Roman Polański, con alcuni film degli anni ’60 e ’70, ha esercitato una notevole influenza sui registi delle generazioni successive, in particolare sugli autori dell’horror americano. John Carpenter in un’intervista ha indicato Chinatown come uno dei suoi film preferiti, il finale di Non aprite quella porta, diretto da Tobe Hooper nel 1974, ricorda per certi versi quello di Che?, di due anni precedente, L’angelo della vendetta (1981), di Abel Ferrara, sembra quasi un rifacimento non dichiarato di Repulsion. In L’ululato (1980), di Joe Dante, la comunità di licantropi è simili alla setta demoniaca di Rosemary’s Baby. Senza contare ovviamente William Friedkin, che nel 1973 ha contribuito a rinnovare il cinema horror girando L’esorcista, e che ha sempre indicato proprio in Rosemary’s Baby un titolo imprescindibile. Polański è stato d’altra parte il primo regista europeo a praticare con una certa continuità un genere in quegli anni ritenuto commerciale come il cinema dell’orrore, dimostrando che si poteva affrontarlo mantenendo un’identità autoriale (cosa che fece anche Kubrick con la fantascienza quando nel 1968 realizzò 2001: Odissea nello spazio). Il collega americano che più di altri ha dato l’impressione di aver assimilato la lezione polanskiana è stato Brian De Palma. Anche per una sorta di anarchia strutturale (evidente soprattutto nei primi film di entrambi) e tematica, e forse riscontrabile persino nella lettura della realtà. Non si hanno dichiarazioni dei due registi che rivelino interesse uno per l’opera dell’altro. E nemmeno risultano, tra gli ormai numerosi studi critici che li riguardano, scritti che mettano in risalto certe affinità. Anche se Roberto Nepoti, nel Castoro Cinema su De Palma, annota che tra le varie “suggestioni da testi precedenti” presenti in Vestito per uccidere (Dressed to Kill, diretto da De Palma nel 1980) vi sono sottili riferimenti ai film di Polański Repulsion (id., 1965) e L’inquilino del terzo piano (Le Locataire, 1976).
Non manca invece una vasta letteratura che vedrebbe in De Palma un allievo (se non l’allievo per eccellenza) di Alfred Hitchcock. Si potrebbe aggiungere che il maestro della suspense è stato considerato dagli studiosi un punto di riferimento sia per Polański (che in realtà ha più volte ribadito di sentirsi distante dall’universo hitchcockiano) che per De Palma. Forse sarebbe giunto il momento di sottolineare che Hitchcock (ad esempio quello di Psyco) è giunto a De Palma “filtrato” da Polański.
Sgombrato il campo dunque da un’acclarata e ingombrante eredità, meglio concentrarsi sul binomio Polański/De Palma. Si possono trovare analogie tra vari film dei due autori. A cominciare da Repulsion, il secondo lungometraggio di Polański. Carol è una giovane manicure che vive con la sorella, Helen. Fragile dal punto di vista psicologico, la ragazza è morbosamente attaccata alla sorella e soffre per la relazione di Helen con il proprio amante, di cui mal sopporta la presenza. Quando poi Helen e l’uomo partono per una vacanza lasciandola sola, la giovane donna precipita in un vero e proprio stato di follia, finendo per rinchiudersi nell’appartamento e uccidendo sia un corteggiatore che il padrone di casa.
Carol inaugura una serie di personaggi femminili del cinema di Polański che, con sfumature varie, sono caratterizzati da tutta una serie di problematiche legate alle relazioni in generale e con gli uomini in particolare. Successive a Carol sono Sarah, eroina di Per favore, non mordermi sul collo! (The Fearless Vampire Killers, or Pardon Me, But Your Teeth Are in My Neck), del 1967, e Rosemary, protagonista di Rosemary’s Baby – Nastro rosso a New York (Rosemary’s Baby), del 1968. Sarah è vergine e per questo motivo il padre la tiene segregata, temendo che possa finire tra le grinfie del vampiro che terrorizza una contrada della Transilvania. Cosa che infatti accade. Trasferitasi in un appartamento di New York con il marito, Rosemary invece viene messa incinta dal diavolo. Mentre in Repulsion lo spettatore non può avere dubbi circa lo stato mentale di Carol (casomai si interroga sulle possibili cause) in Rosemary’s Baby Polański mantiene una certa ambiguità: esiste davvero una setta satanica o la protagonista, forse terrorizzata dal fatto di avere un bambino, sta solo immaginando tutto?
Non dissimili dai personaggi femminili della prima parte di carriera di Polański: si potrebbe aggiungere Simon Choule che si suicida (e della quale veniamo a sapere qualcosa solo attraverso gli altri personaggi) in L’inquilino del terzo piano, sono quelli dei film degli anni Settanta di De Palma. Le due sorelle (Sisters, 1972), ha per protagonista Danielle, che soffre di disturbi della personalità (è stata separata alla nascita da una gemella morta nell’intervento) e che, preda di un raptus, uccide un uomo dopo l’avventura di una notte. Il rapporto che ha Danielle con la sorella morta non è molto diverso da quello di Carol con Helen. Appare evidente la derivazione dal cinema di Polański di Carrie – Lo sguardo di Satana (Carrie), che De Palma realizza nel 1976. Non solo e non tanto per il tema diabolico che lo apparenta a Rosemary’s Baby (d’altronde il patto col diavolo accomuna quest’ultimo anche a Il fantasma del palcoscenico), quanto per la caratterizzazione del personaggio (si può notare persino una somiglianza fisica tra Carol, Rosemary e Carrie, una certa fragilità fisica oltre che appunto psicologica) e per come viene definito attraverso il rapporto con gli altri. In Repulsion come in Le due sorelle e Carrie le protagoniste reagiscono a un attacco del mondo esterno. Nei primi due sotto forma di un’intromissione maschile nel loro privato; Carrie invece dà libero sfogo ai propri poteri telecinetici prima contro la madre oppressiva e bigotta (che però è la proiezione di Carrie, è ciò che potrebbe diventare, come Evelyn Mulwray in Chinatown lo è della figlia/sorella) che vuole impedirle di partecipare al ballo di fine anno della scuola, poi durante la festa quando viene fatta oggetto di un terribile scherzo. Come Repulsion, Carrie si regge su una struttura narrativa che contrappone l’interno (la casa, ma anche l’intimo sia fisico che psicologico delle due donne) e l’esterno (l’estetista dove lavora Carol e il college di Carrie). Il rapporto con gli altri accomuna Repulsion e Carrie anche nel modo in cui i personaggi maschili dei due film si relazionano a Carrie/Carol.
Lo stesso discorso riguardante l’interno e l’esterno vale per L’inquilino del terzo piano, che oltretutto esce nello stesso anno di Carrie. Va detto tra l’altro che sia per Polański che per De Palma l’interno-casa non significa affatto che i protagonisti siano al sicuro tra le mura domestiche: non lo è l’inquilino Trelkovsky, ossessionato dal suicidio della precedente affittuaria, non lo è Rosemary (il cui marito è parte del complotto satanico) né Carrie, a causa della madre.
Per quel che riguarda L’inquilino del terzo piano, sono da sottolineare altri punti di contatto col coevo Carrie. In entrambi, nella sequenza clou (il suicidio di Trelkovsky, la strage compiuta da Carrie) Polański e De Palma mostrano in soggettiva ciò che i due personaggi vedono (o credono di vedere): Trelkovsky gli abitanti del palazzo che lo braccano, minacciosi e diabolici (alcuni con tanto di lingua biforcuta), Carrie studenti e insegnanti che ridono di lei. Il punto di vista dei personaggi non esclude un piano oggettivo, alternato al soggettivo in modo da creare una dimensione allucinata, che semina il dubbio nello spettatore, come già accennato a proposito di Rosemary’s Baby. Ed è proprio questa scelta narrativa, praticata con ostinazione da Polański e che getta un’ombra di ambiguità sui protagonisti (sani o folli?), a rappresentare la principale fonte d’ispirazione per De Palma. In aggiunta, la sequenza nella quale Trelkovsky si getta dalla finestra e viene circondato dai condomini e si trascina per terra ricorda anche il finale di Il fantasma del palcoscenico, con Winslow che agonizza mentre i partecipanti al concerto lo incitano e lo deridono.
Ma ci sono altre caratteristiche che accomunano l’opera dei due cineasti e che andrebbero approfondite. La circolarità della narrazione (in Che?, Chinatown, L’inquilino del terzo piano, e in Complesso di colpa, Blow Out, Femme Fatale), su cui nel 1993 Polański si è espresso così: “È una forma di eleganza che mi ha sempre sedotto nel cinema. Mi piacciono molto le opere dove c’è un inizio, uno sviluppo, e un finale in cui si ritorna al punto di partenza” (Alberto Scandola, Roman Polański, Il Castoro Cinema, 2002).
L’uso dei movimenti di macchina, ad esempio la panoramica sulle finestre del condominio realizzata con la Louma ne L’inquilino del terzo piano (è il primo a utilizzare questa gru snodata) e l’altrettanto magistrale uso del dolly nella sequenza della premiazione in Carrie. Nonché le buone intenzioni dei personaggi che sortiscono effetti nefasti in Per favore, non mordermi sul collo!, Chinatown, Tess, e in Vestito per uccidere, Blow Out, Omicidio a luci rosse. Inoltre, in Per favore, non mordermi sul collo! e Il fantasma del palcoscenico troviamo un’ispirazione “classica” comune (rispettivamente Wampyr di Dreyer e Il Fantasma dell’Opera di Julian), scelte espressive simili (accelerazione), la miscela di situazioni orrorifiche e umorismo, personaggi che sono quasi speculari (Von Krolok/Swan, Sarah/Phoenix, Alfred e Abronsius/Winslow, Herbert/Beef, Koukol/Philbin) e legati da una relazione altrettanto speculare: diventare vampiri nel primo e il contratto con il diavolo e le sue conseguenze nel secondo.
L’inquilino del terzo piano e Vestito per uccidere condividono temi evidenti (il doppio, la schizofrenia, il travestimento da donna) e alcune situazioni narrative che De Palma sembra riprendere da Polański. Ne L’inquilino del terzo piano durante la scena in chiesa una bambina seduta poco più avanti fissa Trelkovski, mentre in Vestito per uccidere una bambina in compagnia della madre fissa ripetutamente Kate in ascensore. Inoltre, quando Trelkovski si fa ospitare da Stella, la ragazza al mattino lo sveglia e lui scatta su spaventato, quasi difendendosi; lo stesso fa Liz nel finale di Vestito per uccidere. Trelkovski dice di aver avuto un incubo, ma lo spettatore non lo vede. De Palma invece l’incubo avuto da Liz lo mostra.