Vittorio è passato a prendermi e siamo usciti insieme sotto il sole caldo di una giornata di fine inverno che comincia a far sentire il tepore della primavera. Il fumo delle ciminiere si confonde tra le scogliere e un vecchio cimitero di mare che conserva ricordi e asciuga lacrime di rimpianti. L’acciaieria, dove gruppi di operai si fanno inghiottire ogni giorno, macina delusioni e paure. Abbasso lo sguardo di fronte al suo aspetto di mostro gigantesco. È sabato e al cantiere non si lavora. Dobbiamo recarci alla chiesa di Santa Croce, nel quartiere operaio, dove abbiamo appuntamento con il nuovo parroco. Si chiama Don Franco e l’hanno spedito a Porto Fabbrica come una sorta di punizione, perché in questo posto c’è tanta gente che con la religione se la dice poco. Il parroco mi ha fatto chiamare perché da un po’ di tempo a questa parte stanno accadendo fatti insoliti. Ho letto qualche notizia sul giornale locale, ma di solito non do molto credito al foglio di cronaca che stampano in questo paese. Esagerano la realtà, da buoni cronisti di provincia.
Santa Croce è un vecchio tempio cinquecentesco che degrada dalla collina sino alle porte della vecchia fabbrica d’acciaio immersa nel cuore del quartiere popolare, dove l’odore del mare si fa una cosa sola con l’acre sapore del carbone nei giorni di scirocco. Don Franco si dà molto da fare. Lo chiamano il prete operaio. Manda soldi in Africa, organizza missioni e vive il Vangelo in modo concreto, come piace a me. Non prega e basta. “Serve anche quello, ragazza mia. Il Signore ci ascolta”, mi direbbe. Non è colpa mia se non ci riesco. Pure se in un posto che lui chiamerebbe Paradiso c’è chi sente il mio dolore. Mio padre e mia sorella vivono dentro il mio cuore e di tanto in tanto anche il sorriso di Marco riaffiora dal passato. Sono i fantasmi che tormentano la mia vita e soltanto io so quanto sia difficile convivere con questo potere da sensitiva.
Fuoco che brucia la carne in un giorno di vento. Fuoco e dolore.
Una collina trafitta da croci e il silenzio d’una notte d’inverno.
Il popolo osserva uno spettacolo orrendo, mentre gruppi di preti parlano fitto tra loro. I giudici del mio dolore hanno deciso da tempo. Ceppi di legno divorano attimi di paura tra lingue di fiamma e pelle che brucia. Dentro me solo rabbia e tormento. Non posso far niente, soltanto morire trafitta da odio e ignoranza. Morire innocente lontano da te, piccolo mio, amore di questa vita che fugge e maledice chi pronuncia parole di morte. Ho solo il tempo di promettere a labbra serrate un’impossibile vendetta. So che non avrò pace in eterno. So che non ci sarà per me neppure la terra d’un sepolcro. Assieme ad altre sventurate affido la vita che fugge a un ultimo pensiero terreno. Tutte noi lasciamo qualcuno, ma io lascio te piccolo mio e non ho avuto neppure il tempo di carezzarti i capelli e darti un bacio. Un boia vestito di nero sorride e attende. Ho il tempo di scorgere tra il fumo nero che vola nell’aria il viso di chi mi ha condannato. L’ultimo mio desiderio è tormentare i suoi sogni in eterno.
Don Franco ci riceve nella canonica dove ha sistemato i suoi libri in una povera biblioteca, un paio di poltrone e una scrivania. La stanza è spoglia, pareti bianche ammuffite, un paio di immagini di santi, un crocifisso di legno e un confessionale con la tendina viola. Lo salutiamo, poi lui rompe gli indugi e comincia a raccontare quello che gli sta più a cuore. Ascoltiamo con attenzione.
“Quando mi hanno mandato qui non ho capito se fosse un premio o un castigo. Mi sono limitato a obbedire. C’era bisogno di me lontano da Roma e tanto bastava. Quando ho deciso di farmi prete sapevo che non avrei potuto affezionarmi a luoghi e persone”.
Non è facile la vita dei preti, penso. Sposano Dio e si battono in suo nome. Rinunciano a tutto. La loro famiglia sono i parrocchiani e spesso ricevono meno di quanto danno.
“A Porto Fabbrica non mancano le cose da fare” dice Vittorio.
“A me piace lottare. Certo che il vuoto morale di questa terra si sente solo conversando per strada o sfogliando la cronaca locale”.
Don Franco ha ragione. Il quartiere è popolato da immigrati e operai, per lo più impiegati in una fabbrica che dispensa sangue e lavoro. “Siamo in un posto di frontiera” dico.
“Una volta c’erano i comunisti. Adesso le religioni alla moda. In un posto come questo ho ricostruito Santa Croce” aggiunge Don Franco.
Penso che è vero. Il comunismo è caduto sotto i colpi d’una ruspa potente in un giorno d’inverno a Berlino. Le bandiere rosse sono state ammainate, ma al loro posto sono arrivate le utopie orientali che promettono felicità e successo grazie a una formula magica.
“Non è stato un lavoro facile” commento.
“Mi sono rimboccato le maniche e ho lavorato sodo. Ho coinvolto la gente del posto e l’amministrazione. Hanno capito che la parrocchia sarebbe stata un ritrovo sicuro per i ragazzi. Tutti mi hanno aiutato a ricostruire Santa Croce, bella e solida come non lo era mai stata”.
Don Franco dice il vero, perché la chiesa conserva intatto un fascino antico di tempio che chiama a raccolta intere famiglie di operai. A Santa Croce pulsa la vita di un quartiere degradato e dentro me sento tutto il dolore delle vecchie mura, un passato che affiora ai miei sensi dai morti sepolti nei cimiteri di marmo della parrocchia.
“Ha fatto un gran lavoro” dice Vittorio.
Don Franco scuote la testa.
“Nessuno avrebbe immaginato quello che sarebbe successo, anche se qualche segnale durante gli scavi c’era stato”.
“Cosa è accaduto?” domando incuriosita.
Intorno a me c’è un penetrante odore di morte. Lamenti di donne lontane che cantano lugubri nenie di chiesa. Sofferenze di corpi decomposti che vengono dal passato e si fanno sempre più vicini.
“Prima vennero alla luce dei resti umani, parti di ossa annerite e coperte di cenere. Accanto ritrovammo pezzi di antichi crocifissi e alcuni fogli consumati con strane iscrizioni in latino”.
Don Franco racconta sconvolto. Seguo con attenzione i suoi ragionamenti. Comprendo che serve il mio aiuto per ascoltare le voci dei morti e capire il passato. La mia fama si sta diffondendo dopo gli ultimi eventi, ma non credevo che un prete credesse al soprannaturale. Il parroco continua a parlare, mentre voci lontane e sofferenze antiche mi attanagliano l’anima. Il dolore di una morte inconsolabile è presente tra le mura di questa chiesa. Dolori atroci di un passato tenebroso chiedono soltanto di trovare una via d’uscita.
“Affidammo tutto ad alcuni esperti inviati dalla curia e in poco tempo arrivò una risposta sorprendente. Quelle ossa quasi carbonizzate avevano più di quattrocento anni e con tutta probabilità erano i resti di corpi bruciati sul rogo”.
“Avevo letto in qualche libro di storia locale che in Santa Croce si tenevano processi per stregoneria” rispondo.
Il racconto di Don Franco è la testimonianza d’un terribile eccidio. In quella chiesa c’è un penetrante odore della morte e si sente il dolore delle donne bruciate sul rogo. Sto soffrendo per una tortura eterna.
“Restava da spiegare come le parti di ossa umane fossero scampate alla furia distruttrice del fuoco, ma sul momento non demmo importanza alla cosa e trasferimmo i reperti nel museo della cripta”.
“E dopo che cosa è accaduto?” domando.
So bene che il peggio deve ancora venire. Quella chiesa contiene un mistero che sta facendo rivivere nel mio corpo tutte le grida di terrore lanciate nel cielo d’una notte di tanti anni fa.
“I fatti incredibili sono cominciati quando la chiesa è stata ristrutturata. Ricordo ogni istante di quel primo giorno di terrore. Fu durante la messa vespertina, una sera d’inverno. Stavo sollevando il Santissimo al cielo quando vidi sanguinare la parete in fondo all’altare. Non era un’allucinazione. I pochi fedeli presenti me lo confermarono, costernati e impietriti sugli scranni gettavano intorno sguardi impauriti. Le mie parole rivolte al Santissimo facevano colare sangue dalle mura. Un sangue rosso intenso che si raccoglieva in una piccola pozza nella parte terminale della navata centrale”.
“Ricordo di aver letto qualcosa sul giornale, ma non ci ho dato peso. C’era chi parlava di miracolo e di diaboliche presenze a Santa Croce…” aggiunge Vittorio.
“Qualche mese fa è accaduta una cosa ancora più terribile”.
Don Franco parla con fatica e gli trema la voce. I suoi occhi cercano conforto nei miei, pare quasi chiedere aiuto e comprensione.
“Che cosa?” domando.
“Stavo confessando una vecchia parrocchiana e ascoltavo annoiato la solita lista dei peccati, quando la sua voce si è modificata e ho udito parole agghiaccianti. Tremo ancora al pensiero…”.
Io e Vittorio siamo sempre più incuriositi. Attendiamo con ansia le parole di Don Franco. Nella mia mente le voci lugubri che vengono dal passato sono diventate flebili parole sussurrate dai morti.
“I vostri peccati vi ricadranno addosso, maledetta stirpe di preti” Ha detto quella donna, ma non era lei a parlare, pure se le sillabe uscivano dalle sue labbra. Sono balzato fuori dal confessionale e ho visto la vecchia cadere all’indietro in una smorfia di dolore. I suoi occhi sono rimasti a fissare il vuoto. Morta per arresto cardiocircolatorio, hanno detto i medici. Ma io sapevo che prima di morire la sua voce si era trasformata in un sibilo diabolico…”
Non è il caso di spaventare Don Franco e Vittorio più del dovuto, ma è vero che tra queste mura aleggia la morte. Voci dal passato si affacciano alla mente e percuotono i miei pensieri. Voci di donne che bruciano sul rogo, vento che spezza il legname e lo fa crepitare. Fuoco che arde. Maledizioni nella notte infinita. Streghe che soffrono e volano nel cielo come angeli neri. Donne che gridano. Bambini soli che piangono. Forse le immagini dei loro figli.
“L’ultimo avvertimento è arrivato l’otto dicembre dello scorso anno, durante la liturgia dell’Immacolata Concezione. Fu proprio mentre il popolo dei fedeli recitava l’Ave Maria che vidi il terrore dipinto negli occhi di uno dei ragazzini che servivano messa. Cominciò a indicare la statua di gesso che raffigurava la madre di Dio e si mise a tremare. Mi voltai di scatto verso la navata alla destra dell’altare e vidi la veste azzurra della statua macchiata di rosso. Era sangue che sgorgava dalla bocca semiaperta e disegnava una smorfia terribile. La chiesa rigurgitò di grida e sgomento. La paura della gente era palpabile, molti fuggirono, altri rimasero impietriti e terrorizzati, incapaci di fare qualsiasi cosa”.
“Ricordo l’articolo sulla stampa. Il giornale locale aveva trovato un argomento nuovo e si sbizzarriva con particolari fantastici. Confesso che non credevo ci fosse molto di vero, anche perché dopo il primo clamore non se ne parlò più…” dice Vittorio.
“Sono stato io a far tacere la stampa. Non volevo che parlassero di miracolo e che arrivassero in Santa Croce schiere di fanatici. Da Roma raccomandavano prudenza. Non avevano intenzione di gestire un altro miracolo in provincia…”
Don Franco resta in silenzio per alcuni minuti. Pare affaticato dal lungo discorso, ma è soprattutto il ricordo di eventi paurosi a farlo soffrire. Tutti gli avvenimenti che ci ha raccontato sono accaduti nei primi mesi dopo la ricostruzione.
“Credevo che in provincia avrei passato una vecchiaia tranquilla…”
Povero Don Franco. Non avrebbe meritato una cosa come questa dopo tanto girovagare per le parrocchie d’Italia, le missioni in Africa, i viaggi di soccorso nel Terzo Mondo. No davvero. Le macerie di Santa Croce portano un’eredità che non sarà facile rimuovere.
“Può contare sul mio aiuto” dico con decisione.
Don Franco pare rasserenato.
“Ci speravo” risponde.
Quando lei appare come una maledizione che arriva dal passato, Don Franco guida la messa vespertina. Il messale cade per terra e la paura gela il sangue nelle vene del parroco. Io e Vittorio siamo seduti sulle panche di legno insieme a pochi parrocchiani. E restiamo immobili. Pietrificati dallo spavento. Le gambe molli, il cuore in tumulto, il respiro corto e affannato, in preda allo sgomento. Le frasi dei salmi restano tra le labbra serrate del prete che si ferma ad ascoltare parole terribili nel silenzio della sera.
“Libera la mia anima, maledetto prete!” grida.
La voce esce da un corpo terrificante che compare dal niente e si erge davanti all’altare. Una donna flagellata da piaghe annerite, biondi capelli stopposi coperti di cenere, occhi spenti e duri, sguardo che cova rancore e rabbia repressa. Don Franco non sa cosa fare. Tenta di coprirsi il volto per non guardare negli occhi una visione diabolica e surreale. Noi non possiamo muoverci. Una forza misteriosa ci tiene incollati alle panche mentre sento dentro tutto il dolore di un corpo di donna che brucia sul rogo, ascolto i lamenti dolorosi e il pianto di un bambino che vede volare sua madre nel cielo. Quel corpo orribile di donna decomposta e martoriata, uscita da una cortina di fumo nero tra le spire della notte, comincia a emettere grida di dolore che diventano parole minacciose. Un improvviso vortice d’aria fa cadere crocifissi e immagini di santi, solleva pagine di libri e fogli per la messa, crea un turbinio infernale che sconvolge il silenzio e costringe Don Franco ad affrontare uno sguardo carico d’odio.
“Voi siete colpevoli e tu devi salvarmi” grida con voce cavernosa.
“Ma cosa posso fare?”.
“Devi ridarmi la pace. Per sempre”.
Osservo la scena e non comprendo. Vittorio mi guarda preoccupato. Pure lui è immobile e non riesce a capire. Abbiamo paura di quella donna venuta dal niente che sembra uscita da un dipinto del Seicento. Temo per quello che potrebbe volere da noi. Don Franco sofferma lo sguardo terrorizzato su un corpo flagellato dai colpi di frusta.
“Ti sorprendono queste ferite? Un tempo era normale morire così…”.
“Cosa vuoi dire?” domanda Don Franco.
“Così giustiziavano le streghe…”
Adesso comprendo chi è quel fantasma inquieto che viene dal passato. Tutto il dolore della sua anima ribelle penetra nella mia carne e mi trafigge come una lancia acuminata. Una pagina triste nella storia dell’umanità e della chiesa. Le donne bruciate al rogo come streghe, magari perché non volevano essere schiave, magari perché erano soltanto più intelligenti di molti uomini che volevano comandarle. D’un tratto la sento vicina questa povera anima inquieta che sconvolge la tranquillità d’una chiesa di periferia. In fondo è solo una donna che cerca la pace, almeno dopo la morte. E io comprendo cosa dobbiamo fare proprio mentre lei scompare tra le navate della chiesa e vola via nel cielo che apre le porte alla notte.
Don Franco ha preso tre pale e stiamo scavando come forsennati.
Cerchiamo i resti di corpi straziati in quella notte d’inverno di tanti anni fa. Dobbiamo fare prima possibile. Non voglio che adesso la gente cominci a morire. La vendetta d’un’anima perduta può essere orribile. Non voglio cercare un rimedio a una strage di innocenti, alla gente che muore per strada, in fabbrica, in chiesa, dopo sogni tormentati. Santa Croce è il ricettacolo del male e distende le sue braccia di morte a coprire le strade d’una città disperata. Non sono così sicura che possa bastare, ma devo tentare perché è la sola cosa da fare. Non voglio vedere bambini morire con gli occhi fissi nel vuoto, davanti all’altare con l’ostia coperta di sangue a dipingere una smorfia finale. Perché è così che colpirebbe questa povera sventurata. L’ho letto nei suoi occhi carichi d’odio e nelle pieghe d’un volto scavato dal dolore per aver perduto un figlio. Il suo corpo massacrato dalla superstizione degli uomini cercherebbe vendetta sui bambini. Per questo sono qua. Per salvare chi pagherebbe senza capire le colpe di un passato. Non devo dimenticare niente. Il cimitero dietro Santa Croce in una notte d’inverno, il vento di libeccio che soffia e disperde pulviscoli di carbone dall’altoforno, le nostre mani che stringono badili e una croce di legno. E le tamerici in pianto, come tanti anni fa, in questa notte di tormento che accompagna i nostri passi.
Non resta che provarci, a questo punto.
Finalmente libera, piccolo mio. Finalmente insieme. Libera di riabbracciarti e tenerti la mano dopo tanto tempo. Libera di baciare le tue labbra e sentire il tuo profumo. Un’eternità ci ha separato e adesso per sempre ci ritroviamo, amore mio. Il fuoco che ha distrutto la mia carne, l’anima che non ha trovato un rifugio, il dolore inconsolabile nel saperti perduto per sempre. Tu sai che non ero una strega, piccolo mio, come sai che sono diventata un angelo vendicatore in preda a una rabbia covata per secoli. Adesso ho ritrovato la pace. Adesso ho ritrovato te, mio unico amore perduto in quella notte di corpi impalati e crocifissi nel fuoco. Il cimitero di mare a Santa Croce accoglierà per sempre i nostri corpi e potremo volare insieme nel cielo stellato di quest’inverno. Saremo spiriti nella tempesta, vendicati e liberi, come una volta. Ti ho aspettato tanto, piccolo mio. Ho atteso per troppo tempo questo giorno. Il fuoco d’un rogo infernale non ha distrutto il mio sogno più grande. Quello di abbracciarti in mezzo alle stelle, mentre le fiamme si placano per sempre in una notte d’inverno.
Per mano, come tanti anni fa, su di un mare che spinge le navi a cavalcare il vento, tra i fischi della bufera che scompiglia le fronde di palme, nel sapore del salmastro, che penetra i nostri corpi stanchi dopo una corsa su di una spiaggia assolata.
E non ci separerà più nessuno, piccolo mio.
Finalmente liberi. Finalmente insieme.
Per l’eternità.
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L’AUTORE
Gordiano Lupi ( 1960) – tre volte presentato al Premio Strega – ha dedicato alla sua città: Lettere da Lontano, Piombino tra storia e leggenda, Cattive storie di provincia, Piombino leggendaria, Piombino a tavola, Alla ricerca della Piombino perduta, Calcio e acciaio – Dimenticare Piombino, Miracolo a Piombino – Storia di Marco e di un gabbiano, Piombino con gusto, Sogni e altiforni – Piombino Trani senza ritorno (con Cristina de Vita) oltre a un sacco di racconti e articoli di cui non è facile conservare traccia. Molti racconti piombinesi sono sul blog TUTTOPIOMBINO edito ogni domenica dal quotidiano telematico QUI NEWS VALDICORNIA. Si occupa di cultura cubana, traduce ispanici, scrive di cinema e pubblica monografie su registi e attori italiani. Sito Internet: ww.infol.it/lupi. E – mail: lupi@infol.it. Blog di cinema: La Cineteca di Caino (http://cinetecadicaino.blogspot.it/). Blog di cultura cubana e letteratura: Ser Cultos para ser libres (http://gordianol.blogspot.it/)