L’invasione degli ultracorpi (The Invasion of the Body Snatchers), diretto nel 1956 da Don Siegel (1912-1991), è tratto piuttosto fedelmente dal romanzo The Body Snatchers, di Jack Finney (edito nel nostro paese con il titolo Gli invasati). La vicenda ha come protagonista il medico generico Miles Bennell (Kevin McCarthy) che, di ritorno da un viaggio a Boston per un ciclo di conferenze, viene accolto a Santa Mira dalla sua infermiera, Sally. Secondo la donna, molti pazienti hanno bisogno di lui, ma quando Miles arriva allo studio scopre che tutti gli appuntamenti sono stati disdetti. A un certo punto però sente una voce femminile che chiede a Sally se il dottore può riceverla. È Becky Driscoll (Dana Wynter). I due sono stati fidanzati in passato, poi entrambi hanno avuto una sfortunata esperienza matrimoniale risoltasi con il divorzio. Miles è evidentemente felice di rivedere Becky, che ha bisogno del suo aiuto: la cugina, Wilma, sostiene che suo zio “non è suo zio”. Poco dopo un bambino, accompagnato in ambulatorio dalla nonna e in preda a una crisi isterica, grida che sua madre non è sua madre. Ben presto Miles e Becky scoprono che a Santa Mira è in atto una vera e propria invasione: delle spore provenienti dallo spazio, che si sviluppano fino a diventare enormi baccelli, sostituiscono gli esseri umani con delle copie identiche, ma completamente prive di sentimenti. Anche Becky ne resta vittima, mentre Miles riesce a fuggire dalla cittadina e ad avvertire le autorità. Sceneggiato da Daniel Mainwaring, L’invasione degli ultracorpi è stato sottoposto nel corso del tempo a tutta una serie di letture, compresa quella politica (filo-maccartista, essendo stato girato in piena Guerra Fredda). Don Siegel ha affermato che casomai era sua intenzione lanciare un monito contro un’abulica concezione dell’esistenza, e più meno lo stesso ha fatto Jack Finney prima di lui. A un’attenta e forse un po’ forzata lettura si potrebbe arrivare a considerare la vicenda come l’allucinazione paranoide di Miles, medico frustrato e nevrotico (nel romanzo d’altronde Finney lo descrive come un uomo depresso che beve parecchio). Comunque è abbastanza risaputo che Siegel avrebbe voluto evitare il lieto fine, aggiunto su pressione della produzione. Anche così resta un’opera straordinaria e, d’altra parte, va sottolineato che il finale del romanzo, seppur diverso, è ancora più roseo: Miles riesce a salvare il pianeta, Becky non diventa un ultracorpo, e i due addirittura si sposano. Del film è stato prodotto nel 1978 un remake decisamente riuscito: Terrore dallo spazio profondo (Invasion of the Body Snatchers), diretto da Philip Kaufman, nel quale oltretutto si può trovare un preciso riferimento all’originale (in una sequenza compare Kevin McCarthy che urla ai passanti). Poi nel 1993 il dignitoso Ultracorpi – L’invasione continua (Body Snatchers), di Abel Ferrara.
Oltre a L’invasione degli ultracorpi, negli anni Cinquanta le case di produzione statunitensi hanno realizzato molti altri film fantascientifici di notevole livello. A cominciare La cosa da un altro mondo (The Thing from Another World, 1951). Questo gioiello in b/n è stato prodotto e girato da un maestro assoluto del cinema americano, Howard Hawks (1896-1977), pur risultando “ufficialmente” diretto dal suo montatore di fiducia Christian Nyby (1913-1993). Anche qui la terrificante creatura aliena rimasta ibernata nei ghiacci e riportata in vita da un gruppo di ricercatori e militari, è di natura vegetale. I componenti della base finiscono per essere assediati dal mostro, che è in grado di riprodursi e sembra invulnerabile, ma riescono a eliminarlo con l’elettricità. Nel 1982 un geniale allievo di Hawks, John Carpenter, ne ha realizzato il remake, rifacendosi però più al racconto originale di John W. Campbell. “Non ho cercato di rendere omaggio a Hawks, principalmente perché il suo film è troppo buono”, ha detto Carpenter. Che aveva già citato La cosa da un altro mondo nel suo capolavoro del 1978 Halloween – La notte delle streghe: è il film che i bambini guardano in televisione.
Un’altra invasione, stavolta marziana, scatena il panico nel film diretto da Byron Haskin (1899-1984) La guerra dei mondi (The War of the Worlds, 1953). Il film è prodotto da George Pal (1908-1980), uno dei nomi di punta della SF cinematografica (regista a sua volta di un altro capolavoro fantascientifico, L’uomo che visse nel futuro, del 1960). La guerra dei mondi è, per l’epoca, un vero e proprio kolossal (tanto da conquistare un Oscar per i migliori effetti speciali) e una riduzione molto accurata del celebre romanzo di H. G. Wells. I marziani, che stanno per conquistare il nostro pianeta con le loro sofisticate e terribili armi, vengono sconfitti non dall’esercito ma dai batteri terrestri, decisamente più micidiali.
Da uno dei romanzi più belli scritti da Jules Verne, Walt Disney (1901-1966) nel 1954 ha prodotto Ventimila leghe sotto i mari (20,000 Leagues Under the Sea, 1954), un film avventuroso molto spettacolare, con sequenze da antologia come l’attacco della piovra gigante. Il professor Aronnax, un suo aiutante e il marinaio Ned Land (Kirk Douglas), sopravvissuti al naufragio della nave inviata alla ricerca di un misterioso sottomarino, il Nautilus, vengono portati a bordo e imprigionati dal capitano Nemo (James Mason). Il regista, il newyorkese Richard Fleischer (1916-2006), successivamente ha dato altre ottime prove nel campo della fantascienza cinematografica, dirigendo film come Viaggio allucinante (Fantastic Voyage, 1966) e 2022: i sopravvissuti (Soylent Green, 1973).
A proposito delle opere del regista Jack Arnold (1916-1992), Andrea Ferrari sul mensile Ciak ha scritto che sono “una straordinaria dimostrazione di creatività visionaria, di capacità istintiva e intelligente di trasformazione del reale”. Le più riuscite appartengono proprio agli anni Cinquanta. Arnold ha esordito nel genere fantascientifico con il pacifista Destinazione … Terra (It Came from Outer Space, 1953), tratto da un racconto di Ray Bradbury. Nel 1954 poi gira in 3-D il suo film più conosciuto e di maggior successo, Il mostro della laguna nera (Creature from the Black Lagoon, 1954). Una spedizione scientifica scopre in Amazzonia un essere metà uomo e metà pesce. La mostruosa creatura si innamora della bella dottoressa Kay Lawrence (Julie Adams) e la rapisce. Gli esterni del film in realtà furono girati in Florida e il costume del mostro venne realizzato in lattice e gomma da Bud Westmore e Jack Kevan, di color verde e oro, per un costo di 50.000 dollari. Jack Arnold in seguito ha realizzato La vendetta del mostro (Revenge of the Creature, 1955), un sequel altrettanto riuscito.
Oltre alle invasioni aliene, i mostri dominano il cinema fantascientifico degli anni Cinquanta, e non solo a Hollywood: il giapponese Godzilla ad esempio esce nel 1954. Nello stesso anno trionfano sul grande schermo (tra i maggiori incassi della stagione americana) i formiconi voraci di Assalto alla Terra (Them!), diretto dall’ottimo artigiano Gordon Douglas (1907-1993). Mutati in seguito ad alcuni esperimenti atomici, gli enormi insetti danno l’assalto a Los Angeles. Come ha scritto Renato Venturelli (catalogo Fantafestival 1990), Assalto alla Terra è “uno dei film-chiave della fantascienza anni ’50, che introduce un nuovo tema: quello degli insetti divenuti giganteschi e straordinariamente aggressivi proprio in seguito a esperimenti scientifici effettuati dall’uomo”.
Cittadino dello spazio (This Island Earth, 1955), diretto da Joseph M. Newman (1909-2006), è considerata la prima “space-opera” della storia del cinema e dimostra come i film fantascientifici degli anni Cinquanta siano sempre molto curati sotto il profilo visivo. Due scienziati terrestri vengono rapiti da alcuni colleghi del pianeta Metaluna, in cerca di aiuto nella guerra contro i nemici di Zahgons. Restano indelebili nella memoria le scenografie di Alexander Golitzen e Richard H. Riedel, ma anche il mutante di Metaluna, realizzato dal creatore del Mostro della laguna nera Bud Westmore (e infatti secondo alcune fonti alla regia di Cittadino dello spazio avrebbe collaborato Jack Arnold).
Molto liberamente ispirato al dramma di Shakespeare “La tempesta”, Il pianeta proibito (Forbidden Planet, 1956) secondo J. J. Moscoso è “uno dei film più rilevanti del decennio, anche per budget e portata spettacolare”. Nell’anno 2000 un incrociatore terrestre, con a capo il comandante Adams (Leslie Nielsen), atterra sul pianeta Altair: dove vent’anni prima si sono perse le tracce di una missione spaziale. Il pianeta è abitato dal professor Morbius (Walter Pidgeon), da sua figlia Altaira (Anne Francis) e dal robot Robby. Il mondo altamente tecnologico e idilliaco nel quale vivono viene però turbato dalla comparsa di un mostro invisibile, che sembra voler eliminare gli uomini dell’equipaggio. Finché Adams scopre che la misteriosa presenza è materializzata dall’inconscio del folle Morbius. Il robot Robby, creato dall’artista degli effetti speciali Arnold Gillespie (tra i tanti suoi lavori ricordiamo almeno Le ali delle aquile di John Ford e Intrigo internazionale di Alfred Hitchcock) ebbe un talo successo personale che venne utilizzato una seconda volta nel film Il robot e lo sputnik (diretto da Herman Hoffman nel 1957). Il pianeta proibito, affidato all’ispirata regia di Fred M. Wilcox (1907-1964), è il primo film di fantascienza realizzato da una delle più importanti majors hollywoodiane, la Metro Goldwyn Mayer. Che poi ne produrrà altri di fondamentale importanza: uno su tutti, 2001: Odissea nello spazio (2001: A Space Odissey, 1968), di Stanley Kubrick.
Jack Arnold, “il più grande cineasta di fantascienza classica” (secondo il critico e sceneggiatore Enzo Ungari), nel 1957 realizza quello che può essere considerato il suo capolavoro: Radiazioni BX: distruzione uomo (The Incredible Shrinking Man). La sceneggiatura è stata scritta da Richard Matheson e tratta dal suo bellissimo romanzo “Tre millimetri al giorno”. Un giorno Scott Carey viene esposto casualmente a delle radiazioni e comincia a rimpicciolire. Straordinario sotto il profilo degli effetti speciali, il film è però anche l’inquietante racconto di come, sono parole del regista (da La fantascienza di Jack Arnold, di Giovanni Mongini e Luca Moretti, Cose da altri mondi, 16 luglio 2016), “il quotidiano potrebbe diventare orribile se le circostanze cambiassero”.
Un mostro scarlatto, informe e appiccicoso proveniente dallo spazio, precipita nei pressi di una cittadina della provincia americana e divora chiunque gli capiti a tiro. Un ragazzo e una ragazza, testimoni dell’accaduto, cercano di convincere la polizia del pericolo. Quando finalmente il “blob” viene affrontato, si scopre che il gelo lo uccide. Prodotto da Jack H. Harris (1918-2017) e diretto da Irwin S. Yeaworth Jr. (1926-2004), Fluido mortale (The Blob, 1958) è diventato famoso in Italia anche grazie alla trasmissione di Rai3 Blob- Di tutto di più, in cui la massa gelatinosa appare nelle sigle di testa e di coda. A causa di qualche difetto evidente (tra questi la prova attoriale poco convinta del quasi esordiente Steve McQueen), Fluido mortale risulta un film squilibrato: momenti sublimi, a cominciare dai titoli di testa accompagnati dalla canzoncina straniante di Ralph Carmichael, si alternano ad altri decisamente puerili. Lo stesso Harris nel 1989 ha realizzato il remake del film. Uscito in Italia col titolo Il fluido che uccide e diretto da Chuck Russell, è uno dei pochi casi di rifacimento quasi migliore dell’originale.
Come altri film di science-fiction dell’epoca, L’esperimento del dottor K (The Fly, 1958) riesce a essere spaventoso e, in un paio di scene, addirittura orripilante. Ad esempio quando Hélène (Patricia Owens), moglie di uno scienziato che, a causa di un esperimento mal riuscito, si è trasformato in un essere mostruoso, schiaccia il marito sotto una pressa. Ma anche il finale non è da meno. Il regista Kurt Neumann (1908-1958), nato in Germania ma trasferitosi negli Stati Uniti durante il nazismo, negli anni Cinquanta ha diretto altri due pellicole fantascientifiche di buon livello: R.X.M. Destinazione Luna (Rocket Ship X-M, 1950) e Kronos, il conquistatore dell’universo (Kronos, 1957). L’esperimento del dottor K è stato poi rifatto magistralmente nel 1987 da David Cronenberg: La mosca (The Fly) è infatti uno dei migliori film fantascientifici degli anni Ottanta.