Una macchina fotografica serve innanzitutto per immortalare attimi di vita e momenti memorabili, sia nell’arte che nella vita quotidiana. Nei film horror ma anche nei thriller, viene spesso identificato come uno “strumento del diavolo”, capace di evocare, intrappolare anime o aprire universi pericolosi. Quindi non è certo un tema nuovo né rivoluzionario quello che sta al centro di questo film. Però leggendo la trama, un po’ di potenziale sulla carta lo aveva, qualcosa che solleticava la curiosità si poteva trovare, e sinceramente mi aspettavo uno sviluppo degno di nota, soprattutto se viene usato un argomento così abusato in pellicole precedenti come “Dead still” e “Smile”. Il risultato invece è un po’ stiracchiato.

Trama: Jack Zeller è un fotografo di guerra traumatizzato da un episodio scioccante e che soffre di una sindrome post traumatica per aver visto uccidere un bambino e averlo fotografato invece di aiutarlo. Tornato a casa, è tormentato dai sensi di colpa e si ritrova in uno stato di black out totale, tanto da non riuscire più a fare fotografie. La moglie Claire, agente immobiliare, gli rimedia un colloquio presso il suo capo e, per riuscire a sbloccare l’animo tormentato del marito, gli regala una vecchia macchina fotografica. Dopo un iniziale rifiuto, Jack decide di impugnarla e comincia a immortalare attimi di vita quotidiana, girando senza meta per la città. Quando porta a sviluppare i primi rullini, scopre che le foto sono stranamente in bianco e nero e ritraggono i luoghi che aveva inquadrato ma le persone sono defunte, con data e ora della morte come fosse una premonizione. Il problema è che in una di queste c’è anche la moglie.

Gli elementi per ottenere un discreto film ci sarebbero tutti, specialmente nell’attimo della “svolta” in cui Jack trova una nuova ragione per uscire dallo stato vegetativo in cui è piombato. Dopo aver casualmente capito che può prevedere questi incidenti mortali, si mette in testa di diventare una specie di eroe anonimo che salva le persone. Ma la cosa non va proprio come aveva preventivato…soprattutto nel momento in cui vede ritratta in una sua foto la moglie, riversa sul marciapiede vicino al loro ristorante preferito, con una pallottola all’addome. Una serie di eventi fortuiti scaturiti da Jack che cerca di salvare la moglie, fanno sì che a morire nella stessa identica maniera è invece un barbone, che alla fine è riverso su quello stesso marciapiede nella stessa posizione in cui è Claire nella foto e alla stessa ora indicata: riguardando la foto, al posto di sua moglie Jack vede ritratto il barbone morto. Sembra che il pericolo sia scampato. Invece no! Tanto il concetto è sempre quello, non si scampa dalla morte che ha deciso di prenderti: perciò Jack trova un’altra foto che ritrae la morte della moglie. La sua missione diventa dunque impedire che la foto si “realizzi”, uccidendo qualcun’altro nel solito momento, alla stessa maniera e ponendolo nella solita posizione della foto, come sostituto della moglie. Jack dovrà pianificare gli omicidi, che risulteranno goffi e divertenti, da buon serial killer in erba quale è, ma abbastanza efferati e con conseguente abbondanza di sangue (una scena addirittura farebbe impallidire il “buon” Ittenbach). Ad accompagnare la sua nuova condizione di vita c’è una componente allucinatoria che segue Jack come fosse il suo angelo custode, o per meglio dire come un uccellaccio del malaugurio, che lo mette spesso in condizioni di disagio, soprattutto quando perde i sensi e non si ricorda nulla. E di conseguenza noi spettatori non sappiamo dove iniziano le sue visioni e dove sia la realtà, soprattutto se pensiamo che è la macchina fotografica a procurargliele, quasi si sentisse offesa se Jack non fa ciò che lei vuole. Inutile dire che ci troviamo di fronte a una situazione che ricorda senza dubbio “Jacob’s Ladder” di Adrian Lyne, ma molto più lucida ed emotivamente (purtroppo) meno carica. Il problema del film si avverte a metà della narrazione, quando prende una piega inaspettata ma non in senso buono, cercando di affibbiare una spiegazione quasi razionale alla parte soprannaturale… e la cosa non funziona! Anzi fa l’effetto di fumo negli occhi, con una suggestione un po’ troppo inconcludente e che a mio avviso annoia. Ciononostante Koontz ci mette impegno, con una regia sincopata che fa dei salti temporali da mal di testa, ma alquanto efficaci per descrivere il delirio del protagonista (un Christopher Denham che sa fare molto bene lo psicopatico). In definitiva un filmetto senza infamia e senza lode, che ha buoni spunti ma non soddisfa pienamente.

Camera obscura
Regia di Aaron B. Koontz
Usa, 2017
Con Christopher Denham, Nadja Bobyleva, Catherine Curtin, Chase Williamson, Noah Segan.
Genere: thriller, horror.

Voto: ***

Trailer: guarda il trailer ufficiale

Camera obscura di Aaron B. Koontz

Camera obscura di Aaron B. Koontz

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