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30 agosto 1998
Questa brutta storia continua a seminare morti e io sono sempre presente quando accade qualcosa. Sembrano avvertimenti sinistri, come se qualcuno volesse dirmi di fare molta attenzione.
Ieri abbiamo preso un camion diretto a Baracoa, uno dei tanti che portano pesce o caffè alle industrie di stato. È bella la strada che porta alla città. Senza avvisare, dopo foreste di palme e banani, si aprono spiagge a ridosso di alte montagne. Mio padre mi ha mostrato la piantagione di caffè dove ha lavorato a lungo qualche anno fa e le spiagge dove veniva a tuffarsi quando era un ragazzo.
È venuta anche la mamma questa volta, è la più esperta di santeria e può spiegare cose per noi misteriose.
Karin non l’ho voluta. Non sono spettacoli per ragazzine.
Sgozzano galli e scorre sangue su quella specie di casseruola metallica che chiamano prenda. Sarebbe svenuta solo a vederla. Se poi adesso ripenso a quello che è successo mi dico che ho preso la decisione migliore. Anche se lei si è infuriata e ha detto che devo smettere di trattarla come una bambina perché ha già quattordici anni e da tempo è diventata donna. Quando ci vedremo e le racconterò tutto mi ringrazierà. Non è stato un bello spettacolo. No, non lo è stato davvero.
La strada che porta alla città si avventura tra foreste tropicali e case di legno, un panorama inconsueto per me che vivo sulla sponda d’un fiume. Osservo contadini che allevano maiali e bambini correre scalzi per strada. Alcuni di loro giocano con carrettini di legno artigianali che lanciano da una piccola salita per provare l’ebbrezza della velocità.
Passano poche auto e non c’è nessun pericolo.
Ho guardato a lungo quelle scene di vita e ho rincorso con gli occhi bambini che giocavano a nascondersi e contadini impegnati a lavorare i campi. Ho salutato improvvisati venditori di caffè e cioccolata. E ho pensato che se un giorno riuscirò a scappare da qui e a cambiar vita questa resterà sempre la mia gente. E questa terra sarà sempre la mia terra. E la porterò nel mio cuore, ovunque vada.
Siamo arrivati a Baracoa dopo un’ora di viaggio.
La città è affascinante e io non l’avevo mai vista prima di allora.
Mia madre ha detto che sono nato là, nell’ospedale sopra la collina, quello vicino al grande albergo, ma ho sempre vissuto a Yumurí e non c’è stata mai occasione di tornare a Baracoa.
Ho attraversato a piedi un lungomare proteso verso l’oceano che si faceva largo tra case cadenti e strade di terra e sassi. Il vento di mare percuoteva facciate di antichi palazzi e piante secolari stendevano rami nel cielo a indicare la strada ai passanti. Il sole bruciava il selciato e la polvere si sollevava dietro i nostri passi, un caldo intenso non faceva respirare. Ho visto ragazzini camminare svelti a torso nudo sul muretto tra la strada e il mare. Qualcuno si tuffava, altri giocavano con una palla di stracci rimediata chissà dove. Odore di riso e fagioli veniva dalle case con le porte aperte. Era ora di pranzo.
Abbiamo cercato la casa di Roberto.
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