Fine delle vacanze. Si torna alla solita vita. Porto Fabbrica è il luogo delle mie abitudini, dove soffia vento di mare, tra gesti quotidiani e ricordi che fanno soffrire. Come ogni giorno rivedo il volto di Marina e ascolto parole lontane che giungono con il vento della sera.
“Staremo sempre insieme, vero Laura?”
Illusioni di ragazzine che sognano il futuro senza fare i conti con la vita e i suoi sgambetti improvvisi. I sogni non si realizzano sempre, purtroppo. In sottofondo una vecchia canzone di Jannacci e Gaber mi fa pensare al sorriso di mio padre in poltrona, giornale tra le mani e stereo acceso che diffonde musica.
Una fetta di limone, una fetta di limone, nel tè…
Mi ritrovo sola con le mie illusioni che si confondono nel vento d’una giornata d’autunno. Poso lo sguardo sul cielo nero che fa cadere lacrime di pioggia nel pomeriggio di scirocco. Un gabbiano plana sulla preda lasciata incustodita dai pescatori sul piccolo molo. Marina è soltanto un ricordo che diventa flebile voce nella sera. Non ce la faccio a sopportare la sua paura, uno sguardo tremante, le parole angosciose dei suoi ultimi istanti tra le mani di un folle.
“Staremo sempre insieme, vero Laura?”
“Purtroppo no, sorella mia. Purtroppo no…” sospiro.
Mi pare che la sua anima inquieta implori una risposta diversa, sento le sue mani aggrappate alla piega della mia gonna, come per dire che tutto potrebbe essere stato diverso.
“Staremo sempre insieme, Marina. Staremo sempre insieme”.
Sono costretto a dirlo, finalmente. I suoi occhi spaventati attendono solo quella risposta mentre vago per le stanze di una casa che conserva vecchie foto, libri mai aperti, frasi scritte e dimenticate che hanno attraversato la sua breve esistenza. Marina era una piccola donna che sognava il futuro davanti ai tramonti e io rimpiango di non averla capita fino in fondo. Mi rimprovero di non aver parlato più a lungo con lei quando ne avrei avuto il tempo. Oggi ricordo soltanto il suo amore per queste rocce a strapiombo sul mare e per una terra percossa dal maestrale. Marina amava le tamerici ritorte, i pini marittimi a picco sulle onde, i fichi d’india, le agavi spinose, le palme e i voli tristi dei cormorani nelle giornate di pioggia. Asciugo le lacrime e cerco di capire i pensieri d’un fantasma, ma come sempre non ci riesco. Mi pare di sentire la sua voce che vola nel vento.
“Che ti succede, Laura. Perché sei triste ?”
Una mano invisibile accarezza i miei capelli neri e lo fa con dolcezza.
Il pensiero vola verso un freddo cimitero di mare, ricordo le parole di mio padre, rivedo i suoi occhi sorridenti. Un incantesimo si è rotto e adesso siamo soltanto due granelli di polvere dispersi dal vento.
Jannacci che torna a cantare nel sottofondo dei miei tristi pensieri.
Rido, quando mi pare rido…
Avrei bisogno di sorridere ancora. Davvero.
Mia madre posso dire di non averla neppure conosciuta. Sono passati troppi anni da quando la sua anima è fuggita via. Forse ero troppo piccola, ma di lei ricordo soltanto i lunghi capelli biondi e gli occhi verdi. La pioggia batte lentamente sui vetri, il silenzio rende ancora più triste una giornata di scirocco, umida, dal cielo plumbeo, con pochi pescatori intenti a calare le reti. In sottofondo la musica di Jannacci e le canzoni che piacevano tanto a mio padre.
Invece lui aveva una bandiera proprio lui
gridava tutta notte proprio lui
e gridava come fosse di mattina
sventolava la bandiera della Fiorentina…
“Marina, ma vedi il mare dove sei adesso?” sussurro.
So bene che nessuno mi può sentire. Mi sporgo in avanti per ammirare le luci delle piccole case di un’isola lontana e il faro di un isolotto che illumina la strada ai naviganti. Un velo di silenzio cala su colori e pensieri. Marina non riesce a rispondere. Frasi usate, sogni perduti, piccole speranze. Immagino un fantasma dagli occhi velati di pianto. Vedo il suo volto triste di quando era soltanto una bambina.
“Non è il mare che mi manca, Laura…”
Parole che vengono insieme al vento della sera.
Marina mi è sempre vicina, ma non posso tenerle la mano.
La sua immagine vola via come un fantasma che si perde nella notte.
È ancora in piedi quel maledetto supermercato. Un gigantesco prefabbricato in cemento e sbarre di acciaio che adesso vende di tutto, persino il quotidiano. Ricordo che alcuni anni fa accaddero dei fatti inspiegabili, cose mai viste a Porto Fabbrica. Mio padre portava me e Marina alla stazione centrale, vicino al grande magazzino. Il capostazione era suo amico. Mi passava cappello e paletta.
“Fallo partire!” diceva.
Mi sentivo importante e ubbidivo felice. Non perdevo neppure per un istante la locomotiva che si allontanava in direzione dell’ignoto.
Fu quando divenni più grande che cominciò il terrore. All’accadere dei primi fatti il babbo ci vietò di andare in stazione con la bicicletta, era preoccupato e non riusciva a nascondere una smorfia di paura.
Non ero più una bambina, però non comprendevo molto.
Sapevo solo che la colpa era di quel maledetto supermercato. Avevano tutti paura, allora. Paura di quel che stava accadendo e di quello che ancora poteva capitare.
Le pagine di cronaca nera dei giornali raccontarono a lungo la terribile storia del macellaio. Il babbo leggeva a voce alta durante il pranzo, la mamma ascoltava e scuoteva la testa. Io ho letto tutto poco dopo, ho passato interi pomeriggi in biblioteca a sfogliare con avidità quotidiani e riviste del passato. Ero troppo curiosa di sapere, soprattutto dopo quello che mi accadde…
Le prime ricostruzioni dei fatti dicevano che due addette alle pulizie del negozio avevano avuto qualche sospetto. A loro l’atteggiamento del macellaio era sempre sembrato strano. Era il primo a entrare e l’ultimo a uscire, portava a lavoro un’enorme valigia, non parlava mai con nessuno, lavorava a testa bassa e non aveva amici. Certo che non avrebbero mai immaginato ciò che faceva.
Quando cominciarono le prime sparizioni la polizia indagò all’interno del supermercato, senza trovare niente. Per forza. Era difficile che andassero a cercare nel banco macelleria tra fettine di manzo e spezzatino. Perché era là che il macellaio nascondeva le sue vittime, dopo averle fatte a pezzi nel laboratorio di casa. Si tradì soltanto quando uccise la direttrice, dopo un attacco di follia. I giornali si occuparono della vicenda con titoli a caratteri cubitali. Conservo ancora il ritaglio più importante.
Pazzo omicida uccide la direttrice
del supermercato dove lavorava
L’insano gesto compiuto dal macellaio. Ha ucciso la donna con una mannaia e l’ha fatta a pezzetti, poi ne ha venduto la carne mescolandola a quella di manzo e di maiale. Macabri resti della donna rinvenuti nell’abitazione del folle e all’interno del banco macelleria del supermercato.
Avevo appena dodici anni e le mie paure sembrano dei flashback. Come in Profondo Rosso, quel terribile film di Dario Argento, e la paura che mi facevano gli occhi spiritati di Clara Calamai. Qualcosa di molto più orribile si stava abbattendo, come una mannaia surreale, per le strade della nostra città di provincia.
Ricordo come un incubo anche gli omicidi della cassiera.
Fu dopo l’arresto del macellaio che lei cominciò a colpire. Cadaveri fatti a pezzi nascosti nel reparto alimentari, donne squartate nei camerini di prova. Ci vollero diversi omicidi prima che lei si tradisse. La polizia scoprì un coltello sporco di sangue sotto il bancone della cassa. C’erano le sue impronte. La cassiera confessò senza fare troppa resistenza. Non provò neppure a mentire, a difendersi. Era tutto normale dal suo punto di vista. Doveva accadere. La sua mano armata di coltello si era limitata soltanto a fare giustizia.
Il giornale riportò una delirante confessione. Non so come fecero a estrarre quel documento dalle carte penali. Conservo ancora il ritaglio. Mi interessava troppo quella storia.
Sola. Ero rimasta sola. Lo stronzo mi aveva lasciato per una ragazzina di vent’anni conosciuta in un night. Vivevo in due stanzette del centro. Ogni giorno la stessa vita. Ogni giorno digitare prezzi e sentire discussioni e commenti di gente che comprava di tutto. “Chi è l’ultimo?”, “C’ero prima io!”, “Lei vuol fare la furba…”. A me non me ne importava un cazzo di loro e di quello stupido lavoro. Soprattutto non volevo più sentire assurdi litigi. È stato così che ho cominciato. Per fare un po’ di pulizia. Per fare giustizia. Chi ammazzavo in fondo? Qualche puttana. Soprattutto puttane, signor commissario. Perché sono loro la rovina del mondo. Non c’entravo niente con il macellaio. Io facevo tutto da sola. Colpivo quando meno se lo aspettavano. Era l’unico momento piacevole del mio lavoro. L’unico svago d’una vita di merda.
Ma lei non può capire, signor commissario…
Parole terribili. Frasi di una pazza, dissero in tanti.
Adesso ho compreso che la spiegazione non era così semplice.
Lo ricordo avvolto dalle fiamme, quel maledetto supermercato. La fabbrica di acciaio disperdeva nel cielo un colore rosso da finto tramonto. Gabbiani distratti tornavano dal mare con le piume annerite. Lingue di fuoco mescolavano odore di fumo, salmastro e residui d’acciaio. Fu allora che compresi.
Mio padre insisteva che non poteva essere vero.
“Troppo Dario Argento…” concludeva scuotendo la testa.
Era vero che avevo visto da poco Inferno e Suspiria, ma i film dell’orrore non c’entravano niente. C’era anche Marina insieme a me e non possiamo aver sognato entrambe. Quel giorno nel cielo c’era qualcosa di più che nuvole rosse e contorni di fumo. C’era lui che bruciava. Bruciava il ricordo di se stesso. Un rogo immane disperdeva la sua anima immonda. Alzai gli occhi al cielo. Era là.
“Lo vedi?” chiesi a Marina.
“Sì. È terribile” rispose.
Apparve un volto sfigurato con gli occhi scavati nelle orbite, denti aguzzi, capelli crespi che sfumavano in due corna da caprone. Pareva il fantasma d’un corpo che volava nel cielo, in mezzo ai fumi dell’incendio. Poi un boato improvviso percosse il silenzio e la visione infernale scomparve nel niente
Adesso sono passati molti anni da quei fatti. Marina e mio padre mi hanno lasciato per sempre. Lo ricostruirono quasi subito, quel maledetto supermercato, e sino a pochi giorni fa tutto è stato tranquillo. Non è accaduto più niente. È stato il giornale di ieri a farmi rivivere vecchie paure e adesso resta aperto sul tavolo alla pagina della cronaca nera. L’articolo è in grande, il titolo in grassetto sovrasta la foto di lei.
Decapitata una donna all’interno del supermercato
Trovato il corpo privo di testa nel camerino di prova del reparto abbigliamento. La polizia indaga tra gli addetti del reparto. La testa della donna è stata rinvenuta nel retro del banco macelleria, in mezzo alle teste di animali. Il supermercato fu teatro di fatti di sangue alcuni anni fa e i responsabili vennero arrestati.
Non ho dimenticato quando vidi volare nel cielo un angelo del male. Adesso mio padre e Marina non sono più accanto a me. Sono una donna sola che vive in una casa sul mare e Vittorio non sa niente di quella vecchia storia. Sono qui che attendo il ritorno d’un angelo vendicatore. Apro la finestra ed esco sul terrazzo. Un vento di mare porta con sé il profumo del salmastro e dei fiori delle tamerici. È in quel momento che lo vedo apparire nel cielo. Terribile come tanti anni prima. Lo sguardo perso nel vuoto e gli occhi scavati, i denti aguzzi che dipingono un sorriso feroce. Devo fare qualcosa, perché sono la sola persona in grado di fermare una spirale di terrore. Prima che sia troppo tardi. Decido di uscire di casa e andare al cantiere da Vittorio per farmi accompagnare al supermercato. Lo trovo al suo tavolo da lavoro intento a studiare un contratto. Se non ci fosse lui…
“Ho voglia di fare due passi” dico.
“Ti accompagno” risponde.
Usciamo dall’ufficio e attraversiamo la strada che conduce verso la piazza sul mare. Un volo di gabbiani accompagna i nostri passi. Soffia un vento appiccicoso che non fa respirare. Vittorio comprende che sono preoccupata.
“A cosa stai pensando?” chiede.
“Al delitto del supermercato. Che cosa orribile…”
“Il giornale di oggi scrive che il colpevole può essere soltanto un addetto alle vendite”.
“Come tanti anni fa…”
La storia si ripete. Un impiegato del supermercato che uccide in modo macabro e inspiegabile. Quando ero bambina arrestarono un macellaio, poi una cassiera. Tutto avvenne prima del rogo purificatore e di quella strana visione nel cielo che apparve a me e a Marina.
“So dove vuoi andare” dice Vittorio.
“Ormai mi conosci bene” rispondo.
Arriviamo al grande supermercato. Devo entrare per cercare di capire cosa può essere accaduto. Non mi resta altro da fare. Non è il solito supermercato di sempre. Sento intorno a me odore di morte che viene dal passato e un dolore forte e inconsolabile di anime erranti. Il mio potere mi fa soffrire perché provo sul mio corpo le stesse sensazioni di chi è stato ucciso.
“Andiamo al banco macelleria” dico a Vittorio.
Lui mi segue. Vede che sto cambiando umore e che il mio volto si fa scuro e preoccupato. Tutto il male che si è sviluppato tra quelle stanze si riversa nella mia mente. Vedo corpi di uomini e donne squartati da una grande mannaia e il macellaio che colpisce nel retro del magazzino. Sento il dolore di vittime innocenti, osservo gli occhi di quel folle individuo mentre ripone i pezzi di carne umana nel borsone, se li porta a casa per mangiarne e il giorno dopo vende gli avanzi nel suo bancone. Rivedo come in un incubo la sua esplosione di follia e il massacro della direttrice a colpi di mannaia, quella che usava per frammentare le ossa dei bovini. Osservo i suoi gesti meticolosi mentre dispone le parti del corpo della donna in bella vista nel suo banco frigo. L’orrore dipinto negli occhi delle sue vittime è anche il mio orrore mentre assisto alla morte dell’assassino quando si uccide in prigione dopo l’arresto. Appare il suo corpo pendente alla trave del soffitto con un lenzuolo della branda stretto forte al collo e la sedia per terra. In un attimo comprendo quello che è accaduto. Uno spirito maligno esce da quel corpo impiccato e vola per le strade di Porto Fabbrica, torna al supermercato e si impossessa della commessa. Sarà lei a colpire di nuovo. Infatti la vedo con gli occhi spiritati mentre comincia una missione purificatrice. La cassiera uccide solo donne, libera la città dalle puttane che le hanno rubato il marito, ma è lo spirito maligno del macellaio che la fa colpire. Mi rendo conto di tutto e mi fa male questo ricordo. Vittorio comprende e mi sostiene.
“Usciamo. Hai bisogno di riposare” sussurra.
“No. Devo capire fino in fondo…” rispondo.
Adesso ho un potere che mi rivela tutte le sofferenze dei morti.
Collego l’incendio del supermercato e quella visione maligna in mezzo al cielo, ricordo il terrore dipinto negli occhi di Marina e la mia paura mentre seguivo un volo spettrale. Il macellaio è il colpevole di tutto. Il suo spirito inquieto dopo una morte violenta vaga ancora per le stanze del supermercato e colpisce per vendicarsi. Vedo la nuova vittima e assisto alla decapitazione nel camerino di prova del reparto confezioni. Un uomo che brandisce una mannaia, vestito di bianco e con il grembo macchiato di sangue, scaraventa sul collo della donna un fendente preciso che le stacca la testa di netto. Il macellaio è posseduto da un’entità maligna che lo spinge a uccidere e non comprende ciò che sta facendo. Devo denunciarlo alla polizia.
“So chi ha ucciso quella donna” dico.
Vittorio mi guarda sconcertato. Non si è ancora abituato al mio potere.
“È stato il macellaio, ma se facciamo arrestare soltanto lui non servirà a far cessare questo orrore…”
“Cosa vuoi dire?”
“Il macellaio ha ucciso spinto da una forza demoniaca. Nel supermercato aleggia lo spirito del macellaio che si impiccò per non finire il resto dei suoi anni in galera”.
Vittorio assume un’espressione preoccupata.
“Incredibile…” mormora.
Non è facile risolvere il caso, perché quando la polizia arresterà l’assassino, lo spirito del vecchio macellaio si impossesserà di un nuovo corpo per continuare la sua vendetta.
Don Franco è un prete che crede al soprannaturale. Me lo ha dimostrato quando siamo riusciti a liberare il corpo di una donna che cercava una giusta sepoltura e voleva riabbracciare suo figlio. Ecco perché siamo venuti a Santa Croce, in quella chiesa del quartiere operaio costruita tra sapore di mare e odore acre di carbone.
“Serve un po’ di terra del sepolcro. Dobbiamo far presto” dice.
“Quale sepolcro?” chiedo.
“La terra dove riposa il corpo del suicida” conclude.
Pare destino, ma quando incontriamo Don Franco ci tocca scavare terra di morti. Questa volta non dobbiamo seppellire nessuno, ma soltanto prelevare un po’ di terra dal cimitero comunale, proprio dal punto in cui riposa quel folle assassino. Io e Vittorio facciamo come ci dice e torniamo rapidamente dal parroco che pone la terra sull’altare e indossa gli abiti per celebrare il rito. Siamo soltanto noi tre e quella terra di cimitero nel silenzio della chiesa. Preghiamo per impedire che un assassino vendicatore colpisca di nuovo. La voce di Don Franco si fa cupa e cavernosa, le parole si comprendono meno bene, sembrano suoni gutturali che provengono da un altro mondo. Sento una presenza forte tra quelle mura di marmo bianco, ascolto un respiro affannoso e vedo Vittorio tremare di paura, perché l’anima irrequieta non ne vuol sapere di tornare all’inferno. Don Franco è stremato, al limite delle forze, pare non farcela a resistere al potere demoniaco, osservo i suoi lineamenti che si modificano. Alla fine ho la stessa visione di tanti anni fa, quella che provammo a raccontare ma nessuno ci credette. Vedo un volto sfigurato, occhi scavati, denti aguzzi, capelli crespi. Questa volta so che si tratta di uno spirito che torna al suo inferno e non ho intenzione di raccontare niente a nessuno. Non ho bisogno di essere creduta. La polizia ha già il suo assassino e per la gente del posto il mistero è risolto. Per fortuna che è proprio vero.
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L’AUTORE
Gordiano Lupi ( 1960) – tre volte presentato al Premio Strega – ha dedicato alla sua città: Lettere da Lontano, Piombino tra storia e leggenda, Cattive storie di provincia, Piombino leggendaria, Piombino a tavola, Alla ricerca della Piombino perduta, Calcio e acciaio – Dimenticare Piombino, Miracolo a Piombino – Storia di Marco e di un gabbiano, Piombino con gusto, Sogni e altiforni – Piombino Trani senza ritorno (con Cristina de Vita) oltre a un sacco di racconti e articoli di cui non è facile conservare traccia. Molti racconti piombinesi sono sul blog TUTTOPIOMBINO edito ogni domenica dal quotidiano telematico QUI NEWS VALDICORNIA. Si occupa di cultura cubana, traduce ispanici, scrive di cinema e pubblica monografie su registi e attori italiani. Sito Internet: ww.infol.it/lupi. E – mail: lupi@infol.it. Blog di cinema: La Cineteca di Caino (http://cinetecadicaino.blogspot.it/). Blog di cultura cubana e letteratura: Ser Cultos para ser libres (http://gordianol.blogspot.it/)