma il cavaliere era immobile, ghignante, fermo al cospetto della luna. Donna gli si avvicinò, si inginocchiò agli zoccoli del suo cavallo. E pregò.
Ma il cantico non giunse dalle grandi rocce. La notte era muta, ora, severa...
Poi la luna parlò.
« Andate, oltre la prateria
e le grandi rocce e lasciate la pace ai morti,
ai vivi e agli immortali...
Andate, uomini bianchi...
Fuggite... ».
La figura del cavaliere si dissolse, quasi, nella notte. E il fuoco, al centro della carovana, si riaccese.
***
Nella notte stessa, narra la leggenda, i pionieri ripartirono da quei luoghi.
E non seppellirono i cadaveri quasi pietrificati della vecchia Della e di Tom Alan.
Essi sono ancora là, dove caddero, a testimoniare nella pietra che li ricopre, la potenza di Al Mahoon, il cavaliere immortale della notte.
NOTE
Racconti horror rari riscoperti da Sergio Bissoli. Le pallottole non lo uccidevano di Peter C. Arnold, apparso in Italia nel giugno 1962 sul numero 1 di Terrore, edito da Sansoni e pubblicato per la prima volta su Planet Ghost. Peter C. Arnold è uno pseudonimo. Peter sta per Pier, C. sta per Carpi, Arnold sta per Arnaldo. All’anagrafe: Arnaldo Piero Carpi (1940 - 2000). Grande autore poliedrico. Questo suo racconto si svolge in un ambiente non tradizionale per le storie del terrore. L’autore però riesce a descriverlo con competenza e maestria.
Fonti di questo articolo:
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