And-Hera – il loro ep dal titolo One more day

Nono mese di Covid 19 per il pianeta Terra. I coraggiosi And-Hera decidono di presentarsi comunque all’appello, rilasciando un mini album di sei tracce, caratterizzato da composizioni cupe dai suoni smaccatamente anni 90. I riferimenti sono quelli del grunge classico, su tutti, crediamo, Alice in Chains.

L’album si apre con una scurissima ballad intitolata Spirit. Riscontriamo forti influenze goth. Le soluzioni stilistiche sono piuttosto di genere, ma il cantato di Alessandro Auditore Magrini non manca di raffinatezze ed è accompagnato comunque diligentemente dalle chitarre di Francesco Angelillo, i cui suoni, un po’ datati, sono comunque funzionalissimi al genere.

Nella seconda traccia, Shadow, esce fuori la sezione ritmica, formata da Jamil Khan alla batteria e Tiziano Lolli al basso. Il tempo è un ostinato lento su cui la voce ha la possibilità di spaziare. La traccia si discosta dal grunge più puro e sembra corteggiare i primissimi Guns’n’Roses, almeno nella parte musicale, poiché la voce marca quasi in zona Metallica.

Si arriva al giro di boa con un’altra ballad fortemente influenzata dal sound di James Hetflied e soci: From Hell. La canzone ha una cadenza “stretta” alla Nothing else matters, non fosse che il cantante la fa brillare con un bellissimo inserto “drunk” che porta respiro ad una composizione altrimenti troppo manieristica. Il risultato è d’eccezione e lo annotiamo sul nostro personalissimo taccuino per il giudizio finale, così come gli accenti di cassa nel finale.

La quarta traccia, One more day, comincia con una bellissima chitarra acustica sincopata, su cui, pare a noi, che la voce lavori troppo sopra le righe, mancando di quel pizzico d’ironia che avrebbe garantito al brano non poca qualità aggiunta. Prendendola per come è, ci appare un po’ troppo telefonata, ma comunque fruibile.

Il mini album si avvia sul sentiero del suo tramonto con la quinta Travel. Il registro del disco non cambia. Se da un lato, di certo, questo fattore non lo aiuta a renderlo vibrante, dall’altro lo aiuta a essere compatto come un’architettura del periodo del “Costruttivismo” russo. L’intero lavoro risulta monolitico e regge l’impatto degli eserciti nemici. Sull’assolo di chitarra la ritmica lavora affatto male e il tutto restituisce quel senso di epica e retorica a cui il rock contemporaneo ha rinunciato forse con troppa leggerezza. Queste riflessioni ci accompagnano alla sesta ed ultima traccia: Black feather, con cui il solido quartetto romano si congeda con non poca qualità.

Consci che il mondo è andato altrove, gli And-Hera ci ripropongono uno stile fatto di tanta rabbia e nostalgia per sonorità ormai un po’ agée, ma che comunque, ne siamo certi, potrebbero riscuotere ancora non pochi consensi tra i giovanissimi che non si rispecchiano nei linguaggi e nei modelli proposti oggi, zeppi di pop ed hip-hop somministrato in ogni zuppa. Flanella e anfibi come non ci fosse un domani: sette stelle su dieci meno qualcosa!!!

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