Quando nasce Alessio Lega cantautore; quali sono i suoi primi sogni, quali i primi obiettivi?
Ho sempre avuto la passione della narrazione: raccontare storie. Però all’inizio pensavo di farlo attraverso i fumetti: proprio per studiare disegno, a 18 anni mi trasferii da Lecce a Milano. La musica era sempre stata una grande passione, ma pur scrivendo le prime canzoni per un pubblico di amici, mai avrei pensato di farne una professione. Infatti ho inciso il mio primo disco piuttosto tardi, a trentun’anni.
I cantautori che stimi sopra gli altri e che ti hanno formato?
Ho scoperto la canzone assieme alla politica, dunque per me sono sempre stati molto importanti i cantori di movimento degli anni sessanta e settanta (Ivan Della Mea, Pietrangeli, Giovanna Marini) nonché la canzone popolare. A questi aggiungo i classici italiani De André e Guccini. Comunque me ne piacciono moltissimi altri… il territorio dei miei gusti musicali è sconfinato.
Dal punto di vista politico come ti definisci?
Vengo da una famiglia di estrema sinistra, formatasi nel periodo della contestazione. Io personalmente ho aderito alla posizione dell’anarchismo. Ma siccome questa parola viene spesso fraintesa, in quanto gli viene data una connotazione molto individualistica, diciamo pure che sono un anarco-comunista, un socialista libertario. La figura di militante e pensatore storico che trovo più affascinante è quella di Malatesta.
Nella tua canzone Errico Malatesta dorme ma i suoi sogni sono ancora vivi e possono ispirare gli uomini del tempo attuale?
I grandi pensatori ed i grandi militanti ancor di più sono persone del loro tempo, e sarebbe anacronistico chieder loro risposte per il presente. Penso però che il loro pensiero e le loro idee abbiano degli elementi tutt’ora utili. In fondo si rinnovano le condizioni ma i temi – guerra, sfruttamento, nazionalismo – restano sempre quelli.
Torniamo a parlare di musica: esiste ancora una scena cantautorale? Se sì quali sono le somiglianze e le differenze con quella degli anni 70 che hai nominato?
Ho una certa allergia per la parola “cantautorale”, preferisco parlare di “canzone d’autore”: concentrarmi sull’oggetto più che sul soggetto che la produce. Senz’altro esiste una canzone d’autore e d’altronde interpreta delle esigenze espressive specifiche. Nella generale crisi dell’industria culturale, nel tramonto dei supporti fisici (Cd, vinile, ecc), nell’incapacità a concentrarci sull’ascolto di una serie di canzoni (non basta una canzone per entrare in una poetica), certamente la difficoltà è particolarmente evidente.
Rap, militante o no e trap. Degenerazione dei cantautori, continuatori, cugini in qualche modo o nessun legame?
Personalmente non demonizzo nulla ed ascolto con un certo interesse tutto ciò che “passa il convento”. Il fenomeno dell’Hip hop mi ha sempre interessato per l’enorme importanza che vi ha la parola. L’influenza reciproca però può innescarsi solo dove c’è conoscenza o quanto meno interesse reciproco. Se un rapper o un trapper ascolta le mie canzoni ed in qualche modo ne è influenzato, non è poi difficile trovare il modo di dialogare. Altrimenti resteranno due fenomeni paralleli.
Parliamo dei tuoi album ora. Dopo alcune apparizioni live (ricordo il critico musicale Marco Pandin che parlava di te e auspicava un tuo cd) nel 2004 hai inciso Resistenza e amore con i Mariposa. E hai vinto il Premio Tenco. Nel disco c’era anche Dall’ultima galleria, canzone sul G8 2001 di Genova decisamente schierata. Vuoi parlarci di quella tua esperienza?
Il “mestiere” del musicista mi è cascato addosso in maniera del tutto inaspettata. Suonavo e cantavo da parecchi anni e avevo avuto qualche sporadica esperienza di palco alla fine degli anni Ottanta a Lecce. Giunto a Milano nel 1990 però, mi dedicavo solo ai fumetti, e la chitarra era riservata ai dopocena con gli amici… con loro frequentavo i centri sociali (molto attivi all’epoca) e così in modo spontaneo mi ritrovai su quei palchi, a portarvi un mix di canti popolari, canzoni d’autore e quelle scritte da me. Fu così che di concerto in concerto il giro si allargò… finché non incrociai la strada di questo gruppo – i Mariposa – all’epoca piuttosto attivo nel circuito del rock indipendente. Per me fare un disco era più una curiosità che un’esigenza… ma poi a farle le cose ci si appassiona, e così ho smesso di contare le mie registrazioni, credo che – a distanza di vent’anni – siamo attorno ai quindici CD.
La canzone sui fatti di Genova 2001, Dall’ultima galleria, compresa in quel primo album Resistenza e amore, era in effetti una sorta di pagina di diario, un brano personale su una vicenda epocale della recente storia d’Italia. Io a Genova c’ero ed ho provato quel misto di sensazioni: paura, esaltazione, fuga, rivolta! Credo che tutto ciò si senta.
Nel 2008 hai reinciso per intero, con in più una traccia originale dedicata al caso di Mastrogiovanni, vittima di un TSO, il disco E ti chiamaron matta dello psichiatra cantautore Giovanni Nebbiosi uscito nel 1972. Cosa ti lega alla realtà della “malattia” psichiatrica? Quali le tue motivazioni per rifare quel disco? Che ne pensi dello stato attuale delle cose riguardo la psichiatria in Italia?
Nel 2008 cadeva il trentesimo anniversario della cosiddetta “Legge Basaglia”, che chiuse i manicomi in Italia, intercettando un processo che non esito a definire “rivoluzionario”. Mi sembrava una vicenda molto importante su cui riflettere, e decisi (insieme all’editore Valter Colle e soprattutto al mio “scudiero musicale” Rocco Marchi) di re-incidere questo disco bellissimo e sconosciuto. La vicenda di Mastrogiovanni – un maestro campano assassinato nel 2009 con un TSO – ci colpì moltissimo e scrivemmo quella lunga ballata. Dieci anni dopo la inserimmo nella ristampa di quel CD. Nel complesso è stata una delle nostre operazioni più esaltanti e dolorose, ma anche molto soddisfacente sul piano estetico. Poi è chiaro che vicende personali e familiari – delle quali non mi sembra il caso di parlare qui – pesavano sul mio interesse per la cosiddetta “salute mentale”.
La situazione attuale mi pare tragica: la battaglia di difesa della “Legge Basaglia” ci sfianca, quando invece sarebbe importante rilanciare le sue motivazioni profonde in un mondo sempre più ingiusto e alienante.
Nel 2021 viene il disco in cui rifai le canzoni di Ivan Della Mea. “Alessio Lega canta Ivan Della Mea”. Parli di comunismo e di pacifismo. Canti le storie di alcuni personaggi usando pure il dialetto milanese. Ricordiamo che tu sei leccese. Ci parli di questa esperienza?
Ivan Della Mea è stato uno dei miei maestri, non solo d’arte, ma anche di vita e d’impegno. Fermo restando che lui era comunista ed io sono anarchico. L’ho conosciuto e frequentato, ma non sono stato un suo intimo… ho però avuto 10 anni di fraterna amicizia col suo principale collaboratore musicale: Paolo Ciarchi. Questo mi ha portato a interessarmi fortemente non solo di quella parabola artistica, ma di tutto il contesto politico-esistenziale in cui si sviluppò. Nel 2019 ho pubblicato un libro biografico su Della Mea e la sua cerchia, La nave dei folli, ma la pandemia arrestò un po’ questo processo di riscoperta, sicché un anno dopo rilanciammo incidendo il CD MEA: Alessio Lega canta Ivan Della Mea. Io penso che Ivan sia stato un grande poeta ed un musicista, e andrebbe valutato anche per questo, non solo perché voce del movimento operaio. Le sue canzoni – neorealiste o visionarie – sono bellissime ed hanno un linguaggio molto originale. Non era pensabile un’antologia di quei canti escludendo tutti brani in dialetto, ed io trovo molto divertente confrontarmi con quella lingua, pur essendo consapevole di pronunciarla da leccese.
Oltre ai dischi sei autore anche di alcuni saggi. Ce ne parli?
Così come mi sono ritrovato ad essere un cantastorie per caso, allo stesso modo sono diventato narratore per caso. Anche nei miei spettacoli di canzoni, la narrazione ha sempre avuto un ruolo importante, per di più ho scritto numerosi articoli di argomento musicale… ad un certo punto qualche editore si è mostrato interessato anche a questi scritti. Già ho citato il libro su Ivan Della Mea, ma ho scritto anche una biografia che non ha relazioni con la musica, quella di Bakunin, pilastro del pensiero e dell’azione anarchica. Più di recente ho intrapreso la scrittura di una trilogia che ripercorre la storia del movimento rivoluzionario attraverso i suoi canti: L’anarchia in 100 canti (1870-1922), La resistenza in 100 canti (1923-1960)… e spero di riuscire a concludere quest’anno con il terzo libro che tratterà il periodo dal 1960 in poi.
Qual è la tua posizione nei due conflitti che più occupano le cronache attuali? Guerra Russia-Ucraina e conflitto Israele-popolo palestinese?
Odio Putin, odio ogni governante soprattutto se autocrate e imperialista. Non ho scheletri stalinisti nell’armadio da difendere, quindi non considero la Russia di per sé migliore degli Stati Uniti e se ha un atteggiamento ugualmente colonialista mi fa schifo tanto quanto. Resto fedele al pensiero anarchico, per cui non mi schiero con nessuna patria e nessuna guerra patriottica. Non confondo l’aggressore con l’aggredito e non prendo le armi sotto l’insegna di alcun esercito nazionale, specie se infestato da elementi nazistoidi. Detesto la politica genocida del governo d’Israele, ribadisco però che sono anarchico e considero tutti gli Stati oppressori: tutti, a partire da quello italiano e compreso quello sionista. Il mio cuore si schiera con le vittime palestinesi, non però con i macellai senza cuore e senz’anima di Hamas. Il socialismo libertario sarebbe l’unica soluzione percorribile… ma attualmente sembra un’ipotesi lontanissima. Se non sono disperato è solo perché, come diceva un nostro compagno, lascio da parte il pessimismo per tempi migliori.
Per concludere e salutarci ci consigli la lettura di un libro?
Consiglio vivamente la lettura (o la ri-lettura) di un romanzo essenziale di Dostoevskij, I Demòni, di cui Einaudi ha pubblicato una nuova impeccabile traduzione di Emanuela Guercetti. Questo libro oltre a essere godibilissimo, a tratti persino comico per la satira che fa dell’ambiente rivoluzionario, dovrebbe a mio avviso essere obbligatorio a chiunque voglia fare attività politica o sociale, per capire i rischi e i mostri che si nascondono dietro l’adesione astratta anche al più luminoso degli ideali. Aggiungo – molto immodestamente – il consiglio di prendere un librettino che ho scritto di recente assieme a Giangilberto Monti: Strà Milano, una guida della città in cui abito attraverso le canzoni… non una storia della musica milanese o dei suoi personaggi, ma proprio una mappa cantata di questa città, utile a chiunque la voglia scoprire sotto questo aspetto.
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