Le visioni di Laura 5 - La bambola di pezza di Gordiano Lupi

Le visioni di Laura 5 - La bambola di pezza di Gordiano LupiHo passato buona parte dell’estate in clinica per colpa di quel brutto incidente, ma alla fine mi sono ripresa e non sono stata tanto a pensare su quanto poteva esserci di vero nel mio sogno. Sono abituata a convivere con il soprannaturale da quando ho avuto in dono un potere incredibile. Vittorio si occupa del cantiere, ma nel tempo libero ci vediamo spesso e sta entrando sempre più nella mia vita, pure se cerco di tenerlo a distanza perché non voglio legami troppo stretti. Passo le giornate a leggere libri dell’orrore che scelgo sulle bancarelle a metà prezzo del mercato e ad ascoltare la musica dei cantautori. Adesso sto leggendo la storia di uno spirito che esce dalle acque di un fiume e tormenta la vita di uno sperduto villaggio nell’oriente cubano. Ne hanno di fantasia questi scrittori dell’orrore, più sono sconosciuti e più mi piacciono, inventano cose talmente assurde… Un sottofondo di Paolo Conte apre la mia giornata e verso mezzogiorno lascia il posto alle ballate di Guccini e alle musiche anni Settanta di De Gregori e De Andrè. Se proprio mi sento romantica e ho voglia di pensare metto Vecchioni, ma quello di una volta, cose come Ipertensione o Luci a San Siro che mi piacciono tanto. Tra queste canzoni ce n’è una che mi ricorda mio padre e mi fa versare qualche lacrima quando l’ascolto. Canzone per Laura sembra scritta per me, o almeno mi piace pensarlo, ché tanto sognare non costa niente. Mio padre comprò il disco quando sono nata e lo conservava come una cosa preziosa.
Al primo amore si fermò scese dalla filovia
e allora il mondo le sembrò una drogheria…
va da sé che Laura non crede, non crede più,
passa il sale chiacchiera assieme e guarda giù…
Mi aggiro per la casa e preparo qualcosa da mangiare mentre le note di Vecchioni seguono i miei passi nella cucina. Armeggio tra i fornelli e penso a quanto è vero che non credo più a niente dopo quello che mi è successo, ma c’è sempre un motivo per andare avanti. Lo devo al ricordo di mio padre che riponeva in me tante speranze. Ascolto la fine della canzone mentre mangio una mozzarella con pomodori per mantenermi in linea.
Perché adesso Laura ci crede, ci crede sì
chiude gli occhi e dentro ci vede adesso sì
perché adesso Laura ci crede ci crede sì
chiude gli occhi e dentro sorride adesso sì.
È proprio vero, caro papà, che devo continuare a credere in questa vita, perché non ci sono solo momenti neri. Mi torni in mente con il tuo sorriso triste quando mi accarezzavi la testa e io ti ascoltavo mentre parlavi lentamente. “Non tutto è negativo in questa vita, bambina mia. Marina ti guarda da lontano. Se ci pensi intensamente la puoi vedere ancora accanto a te”. Io non ho mai creduto a niente, non ce la faccio ad affidare la mia vita a una religione, a pregare un’immagine divina, però questo fatto che mia sorella mi è vicina credo proprio che sia vero perché il potere di sentire il dolore dei morti lo devo a lei. È vero che non tutto è negativo, papà. Mi hai lasciato Vittorio che continua il lavoro della tua vita e mi vuole bene. Mi resta solo una cosa da fare. Chiudere gli occhi e sorridere. Lo farò anche oggi, papà. Lo farò per te. Le note della canzone si stemperano mentre termino in fretta il pranzo. Mi vesto perché oggi devo uscire per le strade di questa città malinconica in una giornata di pioggia.
La casa alla periferia estrema della città. In una zona degradata, vicino ai grandi colossi industriali. La mia amica Sandra vive là da tempo. A lei è piaciuta subito. C’è un bel giardino intorno, tanto spazio per la bambina e un’ampia cantina dove riporre tutte le sue cose. Una casa di periferia, in un posto dove la gente viene per lavorare, ma è quello che lei ha sempre sognato. Marco no. Lui voleva una casa sul mare come quella dei suoi genitori, un posto che gli ricordasse quando era bambino. Me lo dice sempre ogni volta che ci vediamo.
“Come ti invidio, Laura. Ti affacci al balcone e vedi il mare. Qui si vede solo il fumo di quella fabbrica pestilenziale. A me piacerebbe sentire il sapore del vento, ma fuori c’è solo polvere di carbone”.
Perché un matrimonio funzioni, uno dei due deve rinunciare. In questo caso è toccato a Marco. E poi non si sta così male in questo quartiere abbandonato, a parte il frastuono di un’industria siderurgica, che si espande come una città dentro le viscere di un’altra città sommergendola di smog e cortine di fumo grigiastro. Ma a quello si fa l’abitudine, come si impara a sopportare il cattivo odore della cokeria e dei carbonili a cielo aperto nelle giornate di scirocco. Si dimentica tutto, una volta chiusa la porta di casa. Il problema è che tra le mura domestiche non va tutto bene come una volta. Per questo Sandra mi ha chiamata. Ha bisogno di confidarsi con me.
“Da un po’ di tempo sentiamo dei rumori strani che provengono dalla cantina. Sembrano lamenti, cigolii di porte…” dice Sandra.
“Topi che corrono” sentenzia Marco.
“Fantasmi che ridono” dice la piccola Sara.
“Topi o fantasmi, la faccenda è insostenibile” aggiunge Sandra.
Cerco di capire. Conosco Sandra e Marco da quando eravamo ragazzini e nelle prime giornate d’estate andavamo al mare tra sassi e scogliere sotto il convento francescano. Marco era mio compagno di scuola alle superiori e Sandra è stata sempre il suo grande amore. Si sono sposati, adesso hanno pure una figlia e pare che tra loro tutto vada bene. Sono contenta perché se lo meritano. Mi piace vedere le storie d’amore realizzate, soprattutto oggi che non è così facile. Sono io che non mi sento pronta, ma questo è un altro discorso.
“Io la mattina devo andare in ufficio. Non posso dire al capo che sono stanco perché i fantasmi in cantina fanno baccano” dice Marco.
“Potresti provarci. Sarebbe divertente” rispondo sorridendo.
“Non funzionerebbe. Mica per il fatto dei fantasmi. Il capo è buddista e crede di migliorare la sua vita recitando una stupida frase. Potrebbe anche credere alla storia dei fantasmi che ridono…”
“E allora tu diglielo…” insisto.
“Non mi ascolterebbe neppure. Per lui il lavoro è una religione, un po’ come il buddismo… Non accetta un minuto di ritardo neppure se cade la neve, che da queste parti…”
Sandra è seduta sul divano accanto a Marco e sta bevendo un succo di frutta. Lei non è molto tranquilla. Osserva la bambina giocare sul grande tappeto accanto al divano della sala. Tiene il bicchiere con la mano destra e lo muove nervosamente. Io sorseggio un bicchiere di vino bianco frizzante che mi ha versato Marco. Ascolto quello che la mia amica dice con voce preoccupata.
“Quel rumore che proviene dalla cantina fa parte della nostra vita. La bambina scende spesso al piano inferiore e si diverte a spaventare i topi, che lei chiama fantasmi. Si è inventata una compagna di giochi”.
“Probabilmente è troppo sola. A otto anni avrebbe bisogno di qualche amica dopo la scuola” rispondo.
“In questo posto isolato chi può venire a farci visita?” dice Marco.
A lui quel quartiere in mezzo ai fumi dell’acciaieria non è mai piaciuto e non perde occasione per farlo notare. Sandra fa finta di non sentire e va avanti con il suo discorso.
“Sara ha trovato una vecchia bambola seppellita nella polvere. Dice che parla e che le racconta segreti e storie d’altri tempi”.
Io la ascolto e sorrido. Mi rivedo bambina insieme al mio amico immaginario nascosto tra le coperte. Certe cose le abbiamo fatte tutti. “Ha immaginazione come suo padre. Io da bambino prendevo una scopa e pensavo di essere il generale Custer al comando del Settimo Reggimento…” dice Marco.
Sandra non condivide. Non crede che sia soltanto fantasia.
“Marco, devi proibire a tua figlia di passare le giornate in cantina”.
“Siamo alle solite. Sara diventa mia figlia quando c’è qualcosa che non va. Di solito è tua figlia o al limite la nostra…”
Mi sento in dovere di rassicurare tutti e due.
“Prima o poi smetterà da sola. I bambini si stancano presto di tutto”. Purtroppo Sara non si stanca. E adesso si alza dal tappeto dove sta giocando con le bambole e la piccola cucina che sforna dolci che sembrano veri. Si avvicina a Marco e parla con voce flebile, come se stesse per raccontare un grande segreto.
“Papà, lo sai che Lucy mille anni fa era una strega?” dice.
Rimango interdetta. Sandra mi guarda con occhi fuori dalle orbite. Marco balbetta qualche parola di risposta, ma riesce a pronunciare solo una serie di domande.
“Sei impazzita? Chi è Lucy? Di quali streghe vai parlando?”
Penso che Sara passi troppo tempo in casa da sola. Dovrebbero farla uscire più spesso, pure se vivono lontani dal centro.
“Ma papà, Lucy è la mia amica. Te ne ho parlato…”.
Comprendo che si riferisce a una bambola che tiene in cantina. Sara dice che le racconta storie terribili che parlano di inquisitori e di supplizi scampati. Le confida che mille anni fa ha subito un processo per stregoneria e ha scampato il rogo chiudendo la sua anima in una bambola di stoffa.
“Sara, sono contento che tu lavori molto di fantasia, ma non raccontare in giro certe cose. I tuoi amici non capirebbero” le raccomanda Marco.
Sara pare delusa dalla risposta, ma torna ai suoi giochi sul tappeto. Noi tre ci guardiamo senza parlare. Non è facile dare una spiegazione alle parole della bambina. Non possiamo prenderle solo come fantasie da ragazzina. Sandra non è per niente tranquilla. Per questo mi ha chiamato. Sa che posso aiutarla a risolvere un problema come questo. La mia amica rompe il silenzio e si rivolge al marito che pare non avere più la forza di bere il bicchiere di rum che si è versato.
“La bambina non deve più scendere in cantina e tu devi gettare quella stupida bambola”.
Il tono di Sandra è quello delle decisioni irrevocabili.
“Lo accompagno” dico.
Lei acconsente e ci lasca andare lungo le scale interne che portano al piano inferiore. Marco è infastidito. Non crede alla storia della strega, ma da un po’ di tempo vede che sua figlia è cambiata. Si confida.
“Sandra si è fissata che in cantina c’è qualcosa di strano. E quando lei si mette in testa una cosa è impossibile levargliela. Come quando mi ha portato a vivere in questo posto dimenticato da Dio”.
“Questa cosa magari non gliela dire. Avete abbastanza problemi. Non è il caso di gettare benzina sul fuoco” rispondo.
Scendiamo le scale poco illuminate che portano in cantina. Ci accompagnano rumori di animali che si muovono e porte che cigolano su cardini malmessi.
“Cosa possono essere?” domando.
“Ormai non me lo chiedo più. So soltanto che ci sono”.
Arrivati in cantina cerchiamo la bambola ma non la troviamo.
“Sara l’avrà portata in camera sua” dice Marco.
“Avrà capito che ve ne volevate disfare”.
Mentre rispondo sento che mi sta accadendo qualcosa di strano.
I rumori delle porte che cigolano diventano voci e crepitare di fuochi che ardono, cavalli che scalpitano, uomini che gridano, parole nella notte recitate con la cadenza di salmi da chiesa. Un odore intenso di incenso penetra le mie narici e un grido lancinante mi sconvolge le orecchie. Sento il dolore di una donna che muore bruciata su un fascio di legname. Vedo un rogo altissimo, un fuoco tenebroso che si innalza verso il cielo. La mia carne è squarciata da chiodi che penetrano nelle palme delle mani e le fanno sanguinare. In quella stanza c’è una presenza forte che mi trasmette il dolore di un terribile passato. Soltanto io sento queste cose, è il mio potere di sensitiva che mi fa vedere il passato, le sofferenze, la morte di una donna sul rogo. Non ce la faccio a sopportare ancora questa sofferenza. Marco si è accorto che non mi sento bene e mi afferra per un braccio mentre chiude a chiave la porta della cantina.
“Adesso qui non entra più nessuno” dice.
Saliamo al piano di sopra. Mi sostengo a lui per riprendere le forze. Ogni volta che ho una visione dal passato e mi appaiono morti e ricordi paurosi mi sembra di perdere una parte di me stessa. Mi fa troppo male vivere sulla mia carne le sofferenze di altre persone.
Sandra è ancora seduta sul divano. Le diciamo che la bambola è sparita ma che abbiamo chiuso a chiave la cantina.
“Non importa. Da oggi Sara non potrà più scendere in cantina”.
La bambina ha seguito i nostri discorsi.
“I miei amici fantasmi si arrabbieranno molto” dice contrariata.
Sara smette di giocare e versa qualche lacrima, poi va in camera sua.
La decisione della mamma non le va molto a genio.
Sara chiude la porta della camera e subito aumentano i rumori che provengono dal piano terra. Sentiamo delle voci salire verso di noi. La mia sensazione di morte si fa più forte e continuo a udire terribili litanie come monotone preghiere che squarciano la notte. Rumori di spade, fucili che sparano, fuochi che crepitano su legna ardente. E le voci lontane chiamano Sara. Sono voci gutturali e cavernose. Le distinguo male. Soltanto io so che sono voci dell’oltretomba, spiriti inquieti che cercano la bambina.
“Sei ancora convinto che si tratti di topi?” chiede Sandra.
Marco è spaventato. Non riesce a dire una parola.
I rumori si fanno insistenti. Catene, sospiri, tonfi sordi e violenti nel bel mezzo della notte. Mi pare di sentire la voce di Sara cupa e cavernosa come quella di un essere che viene dalle tenebre. A un certo punto la vedo comparire davanti a me con un’espressione minacciosa che incute timore. Quella bambina non è Sara, ma un essere orribile che assume il suo aspetto e parla con voce gutturale. La bambina stringe forte a sé la bambola di stoffa e la solleva verso il cielo. Mi guarda con odio e pronuncia una frase incomprensibile.
“Hai rinchiuso i miei custodi ma loro rinchiuderanno la tua anima”.
Mi sconvolge. Non è la sua voce. Non sono parole che può pronunciare una ragazzina. Adesso la vedo tornare in sé e calmarsi. L’espressione del suo volto riprende i tratti dolci da bambina. Sara chiude la porta della camera per andare a dormire. Tutto si placa. Resta soltanto la nostra paura.
“Abbiamo portato Sara da uno psicologo” dice Sandra.
“Ci ha detto che la bambina sta troppo da sola e si è costruita un mondo di fantasie soprannaturali. Parla di carenze affettive. Consiglia di farla uscire con ragazzi della sua età” aggiunge Marco.
“Ma lei non vuole. Pensa solo a giocare con quella bambola che chiama Lucy…” dice Sandra.
Nuovi rumori che provengono dalla camera della bambina ci distolgono dalle nostre considerazioni. Sento ancora quelle grida lamentose che mi squarciano i timpani. Sono le sofferenze di tanti morti che rivivono nei miei pensieri. Donne bruciate sul rogo mentre preti cantano lugubri canzoni di chiesa. Marco e Sandra non possono capire quello che provo, sentono solo rumori di porte che sbattono, cigolii, catene di ferro che sembrano urtarsi tra loro. Entriamo nella camera della bambina e la vediamo mentre si contorce nel letto in preda a convulsioni.
“Sara, come ti senti?” grida la madre.
Sara ci guarda con occhi persi nel vuoto
“Quello che volevo è compiuto. Sono libera” dice con voce cavernosa.
Vedo la bambola per terra, vicino al letto disfatto.
Sembra guardarci con un ghigno satanico.
“Bambina mia, cosa ti sta succedendo?” chiede Marco terrorizzato.
Una voce cavernosa esce dal corpo di Sara.
“A me niente. Siete voi che state per morire…”
Una forza soprannaturale ci spinge fuori dalla camera.
Cado a terra. La porta si chiude con violenza. Tento di rialzarmi ma non ce la faccio, perché una forza misteriosa mi tiene inchiodata al suolo. Marco cade a terra lungo il corridoio che porta alla sala e viene sospinto verso il corrimano della scala. Sandra viene sollevata da un vortice d’aria innaturale. Lugubri voci di morti rimbombano nelle mie orecchie e mi fanno soffrire. All’improvviso tutto si placa. Sandra cade pesantemente al suolo e io mi libero dalla morsa del pavimento. Mi dirigo di nuovo verso la porta e tento di aprirla. Una scarica che pare una scossa di corrente elettrica colpisce la mia mano. Mi allontano tremante. Poi la porta si apre da sola. Sara è sul letto con le mani giunte e rivolte verso il cielo. Sta accadendo qualcosa che non comprendo. Qualcosa di irreparabile. Lei non mi vede. In questo momento è troppo presa dalla sua strana preghiera. Sembra che il suo corpo stia accogliendo una nuova entità che viene dall’esterno. Accanto al letto vedo ancora quella maledetta bambola che sorride. Mi getto su di lei come per punirla di quello che è accaduto. L’afferro. Sara interrompe la sua preghiera.
“Non toccarmi!” dice una voce che non è la sua voce.
Forse ho capito. D’un tratto credo d’aver compreso ogni cosa.
Mi strappo dal collo una catena con un crocefisso d’oro che porto sempre con me. Lo uso come un’arma improvvisata e con la punta trafiggo più volte la bambola. Sarò pazza, ma questa è la sola cosa che mi viene in mente di fare mentre la mia testa è tormentata da grida lancinanti di donne che bruciano su roghi di arbusti. Maledette torme di preti illuminano la notte con flebili torce e cantano al cielo lugubri salmi. Un vento innaturale mi sconvolge i capelli mentre continuo a colpire la bambola con forza. Sferro colpi decisi e violenti su quel corpo di pezza. Vedo uscire del sangue. Sento dei lamenti dalla bocca della bambina. Ma non è Sara. Un’anima nera vola via nella notte. Si contorce tra dolori spaventosi e fugge dal suo corpo. Adesso sarà lontana, al di là delle ultime ciminiere, vicino alla fabbrica di carbone, prima di bruciare per sempre tra le fiamme dell’inferno.
Sandra non ha visto niente. È ancora a terra svenuta. Marco si sta riprendendo dallo spavento e abbraccia il corrimano della scala in fondo al corridoio. La bambina pare svegliarsi da un sonno innaturale. Chiama con voce flebile i genitori.
“Cosa è successo?” chiede.
“Niente. Hai fatto solo un brutto sogno. Dormi, che domani devi andare a scuola” la rassicuro.
Adesso entra sua madre e la prende in braccio. Marco è accanto a lei. La mettono a letto. Tutto è finito, finalmente. Usciamo dalla camera.
“Domani vado in agenzia” dice Marco.
Sandra è ancora intontita. Non comprende bene cosa sta dicendo il marito e non accenna a reagire.
“Non voglio più vivere in questa casa” conclude.
Tutto è finito. Non occorre farsi tante domande. Penso che sia meglio tornare alla mia vita e lasciare i miei amici alle discussioni sulla nuova casa da comprare. Questa volta mi sa che Marco la spunta e convince Sandra a venire a vivere sul mare. Magari diventiamo vicini di casa e una sera d’estate festeggiamo davanti a una bottiglia di vino ghiacciato mentre assaporiamo il gusto del salmastro in una giornata ventosa. Marco è stanco di sentire rumori di sbarre d’acciaio che cadono dentro la siviera e dell’odore acre del carbone. Soprattutto è stanco di quella solitudine. Vuole andare a vivere sul mare, portare ogni giorno sua figlia al parco e farla giocare con i ragazzi. E di una cosa sono sicura. Non le comprerà più bambole.

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Gordiano LupiL’AUTORE
Gordiano Lupi ( 1960) – tre volte presentato al Premio Strega – ha dedicato alla sua città: Lettere da Lontano, Piombino tra storia e leggenda, Cattive storie di provincia, Piombino leggendaria, Piombino a tavola, Alla ricerca della Piombino perduta, Calcio e acciaio – Dimenticare Piombino, Miracolo a Piombino – Storia di Marco e di un gabbiano, Piombino con gusto, Sogni e altiforni – Piombino Trani senza ritorno (con Cristina de Vita) oltre a un sacco di racconti e articoli di cui non è facile conservare traccia. Molti racconti piombinesi sono sul blog TUTTOPIOMBINO edito ogni domenica dal quotidiano telematico QUI NEWS VALDICORNIA. Si occupa di cultura cubana, traduce ispanici, scrive di cinema e pubblica monografie su registi e attori italiani. Sito Internet: ww.infol.it/lupi. E – mail: lupi@infol.it. Blog di cinema: La Cineteca di Caino(http://cinetecadicaino.blogspot.it/). Blog di cultura cubana e letteratura: Ser Cultos para ser libres (http://gordianol.blogspot.it/)

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