Volano gabbiani a caccia di prede sulla banchina del vecchio porto davanti alla mia casa e le prime rondini d’aprile lanciano grida sotto tettoie di lamiera corrose dal salmastro. Soffia dal mare vento di scirocco, un’umida sensazione di fastidio penetra la mia pelle e affiorano ricordi lontani. La memoria carezza rumori d’onde e scruta il futuro, mentre la primavera mi cattura e con lei la nostalgia delle cose perdute. Sono passati mesi dalla mia avventura con quel folle poliziotto che uccideva ragazze nella villa. Ho rischiato di morire scannata da un coltello affilato che ancora tormenta sogni disperati. Mi sento sola senza Marco e adesso che è morto comincio a capire che forse sarei stata capace di amarlo. Adesso che tutto è finito resta soltanto questa prateria di mare dove galoppano i giorni. Lo sguardo scopre il tramonto del sole e scruta il futuro, sino a scovare calette misteriose di vecchi approdi dove gettano le reti barche di resina costruite sulla rada del piccolo porto. Vedo dal balcone vecchi pescatori che escono di buon mattino e rientrano a tarda sera. Allegri, insoddisfatti, cupi, stanchi dopo una giornata trascorsa sulle strade del mare. Il gioco dei venti è la loro vita. Hanno per compagne le onde che scuotono la resina modellata della paranza. Sono sola con i miei ricordi e non ho neppure il mare per compagno, lui è solo spettatore della mia vita. Un maledetto giorno di libeccio si affaccia alla memoria con il primo caffè del mattino. Guardo le onde che frangono la costa e mi lascio vincere dallo sconforto, lascio cadere una lacrima dagli occhi e scavo nel dolore del passato. Il grido davanti al corpo senza vita di Marina e la scoperta terribile del suo assassino. Mio padre che mi stringe forte la mano. “Staremo sempre insieme, piccola mia” diceva. E invece adesso non ci sei neppure tu, caro papà. Nella tua casa sul mare vago per le stanze in cerca di un sorriso che ritrovo tra mobili e pareti dove ti sei aggirato per anni. La morte ti ha sorpreso nel tuo letto e un infarto maligno non ci ha lasciato il tempo di parlare. Ricordo che il pianto mi si fermò nel cuore e adesso rivivo quel dolore, getto lo sguardo oltre l’orizzonte e conto i sogni che ho perduto. Il mio potere serve pure a questo e fa bene al cuore sentire ancora le tue mani che mi ravviano i capelli prima di dormire o riascoltare le fiabe che raccontavi da piccina. La tua anima si aggira per queste stanze e mi tiene compagnia nei momenti che mi sento troppo sola. La tua voce calma che sussurra parole di conforto non è come il ricordo di Marina che porta solo angoscia. Tu resti ancora la sola certezza della mia vita, pure se troppo poco è rimasto per poter sorridere e la mia solitudine è solo un tributo per quel dolore. Osservo gli scogli lontani, i battelli attraccati a riva accanto a uomini stanchi poco oltre la collina che dà le spalle a Porto Fabbrica, vicino al piccolo porto c’è il cantiere dove mio padre ha lavorato sino all’ultimo giorno. Devo passare dagli uffici per parlare con il direttore dei lavori che ieri sera mi ha chiamato per telefono. Non mi occupo direttamente della produzione. Sono cose di cui non mi intendo, anche se mio padre ha passato la vita in mezzo a quelle barche. Ho affidato tutto a Vittorio, il suo uomo di fiducia, un ragazzo in gamba che conosce tutti i trucchi del mestiere. Mi comunica solo le cose più importanti e prendiamo insieme le decisioni che contano. Mi fido di lui, come si fidava mio padre.
Esco di casa senza l’auto. Gli uffici del cantiere non sono lontani e poi oggi è giorno di mercato e non voglio perdermi la festa di colori e rumori, tra bambini che giocano sporcandosi le mani con frattaglie di pesce, gabbiani che si cibano di avanzi e pescatori che gridano per far avvicinare gli acquirenti alle casse. Passo davanti al bar del porto, ritrovo di pescatori che si raccontano il mare, gente che beve un bicchiere di bianco e parla della pesca. Sul porticciolo un soffio di scirocco mi sconvolge i capelli, mentre le palme del lungomare si gettano nella tormenta. Piove, ma è una pioggia sottile che quasi non si sente, è la pioggia dello scirocco nelle giornate di aprile. Alzo il bavero della giacca, non ho l’ombrello e tutto sommato mi piace sentire il profumo del mare. Una coppia di cormorani vola sull’acqua cercando riparo tra gli scogli, mentre gatti arruffati e selvaggi si rifugiano tra le barche, portandosi dietro qualche testa di pesce sottratta ai gabbiani. Nel silenzio rotto soltanto dal rumore del mare e dalle voci del mercato come sempre credo di udire una voce lontana. Ed è la stessa voce che si stempera come un lamento. Io e Marina, tra il sapore del pesce e del salmastro, corriamo ancora una volta verso casa, gareggiando come due ragazzine, sulla sabbia bagnata della spiaggia di Porto Fabbrica. So che devo affrettarmi e pensare a cose reali se non voglio che l’angoscia s’impadronisca della mia vita.
Gli uffici del cantiere sono poco distanti dal luogo della produzione. Non è un appartamento molto grande. Quello che serve per un paio di scrivanie, telefono, fax, computer con collegamento internet e un piccolo archivio. Il cantiere è ben avviato, ma non occorrono molte scartoffie, quello che conta sono le attrezzature e gli operai altamente specializzati. Gli uffici servono per ricevere i clienti importanti e per tenere la contabilità, tutte cose di cui si occupa Vittorio insieme a un paio di impiegate. Mi riceve al suo tavolo da lavoro pieno di carte e appunti disposti senza un ordine preciso, cellulare a portata di mano, sorriso aperto. Non è un brutto ragazzo. Lui ci prova spesso, ma io l’ho sempre scoraggiato perché non voglio mischiare lavoro e sentimenti. E poi sino a poco tempo fa c’era Marco nella mia vita.
“Si tratta di un affare importante, Laura” dice.
“Sei tu che conosci la situazione. Firmiamo, se pensiamo di farcela”.
“I giapponesi sono il mercato del futuro. Se entriamo siamo a posto”.
Lo dicono tutti che i mercati asiatici sono in espansione. Lo so anch’io che sul quotidiano leggo solo cronaca nera e poche notizie di attualità. Vittorio sa quel che fa e la sua esperienza è fuori discussione, ma sono la proprietaria e quindi spetta a me decidere.
“Va bene. Fammi avere quello che devo firmare”.
“Preparo il contratto prima possibile”.
Nella scrivania accanto una delle segretarie sta lavorando al computer. Mi sorride. Un’ampia vetrata mostra il cantiere dove procedono i lavori per produrre le imbarcazioni di una vecchia commessa. Scorgo anche il porto in lontananza e il mare che frange le scogliere.
Mi alzo e saluto Vittorio. Lui ricambia con un sorriso.
“Magari ti invito a cena quando è pronto il contratto” dice.
“Devo farlo io. Tu non sai che sono un’ottima cuoca…”
“Guada che ti prendo in parola”.
“Fai bene perché dico sul serio. Ti aspetto domani alle otto”.
“Non posso certo mancare. Il contratto sarà pronto a tempo di record”.
Questa volta saluto davvero ed esco tra la pioggia di aprile e il vento di scirocco. Vittorio si meritava un invito a cena dopo tutto il lavoro che fa per il cantiere. Se ne occupa come se fosse suo e lavora con la stessa passione di mio padre. È un ottimo collaboratore, un ragazzo fidato come se ne incontrano pochi. E poi sono stanca di passare le serate da sola. Non posso vivere solo di ricordi.
La cena è stata molto intima. Io e lui da soli davanti a spaghetti di mare e pesce arrosto con patate innaffiato da un Est Est Est fresco come piace a me. Alla fine abbiamo alzato un po’ il gomito, pure perché ho servito la zuppa inglese con lo Zibibbo siciliano che tenevo in ghiacciaia. Vittorio ha apprezzato la mia cucina e mi ascoltava serio pure quando mi sono messa a raccontare la storia del messo papale che cerca il vino più buono e segna i poderi con la parola Est. Lo faccio sempre quando bevo il mio vino preferito, soprattutto se esagero. Forse questa sera avevo bisogno di andare sopra le righe, mi sa che era l’unica cosa da fare per cercare di dimenticare. Fatto sta che dopo cena ho firmato il contratto per i giapponesi, ma poi io e Vittorio siamo finiti a letto insieme. Lui era tanto che aspettava questo momento, lo sapevo che non mi vedeva solo come la padrona della ditta e che il suo non era semplice attaccamento al lavoro. Devo dire che mi è piaciuto farmi stringere dalle sue mani forti e sentirmi penetrata e protetta dopo tanto tempo che non abbracciavo un uomo. Non avevo più fatto l’amore dopo la morte di Marco e cominciavo a sentirne il bisogno. Inutile nascondere a me stessa che l’invito a cena di stasera era soltanto una scusa per creare l’occasione. Vittorio non aspettava altro e io volevo vedere come sarebbe andata a finire. È stato bello, non c’è che dire. Vittorio è un ottimo amante oltre che un buon direttore per il cantiere. Sono due aspetti importanti ed entrambi da non sottovalutare in un uomo che mi deve stare vicino. Lo so che l’amore è una cosa diversa, ma per ora non mi interessa più di tanto. Mi piace la mia indipendenza e voglio essere libera di restare sola nella mia casa che si affaccia sul mare e scopre le isole dell’arcipelago. Stasera volevo avere un uomo nel mio letto, ma non per questo devo condividere con lui tutta la vita. Vittorio non la pensa come me, ma non importa perché sono io a condurre il gioco.
“Quando ci rivediamo?” sussurra mentre mi bacia.
“Lavori per me, no? Ci vediamo e ci sentiamo quasi ogni giorno…”
“Ma tra di noi non è cambiato niente?”
“Siamo andati a letto insieme e abbiamo fatto l’amore”
“Ti pare poco?”
“No, visto che siamo stati bene insieme”
“E allora?”
“Allora non roviniamo tutto proprio adesso. Certo che ci vedremo, ma senza promesse e senza obblighi. Soprattutto senza imporre niente a nessuno…”
Vittorio mi guarda con un’espressione abbattuta.
“Ma io ti voglio bene…” dice.
“Pure io te ne voglio, ma è presto per fare certi discorsi”.
Ci baciamo. Vittorio si riveste lentamente. Avrebbe voluto rimanere a dormire da me, ma preferisco che torni a casa sua.
“Domani avrò molto da fare” dice.
“Se non ci fossi tu a mandare avanti il cantiere…”
Vittorio mi saluta e io lo accompagno con lo sguardo affacciata al balcone della mia casa. Lui si allontana lungo i parapetti del vecchio molo mentre le industrie scaricano nuvole di fumo bianco nel cielo nero della notte. È un bravo ragazzo,Vittorio. Per me è una persona importante, ma non è ancora il momento di promettere il futuro…
Il giorno dopo sono di nuovo sola nella mia casa affacciata sul mare e prima di farmi assalire dai pensieri del passato decido di uscire per andare in spiaggia. Il mio balcone si affaccia su un piccolo stabilimento balneare ancora poco affollato e una serie di barche ormeggiate in un porto turistico che nei giorni di scirocco riempie l’aria di cattivi odori. Nafta, benzina, gas di scarico frammisti al caldo appiccicoso. In questa città lo scirocco è come una vecchia maledizione che non si può scacciare, dà tregua per pochi giorni poi torna all’assalto e opprime togliendo la voglia di fare.
Quando arrivo in spiaggia vedo solo famiglie e ragazzini. A Porto Fabbrica nel mese di aprile si comincia a sentire la voglia di mare, anche se la stagione è sempre fresca. In questa spiaggia vengono soprattutto studenti che non hanno l’età per guidare un’auto e non possono raggiungere località fuori porta. Non è un luogo chic. Non è alla moda. Oggi più che mai. Non posso fare a meno di ricordarla quando ero una bambina, con quella rena fine e bianca, la palafitta sul mare, il ristorante, il venditore di granite. La mia spiaggia sembra una donna di mezza età che è stata molto bella e che adesso non prova neppure a truccarsi per nascondere il passare del tempo. Uno stabilimento balneare si è ritagliato uno spazio vitale tra i ciottoli portati a riva dalla corrente, file di ombrelloni puntellano la spiaggia sino alla battigia, la rena è stata sostituita da terra che emana un odore penetrante. Cerco un posto tra residui di alghe e scogliere. Mi sdraio. Ho portato con me un bel romanzo horror, una cosa di uno scrittore italiano che parla di presenze inquietanti e misteriose. Proprio quello che ci vuole per non pensare. È presto per entrare in acqua e poi il mare è limaccioso e manda un odore fetido. Nascosta dalle lenti scure degli occhiali da sole osservo la spiaggia in movimento. Setaccio la varia umanità che popola un angolo di mondo. Persone che si riparano dal sole sotto un ombrellone, bambini che giocano, genitori che sgridano. Mi addormento al sole, senza volerlo. Addormentarsi in spiaggia è una delle cose peggiori che possono accadere se non si possiede un ombrellone. Mi sveglio con il corpo indolenzito e i dolori alla schiena. Vado al bar e ordino dell’acqua minerale ben fredda. Ne mando giù un paio di bicchieri. Adesso sto meglio. Mi siedo fuori dal locale, una pergola di edera e uva selvatica rinfresca per un attimo i miei pensieri. La mia attenzione è attratta da un gruppo di ragazzi sui quindici anni. Ripenso ai miei quindici anni e ai sogni d’un tempo. Difficile dire se possiamo avere qualcosa in comune perché le generazioni passano in fretta. Mi colpisce soprattutto un ragazza che non indossa il costume da bagno ma sta in spiaggia vestito, quasi andasse a una festa. Scarpe da tennis, maglietta e pantaloni corti. Pettinatura curata. Non è uguale agli altri. Non sembra ben integrato nel gruppo. Infatti lo deridono. Uno dei ragazzi, quello con la corporatura più atletica, lo sbeffeggia. Dal tavolo del bar non comprendo bene le parole, però posso immaginare. Gli sfottò sono sempre stati gli stessi, in fin dei conti. Il ragazzino vestito di tutto punto ha in mano un libro. Sta leggendo. Volta le pagine con cura e non risponde alle risate degli amici. Un flashback inaspettato penetra la mia mente. Non riesco a capire che cosa sia, se un sogno che viene dal passato o una premonizione. Quando non ci sono presenze di morti il mio potere non dovrebbe agire. Capita però che osservo il ragazzino e vedo la sua vita come in un film. Un ragazzo che tutti giudicano strano. Non legge fumetti, non ama i videogames e la playstation, usa il computer solo per scrivere poesie e anche quelle prima le butta giù su di un quadernetto con la copertina nera e le pagine ingiallite. Legge molto. Cita a memoria titoli e pagine di Thomas Mann e Proust. I ragazzi della sua età lo evitano come un appestato. E lui in fondo è triste perché sa che non può essere come loro, il suo sogno è quello di diventare un poeta, uno scrittore, vorrebbe cambiare il mondo e non sarà mai in grado di farlo. I compagni di scuola non lo comprendono. Non possono farlo. Lo sfottono spesso alla fine delle lezioni, mentre attende l’autobus che lo porta a casa. Il ragazzo è figlio di operai e vive nella città vecchia, tra lo spolverino delle acciaierie e l’odore intenso del mare. Lui li lascia fare e sorride. Ma è un sorriso amaro. Ha tra i denti parole terribili che sento penetrare la mia mente. Se solo dicesse: “Un giorno o l’altro ve la farò pagare, brutti bastardi…” potrebbe far vedere che ha il coraggio di resistere alla vita. Se solo lo dicesse. Invece sento una voce flebile: “Quando mi ritroveranno con quella corda appesa nel bagno forse capiranno…”. Parole pesanti come una condanna a morte. E io sono sconvolta dai miei pensieri. Non so se si tratta di sogni o realtà inconfessabili. Vorrei dirgli che non serve morire per far capire qualcosa agli altri. Vorrei accarezzare la sua fronte e sussurrare ai suoi orecchi che bisogna trovare la forza di continuare a vivere. Ma lui non ce l’ha. Di questo sono sicura. Purtroppo in questi casi il mio potere non serve, non posso fare niente per lui…
Torno sulla spiaggia. Mi siedo sul telo e guardo il mare.
Accanto a me vedo una ragazza con un costume provocante composto da un sottile perizoma rosso, stringe forte il suo ragazzo che l’abbraccia con passione. L’uomo accarezza la donna, incurante degli sguardi di disapprovazione che cadono su di loro. Non si preoccupa neppure del figlio che gioca poco lontano. Adesso si stanno baciando. Sono proprio una bella coppia, penso. Un marito e una moglie che conservano la passione dopo anni di matrimonio non è facile trovarli. Sono contenta quando scopro che l’amore esiste. E questi due hanno un bambino di quasi cinque anni, quindi è da un po’ di tempo che stanno insieme. Prima si saranno frequentati da fidanzati, come usa. Vuoi vedere che si conoscono da una decina d’anni e ancora si vogliono bene come due ragazzini? Sono contenta di scoprire una realtà insolita. L’amore non si logora sempre, a quanto pare.
Le parole di un’anziana signora distolgono la mia attenzione.
“Che schifo si deve vedere in una spiaggia. Ci manca che si mettano a fare l’amore e poi siamo arrivati”.
La guardo, al riparo dei miei occhiali da sole con le lenti scure.
Ci mancava la ventata di perbenismo. Come se lei non l’avesse mai fatto quando era giovane. Come se non le piacerebbe ancora poterlo fare. L’ipocrisia è una cosa che non sopporto.
“Di questo passo il mondo diventerà un casino” continua.
Parla tra sé a voce alta. Il marito è seduto su di una poltrona di plastica e tela e non interviene. Sta leggendo la Gazzetta dello Sport e la sua maggior preoccupazione è la campagna acquisti della Fiorentina.
Lei invece insiste.
A un certo punto sento delle grida provenire dal posteggio vicino all’ingresso della spiaggia. In molti si voltano a guardare.
Vedo la figura di un uomo scendere dall’auto e dirigersi verso la spiaggia a passo rapido e sicuro. Adesso è vicino. Sta urlando e comprendo bene le sue parole. Non sono più un gridare indistinto.
“Puttana! Maledetta puttana!” urla.
Ha una pistola in mano. Non ho neppure il tempo di vedere il modello. Pare una pistola di quelle in uso alla polizia o all’esercito. Forse è un militare di professione.
“Puttana!” ripete.
Adesso è vicino a lei. La donna è spaventata. Si alza. Tenta di parlare. Si avvicina al figlio come per proteggerlo. Ma non riesce a far niente. L’uomo scarica su di lei tre colpi in rapida successione. L’odore della polvere da sparo si confonde al puzzo della nafta perduta dalle imbarcazioni e il rumore dell’arma da fuoco rompe il silenzio irreale di quella giornata d’estate. Poi passa al compagno. Lui accenna una fuga impossibile. Ha paura. Vedo il bambino che piange. Non comprende niente di quello che accade. Nessuno comprende. Altri colpi. Altro sgomento e paura. Un lago di sangue colora di rosso un angolo di spiaggia. Un miscuglio di sangue e di rena.
Non erano moglie e marito. Adesso che la donna è morta e non ho potuto fare niente per lei, comprendo tutto della sua vita. Il mio potere non mi ha permesso di aiutarla, come non mi farà salvare quel ragazzino dal suo futuro. Comprendo le cose quando sono già accadute, purtroppo. Questa è la mia condanna. A cosa mi serve conoscere il passato di un cadavere crivellato di colpi? Soltanto a soffrire. Il marito stringe ancora tra le mani una pistola fumante.
La spiaggia è in subbuglio. Gente che corre, che grida. La vecchia signora accanto a me chiede aiuto, i ragazzini sbigottiti non sanno che fare, qualcuno di loro è rimasto nell’acqua con la palla in mano e pare adesso una statua di pietra. Dal bar qualcuno avrà avvisato la polizia, spero. Il marito intanto si è seduto accanto ai due amanti trucidati e attende. In silenzio. Ha preso il bambino con sé. Accarezza il corpo della moglie sporcandosi di sangue, poi stringe forte il figlio con quelle mani lorde e piange. Forse soltanto adesso comprende l’orrore di quello che ha fatto. Mentre in lontananza odo le sirene della polizia mi assale l’angoscia di non aver potuto fare niente per loro…
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L’AUTORE
Gordiano Lupi ( 1960) – tre volte presentato al Premio Strega – ha dedicato alla sua città: Lettere da Lontano, Piombino tra storia e leggenda, Cattive storie di provincia, Piombino leggendaria, Piombino a tavola, Alla ricerca della Piombino perduta, Calcio e acciaio – Dimenticare Piombino, Miracolo a Piombino – Storia di Marco e di un gabbiano, Piombino con gusto, Sogni e altiforni – Piombino Trani senza ritorno (con Cristina de Vita) oltre a un sacco di racconti e articoli di cui non è facile conservare traccia. Molti racconti piombinesi sono sul blog TUTTOPIOMBINO edito ogni domenica dal quotidiano telematico QUI NEWS VALDICORNIA. Si occupa di cultura cubana, traduce ispanici, scrive di cinema e pubblica monografie su registi e attori italiani. Sito Internet: ww.infol.it/lupi. E – mail: lupi@infol.it. Blog di cinema: La Cineteca di Caino(http://cinetecadicaino.blogspot.it/). Blog di cultura cubana e letteratura: Ser Cultos para ser libres (http://gordianol.blogspot.it/)