Le visioni di Laura 6 - La casa scomparsa nel bosco di Gordiano Lupi

Le visioni di Laura 6 - La casa scomparsa nel bosco di Gordiano LupiLa notizia del giorno appassiona i vecchi pescatori che passano il tempo alla Marina guardando i colleghi più giovani che tornano dalla pesca con reti cariche di prede. Il sole riscalda un freddo mattino di febbraio nella città di mare e i vecchi ascoltano parole che riportano alla luce incubi lontani. Parole che qualcuno legge dal giornale del mattino. Parole che scoprono ricordi e paure nei loro pensieri.
Teschio nel bosco riapre un misteroDurante una romantica passeggiata nella macchia trovano il macabro reperto.
Un teschio in buono stato di conservazione che fa pensare a una morte avvenuta alcuni anni fa nella fitta foresta del Belagaio. “La foresta risucchia tra le sue spire chi vi si avventura” dicono i vecchi. “La foresta rapisce e non restituisce i corpi”. “La foresta divora come un orco famelico”. Il giornale racconta di una passeggiata tra i boschi del Belagaio, una foresta impenetrabile tra le colline che circondano Porto Fabbrica, che si trasforma in diabolica avventura per due ragazzi.
“Ricordate cosa accadde molti anni fa?” domanda uno dei vecchi pescatori con aria preoccupata.
“Eravamo più giovani, ma chi può dimenticarlo?” replica un altro.
“La foresta del Belagaio custodisce un triste segreto” fa l’ultimo.
Per puro caso mi trovo alla Marina e mentre ascolto le parole dei vecchi scatta la solita molla della mia curiosità. Mi piacciono le storie misteriose. Non per niente sono appassionata di racconti dell’orrore e quando ne incontro per strada sono sempre pronta a raccoglierle. L’unica cosa che ricordo sulla foresta del Belagaio riguarda il bandito Antonio Masini, detto Basilocco, che nel 1800 si era rifugiato là per scappare ai carabinieri. So che ancora oggi è una foresta impenetrabile, insidiosa, fatta di piante e strade bianche tutte uguali per ettari ed ettari, il luogo ideale per far perdere le proprie tracce e per isolarsi dal resto del mondo. Al Belagaio si sono persi molti cercatori di funghi e tempo fa anche due donne hanno rischiato di passare la notte in mezzo ai cinghiali. So che è una macchia pericolosa ma non ho mai sentito parlare di misteri e segreti, per questo mi avvicino ai pescatori e ascolto incuriosita.
“La casa scomparsa era proprio al Belagaio. Ne sono certo, anche se nessuno l’ha mai trovata”.
“Appare e scompare nelle notti di nebbia”.
“E non è solo la casa ad apparire…”
Sono ancora più incuriosita. Non ce la faccio a trattenermi e mi avvicino per chiedere spiegazioni. Posso sembrare un’impicciona che ascolta i discorsi degli altri, però voglio solo capire.
“Cosa è accaduto in quella foresta?” domando.
Uno dei tre vecchi pescatori gira la testa e mi guarda meravigliato.
“Davvero non lo sai?”
In questo paese nessuno si fa mai gli affari suoi e quindi i tre vecchi pescatori non si meravigliano se mi intrometto, anzi pare che non aspettino altro. Sono ansiosi di raccontare la loro verità.
“No, non so niente” rispondo. E attendo la spiegazione soprannaturale, la solita storia di fantasmi e diaboliche presenze che raccontano i pescatori. So come sono fatti questi uomini che passano il tempo a scrutare i venti di libeccio e maestrale. Quando andavano per mare favoleggiavano di mostri marini e di squali enormi che divoravano le reti. Adesso che da anni non prendono più il largo, mordono un sigaro toscano tra i denti, bestemmiano al vento le loro paure, masticano ricordi e inventano storie. Racconti d’altri tempi, di quando erano giovani e pieni di speranza, parole che li fanno sentire ancora vivi e che allontanano la paura della morte. Mi siedo su una panchina in marmo della piazza protesa sul mare, guardo una paranza che prende il largo seguita d un volo di gabbiani affamati e ascolto.
Il vecchio pescatore si schiarisce la voce e comincia a parlare.
“È una storia di molti anni fa. Me la ricordo bene perché da ragazzo ne rimasi sconvolto. Fatti come quelli non accadevano tutti i giorni”.
“Non era come adesso” aggiunge un altro.
“Ora sono diventate cose normali” fa il terzo.
Sono sempre più interessata a quella storia, ma pare che i tre vecchi me la vogliano proprio far sudare.
“Ma cosa è accaduto in quella foresta?” chiedo spazientita.
“Un brutto fatto di sangue in un periodo difficile della nostra città. Lui era un operaio che da quel bosco del Belagaio veniva ogni giorno a Porto Fabbrica con la corriera. A quel tempo la fabbrica dava il pane a molta gente e lavorare là dentro era un vero privilegio. Ma poi arrivò la crisi e l’uomo fu tra i primi a essere licenziato…”
Ascolto con attenzione ma non comprendo cosa c’entrino le vicissitudini operaie con i misteri della foresta. Conosco la crisi della fabbrica di acciaio e so che la città ha passato un periodo di fame e disperazione con tanta gente che emigrava per cercare lavoro. Mio padre me l’ha raccontato tante volte. È una storia dei primi anni Cinquanta. Lui diceva che ha superato la crisi perché aveva il cantiere.
“L’operaio del Belagaio non trovava lavoro, però aveva una moglie e un figlio da mantenere nella casa che si era costruito pietra su pietra in quel posto sperduto. Non sapeva che fare. Si sentiva inutile…”
Il vecchio fa una pausa per tirare il fiato. Raccontare quei fatti pare che gli metta addosso una grande angoscia. La storia di quella casa nella foresta è parte della sua giovinezza, un terribile ricordo che torna improvviso davanti ai suoi occhi.
“Sono io che ho trovato i corpi” dice il vecchio.
Una lacrima riga il volto scavato dalle rughe. Il terrore si dipinge sul viso scavato dal libeccio.
“Quali corpi?” domando.
“I poveri resti del bambino e di sua madre seppelliti alla meglio sotto un cumulo di terra. Non c’era rimasto molto. Poche ossa spezzettate, frantumate da colpi d’accetta. L’uomo li aveva macellati e scarnificati, credo che avesse mangiato parti dei loro corpi”.
“E l’uomo?”
“La carcassa del folle assassino pendeva da una quercia vicina. Un cappio legato alla gola e una smorfia di paura. I piedi ciondolavano nel vuoto. Dopo il gesto omicida si era impiccato”.
Una storia terribile. E io non ne sapevo niente.
“Davvero una storia macabra” concludo.
“Non è ancora finita” dice il vecchio.
Attendo il finale a sorpresa come si conviene a ogni buon racconto del terrore. Ormai sono un’esperta nel genere, da un po’ tempo a questa parte leggo solo storie di paura. Mi piace farmi spaventare, cerco solo quello dai racconti, non so perché, come se non ci fosse abbastanza orrore nella vita di tutti i giorni.
“Io ero nella foresta con alcuni amici per cercare funghi. Siamo andati subito a cercare aiuto per far portare via i cadaveri, ma quando siamo tornati con i carabinieri sul luogo dell’eccidio non c’era più niente”.
“Come sarebbe a dire?”
“I corpi erano spariti e non c’era neppure l’uomo impiccato. La casa dove vivevano si era volatilizzata nel niente”.
“Impossibile…” dico.
“L’ho pensato tante volte anch’io che fosse una storia assurda. Credevo di aver sognato, di essermi immaginato tutto, però eravamo in tre ad aver visto quella orribile scena. I miei amici sono morti anni dopo e io resto il solo testimone di quei fatti”.
Penso che il vecchio ha molta fantasia. I suoi compagni rincarano la dose e dicono che la foresta nasconde ancora oggi un terribile segreto e che le persone non ne escono fuori, se si trovano a passare dalle parti della vecchia casa scomparsa. Nessuno sa dove sia, ma a chi la vede non resta tempo per raccontarlo. Lo so che sono tutte storie, l’ho messo in conto dal momento che ho chiesto di farmele raccontare, ma ogni volta capita che resto sbigottita dalla fantasia delle persone.

Rientro a casa e non riesco a smettere di pensare a quella vecchia storia, anche perché il giornale di oggi riporta un lungo articolo sul mistero del Belagaio. Tra un po’ deve passare Vittorio, gli ho promesso che usciremo insieme, ma intanto sono sola e nessuno disturba la mia lettura, seduta sul divano, giornale tra le mani.
Il teschio recuperato aveva una frattura alla base del cranio, forse la persona era caduta nel bosco dopo una corsa affannata perché il trauma era molto evidente. L’uomo aveva picchiato la testa o forse era stato colpito da un corpo contundente. Il cronista non sa spiegare l’accaduto, scrive solo che intorno al teschio non hanno trovato vestiti, né occhiali e neppure il resto del corpo. Il fatto risale ad alcuni anni prima, pure se non è facile dire quando e soprattutto come sia accaduto. C’è chi parla di un uomo inghiottito dal bosco, un cercatore di funghi scomparso, una persona che vagava da giorni senza trovare una via d’uscita. Ne ha parlato anche la televisione alcuni anni fa di una storia come quella su un uomo di quasi ottant’anni che soffriva di silicosi e problemi circolatori, smarrito nel bosco del Belagaio. Setacciarono le macchie in lungo e in largo ma non trovarono niente. Misero di mezzo pure un mago e addirittura un contingente di cavalleria. In un’altra parte dell’articolo si dice che l’uomo poteva essere un extracomunitario, un tagliatore di legna slavo. Ce ne sono molti in quella zona, adesso il più antico dei mestieri maremmani lo fanno soltanto loro. Tutto cambia, prima o poi. Tutto si modifica. Ma a parte le nostalgie, l’articolo dice che l’uomo potrebbe essere un albanese morto sul lavoro, uno che forse non era in regola e per questo non è stato denunciato. Una cosa terribile, un vero orrore, forse più di quelle storie di case e persone che appaiono nelle notti di nebbia raccontate dai pescatori. Ricordo che alcuni anni fa nel bosco del Belagaio ci nascosero persino una ragazza rapita e la tennero chiusa in un capanno sperduto in mezzo alla macchia infida e terribile. Forse era quella la casa dei racconti del pescatore? Anni dopo la polizia e i carabinieri hanno setacciato la macchia per cercare un altro rapito; il bosco del Belagaio offre rifugio sicuro a chi vuol far perdere le proprie tracce. Un vecchio c’è scomparso dentro e dopo dieci giorni che la famiglia lo cercava il bosco l’ha restituito cadavere. Un bambino è caduto nel pozzo di Sant’Antonio e per fortuna l’ha salvato un cacciatore. Un escursionista esperto si è perso mentre con la bicicletta percorreva le strade bianche del Belagaio. Dormì nella macchia al freddo e il giorno dopo vide in lontananza il castello che domina la foresta e trovò la via di casa. Lui almeno l’ha raccontata. La lettura del giornale mi fa appassionare ancora di più a questo mistero, così scopro la storia di due donne che si sono salvate grazie al telefono cellulare. I vigili del fuoco sono entrati nella macchia e le hanno trovate rannicchiate e impaurite ai piedi d’una vecchia quercia. Non ricordavano perché fossero entrate in quel bosco.
La voce di Vittorio interrompe i miei pensieri. Ha le chiavi di casa ed è entrato senza farsi sentire. Non ha fatto rumore o forse ero troppo presa dalla lettura.
“Ci sono grandi novità in cronaca, a quel che vedo…” ironizza.
“Mi sto documentando su un fatto che mi hanno raccontato tre pescatori di Marina”.
“Ho capito. Mistero in vista?”
“Penso proprio di sì. Queste cose mi affascinano più dei romanzi”
Vittorio è appassionato quanto me di misteri. Ci scambiamo i libri che compriamo sulle bancarelle, leggiamo i fumetti di Dylan Dog e vecchie storie di Dracula degli anni Settanta. La vera passione di Vittorio sono i film del brivido che non si stanca mai di guardare e spesso coinvolge pure me che non me lo faccio ripetere due volte. Vittorio ha già capito che domenica lo porterò sul luogo del massacro perché non posso fare a meno di andare a scoprire quella macchia impervia e paurosa.

Oggi è domenica e Vittorio mi accompagna con entusiasmo alla foresta del Belagaio. La giornata è grigia, il cielo quasi cupo minaccia pioggia, non è proprio il giorno più adatto per andare a fare una gita nei boschi. Ma ormai ho deciso. I racconti e gli articoli di giornale non bastano, per capire bene serve una visita al luogo.
Arriviamo vicino al paese di Civitella e fermiamo l’auto alla fine della strada pietrosa che tra sterpi e boscaglia conduce al paese, una mulattiera d’altri tempi che i boscaioli percorrevano con l’asino, proprio dove un cartello indicatore dice che stiamo entrando nella zona del demanio e che siamo vicini alla foresta.
“Mi sembra d’essere in un romanzo dell’orrore” fa Vittorio.
Un po’ è vero. Ce ne sono molte di storie misteriose che parlano di ragazzi che si perdono nel bosco e noi siamo al Belagaio proprio per capire il motivo delle sparizioni, per venire a capo di un mistero o per capire che non ci sono misteri. Sì, perché tanto lo so che la cosa più probabile è proprio quella. Gente che si perde nel bosco. Altro che misteri e sparizioni. Altro che case sperdute e corpi di impiccati che penzolano da rami di quercia nelle notti di luna piena.
“La macchia comincia qui” dico indicando un viottolo che conduce dentro una foresta di querce e di lecci.
“Andiamo” fa lui.
Vittorio sembra più coraggioso di me che adesso mica avrei tanta voglia di andarmi a infilare dentro quel ginepraio di sterpi e di arbusti, tra foglie secche e bagnate, muschi e funghi che crescono ai piedi di radici eterne.
“Mica avrai paura?” domanda.
Non rispondo. Ci avventuriamo tra la fitta boscaglia. Mentre cammino sposto i rami che cadono sopra le nostre teste e faccio un po’ di rumore con un bastone di legno che ho portato da casa per spaventare le vipere. Non si sa mai. Quelle sono un pericolo reale, di sicuro molto di più delle case stregate e delle presenze maligne. Vittorio ogni tanto si ferma a raccogliere funghi.
“Già che ci siamo ne approfitto” dice.
Crescono molti porcini nella foresta e poi non ci viene tanta gente a raccoglierli. Io ho altro da fare. Mi guardo intorno e osservo le piante, il muschio, la vegetazione da macchia mediterranea, i piccoli roditori, il paesaggio fatto di colline e sullo sfondo un castello diroccato. Questo posto mette davvero i brividi, non c’è che dire. Entriamo nel vivo della boscaglia che adesso si infittisce sempre di più sino a far scomparire ogni traccia di cielo. Non si vedono che i nostri volti in mezzo a quella macchia oscura, sentiamo solo i passi che crepitano sulle foglie secche, ogni tanto finiamo in una pozza d’acqua fino a metà gamba però andiamo avanti. Non credevo che fosse così difficile districarsi in questa foresta, pure se i pescatori mi avevano detto di fare attenzione e i giornali parlavano di labirinto di arbusti e di strade sempre uguali. Vittorio è subito dietro di me che si fa strada tra alberi che sporgono rami scheletriti davanti ai suoi occhi.
“Tu sai dove siamo?” domanda.
“Sì. Dobbiamo attraversare la parte più fitta di foresta per raggiungere la prima strada bianca che conduce al castello” rispondo.
“Forse è proprio il castello la misteriosa casa dei tuoi pescatori”.
“No. Non può essere. Il vecchio mi ha parlato di una casa nel bosco che appare e scompare. Sono tutte balle, lo so. Vaneggiamenti di un pescatore a riposo abituato a raccontare favole ai nipoti. Però secondo lui la casa dell’operaio era in mezzo al bosco”.
“Come poteva vivere qui dentro?”
“A quel tempo il posto non era così selvaggio. L’uomo aveva disboscato una parte di macchia per costruire la sua casa. Non sappiamo dove, però viveva da queste parti”.
Finalmente ci allontaniamo dal primo tratto di foresta e raggiungiamo una strada bianca e polverosa che si ricongiunge a una nuova zona di macchia mediterranea. In lontananza vedo due figure umane.
“C’è qualcuno là in fondo” dico a Vittorio.
“Forse sono cercatori di funghi” risponde.
Raggiungiamo le due persone che ci vengono incontro lungo la strada polverosa. Si tratta di una donna vestita di nero che porta un fazzoletto in testa per raccogliere i capelli grigi e di un bambino con i pantaloni corti, entrambi sono vestiti come tanti anni fa. Da queste parti la gente vive isolata, un po’ fuori dal tempo, e poi i contadini non fanno caso alla moda, spesso si mettono le cose che trovano.
“Andate via!” grida la donna.
Ha gli occhi spiritati e la voce roca. Pare fare una gran fatica a parlare. La guardo attentamente e noto che ha il volto pallido, le guance scavate e le mani ossute. Grida e si agita come un’indemoniata
“Andate via, per l’amor di Dio!” grida ancora.
Provo a parlare.
“Ma perché? Cosa sta succedendo?”
Subito penso a un gruppo di cinghiali inferociti stanati dai cacciatori che magari hanno ucciso i piccoli e che adesso potrebbero attaccare chi si avventura nella boscaglia. Non sarebbe un pericolo da poco.
Vittorio grida. Non comprendo che cosa può essere accaduto. Non vorrei che si fosse imbattuta in un animale selvatico. Incontro il suo sguardo e mi accorgo che il suo viso è una maschera di terrore.
“Il bambino…” mormora.
Guardo il bambino che afferra la mano della madre. Ha gli occhi fissi nel vuoto come a esplorare il niente, il viso pallido, le labbra serrate, ma soprattutto ha una ferita nel petto, una ferita da taglio profonda dalla quale esce sangue, molto sangue…
“Signora, suo figlio sta male…” provo a dire.
“Mio figlio non lo può salvare nessuno” risponde.
La donna subito dopo prende il bambino in braccio e si allontana, scappa via come un animale in fuga, corre lungo la strada bianca che porta alla foresta e alla fine sparisce dalla nostra vista.
Io e Vittorio ci guardiamo negli occhi. Un paura improvvisa scuote le nostre membra come una brezza di vento gelido.
“Cosa avrà voluto dire?” domando.
“E quel bambino ferito… mio Dio” fa lui.
Ma ormai siamo quasi arrivati alla nuova boscaglia e non voglio tornare indietro. Tanto più che adesso vedo una casa che forse può essere quella che stiamo cercando, una casa che si erge in mezzo alla foresta poco prima del castello del Belagaio. Vittorio ha paura, invece. Non vorrebbe proseguire. Lui dice che vuole tornare nel mondo civile per parlare con gente normale, non con dei pazzi spiritati che ci terrorizzano in mezzo al bosco.
“Arriviamo a quella casa” dico.
“No. Ricorda cosa ci ha detto quella donna” risponde spaventato.
“Era solo una povera pazza. Siamo venuti per trovare una casa e non me ne andrò proprio adesso che è davanti ai miei occhi”.
La casa è proprio in fondo alla sterpaglia di arbusti bassi e fitti, vicino a un roveto e a una scarpata sassosa che si affaccia sul castello diroccato, tra querce secolari e lecci alti e frondosi. Tutto intorno foglie secche e piccole ghiande che sono cibo per scoiattoli e roditori. Vedo una quercia imponente accanto alla casa, un vecchio albero gigantesco che espande i suoi rami sino a toccare il cielo e fa sporgere fronde nell’oscurità della macchia. La casa nel bosco, proprio come nei racconti dei vecchi pescatori.
“Mio Dio…” mormora Vittorio.
“Cosa succede?” domando.
Lui balbetta. Non ce la fa a parlare. Protende l’indice nel vuoto in direzione della quercia secolare vicino alla casa. Seguo la direzione tracciata dal suo dito e osservo un orribile spettacolo. Comincio a sudare freddo. Deglutisco saliva e resto impietrita quando vedo un uomo sfilarsi un cappio dal collo e scendere da una quercia robusta. L’uomo è vestito di blu, indossa una tuta da lavoro sporca e rammendata, una di quelle tute che un tempo usavano gli operai, ha gli occhi iniettati di sangue che scrutano il vuoto. Stringe un coltello da cucina tra le mani e corre verso di noi come un pazzo. Grido come una forsennata. Non trovo niente di meglio da fare. Tutto inutile. Nel bosco non c’è nessuno che mi possa sentire. L’uomo si avvicina e io sono pervasa da tutto il suo dolore, la sua follia che l’ha ucciso, la disperazione di una morte avvenuta molti anni prima. Sento il suo dolore di operaio privato del lavoro, di uomo inutile che non sa come fare per mantenere moglie e figlia. Resto immobile a vederlo con quel coltello tra le mani e il dolore intenso che mi penetra le ossa pietrifica i movimenti. Alle mie spalle arriva Vittorio e mi afferra in tempo, proprio un attimo prima che l’uomo sferri una coltellata sul mio petto. Scappiamo via, corriamo a ritroso verso la strada bianca, affannati, impauriti. Cado in mezzo agli sterpi e alla fitta boscaglia, rimango intrappolata tra i rovi e l’uomo mi raggiunge. Grido ancora, ma alla fine riesco ad alzarmi di nuovo e Vittorio mi porta via prima che le coltellate del folle si abbattano sopra di me. Grido per la disperazione, anche perché soltanto adesso sento tutto l’orrore di quello che è accaduto in quella casa nel bosco, provo su di me le sofferenze di una famiglia distrutta. Io e Vittorio scappiamo via tra le foglie secche e l’erba bagnata, in mezzo alle pozze d’una maledetta foresta, tra i rovi che interrompono la corsa e graffiano le mani. Il pazzo potrebbe raggiungerci. Lo immagino ancora con quel cappio sfilato dal collo, le mani intrise di sangue e il pugnale affilato pronto a colpire. Alla fine mi rendo conto che siamo fuori dal bosco. Ce l’abbiamo fatta. Siamo ancora vivi, grazie a Dio. Adesso dobbiamo fare qualcosa per fermare quel pazzo. Al paese qualcuno mi aiuterà.

I carabinieri della stazione di Civitella ci fanno un sacco di domande che non comprendo. Sono sporca di terra, pieno di graffi, le mie mani tremano per la paura e non riesco ad articolare bene le parole. Vittorio balbetta poche frasi e parla di un assassino nel bosco, davanti alla casa maledetta, quella vicino alla quercia che sporge i suoi rami verso il castello diroccato.
“Nel bosco non ci sono case e neppure querce. La macchia è composta da lecci e l’unica costruzione è il castello” dice il comandante.
I carabinieri ci seguono all’interno della macchia del Belagaio, percorriamo la discesa sino alla strada bianca che porta al castello, passiamo dal luogo dove abbiamo incontrato la donna con il bambino e adesso non c’è più nessuno, ci avviciniamo alla parte di foresta con la casa e la quercia, dove il folle assassino ha tentato di uccidermi. Ma non vedo case e non vedo querce. Non ci sono persone intorno a me, a parte i carabinieri. Solo silenzio. Solo terrore e sgomento che mi prende alla gola in una smorfia di paura quando rivedo la scena di un uomo che si sfila il cappio dal collo e si avvicina per colpire. Ho ancora nelle orecchie le grida di terrore che vengono dal passato. Non posso aver immaginato tutto. Vittorio era accanto a me, ha visto la scena e mi ha aiutata a fuggire. Le voci di una famiglia disperata percuotono i ricordi come incubi che non fanno dormire. Il sapore della paura mi frena le parole in gola. Ho le mani sporche di terra.
“È stato l’uomo che abita in quella casa maledetta. Lo abbiamo visto scendere dalla quercia, staccarsi il cappio dal collo e venire verso di noi. Siamo riusciti a scappare per miracolo…”
Vittorio mi osserva in silenzio. Soltanto lui sa che dico la verità, ma comprende che nessuno può credere a quella storia. Per questo tace, rassegnato. Il comandante dei carabinieri mi guarda come si osserva una pazza che racconta cose incredibili.
“Non ci sono case e non ci sono querce” dice.
“Ma io le ho viste!” grido.
“Non fateci perdere altro tempo” conclude.
Io e Vittorio ci scambiamo uno sguardo di assenso. Inutile insistere. La storia del Belagaio resterà un nostro segreto. L’uomo impiccato alla quercia più alta del bosco è tornato a nascondersi insieme alla sua casa dell’orrore nel silenzio d’una fredda domenica di febbraio. Ce ne andiamo da quel posto maledetto, dalla casa comparsa dal niente e dai racconti dei pescatori. Un pomeriggio di follia dentro la fitta macchia del Belagaio ha fatto rivivere un’assurda storia di tre pescatori.

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L’AUTORE
Gordiano Lupi ( 1960) – tre volte presentato al Premio Strega – ha dedicato alla sua città: Lettere da Lontano, Piombino tra storia e leggenda, Cattive storie di provincia, Piombino leggendaria, Piombino a tavola, Alla ricerca della Piombino perduta, Calcio e acciaio – Dimenticare Piombino, Miracolo a Piombino – Storia di Marco e di un gabbiano, Piombino con gusto, Sogni e altiforni – Piombino Trani senza ritorno (con Cristina de Vita) oltre a un sacco di racconti e articoli di cui non è facile conservare traccia. Molti racconti piombinesi sono sul blog TUTTOPIOMBINO edito ogni domenica dal quotidiano telematico QUI NEWS VALDICORNIA. Si occupa di cultura cubana, traduce ispanici, scrive di cinema e pubblica monografie su registi e attori italiani. Sito Internet: ww.infol.it/lupi. E – mail: lupi@infol.it. Blog di cinema: La Cineteca di Caino (http://cinetecadicaino.blogspot.it/). Blog di cultura cubana e letteratura: Ser Cultos para ser libres (http://gordianol.blogspot.it/)

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