E. D. R. (Easy Death Rider) di Giuseppe Cozzolino

E. D. R. (Easy Death Rider) di Giuseppe CozzolinoDuemila…? Quando andavamo così forte, dimenticavo anche in che cazzo di anno vivevamo. E, dopotutto, chi se ne fregava?! Qualche capello grigio e qualche chilo in più, ma eravamo gli stessi bastardi figli di puttana di tanto tempo fa: un sogno che non voleva saperne di crepare, un’epoca leggendaria montata su due ruote!
Molti erano “andati” da un bel pezzo: Marlon si era sposato con una parrucchiera di Detroit, tre figli e uno schifoso posto in banca; Jimmy era morto bruciato in una corsa sulla pista di Indianapolis; Russ si era presentato al Creatore dopo uno scontro con i Satan’s sadists; Scott aveva perso un occhio in un incidente con la dinamite e aperto uno spaccio di liquori a Laredo.
Ma restavano i più forti: Peter, Dennis, Jack ed il sottoscritto, Roger The Bastard. I Riders eravamo noi, gli altri… merda di vacca!
Avevamo venduto un buon carico di “roba” a certi spacciatori di Denver, devastato il bar di Lumley, dato una ripassata alla moglie di un autista di città. E ora le autostrade d’America erano di nuovo nostre, pronte ad aprirci le gambe come la più generosa delle troie. Una distesa di asfalto e vernice bianca era tutto quello che potevamo chiamare “casa”, non chiedevamo altro: i semafori e le corsie preferenziali, gli show con Bill Cosby e il cemento armato, ci braccavano senza alcuna pietà. Cercavano a turno di schiacciarci o comprarci, come avevano fatto con quelle checche hippies e quegli idioti radical, ma la Dea Velocità ci proteggeva rendendoci immuni al fetore delle loro minacce come al profumo di promesse false ed accomodanti. La Dea era sempre con noi: ci scorreva nelle vene iniettata dal rombo dei nostri motori truccati.
Cristo. Fino a ieri sembrava tutto okay!
Dennis mi aveva appena superato. Con quel metro e ottanta per centotrenta chili avrei goduto un mondo nel vedere la sua Harley impennarsi come uno stallone impazzito e scaraventarlo per aria come una palla da basket. Quel porco!
Dennis faceva il gradasso con tutti. Quando era stanco della sua donna si prendeva quella degli altri. Lui era il capo e nessuno aveva da ridire: a Jack mozzò due dita con il machete che si portava legato in spalla, solo per aver mugugnato su come si dividevano gli “utili” del nostro discreto business. Quanto a me, ero l’unico che veniva rispettato un po’ più dei miei altri pard. Magia della 44 Magnum fregata al mio vecchio quando scappai di casa a tredici anni.
Fu l’unica volta che lessi la paura in quel grugno bovino che qualcuno si ostinava a chiamare “faccia” (ma chiunque si cagherebbe nei pantaloni se gli puntassero una pistola all’altezza delle palle). Da allora gli altri presero a chiamarmi “Roger-Canna-di-Bisonte”.
Sentivo ruggire la moto di Peter alle mie spalle, appaiata a quella di Jack. Dei bastardi ben assortiti quei due, anche fin troppo inseparabili: Peter era un mezzo sangue, un po’ polacco un po’ Apache. Jack era il quinto figlio di un pastore protestante del West Virginia, uno di quelli che vantavano un antenato fra quei primi Padri Pellegrini sbarcati in America per “civilizzare” gli Indiani a suon di prediche, whisky e fucilate.
L’idea che quei due si tirassero l’uccello l’un l’altro sotto la doccia, magari con un “linguinbocca”, mi faceva torcere lo stomaco dalle risate.
Fino a ieri…

Oggi… è pura follia.

Non so dove ci troviamo né come ci siamo arrivati. Qui non c’ero mai stato prima.
Anche il cielo sembra diverso… un sudario ansioso di posarsi sulle carni ghiacciate di un cadavere. E il sole… Madre di Dio… ha il colore del sangue!!
Ci sono centinaia, migliaia di centauri come noi che attendono in silenzio chissà cosa, ai limiti di questo immenso dirupo spuntato chissà da dove: vedo i Black Rebels di Dallas, i Wild Angels di Miami, i Devil’s Advocates di Los Angeles, i Blood Drinkers di Laredo e tantissimi altri. Tutti immobili come statue.
Ho paura. Ma non del sole scarlatto o di tutti quei miei “colleghi” paralizzati, con lo sguardo spento e inebetito di un poppante che attende la sua dose di cinghiate. È perché d’improvviso so cosa dobbiamo fare.
Estinguerci…
L’America, il pianeta intero, l’aria che abbiamo respirato fino ad oggi, ci respingono come fossimo un cancro maligno. Mi chiedo perché proprio noi e non quei maniaci che sbavano dietro ai bambini nei parchi pubblici o quei leader fanatici che inneggiano all’omicidio di massa in nome di Satana o Gesù… Ma forse un giorno verrà anche il loro turno.
Basta! Non ci voglio più pensare. troveremo là tutte le nostre risposte.
Laggiù, dove stiamo lanciandoci in groppa alle nostre Harley.
Laggiù, dove “qualcosa” attende il nostro arrivo, pulsando e fremendo come l’enorme gola di una balena affamata.
Laggiù…in fondo al precipizio!!

me and ConanL’AUTORE
Giuseppe Cozzolino (Napoli, 1967) è Scrittore, Saggista, Produttore Web, Docente di Storia del Cinema e Storia delle Comunicazioni di Massa presso l’Università di Napoli (“L’Orientale”, 2001-11, “Suor Orsola Benincasa”, dal 2013 al 2015).
Ha scritto su numerose riviste specializzate (L’Eternauta; L’Altro Regno; Play Magazine; Amarcord, La Rivista del Cinematografo, M-La Rivista del Mistero) e sulle pagine Cultura e Spettacoli de Il Mattino di Napoli ed è autore dei volumi Cult Tv – L’universo dei telefilm (Falsopiano, 2000) e Planet Serial – i telefilm che hanno fatto la storia della TV (Aracne, 2004).
Ha prodotto nel 2012 la serie web fantasy Legends programmata sul sito SyFy del Canale Steel di Mediaset (ottobre/dicembre 2012) e nel 2013-14 la serie Arcana – Storie dell’Impossibile per il Canale Mondo Cult Entertainment.
Nel 2015 si occupa dei Laboratori di Scrittura Noir Factory e Serial Lab per Scuola di Cinema di Napoli.
Dal 2018 è curatore del Blog Un Totò al Giorno che ha prodotto il suo primo libro La Paura fa Totò, in coppia con Domenico Livigni (Centoautori, 2020), e del nuovo progetto di didattica in video-pillole Prometheus: appunti e visioni di Altra Cultura (2020).

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