baule

baulePaolo se ne stava seduto su uno sgabello, leggermente ingobbito, davanti al baule. Un raggio di luce lattiginosa colava attraverso il vetro macchiato di un abbaino, rivelando gli sciami pulviscolari, altrimenti invisibili, che vagavano pesanti nella soffitta. C’era silenzio, attorno al respiro affannoso di Paolo, un silenzio che lassù era di casa, e che adesso stagnava nella penombra in attesa che la voce dall’interno del baule tornasse a farsi udire.
Quando lo fece, le ragnatele abbandonate sulle travi si contorsero in un brivido.
«Sei ancora lì fuori?»
Paolo si riscosse, quasi non si aspettasse di udire nuovamente il fratello.
«Sì, Marino» rispose, ansioso. «Sono ancora qui. E tu… davvero vuoi uscire?»
La vocetta del bambino imprigionato sembrava provenire da un’altra stanza, come se il baule fosse profondissimo, come se affondasse nel pavimento e si perdesse in una dimensione che si espandeva ben al di là della vecchia casa.
«Da solo non posso farlo, lo sai. Tu mi hai lasciato chiuso qui dentro, e tu devi tirarmi fuori. Se davvero lo vuoi…»
Paolo si passò una mano fra i capelli. «Io… Io voglio farti uscire, Marino, credimi. Solo che…»
«Solo che cosa?»
«Ho paura di quello che potresti farmi.»
Ancora silenzio, per un po’. Il battito del cuore di Paolo era un singhiozzo di piombo che gli faceva dolere le tempie.
Quando Marino parlò di nuovo, Paolo non poté più trattenere le lacrime.
«Tu sapevi che mi ero nascosto qui dentro, lo sapevi benissimo. Però non lo hai detto a nessuno. Hai sempre barato, quando si giocava a nascondino. Mi hai spiato mentre salivo in soffitta, sapevi che mi ero chiuso qui dentro… E non lo hai detto ai nostri genitori. Perché lo hai fatto?»
Paolo non ce la fece a rispondere. Il nodo legnoso che gli ostruiva la gola gli impedì di emettere suoni, mentre con la mente già era proiettato all’indietro, annaspando fra i ricordi, al giorno in cui la sparizione di Marino dalla grande casa delle vacanze aveva decretato una drastica svolta nell’equilibrio della loro famiglia. Poteva sentire ancora le urla di sua madre, e dietro ai suoi occhi persisteva tuttora l’immagine del padre con lo sguardo perso nel vuoto e le dita intente a sfregolare senza sosta le guance mal rasate. Si vedeva, ancora e ancora, mentre richiudeva a chiave la porta della soffitta e rimetteva con cura quella chiave nel posto in cui l’avevano sempre custodita, nell’ultimo cassettino di una madia, in corridoio. Stavano giocando a nascondino, aveva raccontato alla mamma, al papà e a tutte le altre persone che lo avevano interrogato. Marino si era allontanato verso la macchia, un centinaio di metri dalla casa, risalendo lungo la spiaggia, nascondendosi chissà dove. Questo aveva raccontato, e gli avevano creduto. Sapeva che Marino non avrebbe strillato, o chiamato, sofferente d’asma com’era. E dopo giorni di ricerche, giorni intrisi di pianto e grida, se n’erano finalmente andati, erano tornati in città, e da allora non avevano mai più messo piede nella silenziosa, solitaria, dolente casa delle vacanze estive. Quello che aveva sempre desiderato, l’aveva alla fine ottenuto. Era tornato a essere figlio unico, aveva riconquistato tutto quell’amore e quelle attenzioni che il fratello, di quattro anni più giovane di lui, gli aveva sottratto. Mamma e papà erano nuovamente suoi.
«Dai, Paolo. Fammi uscire.»
La voce di Marino era ora un bisbiglio, una grigia ala di farfalla che strappò Paolo alla ragnatela dei ricordi.
«Sì, lo farò, Marino… Sono tornato per questo.»
Così dicendo, Paolo afferrò la grossa cerniera di metallo che abbassandosi aveva reso impossibile riaprire il baule dall’interno. Dopo una vita trascorsa a macerare nel rimorso, ora finalmente stava per compiere il gesto che non aveva mai cessato di sognare.
Il metallo tornò a stridere, per la prima volta dopo sessant’anni da quel giorno maledetto. Quando la serratura fu sbloccata, le vertebre di Paolo emisero un sofferto scricchiolio mentre raddrizzava la schiena.
«Ecco,» sussurrò. «Ora sei di nuovo libero.»
Quindi chinò il capo, affondando il viso fra le mani. Sapeva che non avrebbe avuto il coraggio di guardare.
Trascorse appena una manciata di secondi, poi il cigolio del coperchio tagliò il silenzio con lo stridore polveroso di un rasoio mal affilato, instillando ombre fra i pensieri forsennati che si dibattevano nella testa di Paolo. L’uomo pregò che il vecchio cuore lo graziasse, fermandosi all’istante. Ma non accadde.
Un odore terribile si sprigionò nella soffitta, e ciò che restava di Marino cominciò lentamente a uscire.

Nicola LombardiL’AUTORE
Nato a Ferrara nel 1965, Nicola Lombardi esordisce nel 1989 con la raccolta Ombre – 17 racconti del terrore. Si lega poi al movimento letterario romano Neo Noir e pubblica racconti, articoli e traduzioni su riviste e antologie per diverse case editrici. Suoi sono i romanzi tratti dai film di Dario Argento Profondo Rosso e Suspiria per la Newton & Compton. Traduce per il mercato italiano opere di Frank B. Long, Seabury Quinn, Charlee Jacob, Jack Ketchum, Edward Lee.
Altre sue raccolte di racconti: I racconti della piccola bottega degli orrori (2002), La fiera della paura (2004) e Striges (2005). I suoi romanzi: I Ragni Zingari (2010), con il quale nel 2013 vince il Premio Polidori, Madre nera (2013, prima ed.), La notte chiama (2015, con Luigi Boccia) e La Cisterna (2015). Oltre a occuparsi della traduzione di fumetti horror ha curato le antologie Malombre per Dunwich Edizioni e Sangue selvaggio per Weird Book. Nel 2018 ha pubblicato con Delos Digital il saggio macabro-umoristico Non aprite quelle porte!
È membro dell’Horror Writers Association, e diversi suoi lavori sono stati pubblicati anche in lingua inglese.
Il suo sito: www.nicolalombardi.com

image_pdfScarica in PDFimage_printStampa

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

*