Nella coda del caimano 2° episodio di Gordiano Lupi

25 aprile 1998

Ieri pomeriggio era di nuovo il mio turno di andare sul fiume e la cosa non mi è dispiaciuta perché in casa c’è bisogno di tutto e senza dollari non si riescono a trovare sapone o vestiti. Ho un paio di scarpe sfondate che mio padre risuola da mesi e spesso vado in giro scalzo perché un po’ mi vergogno di farmi vedere così. L’unico vestito che possiedo, un paio di pantaloni e una maglietta di cotone, ha più rammendi che stoffa.
I dollari che avrei racimolato sarebbero serviti a comprare qualcosa di nuovo per me e per i miei fratelli. Il babbo e la mamma dicono che non hanno bisogno di niente. Lui lavora soltanto, lei passa il tempo tra la casa e il fiume e l’unica occasione di svago sono le chiacchiere con le altre donne del villaggio. Per mio padre c’è solo la caffetteria e la bottiglia di rum costa pochi pesos.
Ho accompagnato un gruppo di francesi. Una comitiva di una decina di persone che proveniva da Baracoa, dove ci sono alberghi e attrezzature per i turisti. Da noi invece c’è solo questo fiume e uno straniero non dormirebbe neppure una notte in una delle nostre case di legno e terra.
Spesso qualcuno me lo chiede: “Ma come fate a vivere così?”.
Io sorrido e rispondo: “Lo facciamo da sempre”.
Durante la gita al fiume è accaduta una cosa inconsueta.
I turisti si sono fermati e hanno cominciato a mangiare tutti insieme il pranzo che qualcuno di noi aveva preparato. Poi uno ha tirato fuori una bottiglia di colore verde. “Champagne!” ha esclamato.
Mi hanno spiegato che era il compleanno di uno del gruppo e mi hanno invitato a partecipare alla festa versandomi un bicchiere di quel vino.
Io ho accettato, ma poi quando hanno cominciato a intonare in coro “tanti auguri a te” mi sono ammutolito. Io quella canzone non la so cantare. Non l’ho mai cantata. Ho spiegato che l’unico regalo che a volte mi fa mia madre è un dolce di cocco a forma di cono che mi piace tanto, il cocorucho. Però non ho mai festeggiato un compleanno, anzi, a dire il vero non rammento neppure il giorno che sono nato. Ho letto la meraviglia nei loro volti e anche un po’ d’incredulità. Non avevano mai sentito una storia simile. A Yumurí è cosa normale. Non è che non si facciano feste, ma non abbiamo denaro per regali o cose di questo tipo.
Si fa festa quando si può, quando uno di noi rimedia qualche bottiglia di rum, della birra e qualcosa da mangiare. Poi serve poco altro. Ragazze e musica accendono da sole la voglia di divertirsi.
Le nostre feste sono in riva al mare o dietro casa, davanti a un fuoco acceso ad arrostire un maiale e poi a berci dietro un po’ di birra gelata, mentre le donne ballano movendo i fianchi a ritmo di salsa.
Però ho partecipato volentieri al compleanno del francese che ha detto di chiamarsi Paul e ho bevuto quel vino che mi offrivano. Pare che costasse cinquanta dollari la bottiglia. Non ho potuto fare a meno di pensare che se solo avessi avuto la metà di quei soldi avrei comprato vestiti nuovi per tutta la mia famiglia. Loro invece se li bevevano in quel vino con tutte quelle bollicine frizzanti. Avrei preferito una birra ma non volevo offenderli.

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