Il loro range sonoro va dall’alternative rock, allo spacerock, alla psichedelia, al protopunk. Si comincia con l’intro del disco dal titolo Nine Degrees. Un semplice coretto che ripete la stessa frase per 33 secondi. Un po’ a richiamare la cultura rumorista degli anni ’70 e delle sperimentazioni sonore.

Il primo vero brano è I’m Goin’ Home, un misto di rock progressivo-sperimentale, nel quale non c’è nient’altro che la ripetizione costante di un riff, quasi fosse uno stornello, in queste atmosfere decisamente psichedeliche, nelle quali tutto accade come fosse un flusso emotivo che si trasforma in suono attraverso gli strumenti musicali.

You Little Doll segue più o meno lo stesso canovaccio, sporcandosi, questa volta, di una colorazione blues che caratterizza sia la voce, sia il groove mantenuto dalla chitarra, palesemente e pesantemente effettata.
Il pervadere della linea dei flussi emotivi, si manifesta anche in Seacide, spostando l’attenzione, questa volta, al netto richiamo a gruppi quali Pink Floyd e Tool, con un clima decisamente più psichedelico, sottolineato da numerosi effetti aggiunti ai vari strumenti. Una piccola parte strumentale al centro del brano, ne divide i due cantati.

Pink Pale Toes è un altro esempio del protopunk di questa band. Il tutto è sempre molto sporco, pieno di rumori e distrazioni che risultano estremamente interessanti ed efficaci. Seguendo questo filone troviamo Have you ever seen the light che sembra catapultarci indietro nel tempo. Cosa decisamente gradita e decisamente ben riuscita. Inoltre tutto suona molto fresco e questo è decisamente un merito che va alla band.

Si torna in atmosfere più psichedeliche con Bodhi Waves, un brano strumentale costruito da suoni e rumori, un po’ tornando al concetto iniziale del disco, questa volta sviluppato in 5 minuti e 15 di puro viaggio sonoro, quasi trascendentale, quasi da meditazione.

Interessante come si passi, poi, ad un rock più incalzante con Slightly all night. Anche qui un esperimento protopunk e alternative. Tutto continua a svolgersi, come per la maggior parte dei brani, su di un riff portante, ripetuto a stornello, al di sopra del quale si vanno a costruire trame sonore tra il cantato e le chitarre che stridono. La magia dello strumentale non è ancora finita perché ci si imbatte, successivamente, in We’ll Let you Know, questa volta più distante dai tratti della strumentale precedente. Il brano è pervaso da una venatura decisamente più angosciante e l’unica parte di cantato presente inizia al minuto 4 e non fa null’altro che ripetere il titolo, con l’aggiunta di un coro. E con questo si conclude il lavoro dei Feel Spector.

Un esordio a dir poco convincente per la band che presenta già una precisa idea di quello che è la loro musica e che pervade i loro brani. Vi consigliamo di ascoltare questo lavoro e di seguire la band su tutti i loro canali ufficiali, sperando di ascoltare presto nuovo materiale.

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Bandcamp – https://feelspector.bandcamp.com/

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