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Verrà il plenilunio

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Verrà il plenilunio

Club GHoST & Ipnotica
Pubblicato da Louis Trevor in Racconti · Domenica 13 Apr 2025 · Tempo di lettura 22:30
Tags: Mario_RaffiNino_NavaRacconti_horrorSansoni_EditoreSergio_BissoliTerroreRacconti

Autore italiano sotto pseudonimo

Pubblicato per la prima volta in Italia nel 1962 su "Terrore 1"

LYCANTROPUS
Il tenente Henry Badwell si rivoltò nel suo letto. Di colpo si alzò a metà. La notte filava via monocorde, con le sue ore silenziose.
La fronte imperlata di sudore, il tenente Henry Badwell, tese l’orecchio alla quiete notturna. Era uno stupido, pensò.
– Tutte quelle fesserie di Humphrey! – si disse.
Stava per rimettersi in posizione orizzontale, ma l’urlo riecheggiò.
Era un latrato, dapprima. Poi, a mano a mano che andava ripetendosi, ebbe un’eco di dolore, di sofferenza, di morte.
Divenne un ululato agghiacciante.
Questa volta, il tenente Badwell fu come afferrato da un improvviso « raptus » di follia: si alzò, e in pigiama corse alla fondina del revolver.
Strappò l’arma, la tenne vibrando in ogni senso nella grossa mano da pugile. Ora l’ululato si stemperava in una sorta di angoscioso richiamo.
– Maledetto! Maledetto! disse fra i denti serrati sulle labbra livide il tenente. Ma non aveva il coraggio di slanciarsi fuori, nel buio e nel silenzio della boscaglia.
L’ululato ora si stava allontanando.
Il tenente sentì il sangue martellargli alle tempie. Il cuore pulsava quasi a fatica; arraffò la vestaglia e se la pose indosso. Tra i fanti da sbarco s’era meritato alcune decorazioni. Ora, era pronto a sputare contro quelle medaglie. Ma allora, nel Pacifico, combatteva uomini. Piccoli uomini gialli che egli sovrastava.
Ma combattere uomini-lupo non era nel suo « epos », nel « sensus eroicus» della sua marziale persona il senso del valore s’andava assopendo.
– Maledetto figlio di cani! – invei, rivolto ad Humphrey. – Bigotto!
Usci con gli occhi fuori dalle orbite. La Sila riposava in immoti scenari grandiosamente vividi, eppure morti, densi di oscuri presagi.
A un tratto, un’ombra, un’ombra rapida si spostò da un tronco d’albero a un altro. Fece fuoco, rapidamente, rabbiosamente. Udì un grido e si precipitò verso l’ombra.
– Maledetto idiota! sibilò poco dopo, quando si rese conto che si trattava della sentinella. – Un altro po’ e t’ammazzo! Che facevi qui?
Il soldato tremava, lo fissava smarrito, incapace di rispondere.
– Su, imbecille! Rispondi! Che facevi qui, invece di stare al tuo posto di guardia? Siamo in guerra: vuoi che ti faccia mettere davanti al plotone d’esecuzione?
– Tenente… Ho sentito uno strano grido… Come se…
– Come se?… – chiese interessato il tenente Badwell.
– Come se ci fosse un mostro, un lupo umano, o qualcosa del genere…
– Vattene al tuo posto. Tu hai bevuto prima di montare, vero?
– Ho udito quella bestia, se bestia era, vi dico!
– Fila! Non racconterò ciò che è avvenuto… Per fortuna ti ho mancato.
Rimasto solo, il tenente Badwell prese una decisione.
Con il suo energico passo andò sino agli accontanamenti degli ufficiali.
Entrò nel quartierino del tenente Humphrey. Il vecchio ufficiale sobbalzò nel sonno, restò a guardarlo nella semioscurità con occhi dilatati.
– Lo hai sentito? – chiese, a bassa voce, come se temesse d’essere ascoltato da qualcuno, da qualche misterioso ascoltatore..
Badwell lo scosse furiosamente per il risvolto della giacca del pigiama:
– Tu e le tue dannate storie! – disse. Ed era quasi sul punto di picchiarlo.
Il vecchio tenente guardò il commilitone con senso di orgasmo e di pena.
– Cerca di ritornare tranquillo – gli disse, con fare deciso, ma senza alzare la voce, che era rimasta bassa, ma aveva acquistato un risoluto tono autoritario.
Henry Badwell lo guardò. Guardò la propria mano che si rattrappiva intorno al risvolto della giacca. Ebbe improvvisamente vergogna di se: – Scusami, Al.
– Di niente, figurati… – Il vecchio ebbe un sorriso strano.
Seguì un imbarazzante silenzio. Poi, Humphrey disse: – Ti debbo delle spiegazioni.
E prima che l’altro rispondesse, riprese, come se avesse fretta di dir tutto ciò che aveva in animo: – Tanti e tanti anni fa, io ero un giovane e promettente scienziato. Studiavo « leggi anomale organiche », come raptus psichici, vampirismo, tigrismo, pigmalionismo, licantropia… Insegnavo queste materie alla Columbia University. Ero pieno di zelo e di fede. Poi…
Segui una lunga pausa. Badwell si spazienti e chiese: – E poi?…
Il vecchio rise stancamente: – Eccomi qua! – disse, allargando le braccia. Arruolato volontario in questa guerra non mia. Sono arrivato sin qui, in Italia, al fronte del Sud. Siamo in Calabria, vecchio mio, l’antica Magna Grecia, densa di miti, di leggende, di tradizioni oscure. E qui, sul Monte della Sila, tu, lo hai udito, ci sono esseri mostruosi, a metà uomini, a metà belve sanguinarie: lupi!
– Storie! – si ribellò il tenente Badwell. Il suo pensiero andò alla bella ragazza calabra che era appena andato a trovare. Delia lo aspettava per il mattino seguente: l’avrebbe fatta sua, forse l’avrebbe sposata e portata in America con se.
E per un poco, la gentile immagine della bella ragazza lo distolse da quell’atmosfera di paura, di orrore.
– No, non « storie » lo redarguì dolcemente Humphrey. Io so molte cose, Badwell. Tu non mi conosci. Tu mi conosci sotto l’aspetto per nulla stimabile d’un pessimo ufficiale. Ma io ho sognato tutta la vita d’essere qui, un giorno, su queste pianure boscose, in mezzo a questo selvaggio viluppo d’alberi.
Lo sguardo di Humphrey s’accese.
Badwell lo fissò. Senti un lungo brivido corrergli per la schiena. Ora, guardando meglio il compagno d’arme, comprese che qualcosa di lui gli incuteva uno strano rispetto che assomigliava molto alla paura, una paura indecifrabile, inconsueta.
– Un giorno, mi radiarono. Mi cancellarono dalla professione. Dicevano che mi stavo spingendo oltre. Seguivo allora alcuni studi sulla licantropia, o licantrofobia. Voi profani la chiamate « male del lupo mannaro ». Ma sotto questo profilo non esiste.
– Come si manifesta? – chiese col fiato sospeso Badwell.
– Ti atterrirebbe la sola descrizione. Bava schiumosa alla bocca, occhi che escono dalle orbite, rigonfiamento della vena jugulare, inturgidimento generale delle altre vene, una forma di sclerosi, che però definire così non è esatto. E una peluria, una peluria folta e fulva che si sparge rapidamente sul volto, sulla pelle del corpo, e…
Humphrey osservò Badwell; lo vide livido, contratto nello sforzo di seguire quella raccapricciante descrizione, come se non potesse, sapesse o volesse sottrarsi a una sorta d’incantesimo che si stava impossessando anche di lui.
A sua volta, Badwell non toglieva gli occhi di dosso a Humphrey: e lo vide eccitato, iperteso, rigido. Ne ebbe ancora paura.
– E, che cosa?… – chiese con una voce che non si riconobbe.
– I denti. I canini… Si allungano. Lo so, lo so! – fece Humphrey, alzando una mano verso l’altro, che stava per dire qualcosa. – Lo so che è incredibile. Ma avviene proprio così.
Un’altra pausa. Poi, Humphrey continuò, staccando le parole, riempendole di strane pause, di esitazioni, di borbottii: – Nasce una forza felina, belluina, nel soggetto colpito. Egli non chiede altro che colpire, che uccidere, straziare, sbranare, divorare… Solo il sangue può placare questa sete di distruzione ferina!
Badwell deglutì. Sentiva come una nausea dentro di se.
Humphrey riprese: – Il licantropo non conosce limitazioni. Bisogna ucciderlo. Parlo del « vero » licantropo, dell’essere per metà uomo, per metà belva. Non di quelli che hanno puri eccessi di licantrofobia, che sentono l’influenza lunare, che escono nel plenilunio per uccidere, solo spinti da una veemenza clinicamente decifrabile.

LA RIBELLIONE DELL’UOMO
E allora, essi cercano la persona più cara. E’ una maledizione. Cosi proseguì il tenente Humphrey. Non vi si sfugge.
– Non ci se ne può difendere?
– Certo. In un solo modo: staccare dal petto della vittima il cuore ancora caldo, e contornarlo di spine, come nelle figurazioni retoriche e iconografiche di Nostro Signore Gesù Cristo. Se presenti questo trofeo alla belva-uomo, solo allora potrai salvartene, distruggerla!
– Sei un pazzo! – gridò Badwell, esasperato, sconvolto. – Pazzo!
Di che mi vai cianciando? Non vedi che ho i calzoni lunghi, che sono un soldato, che non credo neppure in ciò che vedo?…
E così dicendo, Badwell si senti assalire da una ribellione feroce.
Si alzò, e scoppiò in un riso isterico, che divenne frenetico, travolgente, che gli squassava il petto in singulti ardenti.
Humphrey lo guardò, fece per alzarsi dal letto, ma allora un urlo, un urlo lacerante, agghiacciante, che si alzò potente nel cuore della notte, risuonò. Humprhey si alzò. S’inginocchiò e si segnò solennemente. Badwell smise di ridere. Aggredì il compagno. Lo colpi con inaudita violenza e cattiveria. Badwell era un omaccione alto e forte, che aveva praticato molti sport.
Humphrey, per contro, non era che un vecchio. Un uomo vecchio, alto, dinoccolato, dalle membra magre, asciutte, che denotavano però scarsissima forza fisica.
La sua aureola di capelli bianchi, il viso pallido e ossuto, l’alta fronte da studioso contribuivano a farne una figura pressoché ieratica.
Inarcò la schiena come spinto da una furia improvvisa, e si slanciò a sua volta contro l’aggressore. Badwell lo respinse con irrisoria facilità. Lo atterrò con un diretto al capo. Humphrey sembrava svenuto. Ma si rialzò, e si slanciò ancora contro Badwell, cercando di colpirlo. Badwell lo cinse fortemente alle braccia nel tentativo d’immobilizzarlo, e allora, con furia, Humphrey lo morse. Lo morse a una mano, facendogliela sanguinare.
Badwell lo colpi con un tremendo fendente al capo, e il vecchio si abbatté al suolo, con un tonfo sordo.
Badwell riacquistò improvvisamente il senno. Guardò con aria affranta e piena di stupore la sua vittima. Si chinò nel tentativo di rianimarlo: ma Humphrey era morto.

UNA STORIA ANTICA COME IL COSMO
Badwell non faticò molto a dimostrare che ad aggredire il vecchio ufficiale doveva esser stato il misterioso individuo che si aggirava nottetempo nell’accantonamento.
Harvey Smithson, l’uomo ch’era di guardia, depose con il colonnello: aveva udito quelle grida disumane, ed era certo che fra gli alberi della boscaglia fitta si aggirasse qualche individuo animato da fosche intenzioni. Non disse che aveva veduto « un essere » orripilante. Una creatura dall’aspetto agghiacciante.
Due giorni dopo, il caporale Harvey Smithson si sparò in bocca.
Era, quella, la seconda vittima dell’essere che si aggirava, della magia che gravava come una coltre velenosa e mortale sull’accantonamento.
Badwell attese la notte.
Era come in preda a una febbre. Una sorta di incantesimo veleggiava lui e i suoi impenetrabili istinti verso una fonte oscura, ma dalla quale poteva derivare « una verità suprema », come aveva detto Humphrey nei loro conversari.
Badwell sapeva bene che cosa rischiava, andando nel quartierino dell’uomo che aveva ucciso. Ma dei morti non aveva paura: ne aveva veduti a migliaia, ci viveva in mezzo da anni.
Frugò accuratamente fra le cose di Humphrey: ecco! quello era lo strano diario che un giorno, furtivamente, il suo pari grado aveva cercato di celare al suo sguardo. Lo aprì con mani tremanti.
Alla fioca luce d’una lanterna cicca, si mise a leggere.
Leggeva febbrilmente, come attratto da una forza misteriosa.
Poco dopo, uno scalpiccio alla porta lo fece trasalire: – Chi è là? – udì dall’interno. Si acquattò tremando di febbre e di timore nel fondo della camera. Qualcuno infilò la testa nell’uscio, frugò l’interno con una lampadina tascabile. Doveva essere l’ufficiale di guardia con il picchetto armato. Poco dopo, si ritirò.
Badwell lesse:
« Licantropia: corri dalla persona amata. Dilaniala, e sarai pago. Versa il suo sangue sul sentiero dei dodici alberi messi a croce. Nel mezzo c’è « il Regnante». Lui potrà risolverti ».
Rise. Dapprima lievemente. Poi, a singhiozzi. Piangendo.
Ecco! I dodici alberi erano quelli. Formavano una croce proprio in uno dei versanti meno battuti della Sila. Al centro, era come un covile, una strana buca. Tremando e piangendo, Badwell si avvicinò. Ne sortiva un fetore insopportabile.
Tornò all’accampamento. Avevano sgozzato una sentinella.
L’essere cominciava la sua lunga scalata alla morte.
I soldati uccisi furono due. Poi, tre.
Anche fra gli indigeni vi furono due morti: due fanciulle, tutte e due trovate prive di indumenti, morsicate orrendamente in varie parti del corpo. Svuotate del sangue. Ci furono picchetti armati di raddoppio, e furono effettuati degli arresti.
Badwell ora SAPEVA.
Badwell aveva letto il diario del collega morto, assassinato da lui.
« Columbia University, 17 settembre 19… – sono andato oltre. L’« essere » mi ha colpito con i suoi inesorabili canini. Sembravano acuminati coltelli. Morirò di un orribile morte. A meno che non mi sappia sottrarre con un colpo di pistola, per evitare che anch’io percorra la Terra alla ricerca di sangue, di umani agnelli da sgozzare… Il professor Anders ha capito. Ho « dovuto » ucciderlo. Così dilaniato, nessuno lo ha riconosciuto. Sono un licantropo. Che Iddio mi assista!… ».
Ora Badwell sapeva. Il plenilunio sorgeva, ed egli non poteva sottrarsi. Humphrey lo aveva morso, condannandolo. Era orrendo, ma doveva risolvere. E per risolvere, doveva affrontare l’ignoto dei dodici alberi, lassù alla Sila.
Trovarono altre vittime. La testa era quasi recisa dal collo.
Solo una belva mostruosa poteva aver operato quello scempio incredibile!
Badwell sapeva del plenilunio, e non poteva che attenderlo.
La luna veleggiava solenne, piena e tonda, eburnea, trasparente nel suo alone di morte. Badwell sapeva.
Senti la febbre invaderlo. Nel tossire, scoprì piangendo che dalla sua gola riarsa sortiva come un ringhio. Si mise in ginocchio, come aveva fatto Humphrey, esasperandolo fino a costringerlo ad ucciderlo. Pregò. E scoprì che non uscivano parole umane, ma solo borbottii confusi, orrendi farfuglii che egli non sapeva decifrare.
Riprese il diario, lesse:
« Columbia University, 27 ottobre 19… – ho operato il primo tentativo. L’insulina non mi placa più. Ho provato con il siero antirabbico Pasteur. Ma il mio male non è la rabbia canina… Detesto l’acqua. Solo una vergine può placare con il suo dolce sorriso o con il suo caldo sangue il mostro che è in me. Ho voluto andare oltre. Ultra humanum! E’ una punizione orrenda del Cielo. Debbo trovare gli alberi a croce nell’altopiano italico… ».

QUALCUNO NELLA SUA NOTTE
Delia era tornata da scuola. Era affaticata. Quei ragazzi eran proprio degli asinelli. Sorrise. Cominciò a spogliarsi. Pensava all’americano, a Henry Badwell. L’avrebbe sposata, lo sapeva; lui pensava a un’avventura, ma lei lo avrebbe intrappolato.
Sorrise. Che strano ragazzone selvatico, Henry! Si accovacciò nel letto, rabbrividendo di piacere al contatto delle coltri.
Qualcuno bussò all’uscio. Era un bussare insistente, ma pure cauto. Chi poteva essere, a quell’ora? Si alzò. Guardò dai vetri della villetta che solo lei occupava, giù in paese. Vide Henry stagliarsi con la sua atletica figura. Ebbe una certa esitazione: un uomo, a quell’ora nella casa d’una ragazza sola!… Chissà che cosa avrebbero detto le mamme e i padri dei suoi allievi. Ma poi alzò le spalle, aprì cautamente. Badwell la fissò in silenzio, nel buio della notte. A malapena riuscivano a vedere i loro volti.
Era quello il sorriso che poteva lenire l’orrido tormento di Henry, ma egli non lo vide. La spinse dentro, ansimando.
– Henry! Dio Santissimo! Che cos’hai?!
La giovane donna sentì un mugolio indistinto. Andò all’interruttore della luce, lo girò. Nel far ciò, rovesciò la catinella d’acqua con la quale doveva lavarsi al mattino.
Urlò. Urlò d’orrore: era Badwell, quell’essere trasfigurato, il cui volto si stava riempiendo di peluria schifosa? Era il « suo » Henry quell’essere mostruoso, con gli occhi gialli fosforescenti, gonfi, che pareva volessero schizzare dalle orbite? Era Henry, con quelle mani villose, le narici ridotte a due fori, che si stava sempre più trasformando in un lupo?…
Badwell osservava respirando pesantemente l’acqua che gorgogliando gli giungeva ai piedi. Era scalzo. Aveva lunghe unghie ricurve, e la stessa peluria delle mani, una peluria fulva, folta, ruvida. Tese le mani ungulate, muovendo qualche passo verso Delia.
Ella retrocesse, pallida, incapace di reagire. Urlò, urlò con tutte le sue forze. Egli le fu sopra, le affondò i canini, quegli orribili canini che erano emersi dalla sua bocca, rivolti all’ingiù, nella gola pallida, dalla quale sortì un improvviso fiotto di sangue. Egli perse il copricapo. La testa del lupo fu l’ultima, orrenda visione per la ragazza. La belva-umana infierì a lungo.
Uscendo di corsa, ululando, si trovò di fronte a un vecchio contadino armato di doppietta. – Ehi! Ferma! Ferma!
Il proiettile lo colse all’addome, di striscio, lo fece impazzire di folle rabbia belluina. Aggredì il vecchio, lo sgozzò con un morso atroce alla carotide. Non poté chinarsi all’orrido pasto, perché la pattuglia dei suoi commilitoni stava sopraggiungendo.
Ne udiva i passi affannosi sul fondo erboso.
Infilò sentieri impraticabili, fra i roveti. Ma le spine non ferivano il suo vello fulvo, maculato di sangue.

LA CROCE DI ALBERI
Davanti a lui era il covile.
La croce formata dai dodici alberi di cui parlava Humphrey era lì. Un sinistro presagio incombeva su quella raduna dove forse da più di cent’anni nessun umano era mai giunto.
Ansimando, e continuando il suo ululato, Badwell si infilò nella buca. Percorse decine di metri di terra battuta. Tutt’intorno erano resti di animali, ossa spolpate, e anche scheletri umani.
Vide il « Regnante». Era un essere simile a lui, ma più piccolo.
Non era più nulla d’umano, quello che egli poteva mostrare.
Camminava a due gambe, ma incertamente, saltellando, con quelle zampe lupine. E le orride zanne che fuoriuscivano dalle labbra stirate erano come due armi sinistre pronte alla morte.
I due dallo sguardo giallo si fissarono attentamente.
– Sei la mia salvezza, tu! – rantolò Badwell. Perdeva una lunga scia di sangue dalla ferita. – Aiutami! Aiutami!
Dalla sua gola sortiva quella sorta di orrendo abbaiamento, che non somigliava che lontanamente a un suono di voce umana.
Il « regnante » lo fissava ansimando, la lingua fuori dalla bocca, gli occhi gialli intenti. Le due belve-uomo si scagliarono l’una contro l’altra. Avvinghiate in quella danza di morte, poterono parlarsi: – Sei venuto tu, e non quello che poteva guarirmi, Humphrey! Lo aspettavo da secoli… Da sempre! Tu! Tu lo hai ucciso. Se tu almeno ti fossi impadronito del suo sangue, ora avresti la sua saggezza; ma lo hai soltanto distrutto! Questo plenilunio vedrà la mia morte o la mia rinascita! – disse il « Regnante », a fatica.
Badwell cercava con tutte le sue forze di distruggerlo.
Ma il regnante sembrava dotato d’una forza sovrumana, e Badwell a poco a poco si convinceva dell’inutilità di lottare contro quella creatura della sua stessa specie, ormai, e visse inconsciamente l’esperienza di che cosa provi una belva lottando contro un’altra.
Riuscì a divincolarsi, e ansimando paurosamente saltò all’indietro, si mise ad osservare l’essere che lo fronteggiava minaccioso, pronto ancora a lottare su di lui per finirlo.
Ora non lo stupiva più che il « Regnante » capisse i suoi mugolii, o che egli capisse quelli della mostruosa creatura che lo sovrastava.
– Aspetta!… Perché Humphrey mi ha mandato qui? – chiese.
L’altro lo fissò con i suoi occhi gialli, dilatati.
– Perché io potevo guarirlo. Io potevo trasfondere tutto il sangue umano che mi è rimasto in lui. Con il mio cuore!…
Corse a un angolo della tana nel ventre della terra, ne raccolse una specie di corona fatta con un serto di rovo spinoso.
– Ecco! – disse, mostrandolo a Badwell, come trionfante. – Questo cingerà il tuo cuore sanguinante. E’ il segno di Nostro Signore.
– Qual’è la nostra origine? – chiese Badwell, ormai fuori dall’angoscia del dover morire.
Il « Regnante » lo osservò a lungo, la lingua di fuori dalle fauci armate dei duo terribili canini, il lungo muso da lupo teso in avanti, le orecchie aguzze ed irte, continuando ad ansimare come fanno i cani quando sono stanchi.
– Tu… non sai davvero?…
– No. Che mostruosa origine ci generò? Chi fu il primo maledetto?
– Caino fu il primo licantropo.
Badwell ascoltava, attento a tutti i gesti dell’altro. Sapeva che stava per esserne sopraffatto, ma non provava alcun senso di paura. Aveva a sua volta un disperato bisogno di uccidere.
Nella sua mente per metà restata umana comprese di avere un vantaggio, che forse avrebbe risolto a suo favore la lotta: l’altro era in quello stato da un tempo infinito; lui, viceversa, solo un’ora prima era ancora un uomo, capace delle astuzie di un umano.
Rammentò d’avere nella tasca qualcosa che poteva produrre fuoco. Era l’accendisigari, e con estrema fatica lo trasse, usando la sua mano-zampa.
Quando il « Regnante » gli si lanciò ancora addosso, accese il piccolo ordigno, dando fuoco al vello fulvo che ricopriva ormai interamente il corpo del mostro.
Un sinistro ululo echeggiò nella tana. Il pelo prese fuoco rapidamente.
Ma Badwell non voleva che quel corpaccio andasse distrutto dalle fiamme, e approfittando del terrore primordiale, ancestrale dell’altro, lo sgozzò con una rapidità impressionante. Come l’altro cadde, lo rotolò sul fondo sabbioso della tana: il fuoco si spense.
Con il respiro a tratti rotto da invocazioni Badwell gli si avvicinò digrignando i denti, il petto gigantesco scosso da una respirazione anormale. E cominciò a cercargli il cuore.

IL MOSTRO SI LECCA LE FERITE
La pattuglia giunse nella radura. Il comandante, un sergente che aveva al suo attivo le maggiori campagne di quegli ultimi anni, dette l’« alt! ».
Qualcuno giungeva dall’apice della collina. Così, da lontano, non era possibile vedere di chi si trattava. Ma a mano a mano che l’uomo si avvicinava sotto la luce lunare che allagava la boscaglia e rendeva argentee le foglie degli alberi, tutti riconobbero in lui con orrore qualcuno che « non poteva trovarsi lì, a un tiro di fionda da loro ».
Il sergente non riuscì a tenere gli uomini, che si allontanarono, alcuni segnandosi, altri con aperta viltà.
Il sottufficiale parve pensare al da farsi. Quindi si voltò anch’egli, e si allontanò rapidamente, il dito sul grilletto del fucile, voltandosi a tratti per vedere se quell’uomo stesse seguendolo.
Badwell si stupi di quell’improvviso voltafaccia. Avrebbe voluto chiamare i suoi uomini, ma preferì non farlo. Intendeva prima rimettersi in ordine, concentrarsi, dimenticare almeno quello che era successo poco prima nella tana.
Ora non poteva più temere l’acqua. E al primo ruscello si lavò dei grumi di sangue, cercò di riassettare gli abiti macchiati di sangue.
Non ricordava proprio come avesse fatto ad imbrattarsi in quel modo.
Forse, si disse, sono stato a caccia, non me lo ricordo…
Bevve avidamente. Temeva un’altra crisi della sua orrenda malattia. Si sentiva spossato, come se avesse lottato per ore contro una torva di giganti.
Si sentiva ferito all’addome, ma era una cosa superficiale. Quello che lo impensieriva di più, erano gli squarci alla pelle del viso che si era procurato nella lotta nel covile.
L’uniforme era a brandelli. I piedi, inspiegabilmente scalzi, erano feriti in più punti, e camminava solo a prezzo di indicibili sofferenze.
S’era già cercato un alibi. Aveva intravisto il misterioso individuo, una specie di brigante, e lo aveva inseguito, raggiunto, e ne era stato sopraffatto dopo una dura lotta: era una versione credibile. Ma gli uomini s’erano dati alla fuga, vedendolo. Non aveva più l’aspetto mostruoso della belva assetata di sangue. Il cuore del « Regnante » lo aveva « guarito ».
Per sempre?… Lo sperava. Se no? Come avrebbe fatto? come avrebbe potuto celare l’orrenda seconda natura che lo assaliva con la sua furia immensa?
Ma perché i suoi uomini erano fuggiti, vedendolo? Si passò le mani sul viso che era tornato glabro, « umano », così come era « prima del contagio di Humphrey ».
Ad ogni passo che lo separava dall’accantonamento, sentiva le forze mancargli. Forse, gettandosi sulla sua brandina, avrebbe compreso che strano inammissibile scherzo gli aveva giocato la sua psiche intorpidita dalla guerra.
Sarebbe andato a trovare Delia, si sarebbe trattenuto fra le morbide, candide braccia della sua ragazza: forse, solo allora avrebbe riacquistato la sua esatta valutazione della realtà oggettiva: ora, no. Ora non era ancora in possesso della necessaria serenità, sentiva disturbi al capo, e una strana stanchezza, che non gli derivava dall’esser stato in quelle condizioni orrende. Si sentiva come vecchio, stremato, prossimo a chiudere i suoi giorni per senilità naturale.
Quando giunse all’accampamento, la sentinella, vedendolo sopraggiungere, ebbe un’espressione terrificata. Abbandonò il suo posto e si dette alla fuga come avevano fatto gli uomini nel bosco.
Altrettanto fecero gli altri, vedendolo comparire. Intorno a lui si fece il vuoto. Si trascinò a fatica sino al suo quartierino. Nel buio della stanza trovò a tentoni l’interruttore della luce, che inondò la stanza d’una pioggia dorata. Solo allora, guardandosi allo specchio, vide che Humphrey era sopravvissuto fisicamente in lui: un vecchio cadente, con i capelli bianchi e le membra deboli. E comprese che la licantropia di cui era affetto Humphrey, e che gli era stata contagiata, sarebbe tornata. Presto.
Molto presto.

NOTE
Racconti rari riscoperti da Sergio Bissoli. Verrà il plenilunio di Louis Trevor, apparso in Italia nel Giugno 1962 sul numero 1 di “Terrore”, edito da Sansoni e pubblicato per la prima volta su Planet Ghost.

Curiosità:
Il volume della Sansoni ha una copertina plagiata da un libro inglese (Manhunt).
Luis Trevor è lo pseudonimo di Nino Nava. Adoperava questo pseudonimo anche per scrivere gialli. Eccone uno: La lenta strage, Editore Mario Raffi. All’interno c’è il nome del falso traduttore: Nino Nava.
Mario Raffi è diventato editore ma scriveva  nei Gialli Erp. Ha scritto anche un Racconto di Dracula: Una bara per due, Wallace Mackenztzy. Falso traduttore Mario Raffi.
Per maggiori informazioni vedi Bissoli Sergio Il mistero dei Racconti di Dracula, editore Lulu.com.

La copertina di Terrore 1
La copertina plagiata.

Fonti di questo articolo:
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