Chi è Gloria Barberi, autrice de L’occhio sinistro di Horus?

In occasione della pubblicazione a puntate de L’occhio sinistro di Horus a partire da domani 12 maggio, appuntamento che si ripeterà tutte le domeniche, abbiamo intervistato Gloria Barberi, autrice del romanzo.

Chi è Gloria Barberi e qual è il suo rapporto con il mondo del fantastico?
Gloria è una persona come tante appassionata di letteratura e altre arti, con una tendenza a fantasticare che la porta a inserire quasi sempre un elemento fantastico in ciò che scrive. Se sapesse dipingere, seguirebbe le orme di Dalì o Magritte. Geneticamente è un bizzarro impasto tosco-ligure-piemontese, con ignote radici da parte paterna, essendo il bisnonno un trovatello abbandonato nella ruota dello Spedale degli Innocenti di Firenze. Il cognome Bàrberi, in Liguria “addomesticato” in Barbéri, era in origine Barbari, uno dei tanti cognomi che venivano appioppati ai bimbi, dopo anni in cui vigeva l’uso di chiamarli semplicemente Degli Innocenti. Dopotutto, al bimbo andò più che bene. Altri due, presenti sul registro dei battesimi accanto a lui, si videro imporre rispettivamente il cognome di Pozzangheri l’uno, e di Gastighi l’altro.
Da parte materna, invece, le radici si ritrovano nelle Valli Valdesi attorno a Torino, fra Torre Pellice e Angrogna, luoghi che hanno contribuito alla passione per il fantastico con un carico di leggende locali, raccontate dai nonni alla bimba ancor piccina che, per il resto, già si pasceva di Verne e Salgari, grazie a un fratello più grande e una mamma amante dei romanzi di avventura e fantastico in generale. Quindi, l’indottrinamento risale alla prima infanzia, stimolato anche dalla visione di film come dal semplice gioco di cercare forme e immagini nelle nuvole. Essere in grado di trovare un pizzico di fantasia nella quotidianità è comunque il miglior antidoto contro la noia.
Ovviamente da bambina sono cresciuta sentendomi un mostro a due teste poiché, all’infuori della cerchia familiare, nessuno sembrava condividere la mia passione. Per i coetanei, si trattava di “cose troppo complicate”, per gli adulti di “cose assurde”. Infanzia e adolescenza trascorse senza trovare nessuno con cui condividere la passione per il Fantastico, finché…

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https://www.clubghost.it/portale/2019/05/11/chi-e-gloria-barberi-autrice-de-locchio-sinistro-di-horus/




Il letto rosso di Nicola Lombardi

Ed eccomi di nuovo qui a parlarvi di horror, in particolare di horror italiano, il mio preferito ultimamente.
Questa volta tocca nientemeno che a Nicola Lombardi, autore piuttosto conosciuto nell’ambiente editoriale di genere, del quale oggi recensisco la novella Il letto rosso: opera pubblicata dalla casa editrice Independent Legions e finalista al Premio Laymon 2017.
La trama è abbastanza semplice. Alberto Gozzi, giornalista specializzato in cronaca nera, nonché individuo tormentato che ha qualche problema con l’alcol, decide che è giunto il momento di dare una svolta alla sua carriera. Sceglie di farlo progettando una monografia sul famoso Orco di Borgone, don Marzio Corsini: prete folle che sequestrò e uccise alcuni giovani adolescenti durante la fine degli anni ‘70.
Gozzi comincia la sua ricerca contattando Luigi Consalvi, figlio del complice del prete (Guido Consalvi era colui che procurava le vittime) e che all’epoca degli assassinii denunciò il padre e don Marzio.
Gozzi, grazie all’aiuto dell’ormai quarantenne Consalvi e della sgradevole madre (il personaggio migliore del libro, per me) finisce per scivolare dentro a un baratro di orrori e follia che, naturalmente, finirà per inghiottirlo.

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Caccia selvaggia di Mariateresa Botta

Ultimamente la figura del vampiro è diventata fin troppo inflazionata: saghe come quella di Twilight di Stephene Meyer hanno spopolato fra il pubblico giovanile con uno stile grossolano e di facile presa. Sinceramente non ho mai amato neanche Anne Rice anche se ammetto che è a un livello superiore. Invece nel genere vampirico ho apprezzato in particolare La fortezzadi Paul F. WilsonIo sono leggenda di Richard Matheson e Le notti di Salemdi Stephen King, a suo modo un grande omaggio al Dracula di Bram Stoker. A proposito del romanzo di Stoker Lovecraft – in L’orrore soprannaturale in letteratura − elogiava la prima parte mentre trovava la seconda più stucchevole, romantica e meno riuscita: un giudizio da me pienamente condiviso. Mi sono venute in mente queste considerazioni sulla deriva di certa letteratura vampirica a proposito di Caccia selvaggia di Mariateresa Botta, giovane autrice campana appassionata di fantasy e horror. Si tratta di un racconto lungo da cui traspare un approccio originale e profondo a una tematica ipersfruttata.

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L a belva dei Carpazi di Gordiano Lupi

Ricordi di Erzsébet Báthory
Castello di Csejthe, 21 agosto 1614

Non avrei mai creduto di finire la mia vita rinchiusa come una belva feroce, come un animale braccato, condannata per sempre a invecchiare in solitudine, a bramare la morte come una liberazione. Perché la cosa peggiore che mi può ancora accadere è quella di vedere il mio corpo appassire sotto i colpi inclementi del tempo che scorre. C’è ancora lo specchio nella mia stanza. Nessuno lo ha portato via. Sono costretta a guardare la vecchiaia che avanza inesorabile. Si avvererà la profezia della vecchia megera che un giorno mi disse: “Diventerai come me, contessa! Nessuno ti vorrà più baciare!” Ridevo di lei, della sua bruttezza, avevo obbligato il mio amante a scendere da cavallo e a baciare quelle labbra raggrinzite, ad accarezzare quella pelle sfiorita. Le parole della vecchia mi entrarono nell’anima e subito smisi di ridere, perché era vero che presto sarei diventata vecchia e brutta. Pure io, che ho avuto tanti amanti e ho sempre potuto scegliere tra i nobili più attraenti, mi sarei trasformata in una vecchia megera e gli uomini non avrebbero voluto toccarmi. Solo per questo ho cercato di oppormi al tempo che passa. Non potevo attendere la fine della gioventù senza provare a fare qualcosa. Non potevo. Amavo il biondo dei miei capelli e lo conservavo lavandoli con cenere, zafferano e camomilla. Volevo che la mia pelle restasse bianca e vellutata. Volevo essere giovane per sempre. Per questo mi hanno murata viva nel mio castello. Ho letto le accuse della corte e immagino lo sguardo accusatore di quei venti giudici, dei testimoni e di quel maledetto prete Ponikenus. Non ho voluto subire l’onta del processo, sono rimasta al castello, nelle mie stanze. Non potevano giudicare una contessa come una volgare plebea. Non ne avevano il diritto. Ho letto pure la sentenza: “Avendo le confessioni e le testimonianze dimostrato la colpevolezza di Erzsèbet Báthory e di come ella abbia commesso delitti contro persone di sesso femminile, visto che i suoi complici esigono una punizione, abbiamo deciso di strappare le dita con le pinze a Jò Ilona, di condannare a morte Ficzkò che sarà decapitato e gettato tra le fiamme…”. Parole terribili che percuotono ancora la mia mente. Non potevano fare questo anche a me, ero pur sempre la contessa Erzsèbet Báthory, mica una serva di palazzo. 

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La casa nella nebbia di Alda Teodorani

La vecchia viveva sola, in una casa di campagna della pianura romagnola, vicino a Pontesanto. Una casa in mezzo al nulla. Solo una piatta distesa nebbiosa. Per questo il cadavere fu ritrovato solo parecchie settimane dopo. Il contadino raccontò che aveva sete, e si era fermato a bere al pozzo della vecchia.
“Quella là,” disse ai carabinieri sforzandosi di parlare in buon italiano, non in dialetto, “non usciva mai di casa. Ciò, l’è longa in bicicletta da Sasso a Toscanella e mi fermo sempre là a bere e magari a cambiare l’acqua ai lupini. Lei non mi ha mai detto niente, non l’ho mai vista, neppure.”
E alle domande dei carabinieri, che non sapevano cosa voleva dire cambiare l’acqua ai lupini ma erano più interessati a un’ipotesi di delitto, rispondeva: “A’ ne so, gli portavano da mangiare quelli del comune. Dicevano tutti che era una strega, o qualcosa del genere. Ma io non l’ho mica neanche mai vista.”
I carabinieri conclusero che la vecchia doveva essersi buttata nel pozzo da sola, e commentavano su quel disgraziato di Pirotti, che era stato il primo ad arrivare sul posto e aveva dovuto aiutare a tirar su la morta, già mezzo putrefatta. La vecchia non aveva parenti, e il comune di Imola aveva pagato i funerali, facendo suoi casa e podere.
E la storia parve finita.

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Il mio inferno di Luca Bonatesta

È giorno fatto.
I vostri occhi sono disturbati dalla luce, la maggior parte di voi si sta risvegliando adesso. Siete dentro un pullman. Seduti su di un morbido rivestimento di stoffa a motivi floreali azzurro e verde, le teste reclinate sui poggiatesta integrati in vinile blu oceano. Sopra i tavolinetti ci sono riviste e quotidiani e, negli spazi porta bibite, bottigliette d’acqua ormai sgassata e lattine vuote.
Il sole si alza lentamente ma inesorabilmente nel cielo color candeggina.
È estate. State viaggiando su una strada di campagna.
In fondo c’è un paesino in collina, ma ancora non lo vedete.
Una voce, che sembra venire dal conducente dietro il vetro, annuncia: “Buongiorno, signori, ben svegliati! Avete riposato bene? Come promesso, alle prime luci del mattino, ci stiamo avvicinando all’ingresso dell’Inferno.”

Ai lati della superstrada la sterpaglia brucia e diventa cenere, si innalzano grandi fuochi e il fumo si diffonde come nebbia. Ancora non vedete il paese.
La voce del conducente prosegue: “Notate gli alti falò che avvertono il visitatore dell’approssimarsi all’entrata.”
Il pullman grigio – i raggi del sole creano riverberi sulla superficie lucida del tetto – scivola nell’aria come un balenottero nell’acqua.
“Non badate agli sguardi ostili” dice il conducente. “L’Inferno non è un bel posto e la gente non è molto socievole. Ma voi, signori, non abbiate paura: viaggiate con la nostra agenzia!”
L’autocorriera si è avvicinata all’ingresso del paese, che adesso entra nel vostro campo visivo anche se è ancora distante.

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